L’Algeria e la scommessa della stabilità

 Il peso della crisi  economica sul voto

di Fausta Speranza

Algeria alla prova elettorale. Nel più grande paese africano, che ha vissuto negli ultimi anni una singolare stabilità nonostante il contesto regionale, si vota oggi per il rinnovo del parlamento. Si tratta di un momento della vita politica che  catalizza  le più gravi sfide nazionali: dalla difficile successione dell’ottantenne presidente Abdelaziz Bouteflika, in carica dal 1999, al malcontento sociale per le recenti misure di austerity adottate a causa del calo del prezzo del petrolio sui mercati internazionali. Ma la posta in gioco non è solo interna. Dopo le cosiddette primavere arabe e mentre incombono la crisi in Libia, la minaccia terroristica e l’emergenza migrazioni,  ai risultati della tornata elettorale guardano con interesse i paesi per i quali l’Algeria è un importante partner energetico. A cominciare da quelli europei, ma anche Turchia, Giappone, Corea del Sud, India e perfino la Cina.

Sono 23,3 milioni i cittadini chiamati a eleggere sia i membri dell’Assemblea nazionale popolare, sia quelli dei consigli municipali e provinciali, che a loro volta nomineranno due terzi dei membri della camera alta. Si tratta delle prime consultazioni che si svolgono dopo le modifiche costituzionali varate nel febbraio 2016. Tra i punti centrali della riforma: la creazione della commissione indipendente per la supervisione delle elezioni (Haute instance indépendante de surveillance des élections), composta da 205 magistrati incaricati da un consiglio giudiziario e 205 esponenti della società civile. La commissione  è nominata direttamente dal presidente Abdelaziz Bouteflika, al suo quarto mandato. Le modifiche costituzionali hanno inoltre reintrodotto il limite di due soli mandati per la presidenza, norma che dovrebbe valere per il successore dell’attuale capo dello stato. La riforma ha sancito poi la dissoluzione del Département du renseignement et de la sécurité , temuto organo di controllo, prontamente sostituito con il Département de surveillance et de sécurité.  Diversi partiti di opposizione hanno espresso e ribadito la propria preoccupazione per la reale indipendenza di tutti questi organismi dalla cerchia più stretta delle autorità al potere.

 Le formazioni politiche riconosciute nel paese sono ben 69, ma sono due i partiti che hanno dominato la scena politica interna a partire dal 1997, quando furono indette le prime elezioni multipartitiche dall’inizio della tragica guerra civile del cosiddetto “decennio nero”, e che formano anche l’attuale coalizione governativa. Il primo è il Front de libération nationale, dello stesso Bouteflika e del primo ministro Abdelmalek Sellal, che al momento conta 208 seggi su 462. Il secondo è il Rassemblement national démocratique  che finora non ha superato i 68 seggi e che fa capo a Ahmed Ouyahia, più volte primo ministro e incaricato dal presidente di guidare il processo di revisione costituzionale. I seggi rimanenti sono divisi tra   gli altri gruppi.

Negli ultimi mesi è cresciuto il malcontento popolare per i tagli a servizi e sussidi imposti dalla legge di bilancio per il 2017, entrata in vigore il 1° gennaio. Da allora le proteste si sono moltiplicate, con scontri in Cabilia, precisamente nel comune di Béjaïa, una delle più antiche città del paese e oggi grande polo industriale. Il suo porto, scalo petrolifero e commerciale sul Mediterraneo, è in una posizione fortemente strategica dal punto di vista geopolitico. Si protesta perché sembra sgretolarsi il sistema di welfare,  fondato proprio sulla redistribuzione, in forma di sussidi e servizi, delle rendite derivanti dalle ricche riserve di idrocarburi del paese, messe in crisi dall’abbassamento globale del prezzo del petrolio iniziato nel 2014. Dopo aver fatto ricorso alle riserve sovrane del paese, quest’anno sono scattati i tagli.

 Ma a sgretolarsi  è stata anche la stabilità regionale: dal 2011 si sono moltiplicati i focolai di conflitto, in Mali come in Libia, ma, soprattutto, nelle regioni meridionali e del Sahel si è andata intensificando la minaccia del terrorismo di stampo jihadista: una questione di rilevanza non solo locale o regionale ma transnazionale.

L’Osservatore Romano, 5 Maggio 2017