Un altro g7

Dalla società civile l’appello ai leader riuniti a Taormina perché affrontino la questione migratoria intervenendo su povertà e guerre

di Fausta Speranza

«Sostituire il concetto negativo che vuole le migrazioni come una  minaccia da bloccare, con l’idea positiva di mobilità umana, andando a comprendere le ragioni che fanno muovere le persone: povertà, violenza, cambiamenti climatici e carestie». È una richiesta precisa che parte dalla società civile ed è rivolta ai cosiddetti grandi del g7. Si tratta di decine e decine di organizzazioni, associazioni, movimenti che si riconoscono nella Global call to action against poverty (Gcap). Per il vertice in svolgimento a Taormina hanno preparato un testo  da lasciare sul tavolo dei leader, firmato Civil 7, il g7 della società civile.

Da tempo queste riunioni sono accompagnate da manifestazioni di protesta, spesso segnate da azioni di frange estremistiche. L’appuntamento di quest’anno nasce oltretutto in un contesto più ampio di insoddisfazione nei confronti della politica e dei partiti tradizionali. Tuttavia, la mobilitazione del Civil 7 non si esprime attraverso gli slogan dell’antipolitica ma con un concreto e costruttivo appello alla responsabilità della politica.

Ciò che si chiede, infatti, è in primo luogo un intervento diretto  su povertà, conflitti, carestie, ovvero di non dimenticare l’Africa e le altre zone da dove partono i flussi migratori. La questione migrazioni, dunque, resta al centro, come è giusto che sia in un vertice ospitato in Sicilia, terra simbolo degli sbarchi dei viaggi della speranza nel Mediterraneo.

Si è a lungo parlato del g7 come del gruppo delle «nazioni sviluppate con la ricchezza nazionale netta più grande al mondo». Ma da tempo non è più così: lo scorso anno, la Cina, seconda economia mondiale dopo gli Stati Uniti, ha ospitato un g20 che ha disegnato nuovi orizzonti. Ma forse per il g7  si può ancora utilizzare un’altra delle definizioni finora consuete: «il gruppo delle maggiori democrazie del mondo». In questo senso, la riunione dei capi di stato e di governo che si ritrovano in Italia deve essere all’altezza di tutti i valori che questa definizione racchiude. E, raccogliendo l’appello forte e chiaro che arriva dal Civil 7, potrebbe scaturire un vertice di rilancio. Anche se, a ben guardare, bisognerebbe concordare sul significato di rilancio.

Gli Stati Uniti,  nei dati ufficiali, hanno superato la crisi economica, ma nel paese è in aumento la povertà estrema. Negli anni settanta, quando nasceva il g7, risultava indigente il 3,3 per cento della popolazione statunitense, mentre oggi  la percentuale è salita al 6,6 per cento. Della crescita del pil si sono avvantaggiati solo i più ricchi.  E ancora oggi, dopo la cosiddetta ripresa, oltre 40 milioni di persone, pur avendo un lavoro, vivono grazie a sussidi statali. Nel Regno Unito,  il gap tra fasce sociali non è mai stato così ampio: l’un per cento più ricco dei britannici  possiede  un patrimonio  venti volte superiore a quello del 20 per cento più povero. Anche per questo in molti paesi del g7 aleggiano tentazioni populiste che parlano dell’immigrazione sempre e solo come di un’emergenza. Il documento dei Civil 7 raccomanda di «ristabilire alcune priorità», ricordando che, ad esempio, in Europa il numero degli immigrati equivale al 2 per cento della popolazione continentale, mentre restano senza lavoro il 22 per cento dei giovani. Tra falsi allarmi e vere frustrazioni, si chiedono idee concrete, per il bene comune.

L’Osservatore Romano, 27 Maggio 2017