Dietro l’intreccio magico tra note e parole

Alla ricerca delle radici d’autore ne «La cetra e la penna»

23 febbraio 2024

Non sono tutte «solo canzonette», come diceva, ironizzando, un autore del calibro di Edoardo Bennato. Anche se è difficile definire confini e stabilire il livello di “nobiltà intellettuale”, la poesia, quando c’è, si impone. È con questa consapevolezza che ormai dagli anni Cinquanta siamo abituati a fare distinzioni tra prodotti diversi che rientrano in ogni caso nella cosiddetta popular music, che era e resta strettamente connessa all’industria dell’intrattenimento e della comunicazione. L’obiettivo è intravedere la poesia, viva ma nascosta in luoghi da cui è sempre più difficile estrapolarla, anche perché in sostanza gli strumenti tradizionali con cui veniva analizzata e giudicata non funzionano più. In questo contesto offre spunti di riflessione il libro di Marco Testi La cetra e la penna (Roma, Àncora, 2024, pagine 206, euro 19) che mette in luce tracce del filo rosso che ci porta «dalla letteratura alla canzone d’autore», come si legge nel sottotitolo.

Anche nell’ambito del fenomeno di massa, le canzoni possono regalare più di quello che un suggestivo passaggio sonoro o una strofa riuscita o un ritornello efficace siano in grado di offrire. L’esplorazione del significato per così dire autentico di un brano pop passa però attraverso la sensibilità o insensibilità di critici e tempi. E troppo spesso, ad esempio, si è cercato tra le note e tra le righe la valenza politica, mettendo l’accento esclusivamente sui cantautori impegnati sul piano sociale. È stato fatto non senza forzature o pregiudizi, come ha messo in luce lo storico Eugenio Capozzi nel volume Innocenti evasioni. Uso e abuso politico della musica pop (2013), che ha aperto a un’operazione di tipo diversa: ricercare, liberi dalla lente della politica, quello che può essere riconosciuto in termini di significati e cultura. Meno soggettiva, nonché molto interessante, può essere, dunque, l’individuazione di radici o spunti di quel ricchissimo bagaglio culturale che l’Occidente offre dall’Ecclesiaste in giù.

Indubbiamente l’intreccio tra note e parole di alcune canzoni che si sono imposte nella cultura contemporanea tradisce l’eco di espressioni e immagini “d’autore”. In La cetra e la penna i richiami vengono proposti in chiave tematica, cioè in capitoli dedicati a grandi orizzonti esistenziali come il viaggio, la noia, la solitudine, la morte, la follia. C’è anche il tema della risposta a meccanismi imperanti pure nell’ambito culturale: le famose leggi del mercato, secondo le quali, come affermava Oscar Wilde «tutti conoscono il prezzo delle cose ma pochi ne conoscono il valore».

Come illustra l’autore, considerando l’ambito italiano, tra i testi di artisti come Battiato, Dalla, De André, De Gregori, Vecchioni ritroviamo impronte letterarie di tutti i tempi, da Dante a Joice, da Omero a Baudelaire. E c’è anche il «grande codice dell’Occidente», come il cardinale Gianfranco Ravasi ha definito la Bibbia, ricordando che ha insegnato «a intrecciare nel pensare, scrivere e cantare, spirito e corpo, mito e storia, mistica e amore, sacro e profano, ma soprattutto Dio e uomo».

Nei secoli sono diverse e affascinanti le variabili della declinazione musicale dell’agone poetico, di cui la cetra e la penna sono gli emblemi. Ad esempio, la studiosa Ester Pietrobon nel libro intitolato proprio La penna interprete della cetra (2019) si è soffermata sugli anni del Rinascimento, cruciali per la storia della cristianità occidentale e per la letteratura italiana. Si tratta degli anni dei “volgarizzamenti” biblici, e dunque anche della riproposizione in lingua volgare della poesia dei Salmi, e meglio che in altri contesti si avverte la ricchezza del rapporto dinamico tra metrica, sintassi, ipotesto. Una ricchezza da non dimenticare.

Tornando a tempi più recenti, si può dire che, pur tra diversi limiti e distinguo da fare, a partire dalla seconda metà del Novecento, la canzone ha progressivamente occupato gran parte del ruolo sociale che prima spettava alla poesia. È difficile per le nuove generazioni immaginare come agli inizi del secolo scorso un liceale, ovviamente della minoranza che aveva accesso allo studio, cercasse nei libri di contemporanei, da D’Annunzio a Montale, quello che il suo equivalente moderno cerca oggi nei testi di cantanti preferiti. Il punto è che con il tempo, ci piaccia o non ci piaccia, i confini fra cultura “alta” e “bassa” si sono fatti più sfumati. Si usa il termine middlebrow per individuare un tipo di produzione culturale e artistica che si situa subito al di sotto della tradizionale cultura “alta” e che però è adatta all’intrattenimento delle grandi masse alle quali si dice che, a seconda dei punti di vista, fornisca la possibilità o l’illusione di accedere facilmente a prodotti culturali socialmente prestigiosi. Secondo gli studiosi, il middlebrow comprende anche la fascia più “nobile” che si è creata nell’ambito della musica leggera e che per quanto riguarda l’Italia si identifica proprio con i cantautori “storici” del secondo Novecento. Anche per questo può essere importante individuare tracce del bagaglio culturale del passato di cui si sono “nutriti” questi cantautori, sperando che continui a essere fonte di ispirazione per quell’affascinante magia che in tutti i tempi fonde parole, note, pause e intervalli.

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2024-02/quo-045/dietro-l-intreccio-magico-tra-note-e-parole.html

a Fausta Speranza Premio Bramante per il Giornalismo 2024

Premio Riccardo Bramante

29 Gennaio 2024

Per il Giornalismo a Fausta Speranza con il piacere di averlo consegnato dalle mani di Ester Campese Bramante

per la sezione Scienze e Cultura

il Prof. Gianluigi Rossi

Per le Arti Visive, Premio alla carriera a Paola Gassman

in rassegna stampa tra l’altro:

su eurocomunicazione: https://mail.google.com/mail/u/0/#inbox?projector=1

fausta speranza

Aggiornamento in tempo reale ⋅ 31 gennaio 2024
NOTIZIE

Consegnato il Premio Bramante, tributo ai giovani e personalità – Askanews

Fabrizio Santori. Per il Giornalismo Roberto Rossi, Manuela Biancospino, Fausta Speranza, Manuela Lucchini e Margerita Romaniello in qualità di …
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I giovani al centro dell’edizione 2024 del Premio Riccardo Bramante – The Dailycases

Fausta Speranza, Manuela Lucchini e Margerita Romaniello in qualità di Presidente della Lucana Film Commission. Un’altra giovane, a cui è stato …
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Premio Riccardo Bramante ai giovani e riconoscimenti a molte personalità – Informazione.it

Per il Giornalismo Roberto Rossi, Manuela Biancospino, Fausta Speranza, Manuela Lucchini e Margerita Romaniello in qualità di Presidente della Lucana …

Un nemico in agenda

Diplomazia e umanità alla sfida del dialogo

20 gennaio 2024

 Un nemico in agenda QUO-016
di Fausta Speranza
La guerra di per sé è un crimine contro l’umanità, la pace è sempre possibile: sono parole di Pasquale Ferrara, direttore generale degli Affari politici e della sicurezza del ministero degli Esteri, intervenuto al dibattito voluto in vista della Giornata della Memoria da padre Davide Carbonaro, parroco di Santa Maria in Portico in Campitelli, nel pomeriggio del 18 gennaio. Ferrara parla dell’importanza di «costruire rapporti di fiducia proprio là dove prevalgono le logiche del conflitto, non limitandosi a stringere i legami tra Paesi già alleati e amici». Ricorda il ruolo e le potenzialità degli strumenti della diplomazia sottolineando l’urgenza di «un’agenda positiva» per i leader internazionali.

«Riuscire a trasformare i nemici in amici è uno dei compiti della diplomazia», afferma Ferrara, spiegando che «alla base delle relazioni internazionali c’è la fiducia: se manca, non ci sono relazioni internazionali in grado di assicurare la pace». Parlando dei conflitti in corso in Ucraina e nello scenario israelo-palestinese, spiega che «ci troviamo a confrontarci con delle negazioni: Putin nega l’esistenza dell’Ucraina come Paese indipendente, Hamas nega l’esistenza stessa di Israele che a sua volta ha negato per lungo tempo ai palestinesi il diritto di costituirsi come Stato». Il punto è che «con le negazioni non si arriva a nulla: bisogna dare corpo a un’agenda positiva, cioè occorre non cancellare Stati ma inserire più Stati possibili nella carta geografica, per garantire loro un’esistenza pacifica».

«Non esiste una guerra giusta — afferma l’ambasciatore —. Oltre a parlare di crimini di guerra si dovrebbe riconoscere che la guerra in sé stessa è un crimine. Solo riconoscendo il dolore dell’altro si può evitare il rischio della disumanizzazione del nemico: riconoscersi nella comune umanità, come dice Papa Francesco, è un punto fondamentale anche per la diplomazia. C’è sempre un giorno dopo».

Antonello Blasi, docente di diritto Ecclesiastico e concordatario alla Pontificia Università Lateranense, offre spunti di riflessione sull’evoluzione dell’istituto concordatario e delle conventionesdal punto di vista della Santa Sede, sottolineando come «dal Vaticano II viene elaborato un nuovo sistema di dialogo, fino all’attuale politica ecclesiastica che coinvolge anche interlocutori normalmente non legittimati a condividere tavoli di trattative». Nella consapevolezza che «sono importanti le dinamiche del dialogo e della cooperazione proprio dove c’è distanza di posizioni e che l’attività di pace deve essere presa “insieme” e non separatamente». Ribadisce che il principio di buona fede attua il pacta servanda sunt e che «preliminare a qualsiasi tipo di accordo è l’educazione ai valori di ogni singolo attore che solo così diventa strumento di pace» .

Per comprendere l’attualità è sempre prezioso lo sguardo al passato, ai fatti accaduti, alle scelte dei grandi ma anche dei piccoli personaggi che fanno la storia. E il pensiero va alla Shoah. «Di fronte a qualcosa di così ingiusto i cristiani hanno saputo prendere posizione»: così Grazia Loparco, salesiana ordinaria di storia della Chiesa alla Facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium, descrive l’impegno delle case e degli istituti religiosi romani nel salvare gli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Cita Primo Levi che ha conosciuto di persona: «La testimonianza è un dovere nei confronti delle giovani generazioni. Le parole hanno un peso». Come cristiani, «non si poteva restare indifferenti», dice Loparco sottolineando che «molti familiari di ebrei soccorsi raccontano di una solidarietà espressa da parte di religiose nel profondo rispetto del credo altrui». Quanti hanno salvato ebrei avevano capito che erano innanzitutto persone: «Non avrebbero rischiato così tanto se non avessero creduto nella dignità della persona umana». Nelle case religiose così come in una famiglia non rischiava solo una persona, ma l’intera comunità. «Oggi, invece, si è perso il senso del noi». Si tratta di tutte storie che hanno trovato conferma attraverso precisi riscontri, assicura Loparco, parlando di documentazione scritta ma anche di interviste ai superstiti. E proprio «l’approccio orale ha dischiuso, in alcuni casi dopo anni, la memoria preziosa di fatti taciuti per varie ragioni, tra cui il dolore e il pudore».

È lo storico Matteo Luigi Napolitano, dell’Università degli Studi del Molise e consulente del Pontificio Istituto di Scienze Storiche, a mettere in luce il contributo importante, per la ricostruzione del periodo della Seconda guerra mondiale, assicurato dall’apertura, il 2 marzo del 2020, degli Archivi vaticani. Spiega, ad esempio, che proprio l’accesso in particolare all’Archivio Storico della Segreteria di Stato ha permesso di “scoprire” che il Vaticano in occasione del processo di Norimberga aveva ragguagliato i giudici inviando materiale “segreto”, documenti e dispacci, sullo stato dei rapporti tra Santa Sede e Germania. Sottolinea che attualmente il sistema di digitalizzazione di questo archivio consente agli studiosi di entrare contemporaneamente sulla stessa pagina o documento, senza attese per la consultazione, parlando di «una garantita capacità di accesso rara». L’obiettivo resta quello di fare memoria storica degli orrori ma anche dell’umana fratellanza che ad essi sopravvive.

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2024-01/quo-016/un-nemico-in-agenda.html

“L’amicizia che vince in guerra”: iniziativa in vista della Giornata della Memoria 2024

L’AMICIZIA CHE VINCE IN GUERRA

perché non sia solo memoria dei tragici fatti della Shoah ma anche delle mani tese

In vista della Giornata della Memoria 2024

storie vere di ieri e di oggi: se ne è parlato il 18 gennaio al dibattito organizzato alla Sala Baldini di Santa Maria in Portico in Campitelli

   

A tessere le fila di un pomeriggio denso di contributi costruttivi è stata la giornalista Cristiana Caricato, vaticanista di Tv2000, che ha sottolineato la responsabilità dei media nel contrastare fake news e narrative di odio dando spazio alla ricerca della verità e del bene condiviso.   

“La guerra è un crimine in sé, la pace è sempre possibile”: così Pasquale Ferrara, Direttore generale degli Affari politici e della Sicurezza del ministero degli Esteri, all’evento 

 

 

 

 

Antonello Blasi, docente di diritto alla Pontificia Università Lateranense, ha offerto spunti di riflessione sull’evoluzione del concetto di accordo e concordato dal punto di vista della Santa Sede 

nella foto con padre Davide Carbonaro

e padre Luigi Piccolo rettore generale dell’Ordine Madre di Dio

 

suor Grazia Loparco, autrice dei più completi studi sugli ebrei salvati a Roma tra il ’43 e il ’44 

E’  stato presentato il libro “Uccisero anche i bambini” (edizioni Ares)

di Manuela Tulli e Pawel Rytel Andrianik che racconta la toccante storia della famiglia Ulma, che in Polonia, durante l’occupazione tedesca, tentò di salvare famiglie ebree nascondendole in casa. Scoperti, vennero uccisi nel 1944 con i loro figli. I coniugi Ulma sono stati riconosciuti Giusti tra le nazioni in Israele e il 10 settembre 2023 sono stati proclamati beati insieme con i loro sette figli. Si scopre una famiglia gioiosa negli affetti che sceglie di rischiare la vita nell’impossibilità di accettare la logica della barbara persecuzione nazista.

E’ stato proiettato  “Quel sabato nero” 

docufilm di Fausta Speranza con la regia di Stefano Gabriele (produzione Framexs), che dagli appartamenti di Mussolini arriva alle stanze di Pio XII, passando proprio per la chiesa di Santa Maria in Portico in Campitelli. E’ la vicenda della famiglia ebrea Terracina nascosta il 16 ottobre 1943 dai coniugi Cencelli Luisa e Armando, stretto collaboratore del Papa.

***

Di seguito pubblichiamo il contributo/riflessione che con particolare simpatia e cortesia il  professor Antonello Blasi ci ha consegnato alla fine dell’evento in cui ha parlato a braccio:

“L’evento per me ebbe inizio alle ore 11:06 del 31 dicembre 2023 mediante alcuni messaggi di whatsapp tra due neo-amici.

F. UN NEMICO PER AMICO era una bozza di titolo per l’evento odierno .

A. Il titolo è bello ma il contenuto? se parla di famiglie ebree salvate dai “vicini”, non è congruo perchè non c’è stata una guerra tra italiani ed ebrei peraltro anch’essi italiani almeno da 2100 anni, non stranieri, immigrati nè turisti. Ergo, non nemici. Andava bene se parliamo di italiani e americani o inglesi. Non conosco il contenuto globale quindi dal program che mi invierai posso dedurre la congruità o meno del titolo che mi hai “lanciato”.

F. Diciamo che con le leggi razziali gli ebrei erano nemici da annientare dei tedeschi e gli italiani erano loro alleati …tanto è vero che molti li hanno denunciati…

A. E’ una transitività che non condivido, premesso che il “molti” potrebbe essere “tanti” o “alcuni” dipende da quali parametri statistici si parte e da quale ottica politica si innesta nella statistica (come nei conteggi dei partecipanti ad un corteo, a una processione, o ad una piazza). Questo sillogismo (gli amici dei miei amici sono miei amici così i nemici dei miei amici sono miei nemici) non regge e, anzi, oggi rialimenta divisioni che non appoggio come sollecitazioni nè personali nè mediatiche, nè tantomeno strumentali o demagogiche da qualsiasi direzione provengano, dietro, davanti, sopra, sotto, di lato e dall’altro.

            Se poi l’alimentatore è una politica con la p minuscola che usa o cavalca il sempre ammirevole et esemplare attivismo degli italiani di origine o meglio di religione ebraica e non ebrei italiani (al pari degli attivisti radicali veramente impegnati, assidui, sempre sul pezzo) in questo periodo di guerre comunicate e pubblicizzate spesso per contrapposizioni partitiche interne (e di esempi al momento c’è di che donde) riprendo il pensiero del Prof. Cacciari portandolo sulla mia strada che oggi qualsiasi, proprio qualsiasi, notizia si frammenta e scorre via nei migliaia di rivoli della Rete, dematerializzata dal fattore tempo così rapido che un pandoro non arriva neppure alla befana o epifania e quel che ci arriverà sarà ormai solo l’ennesima indiretta, voluta o meno, pubblicità.

            L’altra conseguenza di questa transitività è la continua autodistruzione italiana e oggi anche europea (anche se io auspico l’utopistico Stati Uniti d’Europa o la giovane Europa di mazziniana memoria, con il rientro inglese ma abolendo la sterlina come è stata abolita la bimillenaria dracma greca, introducendo il sistema decimale e guidando come gli europei con lo stesso volante a sinistra e la corsia di destra), distruzione rectius declino eutanasia evidente della, stavolta si, vecchia Europa, a tutto vantaggio dei non più nuovi e giovani paesi emergenti !

            Spero che mi sia fatto comprendere: le nostre italiche divisioni dalle più piccole in scala a salire favoriscono gli attuali forti poteri terzi che hanno potenza economica e materie prime.

  1. Mi fai riflettere sulla transitività… Ovviamente è prezioso quello che dici… Provo a ragionare con te… forse possiamo salvare un’espressione spiegandola… intendo: non credi che a volte la percezione del nemico sia più importante delle dichiarazioni di guerra?
  2. L’espressione è la sintesi che colpisce come dardo di balestra e resta dentro. La spiegazione è lenta come una delibera di un parlamento democratico, o una relazione di una conferenza, utile al saggio ma inutile alla moltitudine che è stata trafitta dal dardo; come il titolo rispetto l’articolo, è lo stesso prodotto.

            E la percezione dell’espressione, spesso e purtroppo, è pregiudizio; dunque resto ai fatti e anche il solo “molti” o “tanti” o “alcuni” può tradire un pregiudizio anziché una raccolta di fonti e di dati che, se non è direttamente eseguita, lascia amplissimi margini di strumentalizzazione .

            Per esempio la mia percezione e non pregiudizio: è che Te sei una donna interessantissima. Parlo della ‘nostra’ Fausta Speranza con cui intavoliamo messaggi di tal fatta.

Ora permettetemi di entrare dalla questione pregiudiziale a quella di merito, con due episodi storici, reali, testimoni viventi e diretti.

            Il primo : Una signora di Monteverde che attraversava Roma in bicicletta per andare a cucire vestiti per bambini, di ritorno vide a viale del Re (viale trastevere oggi) camion di tedeschi fermi. Chiese e gli dissero che stavano prendendo le famiglie ebree. Corse a casa davanti all’ospedale San Camillo/Forlanini e avvisò le due famiglie ebree, i Di Porto al piano di sopra e i Montani all’ultimo piano.

            Queste riuscirono a fuggire verso via del Casaletto che allora era aperta campagna era il 1943. Gli uomini si nascosero per l’intero anno in quella zona, le donne tornavano la sera e Nonna Mafalda le riceveva di nascosto per mangiare e dormire finché la portiera, all’epoca sempre accorte, gli disse che qualcuno aveva notato e stava avvisando i tedeschi del rientro notturno delle donne mamme e figlie ebree nelle loro case. Così le stesse rassicurarono la signora Mafalda e restarono per alcuni mesi con gli uomini in campagna. Nel 1944 come entrarono gli americani tornarono nelle loro case e rimasero amiche per anni e anni con Mafalda e la piccola Gabriella che aveva 10 anni e che mi ha narrato la storia perchè da grande si frequentò con la figlia di una delle famiglie.

            Il secondo : nel cuore di Trastevere a via della Luce angolo Vicolo del buco il ragazzetto Ennio di 15 anni, in finestra vide arrivare un camion di tedeschi. Subito gli uomini e i giovani fuggirono sui tetti e scesero dal suo palazzo per darsi alla fuga, le donne pensavano che loro non fossero portate via ma non era così. Un ragazzo roscio scese tranquillo tra i tedeschi con in spalla la bicicletta e si allontanò indisturbato. Era ebreo ma nessun tedesco pensò lo fosse tanto era roscio ! Due ragazzini vennero presi da un tedesco ma mentre li trascinava uno dei due si calò i pantaloni e mostrò che non era circonciso; in quel momento il macellaio uscì dal negozio e il tedesco pensando fossero suoi figli gli diede un ceffone e li strattonò verso il macellaio che li prese e li nascose in bottega. E si salvarono.

            La prima testimonianza me l’ha riferita .. Gabriella mia suocera di 88, la seconda Ennio … mio suocero, di 92 anni ! Bisognerebbe intervistarli per non perdere queste e ulteriori testimonianze.

            Nel discorso del Papa Francesco dell’otto gennaio 2024 al Corpo diplomatico nelle pieghe delle parole dove guerra è quella che emerge a macchia di leopardo, ricaviamo tutto il filone del diritto (civile, internazionale e umanitario) che ha utilizzato. Invito a rileggere il discorso e troverete i diritti umani della persona, il principio della convivenza internazionale, il diritto alla legittima difesa, la tutela degli immigrati, il diritto di asilo, la detenzione arbitraria, il diritto alla vita umana, il principio della responsabilità democratica, la cartina tornasole di tutte le libertà, ovvero la libertà religiosa. E anche la persecuzione violenta e anche quella sottile, subdola, dei cristiani nel mondo attuale (ben maggiore di quella dei primi secoli, dati letti alla metà di gennaio del 2024 sul quotidiano Avvenire: ben 360 milioni di cristiani perseguitati attualmente e questo emerge sempre pochissimo nei media), il diritto/dovere all’educazione e all’istruzione, alla proprietà intellettuale diffusa e non appannaggio di oligarchie pseudodemocratiche ed infine anche il diritto a quella libertas ecclesiae che permette di portare avanti tutti questi valori formati da doveri/diritti nei vari ordinamenti locali, nazionali, statali,  sovranazionali e internazionali.

            Sono questi doveri/diritti che aiutano a crescere, maturare il senso di rispetto per la costruzione di una civiltà dell’amicizia e quindi dell’amore, quello con la A maiuscola conosciuto ancora da pochissimi per buona pace di Raoul Follereau.

            L’amicizia quella con la A maiuscola non fa differenze di età, sesso, religione. Vive si di sentimento ed emozioni ma si fonda sull’educazione ai valori, ai valori fondamentali irrinunciabili, imprescrittibili, inalienabili, quelli che nessuna democrazia (nè dittatura) può permettersi di cancellare dalla sua carta fondamentale, e tantomeno disattendere nei fatti.

            Non è la cittadinanza a formare l’amicizia (semmai ne è un effetto non causa) ma l’applicazione serrata e quotidiana dei valori fondamentali dei diritti fondamentali della persona umana, non del “solo” uomo ma anche della donna mediante il diritto all’educazione, alla sua educazione, che prende linfa anche dal diritto all’istruzione. Una istruzione fondata su questi valori applicandoli come integrazione per una reale inclusione e non come solo rispetto delle culture ma come conoscenza tra le persone e quindi tra le culture.

            La lingua è un primo passo, la comunicazione passa per la lingua. Istruzione verso l’educazione con l’intransigenza che i diritti fondamentali sono per tutti, almeno nei paesi dove sono recepiti e vissuti, bene o male che sia, ma se non si conoscono non possono essere compresi e se lo desidero, vissuti.

            Amicizia, questa si, evita le guerre perchè si è prima amici e poi tifosi, prima amici e poi appartenenti alle proprie credenze e culture di ogni tipo e natura, prima amici e poi ideologicamente posizionati: il parroco Don Camillo e il sindaco comunista ateo Peppone sono paradigmatici e rinvio alla loro umanità condivisa nei momenti fondamentali delle persone umane a loro affidate, come fedeli per l’uno e come cittadini per l’altro. L’amicizia di svolge anche nel scrivere libri e film dove vale anche la storia di amore di un ragazzo occidentale con una ragazza di altra tradizione culturale e non sempre il contrario come si vede oggi nei media. E sempre per amicizia che si rispetta più naturalmente il diritto alla libertà religiosa che include (vedi la dichiarazione ONU già dal 1948) il diritto di poter liberamente cambiare credo o non credo senza sanzioni civili penali amministrative che violino i diritti fondamentali della persona (vita, integrità fisica, di pensiero, di movimento, e di proprietà tra i primari).

            Anche la Chiesa si muove nel solco dell’amicizia: negli stessi accordi postconciliari va oltre il messaggio cristiano nei rapporti tra le nazioni per l’ordine internazionale. Leggete gli accordi-quadro con i paesi africani e ve ne renderete conto. Valori e diplomazia sono interconnessi, l’azione diplomatica deve basarsi sui valori condivisi per emarginare l’uso della forza, per aumentare i deterrenti “mediante comportamenti coerenti e concreti diventando costruttori di pace” (S.E. Parolin 12 gennaio all’Accademia dei Lincei).  La Pace è un traguardo è vero ma è prima ancora un metodo, non un meccanismo di ipocrisia ragionata e velata da falsi sorrisi e finte promesse. La bona fides del diritto romano è concreto impegno a mantenere i patti: pacta servanda sunt.  I Romani erano di parola. E la politica e la diplomazia di oggi ?

            La novità più recente della diplomazia vaticana per la pace è il dialogo anche con chi secondo il diritto non ha i titoli o la legittimazione al dialogo. E’ una azione coinvolgente non di scarto.  La legittimità ad esser parte nel dialogo è inclusione e non pregiudiziale esclusione. E’ realismo non pragmatismo per un maggio dialogo per il bene comune della famiglia umana (Sempre il Segretario di Stato la settimana scorsa).

            Concludo ? No nessun nemico per amico, amici da sempre e basta senza distinguo e divisioni se non quelle solite umane comuni e diffuse che poi finiscono pure con etichette ma è così ovunque e da sempre.  Anche se oggi si mettono mine antiuomo con leggi per ogni parola che viene tolta cambiata vietata sanzionata. Non si migliora con le mine: per costringere bisogna educare. E insieme non ognuno col suo gruppetto, spesso fondato su interessi-altro !

            Non valgono i discorsi che dividono le persone in livelli più alti o più bassi: il problema è chi sta in alto e in basso, se è o meno educato; questa coerenza di comportamento aiuta a migliorare tutti sia come esempio sia se si è “in alto” che “in basso”. In diritto si traduce nel principio di bona fides , fondata proprio sul preliminare essere amici, ovvero conoscersi e rispettarsi, quel che poi porta al naturale pacta servanda sunt.

            Si parla di civiltà dell’amore ma la fragilità delle istituzioni di tutto il mondo dimostra che non ci si crede. Se i valori fossero pietre il miglioramento della civiltà umana sarebbe sensibile ed evidente. Mi vengono in mente le tre pietre di ravasiana memoria: quelle del muro del pianto,  la pietra della resurrezione e quella nella moschea di Omar. Tre punti fermi per le tre religioni nate una dall’altra, sorelle e non nemiche.  Chi le arma una contro l’altra lo fa per altri interessi non certamente religiosi perchè l’unico Dio vuole bene ai fedeli di tutte e tre le sorelle.

            Ma le guerre e le paci non cesseranno mai. Ogni giorno gli uomini si sporcheranno di guerre e ripuliranno le loro coscienze con periodi di pace: è la parabola delle posate. Ogni giorno le usiamo e le sporchiamo inevitabilmente, poi però le laviamo e sono di nuovo pulite: nella nostra quotidianità sta a noi usarle tenendole più pulite possibile evitando che si lordino rendendole difficili da lavare. Ognuno di noi deve sperimentare quindi la tendenza alla pace evitando di  vivere nella violenza reciproca di ogni natura e specie, educarsi ai valori significa muoversi verso una sempre maggior coerenza verso la pace, anche se comunque in qualsiasi momento capiterà di sporcarsi di violenza, ma poi servirà di nuovo rialzarsi e pulirsi di nuovo, proprio come le posate, ogni giorno.

            Il mediterraneo è il mare tra le terre, dice Papa Francesco “Mare Nostrum, che non è quella di essere una tomba, ma un luogo di incontro e di arricchimento reciproco fra persone, popoli e culture. Ciò non toglie che la migrazione debba essere regolamentata per accogliere, promuovere, accompagnare e integrare i migranti, nel rispetto della cultura, della sensibilità e della sicurezza delle popolazioni che si fanno carico dell’accoglienza e dell’integrazione.”[1]

            Concludo con una poesia che oggi dicono di inclusione, per me è aria pura ben oltre i vocaboli di tendenza e le leggi umane e anche oltre le leggi fisiche, è emozione nell’aria e nel Tempo:

VENTO DEL TEMPO   

Tra le pieghe del vento

e nelle vele del tempo

girano foglie di ricordi

di cuori caldi,  senza veli sparsi

di prue curiose ad alberi spiegati

srotolando nostalgia

di rimorsi dovuti e rimpianti finiti.

Il tempo volge pagine del vento

o il contrario, anche, forse,

domani sconta imprevisto,

caso, destino, fato o dio.

Nessuna baia montana né baita marina,

rifugi di tempi materni

nessuna certezza nelle fedi né in opere

unica vera, presente, speranza

Che Vita s’aggrappa come vite al sostegno

al profumo di rose garanti.

Buona Salute e pura Vida a tutti Voi,

e con chi volete condividere questo messaggio in …

bottiglia.

Antonello Blasi

[1] Discorso del Santo Padre Francesco ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno Lunedì, 8 gennaio 2024.

***

in rassegna stampa:

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2024-01/quo-016/un-nemico-in-agenda.html

Ferrara (ambasciatore), “senza fiducia non si può assicurare la pace” https://www.agensir.it/?post_type=post-type-take&p=1279676

suor Loparco (Auxilium), “di fronte alla Shoah i cristiani hanno saputo prendere posizione” https://www.agensir.it/?post_type=post-type-take&p=1279680

https://www.cgfmanet.org/infosfera/diritti-umani/lamicizia-che-salva-giorno-della-memoria-2024/

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2024-01/quo-013/rotte-parallele-tra-alberi.html

https://www.romasette.it/nelloscurita-della-seconda-guerra-mondiale-storie-di-mani-tese/

Corriere della Sera, 18 gennaio 2024 CORRIERE_DELLA_SERA_ED_ROMA_18012024

Diretta Telepace mercoledi’ 17 per presentare l’evento: ospiti di Eugenio Bonanata:

https://www.romasette.it/giorno-dhttps://www.diocesidiroma.it/giorno-della-memoria-evento-a-santa-maria-in-portico/ella-memoria-il-18-gennaio-evento-a-santa-maria-in-portico/

 

Nessuna resa alla guerra

16 Gennaio 2024

di Fausta Speranza sul sito  www.meridianoitalia.tv:

Negli ultimi quattro decenni le istanze pacifiste hanno dato vita a molte iniziative, ma in tanti si sono rassegnati all’ineluttabilità della guerra, vista come l’unica via per risolvere, pur dolorosamente, situazioni di ingiustizia. Eppure non solo le guerre mondiali della prima metà del Novecento, ma tutti i conflitti succedutisi dagli anni Ottanta ad oggi hanno dimostrato che la logica della violenza produce solo altra violenza, che la dinamica del riarmo innesca un meccanismo ad orologeria in cui la variabile riguarda solo il momento in cui scoppierà un’altra guerra e non la possibilità che ci sia o meno. Serve ragionare di pace. Pubblichiamo di seguito la prefazione di Fausta Speranza al libro di Alberto Zorloni «Pacifismo – Storia e analisi del caso italiano» (Infinito Edizioni)

«L’esasperazione dell’individualità è il primo degli atti di guerra». Questa considerazione del filosofo francese Emmanuel Mounier offre il migliore snodo concettuale per comprendere quanto possa essere fragile una pace pensata o propagandata in un mondo che svilendo il diritto internazionale perde il desiderio di difendere i diritti fondamentali; che assiste alla polarizzazione tra ricchissimi e poverissimi; che arretra di fronte alla necessità di una governance globale di beni materiali e immateriali essenziali per la vita. In una modalità tecnologicamente aggiornata, anche oggi «quasi tutte le nazioni si affannano nella gara febbrile degli armamenti», come denunciato nel 1902 da Leone XIII, nella Lettera apostolica Principibus populisque universi in cui parlava di «stato di pace armata divenuto intollerabile».

Nel proseguo della storia ci sono i due devastanti conflitti mondiali del secolo scorso e gli appelli per la pace di altri dodici papi, tra cui Francesco che, ben prima dell’invasione dell’Ucraina a febbraio 2022, ha cominciato a parlare di «guerra mondiale a pezzi» (o «a capitoli»), denunciando la gravità del fenomeno delle cosiddette proxy war, guerre per “procura”. Si tratta di combattimenti all’interno di Paesi ma per interessi esterni di attori che spesso riescono ad avere un controllo, proprio all’interno di quei Paesi o quelle aree, attraverso milizie locali: senza riferimento agli eserciti regolari. E’ la modalità che maggiormente accresce la mancanza di sicurezza a livello internazionale: una sorta di pace che è di fatto guerra senza veri interlocutori e senza regole.

Non si possono tralasciare i passi avanti fatti da parte della società globale negli ultimi sessant’anni, ma questa vera e propria architettura di pace va difesa. Si è solidificato un ampio consenso attorno ai diritti umani e alla difesa delle libertà personali; sono stati istituiti a livello internazionale diversi organismi per cooperare su tematiche come le pari opportunità, il rispetto delle minoranze, la tutela dei rifugiati. Torna in mente la considerazione sulla Grande guerra del protagonista de La coscienza di Zeno, il romanzo di Italo Svevo pubblicato nel 1923: «Io avevo vissuto in piena calma in un fabbricato di cui il pianoterra bruciava e non avevo previsto che prima o poi tutto il fabbricato con me si sarebbe sprofondato nelle fiamme». Lo scrittore è scomparso nel 1928, poco prima che il mondo riproponesse un copione di guerra perfino peggiore.

Dopo decenni di processi di disarmo, dal 2014 è corsa al riarmo. La spesa militare mondiale, secondo le stime del Sipra di Stoccolma, ha raggiunto nel 2022 la somma di 2.240 miliardi di dollari complessivi, che corrisponde ad una crescita del 3,7 per cento in termini reali rispetto all’anno precedente. Intanto si esaspera il gap economico: negli ultimi 10 anni l’1 per cento più ricco ha accumulato, in termini reali, un ammontare di ricchezza 74 volte superiore a quella del 50 per cento più povero. Inoltre dal 2020 la ricchezza dei miliardari è cresciuta al ritmo di 2,7 miliardi di dollari al giorno, in termini reali. Una situazione che si palesa come un investimento planetario sulla conflittualità, come polvere da sparo rilasciata nell’aria che aspetta l’innesco per deflagrare. Nel 1965 Paolo VI all’Onu lanciava il grido «mai più la guerra» chiarendo che «non c’è pace senza giustizia». Per tutte queste argomentazioni è davvero significativo, oltre che coraggioso, un libro dedicato al pacifismo. Nel testo si argomenta sui significati e sulle implicazioni di questa definizione con il pregio di offrire una chiave di lettura che storicizza. Indubbiamente si fa focus sulla situazione in Italia, ma sono tanti gli opportuni richiami impliciti o espliciti a contesti più larghi. L’autore invita a pensare – «oltre alle giuste scelte personali» – di organizzare «un’azione comune, incisiva e macroscopica, relativa a un argomento di importanza capitale nel quale si è tutti coinvolti». E’ di tutto rilievo l’invito contenuto nel libro a «superare la parcellizzazione delle associazioni competenti in materia di pacifismo». Con la consapevolezza che «ben difficilmente se ne libereranno», l’autore ribadisce l’importanza di «poter correre tutti insieme verso un obiettivo più grande». Ci permettiamo di allargare idealmente l’orizzonte dell’invito auspicando che qualunque leadership al mondo – che siano politici al potere o multinazionali che fatturano introiti superiori al Pil di alcune nazioni – comprendano che tutte le parcellizzazioni frutto di interessi particolaristici contribuiscono a disgregare il tessuto sociale e a incrinare la pace. Il mondo ha bisogno di multilateralismo che non è affatto scontato.

Approccio multilaterale significa bilanciamento degli equilibri di potere tra potenze attraverso il diritto internazionale, che è sempre più messo in discussione nei fatti. Inoltre significa saper guardare in modo sinergico ai sistemi naturali e ai sistemi sociali: non c’è cura dell’ambiente che possa pacificare la relazione tra esseri umani e risorse del pianeta senza un’adeguata cura delle sperequazioni che colpiscono le fasce più deboli delle popolazioni. Il primo esempio dovrebbe essere uno sguardo d’insieme a cambiamenti climatici e migrazioni. Concretamente dovrebbe significare concepire una politica in grado di cogliere la dimensione umana planetaria delle questioni.

Osiamo parlare di una sorta di costituzionalismo mondiale che metta l’umanità al centro, in cui l’umanità diventi soggetto di diritto al riparo da ottuse logiche nazionalistiche e statualistiche e in grado di contrastare dinamiche come quelle che permettono che l’acqua sia venduta da privati in terre aride a prezzi esponenziali: tra il 2021 e il 2022, secondo l’Oxfam, nel sud dell’Etiopia, nel nord del Kenya e in Somalia sono lievitati del 400 per cento.

Uscire a tanti livelli dai binari degli interessi particolaristici è l’obiettivo principale al quale si deve lavorare. In parallelo, vanno sostenute e incoraggiate tutte quelle dinamiche locali di pacificazione che possono fare la differenza nel “piccolo”. Si devono tenere a bada estremismi, estremizzazioni, esasperazioni relativistiche di tanti generi, che generano conflittualità, anche grazie al fenomeno, ancora troppo poco discusso rispetto all’entità, delle fake news.

Le nostre democrazie devono ancora imparare a fare i conti davvero con l’impatto della disintermediazione informativa sui processi di formazione dell’opinione pubblica, che tanti scherzi può giocare alla pace. Basti ricordare l’episodio alimentato dai social dell’assalto a Capitol Hill negli Stati Uniti d’America, impensabile prima del 6 gennaio 2021.

Il fenomeno della disinformazione non è nato oggi e non è orfano: è figlio della bramosia di manipolare le masse, evidente mutatis mutandis in tutte le epoche della storia umana. Ai nostri tempi si nutre dell’automatizzazione e delle sue «magnifiche sorti e progressive» – per dirla con Leopardi — che stanno sotto gli occhi di tutti: algoritmi che ci raggiungono in base a studi di mercato, notizie scritte da pc, sistemi di software che offrono pseudo relazioni con persone scomparse. Si parla di human enhancement, di “gemello digitale” dell’essere umano, di esternalizzazione delle nostre facoltà cognitive: non solo memoria e giudizio ma anche la coscienza fonte di auto-determinazione. Facile immaginare le conseguenze di un consenso “prodotto” a partire da conclusioni tratte da Big Data e Data Analytics.

Se multilateralismo si traduce con un’ottica di bene comune, in quest’ottica deve innanzitutto restare centrale la persona, con la sua interiorità da difendere, con il suo consenso da esprimere o da negare. C’è il rischio che guerre e conflitti, che da sempre vengono decisi dai pochi e vissuti dai tanti, siano sempre meno messi in discussione.

C’è il rischio di dimenticare la verità sulla differenza di punti di vista tra potenti e popoli che nell’interiorità di Bertolt Brecht ha preso la forma dei versi della poesia Chi sta in alto dice: pace e guerra.

«Sono di essenza diversa. La loro pace e la loro guerra
son come vento e tempesta.0  La guerra cresce dalla loro pace
come il figlio dalla madre.

Ha in faccia i suoi lineamenti orridi. La loro guerra uccide quel che alla loro pace  è sopravvissuto.»

https://www.meridianoitalia.tv/index.php/cultura1/658-nessuna-resa-alla-guerra

a dibattito su “Concordati Africani” di Antonello Blasi

Lo strumento del Concordato, la Santa Sede e l’Africa: questi i termini del dibattito che Fausta Speranza ha moderato

 – mercoledì 13 dicembre, alle ore 19:00, presso la parrocchia romana di Santa Gemma Galgani in Monte Sacro Alto  –

a partire dal volume del professor Antonello Blasi dal titolo  Concordati Africani (Lev).

Sono intervenuti, oltre all’autore,  don Enzo Ferraro, parroco della parrocchia cardinalizia di Santa Gemma Galgani, Marco Massoni, docente di African Politics and Society presso la LUISS e  Marcellus Udubgor, docente di Storia e istituzioni dei Paesi Africani e del Diritto musulmano dei Paesi Islamici presso le Pontificie Università Lateranense e Urbaniana.

Tra i tanti spunti: si sono avute novità significative rispetto ai paradigmi tradizionali fissati dalla scuola romana dello Jus Publicum Externum e da un’esperienza negoziale che ha subito una grande evoluzione a partire dal Concordato Napoleonico del 1801- primo dei concordati moderni- fino a giungere a Benedetto XVI.  Soprattutto c’è stato il superamento dell’antica consuetudine, divenuta vero e proprio assioma, secondo cui i concordati erano accordi internazionali della Sede Apostolica con gli Stati cattolici o di tradizione cattolica. Venuto meno il vecchio paradigma, lo spazio geo-politico nel quale la dinamica concordataria veniva ad inserirsi, originariamente limitata al Continente Europeo, si è allargata anche agli Stati non cattolici.

Per quanto riguarda i Paesi africani si è trattato da parte della Santa Sede di ricercare nuove forme di presenza in realtà mutate e mutanti con lo strumento antico del concordato utilizzato anche per le peculiari esigenze dei nuovi interlocutori.

Nonostante le difficoltà, i conflitti in essere e i molti problemi ancora aperti, ogni firma e ogni ratifica di accordo è  un passo avanti verso il maggior bene dei fedeli e dei popoli ai quali essi appartengono. Al di là degli accordi di carattere diplomatico, fondati sul diritto internazionale, dal testo di Blasi traspare la vitalità delle Chiese particolari africane ed emerge la necessità di statuti giuridici che potessero proteggere le opere apostoliche, garantendo loro il contesto, i diritti e la libertà.

Abili alla socialità

Parte alla Gregoriana «L’Etica utile», corso per studenti delle superiori

13 novembre 2023

Liceali in trasferta all’università: è una questione di etica. Prende il via la significativa e originale iniziativa della facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università Gregoriana che, con il patrocinio di Roma Capitale-Assessorato alle Politiche sociali e alla salute, ha organizzato un ciclo di incontri su L’etica utile rivolto esclusivamente agli studenti del triennio finale degli Istituti superiori di Roma. Sette incontri che frutteranno ai ragazzi un attestato di frequenza valido per il riconoscimento di 35 ore in relazione ai Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (Pcto). L’iscrizione è gratuita ma passa attraverso l’adesione delle scuole. Il primo appuntamento è fissato a mercoledì prossimo, 15 novembre, ed è dedicato al concetto di fraternità in relazione alla società. Gli altri seguiranno, sempre nel giorno centrale della settimana, affrontando tematiche essenziali come giustizia, sostenibilità, democrazia, realtà e virtualità, spiritualità e dialogo tra religioni, popoli, Stati. Fino a maggio 2024.

In un mondo che rischia di essere sempre più dilaniato dai conflitti, svuotato di senso dalla dittatura degli algoritmi, impoverito dalla corruzione, è immediatamente percepibile l’importante significato di «uno spazio di riflessione sulle implicanze esistenziali del paradigma etico, per contribuire a formare una nuova generazione eticamente responsabile nel proprio quotidiano attraverso il discernimento», come si legge nella presentazione del corso.

L’originalità per la Gregoriana non è nell’orizzonte tematico: l’etica teoretica e pratica sono fulcro della Dottrina Sociale della Chiesa e praticamente di tutti gli insegnamenti nell’ateneo. La novità è rappresentata dall’apertura delle porte ai liceali — ci dice il decano della facoltà di Scienze Sociali, padre Peter Lah — e anche dall’attenzione focalizzata sulla città di Roma, particolare per un ambito culturale abituato ad accogliere studenti da altre latitudini, dall’Africa, dall’America Latina, dall’Asia.

«È un’iniziativa pensata per aiutare i giovani ad allargare gli orizzonti», sottolinea il decano, spiegando che «quando si parla di cultura o di educazione si tende a trasmettere agli studenti l’idea che debbano essere sempre migliori, sempre più preparati ma per rispondere ai criteri di efficienza del lavoro della società». Cioè, in sostanza «ci si preoccupa molto della preparazione “tecnica”, meno della preparazione umana». I giovani — prosegue Lah — hanno diritto a «un orizzonte di finalità completo, che non trascuri il bene della persona stessa e della società in cui vivranno». Il rischio è preciso nelle parole del decano: «Chiediamo ai giovani di essere sempre più veloci, di alzare il livello, ma non parliamo loro di direzione».

Si arricchiscono i significati se si pensa che la Gregoriana si fa spazio di confronto per un punto di vista su Roma facendo incontrare mondo della scuola e mondo dell’università ma anche avendo coinvolto le istituzioni, nella fattispecie nella persona di Barbara Funari, assessore alle Politiche sociali e alla salute del comune di Roma. Si spera peraltro che, a tutti i livelli e in tutti gli ambiti, il discorso sul bene comune possa contagiare positivamente le preoccupazioni per una città che è emblema della bellezza storico-artistica ma che vive da tempo le difficoltà delle metropoli.

In ogni caso non potrebbe essere Etica utile se non parlasse il linguaggio della concretezza. È il direttore responsabile del programma, Luigi Mariano, a precisare che «si tratta di etica applicata e non teoretica». Dunque ci si muove da premesse filosofiche attraversando principi dell’educazione civica, ma si vuole arrivare alle tematiche più urgenti per la società contemporanea e più vicine alla realtà dei giovani. Significa — afferma Mariano — «affrontare le questioni socio-economiche, le sfide ambientali, trattare le logiche politiche e quelle della comunicazione».

Determinante è anche la modalità scelta, che prevede per ogni incontro tre momenti: la relazione di un docente della Gregoriana e di un esperto invitato; la testimonianza di organizzazioni impegnate nel contesto dell’area tematica specifica (tra cui Caritas di Roma, Cittadinanza attiva, Next, Economia di comunione, Fridays for Future, Circoli Laudato si’); e poi il confronto.

Come sottolinea Mariano, «si cerca di aprire davvero il dibattito, lasciando un tempo agli studenti per fare domande, perché sia vera occasione di approfondimento». Guardando alle adesioni, sembra che l’approccio sia quello giusto: sono stati registrati 300 alunni, negando l’opportunità ad altri 150 richiedenti per motivi di spazio legati alla capienza massima dell’Aula Magna della Gregoriana. A proposito di numeri, al progetto hanno aderito oltre 20 scuole, sia statali che paritarie, di Roma e provincia. Vario è l’indirizzo disciplinare: scientifico, classico, artistico, linguistico, scienze umane, informatica e telecomunicazioni, eccetera.

Un altro punto è rilevante a proposito di approccio. «Il tema dell’etica è spesso affrontato in maniera negativa — sottolinea Mariano — come assenza o vuoto che si percepisce attraverso i fatti della cronaca». È indubbiamente vero ed è indubbiamente perdente. La via giusta è un’altra: «Bisogna fare uno scatto in avanti positivo, scommettere sui giovani presentando loro l’etica come opzione e scelta alla loro portata». Vengono in mente le parole di una giovane che non ha avuto l’opportunità di crescere per l’assurda negazione di qualunque logica di bene comune. Eppure, nonostante l’angosciosa precarietà della situazione, Anna Frank scriveva: «Io non penso a tutte le miserie, ma a tutta la bellezza che ancora rimane».

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-11/quo-260/abili-alla-socialita.html

Una mappatura mondiale dei santuari

Famiglia Cristiana

10 Novembre 2023

Una mappatura mondiale dei Santuari mariani

10/11/2023  È affidata alla mariologa Giustina Aceto, che l’ha presentata al II Incontro internazionale per rettori e operatori di luoghi mariani. Sarà pronta entro l’inizio del giubileo

Una tappa importante in vista di un vero e proprio censimento dei Santuari in Italia e nel mondo. Rappresenta anche questo il II Incontro internazionale per rettori e operatori di luoghi mariani in corso da ieri nell’Aula Paolo VI, che si chiude con l’intervento del Papa domani, sabato 11 novembre. Manca una mappatura completa dei Santuari e a compilarla è stata chiamata una donna.

Si chiama Giustina Aceto, insegna presso la Pontificia Facoltà Teologica Marianum, ed è membro della Pontificia Accademia Mariana Internazionale (Pami). Un Santuario è tale – ci spiega Aceto – se racchiude tre fattori determinanti: l’aspetto della pietà popolare; l’elemento del pellegrinaggio; il pronunciamento dell’autorità competente. A questo proposito, è chiamato a firmare il relativo decreto a livello diocesano il vescovo, mentre a livello internazionale dal 2017, dalla pubblicazione della Lettera apostolica in forma di Motu Proprio Sanctuarium in Ecclesia, è investito il Dicastero per l’evangelizzazione.

La professoressa Aceto ci spiega che il dicastero stesso è chiamato a decidere l’eventuale erezione di Santuari internazionali e l’approvazione dei rispettivi statuti; lo studio e l’attuazione di provvedimenti che favoriscano il ruolo evangelizzatore dei santuari; la promozione di “una pastorale organica dei santuari”. Si comprende che serve una mappatura completa. Aceto ci sta lavorando e al congresso di questi giorni illustra passi e sfide del suo impegno.

Si tratta di un lavoro iniziato prima del Giubileo del 2000: ha già portato ad una prima pubblicazione per quanto riguarda il territorio italiano che però è in corso di aggiornamento, mentre si prepara il censimento a livello mondiale.

Il punto è che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il censimento non è cosa facile. Basti pensare che in alcuni casi si è trattato di recuperare la documentazione dispersa in vari archivi, in altri casi si è dovuto richiedere dal nuovo un decreto di riconoscimento, con il lavoro di rigoroso discernimento che comporta. Inoltre, anche per la storia dei Santuari serve precisione, per mettere insieme, confrontare, emendare, completare dati storici e storiografici, racconti orali, documenti di archivio.

Non manca ormai tanto: la professoressa Aceto ci assicura che tutto il censimento sarà presentato entro l’inizio del nuovo giubileo del 2025. Sarà un’occasione preziosa anche per aiutare le Conferenze episcopali nel mondo a trovare forme similari per cercare di comprendere la presenza dei santuari nel proprio territorio.

Intanto, è molto importante un Incontro che, dopo la celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, riunisce per riflessioni e confronti rettori provenienti dai più importanti luoghi mariani d’Europa con rettori e operatori provenienti dalla Colombia, dal Burundi, dalla Costa d’Avorio, dal Brasile. Tra le riflessioni e le domande emerge l’esigenza di chiarire ai fedeli come approcciare alla devozione popolare centrata su reliquie e icone. Nel tempo cambia la sensibilita’, si oscilla tra un forte entusiasmo e una certa diffidenza – si dice – ed e’ sempre impegnativo il discernimento utile per guidare i fedeli. Il coordinamento dovrebbe aiutare anche al confronto in questo senso, risponde monsignor Rino Fisichella, pro-rettore al Dicastero per l’Evangelizzazione che guida i tre giorni di Incontro. Sottolinea che “il popolo di Dio va rispettato nelle modalita’ della sua fede, fatte salve palesi esagerazioni”. In generale Fisichella raccomanda di “non razionalizzare troppo la fede e di evitare di dare tanta importanza al livello intellettuale, come si e’ fatto in casi in cui si e’ negato il sacramento della Cresima a ragazzi con disabilita’”.

“Ritrovarsi da diversi punti del mondo con esperienze diverse rappresenta uno scambio di beni spirituali”, commenta madre Luisa Carminati, madre generale delle Figlie della Madonna del Divino Amore, che parlando con Famiglia Cristiana rivendica con un sorriso che già nel 1958 al Santuario del Divino Amore don Umberto Terenzi aveva organizzato un ufficio di coordinamento tra i Santuari. Il sorriso si illumina mentre sottolinea l’importanza di essere arrivati oggi al “riferimento autorevolissimo e concreto del Dicastero per l’Evangelizzazione”.

Per chi bussa alle soglie della Chiesa pellegrino in un Santuario, sentirsi a casa dovrebbe significare scoprire la consapevolezza della serietà del peccato e della certezza della misericordia infinita di Dio. E’ questo il cuore della riflessione che oggi padre Paul Brendan Murray, docente alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, dedica alla “preghiera del peccatore”.

A sottolineare l’importanza di “sintonizzarsi” sulle note della bellezza, per aprire il cuore a una profonda esperienza di fede, è monsignor Marco Frisina, direttore del coro della Diocesi di Roma e rettore della Basilica di Santa Cecilia in Trastevere, chiamato a parlare di “come pregare con la musica e il canto”. E sul piano culturale c’è anche la testimonianza sulla “preghiera nell’arte” di David Lopez Ribes, artista contemporaneo che ha ricevuto il premio delle Pontificie Accademie della Scienza e delle Scienze sociali 2012. Sul concetto di “preghiera popolare” si sofferma padre Daniel Cuesta Gómez, della pastorale giovanile e universitaria di Santiago de Compostela. Sottolinea l’importanza di una specifica formazione degli operatori dei santuari e dei luoghi di pietà e promozione. E non si tratta solo del piano dell’assistenza spirituale che ovviamente è imprescindibile, perché – viene ribadito con convinzione – si deve essere in grado di valorizzare i santuari anche dal punto di vista culturale e artistico.

Sono sempre di più infatti quanti visitano i Santuari cercando arte e cultura e, sulla scia della crescente riscoperta di cammini a piedi, si moltiplicano quanti fanno tappa, in percorsi come la Via Francigena od altri, in luoghi di devozione. In molti casi, si tratta di persone lontane dalla fede o troppo distratte dal quotidiano, che possono scoprire o riscoprire tanti significati nella specificità del silenzio e dell’accoglienza nei Santuari.

https://www.famigliacristiana.it/articolo/una-mappatura-completa-dei-santuari-mariani.aspx