Inaugurata a Tiro la chiesa costruita dai soldati di pace

Il nuovo edificio per il culto cattolico di rito latino dedicato a Maria Mater Decor Carmeli e a San Giovanni XXIII

Il sud est del Libano ha finalmente la sua chiesa di rito latino: mancava in tutta la zona di Tiro e da lunedì è un punto di riferimento all’interno della base delle Forze di interposizione dell’Onu (Unifil), volute dal 1982 perché si tratta della zona al confine con Israele sempre a rischio, in fasi diverse, di tensioni e di scontri. Nel tardo pomeriggio di lunedì, il nuovo edificio di culto è stato inaugurato con una celebrazione alla quale è stato importante veder partecipare le autorità politiche locali ed esponenti di tutte le diverse confessioni religiose che fanno la ricchezza, rappresentando un elemento di complessità, del paese dei cedri. A tutti è arrivato il messaggio di benedizione a nome di Papa Francesco del cardinale segretario di stato Pietro Parolin. L’auspicio giunto ai partecipanti è che la chiesa di pietra e di acciaio — costruita dai militari italiani che da agosto hanno il comando del settore ovest dell’Unifil — tenga viva una comunità di fede capace di farsi testimone di pace e di fratellanza. A presiedere la celebrazione è stato l’ordinario militare in Italia, arcivescovo Santo Marcianò, che ha sottolineato l’importanza della dedicazione della nuova chiesa a Maria Mater Decor Carmeli e a San Giovanni XXIII, che è stato legato pontificio in Libano nel 1954 per il Congresso internazionale mariano. In quell’occasione il Papa incoronò Maria Regina del Libano. Si è trattato di un momento di festa e di visibile gioia in particolare tra i 1100 militari italiani guidati dal generale di brigata Diodato Abagnara, che in un mese hanno costruito la chiesa.

Ma il contingente Onu della base Millevoi di Shama è composto in tutto da 10.000 soldati di 42 paesi e alla celebrazione hanno preso parte diversi  militari irlandesi, coreani, indonesiani.
“Non solo per loro ma per tutta la parte a sud di Tiro mancava una chiesa di
rito latino”, ci ha detto con grande gioia il vescovo greco cattolico melchita Micail Abras della città storica di Tiro che, come Sidone, ha ospitato la predicazione di Gesù.
“La pace è unità tra diritto e amore”, ha detto l’arcivescovo ordinario militare Marcianò, che ha spiegato “la differenza con un pacifismo che non si impegni a costruire convivenza e fratellanza o che possa tollerare discriminazioni di minoranze”, con un “pacifismo irreale fatto di legalismo escludente”. Pace non è solo assenza di guerra, ha ricordato affermando che piuttosto è “il frutto di ordine, giustizia, carità, libertà”. Il riferimento dichiarato delle parole dell’arcivescovo è la Pacem in terris di Giovanni XXIII, il Papa che era stato nunzio apostolico in Bulgaria e in Turchia e aveva vissuto un particolare apostolato di dialogo negli anni difficili del secondo conflitto mondiale. Un’enciclica che resta illuminante oggi – ha detto l’ordinario militare Marcianò – per la pace nel mondo e in questo paese del Vicino Oriente dove – ha sottolineato – ritrovare nella chiesa cattolica di rito latino di Shama musulmani accanto a cristiani di diverse confessioni dice qualcosa del “miracolo del Libano”.

L’Osservatore Romano, 20-21 Marzo 2019