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Sulla cima del silenzio

Restaurata la cappella di Saint-Michel de Brasparts in Bretagna

Al di là del cerchio di fuoco. È tornata a essere luogo di accoglienza e di preghiera la cappella di Saint-Michel de Brasparts nella suggestiva Bretagna. Siamo all’estremo nord-ovest della Francia, sulla sommità del colle omonimo, il più alto dei Monts d’Arrée, dove alla fine del XVII secolo la devozione locale diede vita alla piccola chiesa. Si può immaginare l’apprensione quando nell’estate 2022 i poderosi incendi che hanno colpito la costa occidentale della Francia sono arrivati a danneggiarla, dopo aver distrutto 2.200 ettari del bosco circostante. Nei giorni scorsi è stata riaperta al culto grazie al prezioso restauro effettuato in tempi di record e con una committenza d’eccezione: per il nuovo arredo liturgico è stato chiamato il disegnatore Ronan Bouroullec, originario proprio della Bretagna.

L’edificio è modesto, a pianta rettangolare, con abside inclinata. Le pareti, spesse più di un metro, sono il tratto fisico della profondità che si coglie. I muri in pietra intonacati a calce e il pavimento in terra battuta, leggermente rialzato nella zona del coro, richiamano la semplicità. La sensazione di una continuità tra la Cappella di Saint-Michel e il suo sito — tra architettura e natura — è forte. C’è il tetto in ardesia delle colline di Arrée, che poggia su un telaio di quercia.

L’impegno di Ronan Bouroullec si avverte proprio in linea con questa continuità, che è anche continuità con la tradizione del luogo e con l’impiego di maestranze locali. Nei materiali ha lasciato la sua impronta particolare anche scegliendo alcuni elementi particolari, come i residui minerari dell’altare in granito o il vetro smaltato per il contro rosone, che ben si armonizzano con la luce naturale e con quella delle candele, ospitate in essenziali ma eleganti supporti in ferro battuto. Si tratta di due gruppi di candelieri, uno formato dai tre grandi candelieri incastonati nella base in granito accanto all’altare, l’altro da ben quattordici candelieri incastonati nella consolle in granito. Sulla cima di ognuno c’è una coppa, che accoglie candele diverse per forma e dimensioni: da un grande cero a un modesto lumino.

Della cappella ci parla Martin Bethenod, impegnato da anni nel campo della cultura e dell’arte contemporanea in Francia, attualmente presidente del Crédac-Centre d’art contemporain di Ivry e presidente degli Archives de la Critique d’Art. «Progettare un oggetto, uno spazio — spiega —, è un tentativo di produrre, sulla base di pochi elementi selezionati e interconnessi, un effetto che vada oltre i materiali, gli oggetti e il luogo stesso, per suscitare la sensazione che qualcosa stia accadendo e metta in moto cambiamenti». Il progetto di Ronan Bouroullec «si basa su un triplice approccio: trovare un vocabolario di materiali ridotto all’essenziale; trovare un equilibrio tra un senso di massa e di leggerezza; trovare la vibrazione nelle cose attraverso il trattamento delle superfici e della luce». C’è poi «l’aspetto fondamentale» dell’intuizione che — afferma sempre Bethenod — «non riguarda tanto il fornire una risposta specifica a una domanda diretta quanto dare vita a un’esperienza».

A proposito della cappella restaurata, Martin Bethenod sottolinea che «fornisce il contesto ideale per questo tipo di processo: provocando una temporanea sospensione del movimento e del suono del mondo circostante»: il suo essere luogo di culto e di riflessione genera «particolarissime sfumature di silenzio, di concentrazione, di contemplazione, di attenzione al mondo e a se stessi». E c’è da dire che i moti dell’animo si intensificano quando si arriva in un posto dopo un’arrampicata, con il paesaggio e il cielo negli occhi.

Nella mente di Bouroullec — racconta lo stesso artista — «il ricordo degli incendi che avevano colpito la regione già negli anni Settanta e l’immagine impressa nella memoria del paesaggio annerito su cui spiccava in contrasto la forma più pallida della cappella fanno parte dell’esperienza che è sempre radicata in un’impressione che è tattile, uditiva, olfattiva». In effetti l’aspetto della sensazione fisica — la penombra, l’umidità, la sensazione della pietra, il rapporto del proprio corpo con gli spazi — indubbiamente si ritrovano nel progetto per Saint-Michel de Brasparts.

Un’esperienza è immediata per tutti. Mentre la porta della facciata principale della cappella è usata solo raramente, la porta esposta a sud è senza chiave: sempre aperta. Una scelta precisa per un luogo voluto come rifugio dell’anima per escursionisti, pellegrini, passanti. E infatti con il suo garbo di essenzialità, l’interno della cappella accoglie chiunque cerchi raccoglimento.

La gioia di vederla restaurata e restituita al culto è anche la gioia di vedere valorizzati luoghi per la preghiera, per il silenzio e per l’ascolto che hanno il privilegio di essere in dialogo con la storia e con la natura.

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-07/quo-168/sulla-cima-del-silenzio.html

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