Cipro: il monastero della pace

Il restauro di un monastero diventa occasione di riconciliazione tra la comunità turca e quella greca di Fausta Speranza

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Il monastero di Sant’Andrea Apostolo, a Cipro (foto Speranza).

Cipro – Un antico monastero unisce i turco ciprioti musulmani e i greco ciprioti ortodossi e soprattutto supera la barriera dell’ultimo Muro in Europa: quello tra la Repubblica di Cipro, nell’Ue, e la Repubblica del Nord di Cipro non riconosciuta da nessuno ad eccezione della Turchia.

Parliamo del Monastero dedicato a Sant’Andrea apostolo, che si trova nella parte Nord dell’isola, controllata dalla maggioranza musulmana sunnita, in particolare nella regione orientale, che guarda alla Siria. Oggi 11 Novembre vengono inaugurati i lavori di restauro del Monastero che – è qui l’eccezionalità – verranno condotti in stretta cooperazione tra archeologi ed esperti delle due comunità, turco ciprioti e greco ciprioti, divisi esattamente da 40 anni.

In seguito a forti contrasti tra le due comunità, 50 anni fa arrivava la missione dell’Onu che ancora controlla la zona demilitarizzata segnata dalla Green Line. Ma nel 1974 la Turchia, dichiarando di dover proteggere la comunità turca, invadeva il 40% del territorio, al Nord.
Da allora la maggior parte dei luoghi di culto cristiani nel Nord sono stati chiusi o trasformati in moschee.

L’aspetto culturale è solo uno dei tanti da considerare in questa dolorosa divisione, ma oggi è l’aspetto attraverso il quale la società civile e le comunità religiose mandano un segnale di apertura e cooperazione al mondo della politica, della geopolitica e degli interessi economici. Nel 2008,  in collaborazione tra i due Paesi, è nato il Comitato Tecnico per il patrimonio culturale, che ha per copresidenti  esponenti delle due comunità.

Abbiamo incontrato il turco cipriota Ali Tunkay che ci ha spiegato che sono appena arrivati 4 milioni di euro dall’Unione Europea per il restauro di edifici di culto e monumenti, e che altri 4 sono in arrivo entro il 2016. Cinque milioni di euro sono stati stanziati per questo Monastero, perchè – ha sottolineato  Tunkay a Famiglia Cristiana – sia il simbolo di una rinnovata cooperazione tra le due comunità. Tunkay non ha dubbi: “Il conflitto è politico, non è affatto etnico o religioso”.

da Famiglia Cristiana dell’11 novembre 2014

Pagare per le banche? No, grazie!

Chi guadagna con le banche quando tutto va bene dovrà pagare quando le cose vanno male. E’ il principio appena stabilito dal Parlamento Europeo.

Fausta Speranza

Strasburgo – Se una banca è in perdita i primi a pagare devono essere quelli che quando la banca è in attivo guadagnano. Significa azionisti e possessori di obbligazioni. E’ il principio stabilito dal Parlamento Europeo, in questa sessione di aprile che è l’ultima della legislatura prima del voto di maggio. Con il regolamento appena approvato sulle situazioni di crisi finanziarie, si chiude una partita giocata con il Consiglio, cioè con i capi di Stato e di governo, e si segna un passo in avanti fondamentale verso l’Unione bancaria.

Strano a dirsi ma il principio è rivoluzionario perché finora perdite e fallimenti delle banche sono stati pagati dai contribuenti. Con termine tecnico si chiama “risoluzione”, cioè salvataggio o ristrutturazione. In sostanza qualcosa che finora è stato sovvenzionato con i soldi dei cittadini tassati dai Governi che non potevano lasciar fallire gli istituti di credito nazionali. Dopo crisi di liquidità dovute troppo spesso a azzardi e a quella che con termine letterario abbiamo definito “finanza creativa”, le banche in definitiva hanno chiesto aiuto ai cittadini. E’ proprio quello che non potrà più accadere.

A gestire i salvataggi delle banche sarà un organismo sovranazionale, il Single Supervisory Mechanism, che sarà operativo da novembre prossimo. L’autorità superiore europea deciderà come ristrutturare una banca in difficoltà: adeguati supervisori dovranno dare un voto ai programmi proposti. Il punto sarà anche autorizzare o meno il ricorso al fondo apposito. Ci sarà infatti un fondo ma il punto è che dovrà essere costituito dai 130 maggiori gruppi bancari europei, in previsione di tempi peggiori. La cifra è definita: esattamente 55 miliardi di euro. Non si pretende che ci siano subito ma a ben guardare le tappe sono fissate nero su bianco e abbastanza serrate: entro tre anni dovrà essere disponibile il 70% della cifra, che dovrà essere completata entro il 2023.

E qui l’Europarlamento l’ha spuntata sui capi di Stato e di governo che avrebbero voluto la più vaga indicazione di una disponibilità entro il 2025. Ma a proposito di tappe, va detto che da novembre 2014, diventando operativo il sistema di vigilanza unica, partirà un’operazione di revisione bilanci da parte di supervisori della Banca centrale europea che interesserà direttamente 128 banche e che si espanderà poi a 6000 già in elenco. Insomma, banche sotto esame.

In tutto questo c’è un auspicio fondamentale: tagliare il legame perverso tra i crack bancari e il debito dei singoli Stati nazionali. Non sarà più l’indebitamento pubblico a salvare i bancari. Detto tutto questo, l’obiettivo finale è avere un sistema creditizio più solido e meno truffe nazionali. Forse ci lasceremo alle spalle le speculazioni che in Europa hanno più o meno copiato dagli Stati Uniti il sistema dei mutui cosiddetti subprime, praticamente scatole cinesi che tutelavano solo gli istituti che li emettevano, o le bolle finanziarie di altro tipo non denunciate dalle banche centrali nazionali. Tutte situazioni che hanno concorso a dare il via circa sei anni fa alla valanga della crisi finanziaria e economica da cui i cittadini europei devono ancora davvero riprendersi. C’è voluto tempo ma l’Europa comincia a dare segnali concreti.

Certamente il Parlamento europeo, unica delle istituzioni che direttamente rappresenta i cittadini, ha avuto un ruolo fondamentale nel mettere sotto accusa le banche. A questo regolamento si è giunti dopo tante risoluzioni sul tema. Ma si tratta di un processo appena avviato. Bisognerà vigilare e per farlo non sembra possano essere di aiuto parlamentari euroscettici. Nell’avvicinarsi del voto per il rinnovo dell’Assemblea di Strasburgo, che in Italia si svolgerà il 25 maggio, con il moltiplicarsi dei sondaggi proprio sul voto degli euroscettici, dovrebbe aumentare invece la discussione sui temi concreti, come questi, per i quali avremmo bisogno di più Europa e non di meno Europa per tenere a bada poteri forti come quello finanzario.

testo da Famiglia Cristiana del 16 aprile 2014

Europa addio. Firmato: Africa

L’impetuoso sviluppo di parti del continente africano cambia i rapporti con l’Europa. Non più dipendenza ma rispetto reciproco.

di Fausta Speranza

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Il porto di Città del Capo, in Sudafrica (Reuters).

L’Africa sempre più protagonista degli scambi commerciali e sempre meno legata all’Europa. A ben guardare è quanto emerge, al di là delle dichiarazioni ufficiali, dal IV vertice tra l’Ue e l’Africa, concluso oggi a Bruxelles. 80 tra capi di Stato e di Governo si sono confrontati in un’atmosfera nuova: dal primo vertice nel 2000, i due continenti sono profondamente cambiati.

L’Ue resta il primo partner commerciale dell’Africa, con investimenti diretti di 221 miliardi, e resta il primo donatore, con il 45% degli aiuti assicurati. Ma negli ultimi 5 anni in Europa è raddoppiato il debito degli Stati nazionali ed è raddoppiata la dipendenza energetica da Paesi terzi, mentre l’Africa viaggia con una media di crescita del PIL del 7% e moltiplica in maniera esponenziale la produzione di petrolio e di gas. Si capisce subito che questo vertice ha segnato un orizzonte nuovo. E si capisce anche meglio considerando che gli scambi commerciali del continente nero con la Cina sono cresciuti negli ultimi tempi ad un ritmo del 40%.

Muovendosi tra i capi delegazione dei Paesi africani, si registra una consapevolezza davvero nuova: non solo i rappresentanti di Paesi più in vista come Sudafrica, Nigeria, Uganda, Kenya, ma anche di Paesi come il Camerun e l’Etiopia parlano di sudditanza spezzata nei confronti del Vecchio Continente, di equilibri di forza da ristabilire. Si capisce dunque che dietro il titolo del vertice, “Investire in capitale umano, sviluppo e pace” e dietro gli impegni ad affrontare insieme l’emergenza sicurezza, i cambiamenti climatici e le consuete sfide dello sviluppo, c’è altro. Ad un’Europa in crisi, che si impegna in programmi educativi in Africa come l’Erasmus plus per Paesi terzi annunciato nella conferenza stampa conclusiva, si è presentata un’Africa forte del recente legame con altri colossi, a partire dalla Cina, ma non solo, anche India, Brasile, America Latina.

Nell’orizzonte dei nuovi scenari che si vanno profilando, va detto che l’Africa ha ancora una carta più che significativa da giocare: i 54 Paesi si presentano al momento come singoli mercati promettenti ma più o meno limitati. Bisogna immaginare cosa potrebbe rappresentare  la nascita di un vero free trade, cioè mercato comune. Al momento si procede lentamente verso mercati macroregionali ma Gunter Nooke, che è stato tra i delegati della Germania in tempi di G8 e che è consulente governativo a Berlino per le questioni africane, assicura che il free trade è nelle prospettive concrete. Ad un’Europa che faticosamente tenta di far vivere il proprio Mercato Unico Europeo, può far bene riflettere sulle prospettive dell’Africa. Si allargano dunque i terreni su cui valutare cambiamenti di equilibri tra Europa e Africa. Gunter Nooke avverte: “Il continente africano è cambiato molto ma molto di più di quanto i media continuino a raccontare e rappresentare”.

Tra le priorità per gli europei, c’è la questione delle migrazioni strettamente legata da sempre alla questione sviluppo ma soprattutto di recente più connessa alla questione sicurezza nei Paesi africani. Dopo la destabilizzazione in Egitto e in Libia e l’espandersi del fondamentalismo islamico in Mali, Sud Sudan, oltre che in Somalia, il discorso è tutto aperto. In sostanza l’Ue ancora non ha una politica nuova in tema di migrazioni dopo i rivolgimenti partiti con le cosiddette primavere arabe in Nord Africa ma continua a mandare uomini in Centrafrica. E, nonostante che il presidente della Commissione Europea, Barrroso, abbia annunciato al vertice 28 miliardi di euro di aiuti per i prossimi sette anni, c’è chi parla di vecchio continente che ha dimenticato il continente nero. Al di là delle foto ufficiali dei leader, Al Ashir, della delegazione dell’Etiopia, ci dice: “L’Europa ha abbandonato l’Africa”.

Il problema sicurezza

Di fronte alle drammatiche violenze in Centrafrica, che peraltro fanno eco in modo solo di poco più esasperato a quelle in Sud Sudan, i leader europei si sono presentati all’apertura del vertice Eu-Africa con un annuncio concreto: la missione europea di 800 soldati per Bangui, capitale del Centrafrica, al costo previsto di 26 milioni di euro. L’Europa dunque ancora una volta protagonista in tema di emergenze umanitarie dopo l’intervento in Mali dello scorso anno.

In realtà in particolare protagonista è la Francia, ma bisogna dire che nel caso della missione in Centrafrica si è vista la cancelliera tedesca Merkel esposta tanto quanto il presidente francese Hollande. Ma intervistando gli africani, emergono orizzonti meno noti. Restando al Centrafrica, qui al vertice, Ban Ki Moon, segretario generale dell’Onu che compare come invitato di eccezione, ha raccomandato che altri 1.000 uomini possano aggiungersi ai soldati europei. E qualcuno della delegazione del Mali ci ha assicurato che si parla di cinesi, ricordandoci – ma sarebbe meglio dire informandoci – che nel 2013 in Mali, al di là dell’intervento di Parigi, sono arrivati 500 caschi blu cinesi. Nel continente nero sembra siano poco più di 2000 i cinesi impegnati in operazioni di peacekeeping ma il punto è che sembrano intenzionati ad aumentare.

Non c’è solo il Sudafrica a distinguersi ormai per gli indici di crescita nel continente nero. Sudafrica che da tempo è stato affiancato ai Paesi in via di grande sviluppo: i cosiddetti Bric, Brasile, Russia, India, Cina. Se il Sudafrica si è presentato a Bruxelles con una crescita nell’ultimo anno del 13% del valore dei propri scambi commerciali e in questi scambi commerciali restano in primo piano Francia e Gran Bretagna, ci sono cifre generali che non si possono trascurare. Dal 2000, anno di nascita del FOCAC, il Forum di cooperazione Sino-Africana, gli scambi tra Africa e Cina sono cresciuti in alcuni periodi in pochi mesi anche del 10%. Un solo esempio, oggi un Paese come lo Zambia esporta in Cina più della metà del rame estratto. Se il primato delle esportazioni dall’Africa finora è stato verso la Francia e il primato delle importazioni è stato verso la Germania, in futuro appare tutto da ridefinire. Guardando alla Nigeria si trova un dato curioso: le esportazioni in India di diversi prodotti già  superano di un terzo le esportazioni in Francia. E delegati nigeriani ci assicurano che stanno crescendo, oltre alle esportazioni, anche le importazioni dall’India.

A proposito di potenzialità dei mercati africani, non ci sono solo i due milioni e mezzo di barili di petrolio che la Nigeria da sola estrae ogni giorno o il petrolio che per esempio sta emergendo in Paesi come il Ghana, finora considerato in tema di materie prime solo per l’oro. C’è anche il settore ICT, delle Information Communication Technologies, che cresce a ritmi vertiginosi con decine di milioni di nuovi abbonati alla telefonia mobile ogni mese. Solo in Kenya il settore ICT contribuisce ad una crescita annua del 6%. La giornalista camerunense Marie-Roger Biloa, dell’Africa International Media Group, ci dice senza mezzi termini: “Innanzitutto, l’Europa non si presenti più a dettare le condizioni di tutto. E non si presenti più arrogante.”

testo proveniente dalla pagina di Famiglia Cristiana del 4 aprile 2014

Europarlamento: l’Italia contro le frodi

Grazie all’iniziativa dell’Italia, l’Europarlamento ha avviato la procedure per creare una super-procura anti-corruzione. Obiettivo: sottrarre alle frodi 500 milioni l’anno. di Fausta Speranza

Ogni anno 500 milioni di euro si bruciano in Europa per le sole frodi comunitarie. L’Italia, tristemente leader in tema di corruzione, per una volta potrà vantare di aver messo in moto i meccanismi giusti per individuare e recuperare questi soldi: è italiano, infatti, il relatore della raccomandazione votata mercoledì 12 marzo al Parlamento Europeo contro corruzione, riciclaggio, contraffazione. Per una volta la notizia è che Bruxelles e Stati virtuosi per antonomasia come la Germania hanno fatto resistenza alla nascita della Procura europea, che, su progetto italiano, colpirà i reati di contraffazione, corruzione, e altro, che portano altrove i soldi stanziati a livello europeo per le politiche sociali e occupazionali.

Mentre si parla urgentemente di più unione politica e più unione bancaria per questa Europa che non ha saputo rispondere presto alle necessità dei cittadini in balia della crisi economica mondiale, nasce un pò in sordina la Procura europea, struttura che in sostanza dovrà tappare i buchi neri creati dalle frodi nel bilancio comune. La stima è che siano circa 500 milioni di euro i fondi sottratti a iniziative concrete ma potrebbe essere una stima per difetto. La Procura europea potrebbe rappresentare un salto di qualità rispetto all’Olaf, l’organismo previsto per le indagini amministrative. La Procura, infatti, ad esempio potrà spiccare ordini europei di indagini.

Ma il lavoro  contro corruzione e riciclaggio del denaro sporco, portato avanti dalla lobby italiana, in particolare dall’eurodeputato siciliano Salvatore Jacolino di Forza Italia, va oltre. Tocca temi come l’evasione fiscale. La raccomandazione votata in questa sessione dell’europarlamento, che è la penultima prima delle elezioni che si preannunciano come le elezioni della protesta anti UE, prevede almeno due misure concretissime che ciascun Stato membro dovrà prendere.

Parliamo di due provvedimenti non da poco: si tratta, infatti, dell’abolizione del segreto bancario e del riconoscimento del reato di associazione di stampo mafioso. Dal piano delle frodi comunitarie, fatte in un singolo Paese ai danni delle casse di Bruxelles, si vuole passare al piano dei reati transnazionali. Come dire: l’Italia che non dà certo esempio in tema di frodi fiscali e di criminalità organizzata, pensa in grande in Europa.

A ben guardare, la Procura europea si inserisce in un percorso nato nel 2012 sempre su iniziativa italiana con la cosiddetta Commissione CRIM, la Commissione speciale istituita in seno al Parlamento europeo per capire il peso dei reati di corruzione, riciclaggio, contraffazione in Europa. A ottobre 2013 ne è uscito il rapporto, poi sempre aggiornato, in cui oggi leggiamo dati come quello dei 500 milioni di euro persi ogni anno ma anche percentuali perfino peggiori di quella fotografata dall’Onu a livello mondiale, cioè di un 2,5% del PIL perso in attività illecite e immerso nel giro del lavaggio di denaro sporco. Si tratta di attivitèà sospette che coinvolgono banche, istituzioni finanziarie, consulenti fiscali, notai, commercialisti, gestori patrimoniali, fino ai casino e al settore del gioco d’azzardo.

Ma leggendo tra le righe della Raccomandazione votata, si legge anche che “l’europarlamento afferma che dato che da studi indipendenti è stato dimostrato che il settore del calcio è vulnerabile e allettante per attività criminali e pratiche di riciclaggio di denaro, è necessario assoggettare tale settore alla legislazione in materia di lotta al riciclaggio di capitali”. Si capisce quanto potenzialmente si possa allargare l’orizzonte.

I problemi, e i dati e le evidenze che li identificano, non mancano. Ci si chiede allora come mai sono state forti le resistenze di alcuni Stati membri. Per fare nome e cognome, almeno Olanda, Ungheria, Repubblica ceca e Svezia si sono opposti. Ma c’è da dire che Germania e Francia, pilastri delle decisioni europee, hanno mantenuto a lungo una posizione a dir poco interlocutoria. La resistenza si spiega con l’attitudine ancora viva a fare l’Unione europea lasciando però i punti più scottanti alla sovranità nazionale. Prudenza antica e pericolosa nel momento in cui, se si vuole che i cittadini credano nell’Europa contro i pericolosi nazionalismi esasperati, si deve assicurare loro un’Europa che incide.

In ogni caso, si è arrivati alla Raccomandazione che però non è ancora una Direttiva vincolante. Ma è un testo che rimarrà in eredità al prossimo Parlamento che non potrà ignorarlo.

Resta da dire che se l’Italia, con la sua storia, è l’unico Paese europeo che prevede già nella sua normativa il reato di associazione di stampo mafioso, il Lussemburgo, con la sua storia,  potrebbe essere il primo Paese ad abolire davvero il segreto bancario. I cittadini, che soffrono ancora i disastri sociali della crisi finanziaria prima che economica, vedrebbero misure concrete contro chi a fine mese arriva più che bene qualunque cosa succeda, grazie ai paradisi fiscali attraverso i quali froda i contribuenti onesti. E non importa di quale nazionalità.

testo proveniente da Famiglia Cristiana del 13 marzo 2014

Matrimoni gay e temi etici, sfida per l’Europa

Al Consiglio d’Europa e alla Corte europea dei diritti dell’uomo pendono molti dossier sui temi etici. Una sfida per il continente. Fausta Speranza
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Parlamento Europeo. Strasburgo  (foto Reuters)

Mentre monsignor Aldo Giordano, appena arrivato a Caracas, si prepara a celebrare domenica 9 febbraio la prima Messa di insediamento quale nunzio apostolico in Venezuela, a Strasburgo già si sente l’assenza dell’Osservatore Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa. Mons. Aldo Giordano ha ricoperto tale ruolo dal 2008 e di lui ci dicono che ha aperto alla Chiesa le porte “difficili da aprire” del Consiglio, che comprende 47 Stati del continente europeo.  In questo momento il Consiglio d’Europa ridisegna i suoi vertici e casi complessi, di cui diamo in questo articolo anticipazione, attendono la Corte europea dei diritti dell’uomo. Dunque, c’è grande curiosità di sapere chi sarà il nuovo “Osservatore del Papa” in un’Europa terreno di crisi economiche, di vuoti politici e di sfide epocali in tema di etica.

La liberale Anne Brasseur, del Lussemburgo, ha preso il posto di presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa del conservatore popolare Jean Claude Mignon. E a giugno ci sarà l’elezione del Segretario generale, massima carica istituzionale. Al momento c’è il norvegese laburista Jagland. E’ dichiaratamente ateo ma ha promosso incontri sul dialogo interreligioso come base per il dialogo culturale invertendo una certa tendenza che si andava affermando: quella ad escludere dal confronto i temi religiosi, con il presupposto che una certa laicizzazione avrebbe aiutato il confronto. Poi in realtà si è capito che, per dialogare, le identità devono dichiararsi e riconoscersi, altrimenti non è vero dialogo e confronto.

Jagland si ripresenta per una conferma del suo mandato ma nella lista dei candidati c’è lo stesso Mignon. Certamente il conservatore viene auspicato da quanti desiderano un maggiore bilanciamento con la presidenza nelle mani dei liberali. E qualcuno, in questo quadro, sottolinea anche che per l’Italia è uscito dalla scena politica del Consiglio d’Europa il parlamentare cattolico Volonté che è stato tanto attivo sul piano dei temi etici, a partire dalla vicenda della sentenza sul Crocifisso nelle scuole, e alla difesa del principio di libera obiezione di coscienza per medici e personale medico. Il principio è stato ribadito dall’Assemblea dopo un duro braccio di ferro proprio con i liberali che volevano negare il diritto al rifiuto a chi, per motivi etici, non vuole praticare aborto o eutanasia o selezione degli embrioni in Paesi che lo ammettono nella legislazione.

Certamente i temi urgenti sul piano etico non mancano. Solo guardando alla Corte, si trovano dossier in attesa di pronunciamento su aborto, eutanasia, fecondazione assistita, matrimoni omosessuali. E c’è da dire che, oltre ai casi già emersi sulla stampa, Famiglia Cristiana è in grado di anticipare che c’è qualcosa che riguarda direttamente l’Italia di non ancora reso pubblico. Si tratta di una serie di ricorsi da parte di persone omosessuali. Sappiamo che, arrivati alla Corte, sono nella fase interlocutoria in cui si decide se accoglierli o meno. Ma siamo in grado di confermare che il primo step è stato compiuto: sono partite le richieste di informazioni e documentazione al Governo italiano.

Si tratta di persone dello stesso sesso di nazionalità italiana ma sposati all’estero che vorrebbero vedere riconosciuti nel loro Paese unioni o matrimoni sanciti altrove. O ancora: il caso di un cittadino neozelandese che si è visto negare l’ingresso in Italia per ricongiungimento familiare con l’uomo con cui secondo la legge della Nuova Zelanda è legato in una riconosciuta unione di fatto. Qualcosa in materia la Corte ha già affrontato ma si è trattato di casi più particolari. Questi rischiano davvero di fare giurisdizione.

D’altra parte, bisogna ricordare i casi che riguardano la procreazione assistita. Il fatto che siano noti non li rende certo meno significativi. L’attesa sul pronunciamento è altrettanto grande. Primo fra tutti, il caso Parrillo, cioè la donna compagna del regista ucciso a Nassirya in Iraq, che oltre a lamentare di non essere stata accolta insieme con le vedove ai funerali di Stato, chiede di poter “donare” alla ricerca gli embrioni, voluti con il suo compagno e congelati prima della sua morte. Dunque nel suo caso si intrecciano i temi che aspettano un pronunciamento: unioni di fatto e embrioni.

E’ chiaro che i temi sono urgenti. Il Vaticano ha lo statuto di Osservatore presso il Consiglio d’Europa e non è Stato membro, dunque non ha forza decisionale in materia ma è evidente l’importanza di avere una voce chiara della Chiesa in Europa all’altezza delle sfide concettuali prima ancora che giuridiche che le nuove frontiere dell’umanità pongono.

Inoltre, anche se è ben chiara la distinzione tra Consiglio d’Europa e Unione Europea, organismo a 28 Paesi a carattere politico-economico presso il quale la Chiesa manda un altro rappresentante, nella fattispecie un nunzio apostolico, non si può non citare in questo contesto anche quanto, proprio in questi giorni, ha iniziato a bollire in pentola nell’Ue. Parliamo della risoluzione non legislativa votata in questi giorni all’europarlamento e dedicata ai diritti dei cosiddetti LGBTI, sigla che sta per persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali. Invita i Paesi membri a indicare una sorta di road map per garantire la tutela dei diritti di queste persone che si dicono discriminate o perseguitate. Se è unanime la condanna per qualunque forma di violenza, è tutto aperto invece il dibattito quando si parla di diritti che vanno ad attraversare i cardini delle questioni legate alla famiglia.

In definitiva i motivi per non lasciare troppo a lungo vacante il posto lasciato con grandissimo onore da mons. Giordano non mancano. Certamente l’appello e lo sforzo per una Chiesa meno europacentrica non può significare trascurare il Vecchio Continente. E’ sempre vivo il bisogno che tante volte mons. Giordano ha sottolineato: di tornare a spalancare il cielo sull’Europa che, dopo essere stata per secoli culla della spiritualità, rischia di chiudersi al trascendente.

da Famiglia Cristiana del 7 febbraio 2014

Napolitano: “Dalla Ue troppe esitazioni”

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Il presidente Napolitano accanto a Martin Schultz, presidente dell’Europarlamento (Reuters).

Il Capo dello Stato non ha usato mezzi termini davanti al Parlamento europeo, segnalando una lentezza di reazione di fronte alla crisi e ai sacrifici dei cittadini che mette in forse lo stesso cammino della Ue.

Fausta Speranza

E’ il “momento della verita’” per l’Europa. Così il presidente Napolitano parla all’Assemblea del Parlamento Europeo a Strasburgo . Napolitano parla senza mezzi termini di crisi strutturale delle istituzioni europee e di crisi di consenso da parte della base e chiede “nuovi sviluppi”. Ma denuncia le “agitazioni distruttive” di chi vorrebbe rinnegare la costruzione europea o cancellare l’euro. E a questo punto c’e’ l’interruzione da parte di parlamentari della Lega che ribadiscono, con volantini anti europeisti e slogan gridati, proprio quella opposizione che Napolitano definisce chiaramente “vacua propaganda”.

Subito dopo Napolitano torna a strappare applausi parlando delle alte finalità che hanno dato vita al progetto di casa comune. Allora – spiega – c’era la “molla” della pace da riaffermare di fronte alle tragedie delle guerre ma oggi c’è un’altra molla da non trascurare: di fronte alla globalizzazione, il continente – avverte Napolitano – “rischia di naufragare”. Rischiamo di “perdere l’identità europea con i suoi valori come comunità di diritto e di stato sociale”. E il rischio c’è – spiega – per l’incapacità dei politici di avere uno sguardo all’altezza dei tempi e per il populismo di alcuni.

Napolitano denuncia le “troppe esitazioni e lentezze dei leader europei” di fronte alla crisi economica, le “gravi carenze e storture”. Ma aggiunge poi che, anche se in ritardo, “ci si è mossi”. E cita l’Unione bancaria. Ora – dice – è il momento di una “svolta”. Chiede una “svolta” in tema di crescita e di occupazione dopo i “forti sacrifici” fatti perché “non si poteva sfuggire alla crisi del debito sovrano”, in particolare da parte dei Paesi che, come l’Italia, dovevano ridurre il debito pubblico.

Ma Napolitano, parlando all’Assemblea che lo ha invitato in questo suo riconfermato mandato così come lo invitò sette anni fa al suo primo mandato, chiede “rinnovata solidarietà” e chiede di “superare la logica dell’austerità a tutti i costi” e di fare “investimenti”, sottolineando pero’ che devono esserci “non solo investimenti privati ma anche pubblici” e “sostegno alla ricerca e alla formazione”. Il messaggio chiaramente non e’ solo ai parlamentari, rappresentazione diretta dei cittadini, ma alla Commissione europea, esecutivo dell’Ue, e ai capi di Stato e di governo.

Siamo di fronte – afferma il capo dello Stato italiano – a una “scarsa e cattiva occupazione” e al fatto che “le condizioni di vita dei cittadini sono peggiorate”. E’ per questo che vediamo “disincanto e rifiuto”, spiega. Ma nessuno deve approfittare di questo per distruggere il progetto europeo, piuttosto – suggerisce – bisogna impegnarsi per “un profondo cambiamento del modo di operare in Europa” nel senso di “maggiore responsabilità” e superamento degli egoismi nazionali o di partito.

Alla vigilia delle elezioni europee di maggio, Napolitano vede che “è in discussione il cammino stesso dell’Ue”. Non si tratta più delle vecchie crisi politiche di equilibrio tra Stati membri – ribadisce – ma si tratta di “una crisi strutturale di funzionamento” e di “una crisi di consenso”. Il tutto richiede maggiore responsabilità. E certamente non serve la deresponsabilizzazione di chi vuole distruggere un progetto pensato con “grande lungimiranza” dai padri dell’Europa.

E qui Napolitano ricorda che esattamente 30 anni fa l’italiano Altiero Spinelli presentava alla stessa assemblea il suo progetto di trattato che con altri ha contribuito a dare corpo all’Europa unita.

Resta da dire che il giorno dopo il dato sulla corruzione in Europa, che assegna all’Italia il triste primato di essere terra di corruzione per un giro di affari di 60 miliardi, cioè la meta’ di tutto l’ammontare stimato nell’Unione Europa, Napolitano strappa un applauso delle grandi occasioni e sembra per qualche minuto far tornare l’Italia protagonista nel consesso di quanti hanno pensato e pensano il futuro del vecchio continente. Napolitano riassume con alto profilo finalità, obiettivi e valori. La speranza è che si possa ritrovare nell’impegno dei politici italiani lo stesso alto profilo durante il prossimo semestre di presidenza affidato all’Italia da giugno 2014, a 11 anni dall’ultima presidenza certamente non ricordata nei corridoi delle istituzioni come un successo.
C’è da dire che ad introdurre il capo dello Stato italiano all’Assemblea è stato l’attuale presidente dell’Europarlamento, Schulz, che da parlamentare aveva avuto il famoso scambio polemico con l’allora presidente del Consiglio Berlusconi che lo aveva invitato a candidarsi per il ruolo da kapo in un film. Speriamo di vedere qualcosa di molto diverso nella prossima presidenza italiana, che seguirà a quella greca e coinciderà con l’avvio dei lavori dell’europarlamento che uscirà dal voto di maggio. Il rischio è di avere un Parlamento Europeo pieno di antieuropeisti, che significherebbe scarsissime probabilità di vedere attuata la “svolta” auspicata da Napolitano.

su Famiglia Cristiana del 4 febbraio 2014

Parolin a mons. Giordano, in partenza per il Venezuela: ai nunzi è richiesta apertura e duttilità

Sei cardinali e 33 vescovi hanno preso parte alla cerimonia, presieduta sabato pomeriggio(14 dicembre) a Cuneo, da mons. Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, per l’ordinazione episcopale di mons. Aldo Giordano, già osservatore permanente della Santa Sede al Consiglio d’Europa e nominato nunzio apostolico in Venezuela da Papa Francesco. Presenti anche il prefetto della Congregazione per la Vita Consacrata, il nunzio presso l’Onu a Ginevra, il presidente della Conferenza episcopale del Venezuela. Il servizio di Fausta Speranza:

Si è di nuovo riempito con migliaia di persone lo stadio di Cuneo, questa mattina, per la prima Messa celebrata dopo l’ordinazione episcopale da mons. Aldo Giordano. Ieri pomeriggio ha accolto, tra gli altri, 30 tra politici e diplomatici d’Europa; 150 tra ecclesiastici, religiosi, religiose, esponenti della Chiesa ortodossa e protestante, per una cerimonia gioiosa e partecipata, che ha avuto insieme il tono della solennità e della familiarità.

Mons. Pietro Parolin, già nunzio in Venezuela, ruolo che ricoprirà ora mons. Giordano, ha innanzitutto portato la benedizione del Papa, sottolineando che Francesco del ruolo di nunzio ha parlato come di un mediatore, che con la mediazione fa comunione.

“Il Papa ha ricordato che la vita dei rappresentati pontifici è un po’ una vita da nomadi. Al nunzio è richiesta l’apertura e la duttilità, che è indispensabile per vivere in diversi ambienti, per confrontarsi con culture e situazioni sociali ed ecclesiali alquanto differenti”.

Mons. Parolin, ricordando il grande impegno in Europa per 20 anni di mons. Giordano, tra “istituzioni politiche e relazioni ecumeniche”, ha accennato alle sfide che lo attendono in America Latina, terra di grandissime povertà, – ha detto – di ingiustizie sociali, di grandi sfide:

“Le sue immense povertà e ingiustizie sociali, il rapporto tra Chiesa e politica, il significato della scelta preferenziale per i poveri, la presenza nei mezzi di comunicazione, il rischio di creare una società senza Dio. come ridire Dio a questa società che rischia di rimanere senza di Lui, di allontanarsi da Lui?”.

“In Venezuela – ha affermato mons. Parolin – mons. Giordano sarà chiamato a essere promotore di riconciliazione e di pace, a stemperare tensioni e contrasti, a seminare speranza”. “Pur tra le peculiarità del nuovo contesto resta – ha sottolineato mons. Parolin – lo stesso impegno quale testimone della Chiesa incarnata da Papa Francesco. La Chiesa – ha detto mons. Parolin – che cerca l’incontro per comunicare la gioia del Vangelo”.

E c’è da dire che nelle tantissime presenze affettuose si è sentito tutto il calore dell’apostolato di mons. Giordano che – con semplicità – ha ringraziato tutti gli amici e i sacerdoti per la condivisione e la preghiera e ha chiesto sostegno per il nuovo percorso da fare, ricordando che Gesù ci attende. Il suo motto sacerdotale è: “Vi precedo in Galilea” ed era riportato in uno striscione nello stadio, che così bene si è lasciato trasformare in un raccolto tempio di preghiera per due giorni.

Testo proveniente dalla pagina del sito Radio Vaticana del 15 dicembre 2013

Valeria Golino e i suoi dubbi sull’eutanasia

Valeria Golino spiega che non ha voluto fare un film che promuovesse l’eutanasia ma piuttosto un film che facesse capire il dramma di chi vuole ricorrervi e di chi è vicino.

di Fausta Speranza

Mentre l’Assemblea plenaria dell’europarlamento ha bocciato il rapporto della socialista Estrela che voleva aprire a aborto e eutanasia, lo  stesso giorno nello stesso luogo a Strasburgo, si presentano i finalisti del Premio Lux dedicato ai film europei di impegno sociale, tra i quali compare Valeria Golino con il suo Miele dedicato al suicidio assistito.

Primo è stato Alabama Monroe. Una storia d’amore, del belga Felix Van Groeningen. E’ incentrato sul tema della diversità culturale che viene in luce  all’interno di una coppia, in particolare di fronte alla malattia della loro figlioletta, che chiama in causa valori profondi. Terzo classificato è  The selfish giant, della britannica britannico Clio Barnard, dedicato al dramma del lavoro minorile. E c’è appunto il secondo posto assegnato a Valeria Golino che, in Miele, affronta il dramma di chi chiede la morte.

Abbiamo incontrato l’attrice che è al suo primo film da produttrice.  Spiega  che non ha voluto fare un film che promuovesse l’eutanasia ma piuttosto un film che facesse capire il dramma di chi vuole ricorrervi e di chi è vicino. Le facciamo notare che il messaggio del film però risulta sbilanciato alla fine verso il sì al suicidio assistito e ammette che questa è la sua propensione ma ci confessa:  «Al momento di fare il film avevo tanti dubbi e dopo averlo fatto me ne restano tantissimi».  Ci ricorda di aver preso al festival di Cannes il premio della Giuria ecumenica, volendo sottolineare che il suo è «un film niente affatto politico ma dedicato al sentimento umanissimo della pietas e che è davvero quello che le interessa smuovere».

Resta tutta l’importanza di sollevare attraverso espressioni artistiche tematiche scottanti, ma anche l’importanza di seguire il dibattito quando approda in sede politica perche’ li’ non si fa più discussione ma decisione che riguarda tutti. Ieri è stato sfiorato un passo che avrebbe potuto essere di non ritorno. L’impressione è che, complice la crisi economica che occupa tutti gli spazi dedicati a Bruxelles, di fronte alle sfide epocali di quanto bolle in pentola in Europa e delle diverse posizioni che risultano sempre piu’ difficili da individuare, non si parli abbastanza.

Testo proveniente dalla pagina del sito Famiglia Cristiana dell’11 dicembre 2013

L’Europa e il dibattito sull’aborto

La socialista Estrela voleva aprire ad aborto e eutanasia ma a Strasburgo hanno vinto gli anti-abortisti. Forti polemiche nell’Assemblea plenaria del Parlamento europeo. Nella risoluzione bocciata si chiedevano tra l’altro di regolamentare l’obiezione di coscienza.

di Fausta Speranza

Nel giorno in cui al Parlamento Europeo si premiano i tre vincitori del Premio Lux dedicato ai film europei di impegno sociale, tra i quali compare al secondo posto Valeria Golino con il suo Miele dedicato al suicidio assistito, nei corridoi si continua a parlare della sonora bocciatura con cui l’Assemblea plenaria dell’europarlamento stesso ha respinto ieri il rapporto della socialista Estrela che voleva aprire a aborto e eutanasia.

È la prova del grande dibattito in Europa su tematiche come questa ma anche del filo delicato su cui ci si muove. Colpisce, infatti, che gli stessi europarlamentari che hanno bocciato il rapporto negli stessi giorni hanno promosso un film che seppure delicatissimo risulta pro eutanasia.

Il voto all’Europarlamento di ieri qui a Strasburgo è stato un tentativo, non riuscito, di far passare, in un rapporto che parlava anche di altro, un principio di demolizione dei paletti fin qui registrati in molti Paesi europei. Il Rapporto era dedicato alla « salute e i diritti riproduttivi e sessuali » ed era stato già rimandato il 22 ottobre dall’assemblea alla Commissione dei diritti della donna e dell’uguaglianza di genere (FEMM). Capita molto raramente che un rapporto di iniziativa, ovvero un rapporto avviato dallo stesso Parlamento e non da un solo relatore, sia rinviato in Commissione. Eppure è quello che è successo al rapporto dell’eurodeputata portoghese Edite Estrela.

Il punto è che nel rapporto, che parlava di salute riproduttiva, si insinuava il principio che temi come l’aborto o l’eutanasia dovessero uscire dalla sfera degli argomenti sui quali ogni Paese membro ha diritto di legiferare. Ad esempio, l’aborto sarebbe diventato una sorta di presupposto sanitario di fronte al quale nessuna normativa nazionale poteva rivendicare limitazioni. È questo l’aspetto più strisciante di un testo dal quale era stato chiesto di stralciare le indicazioni sull’educazione sessuale da insegnare ai minori con tanto di specifica sulla masturbazione infantile, di cui un pò si è parlato.

Gli argomenti erano diversi: la relazione affrontava un’ampia gamma di questioni che vanno al di là della competenza giuridica dell’Unione europea, tra cui la risposta al problema delle gravidanze in età adolescenziale, l’assicurazione sanitaria (per quanto concerne gli aspetti coperti o meno), l’accesso alla contraccezione, i diritti dei nascituri, la gravidanza e il parto, l’assistenza sanitaria per le persone affette da HIV/AIDS all’interno dell’UE, l’educazione sessuale per i bambini della scuola primaria e secondaria, la maternità surrogata e i trattamenti per la fertilità per le donne senza un partner e le donne omosessuali nonché il diritto legale dei medici di rifiutare di praticare l’aborto.

Alcuni aspetti erano già caduti, ora è caduto l’intero testo. L’On. Susy De Martini, che al PE si occupa di Bilancio e di Esteri ma che è un medico, afferma che « il rapporto Estrela in sostanza avrebbe snaturato il principio di coscienza su alcuni valori legati alla vita ». Ed è facile immaginare gli effetti a catena. C’è da dire che di fronte alla bocciatura si è assistito in aula ad una reazione scomposta da parte della stessa relatrice: insulti a chi ha votato contro, che non dovrebbero in nessun caso far parte della modalità di accettazione di un risultato democratico.

Testo proveniente dalla pagina del sito Famiglia Cristiana dell’11 dicembre 2013

La campionessa mondiale di pattinaggio insieme a papa Francesco per la pace in Siria

di Fausta Speranza

kostner

…a parlare e’ Carolina Kostner, campionessa mondiale di pattinaggio artistico su ghiaccio. A Famiglia Cristiana dichiara di essere dispiaciuta di dover seguire gli impegni che la porteranno prima di sabato fuori Roma.lo dice con un’espressione sentita e stringendo forte le mani.

La giovane campionessa sottolinea che “l’iniziativa di Papa Francesco per la pace in Siria e’ bellissima”.  Ci racconta della sua emozione quando incontra bambine che la riconoscono ed esprimono la loro “gioia infantile di sognarsi campionesse accanto a una campionessa” e ci racconta di quanta tristezza prova a pensare ai bambini che in guerra sono privati di ogni gioia infantile e devono anzi conoscere l’orrore della morte e della dstruzione. Carolina a Famiglia Cristiana dice che “sara’ idealmente con il Papa nella preghiera anche se lontana” e ci chiede di ringraziare Papa Francesco perche’ chiama tutti a partecipare. La Kostner e’ attesa tra l’altro a Verona per la terza edizione di Opera on ice, lo spettacolo che  coniuga abilita’ su ghiaccio e lirica, che andra’ in scena il 28 settembre, e che – ci dice – le ha insegnato a cercare di coniugare lo sport con la cultura scoprendo che entrambi hanno valori da difendere. E quando le chiediamo quale puo’ essere il primo valore, ci dice: proprio la pace, come cerca di far capire Papa Francesco. Abbiamo incontrato Carolina nella scuola di pattinaggio a lei intitolata a Roma e mentre in tanti nel suo staff la invitavano a non fermarsi prima dell’esibizione con le piccole pattinatrici, lei quando ha sentito che Famiglia cristiana voleva parlare con lei della giornata di preghiera per la Siria si e’ fermata con uno slancio spontaneo e deciso.

dal sito di Famiglia Cristiana del 6 settembre 2013