I tedeschi chiamati al voto

Con l’incognita delle coalizioni

di Fausta Speranza

Alla vigilia del voto in Germania, non sembra ci siano dubbi sul fatto che il cancelliere Angela Merkel vedrà riconfermato il proprio consenso. I sondaggi indicano chiaramente la prospettiva di un quarto mandato per la leader tedesca. Più complesso, invece,  il rebus delle alleanze e degli equilibri nella prossima diciannovesima legislatura.

Negli ultimi quattro anni il partito di Merkel, l’Unione cristiano-democratica (Cdu), ha governato insieme con gli alleati del Partito socialdemocratico (Spd). Al momento, entrambi sembrano registrare perdite di consensi intorno ai quattro o cinque punti rispetto alle elezioni del 2013, quando la Cdu aveva ottenuto il 41,5 per cento di voti e la Spd il 25,7. Se il dato fosse confermato, per i socialdemocratici sarebbe il più deludente risultato della loro storia, e questo anche perché, dopo aver chiamato Martin Schulz alla guida del partito a gennaio, si era registrata un’iniziale crescita dei consensi al 30 per cento. La prima incognita, dunque, è se la Spd entrerà in una eventuale grande coalizione o se tornerà all’opposizione. Fatta eccezione per i quattro anni dal 2009 al 2013, i socialdemocratici sono sempre stati al governo dal 1998. Hanno guidato il paese con il cancelliere Gerhard Schröder fino al 2005, poi hanno collaborato con Merkel. Di fatto, hanno preso parte alla compagine governativa per 15 degli ultimi 19 anni.

A crescere è invece Alternativa per la Germania (Afd), partito definito di estrema destra ed euroscettico, fondato nel 2013 dall’economista Bernd Lucke. Afd sembra assicurarsi almeno il 12 per cento dei consensi. Si presenterebbe, quindi, come il terzo partito. A seguire, ci sono il Partito democratico libero (Fdp), cui viene attribuito il 9,5 per cento, e la Die Linke,  partito nato dalla fusione tra il Partito della sinistra e il movimento Lavoro e giustizia sociale, che scenderebbe  al 9 per cento. In retrocessione anche i Verdi, che sembra non dovrebbero andare oltre il 7,5.  Le combinazioni immaginabili tra tutte queste formazioni nel quadro di una futura compagine governativa potrebbero essere molte.

Uno dei temi cruciali della campagna elettorale è stato l’immigrazione. La stampa ha scritto più volte che Afd, molto critico nei confronti dell’arrivo di stranieri, ha allargato i propri consensi dall’autunno 2015, quando il cancelliere decise di aprire le porte a un milione di profughi siriani. Tuttavia, secondo le dichiarazioni di voto registrate finora, la leadership di Merkel non ne sarebbe seriamente intaccata.

L’altro capitolo importante è l’economia. Parlando del successo della leader venuta dalla Germania dell’est, si cita subito la stabilità economica. In effetti, quando Merkel ha assunto per la prima volta la guida del  governo nel 2005, la Germania veniva definita “il malato d’Europa”. Il tasso di disoccupazione era sopra l’11 per cento, i conti pubblici non riuscivano più a centrare i parametri del patto di stabilità europeo, tanto che nel 2003 l’allora cancelliere Schröder chiese all’Ue di poter sforare temporaneamente il tetto massimo del deficit, fissato al tre per cento del prodotto interno lordo. Lo aveva fatto con la promessa di attuare le necessarie riforme economiche, che puntualmente sono state  portate a termine.

Da allora, l’economia è stata rilanciata e in tutto il mondo si parla di “miracolo tedesco”. La disoccupazione è ferma sotto il 4 per cento — ai minimi dalla riunificazione del 1990 — e dal 2014 il governo di Berlino è l’unico in Europa a registrare avanzi di bilancio. La maggior parte dei tedeschi vede in Merkel la garanzia per proseguire su questa strada.

Il voto in Germania arriva dopo un lungo ciclo di appuntamenti con le urne in Europa: negli ultimi mesi si è votato in Francia, in Spagna, nei Paesi Bassi, in Austria (dove si tornerà a votare per le legislative a ottobre) e nel Regno Unito. Dopo la sorpresa della Brexit, ovunque si sente la pressione dei cosiddetti populismi, anche se gli elettori in Olanda, a marzo, e in Francia, a giugno, non hanno premiato questo tipo di proposte.

Il resto dei paesi dell’Unione europea guarda con attenzione alle elezioni tedesche. I flussi migratori per un verso e la Brexit per un al tro impongono ripensamenti delle regole europee. In discussione ci sono, ad esempio, la revisione del Trattato di Dublino sui richiedenti asilo e il ruolo dei paesi della cosiddetta Eurozona, e quindi il peso di un eventuale “super ministro” delle finanze europeo. Nulla di tutto questo può muoversi senza il contributo della Germania, che resta  il primo paese per popolazione: oltre 82 milioni di abitanti.

Si tratta di tutti temi che Merkel stessa ha sollevato nei mesi scorsi. Lo ha fatto in particolare in incontri bilaterali con il presidente francese, Emmanuel Macron, che spinge molto per un rilancio del progetto europeo, ma anche nei vertici cui hanno partecipato anche i leader di Italia e di Spagna, nonché  in tutti gli ultimi appuntamenti del consiglio che riunisce i capi di stato e di governo dell’Ue. Ma per impegnarsi davvero Merkel deve aspettare una nuova legittimazione delle urne. L’attesa, dunque, è per capire quali saranno gli equilibri politici interni alla Germania e come il nuovo governo tedesco vorrà e potrà contribuire a rilanciare l’Ue affrontando le necessarie riforme.

L’Osservatore romano, 23 Settembre 2017