Il peso del petrolio

Economia e risorse energetiche sul tavolo dei leader al g7 di Taormina

di Fausta Speranza

Uno dei temi cruciali al g7 di Taormina sarà l’economia e il rilancio dello sviluppo. Sotto questo profilo, la partita geopolitica del petrolio gioca un ruolo chiave. Non è un caso quindi che proprio domani, 25 maggio, si tenga a Vienna la riunione dell’Opec (l’organizzazione che raccoglie i principali paesi esportatori). L’obiettivo è capire se ci sarà una nuova proroga di sei mesi del taglio della produzione oppure se si deciderà di attuare il taglio subito per frenare la corsa a ribasso del greggio. A tre anni dal primo consistente crollo del prezzo del barile, si tratta ora di vedere quali cambiamenti reali stiano avvenendo intorno a quella che è stata negli ultimi decenni la più importante commodity del mercato, che ha cambiato i rapporti economici e geopolitici del mondo.

A giugno 2014 il prezzo del greggio raggiungeva i 106 dollari al barile. Poi è precipitato fino a 30 dollari, riassestandosi successivamente intorno ai 40. Oggi, dopo un leggero rialzo nelle due ultime settimane in vista  della riunione Opec, ristagna intorno ai 50 dollari.

Le conseguenze socio-politiche sono sotto gli occhi di tutti. Basti pensare alla crisi che stanno attraversando paesi come il Venezuela, l’Algeria, la Nigeria e l’Angola, la cui economia si basa sull’esportazione del petrolio. Sotto un certo livello di prezzo, per questi paesi le  spese per  l’estrazione del greggio sono maggiori dei guadagni.

Alle decisioni che verranno prese a Vienna guarderà anche la Russia pur non facendo parte dell’Opec. E perfino  l’Arabia Saudita, che ha le riserve più grandi al mondo e i costi medi di produzione più bassi. Riad ha avvertito il colpo del crollo del prezzo del barile, varando un anno fa un’inconsueta finanziaria con forti ristrettezze.

 Il mercato del greggio paga soprattutto lo sviluppo delle nuove tecniche di estrazione messe a punto negli Stati Uniti. In effetti, da tempo Washington ha scommesso sull’autonomia in campo energetico e ha puntato sulle tecniche di fracking, che consistono nello sgretolare le rocce ed estrarre il petrolio che si ricava, anche se non allo stato liquido. Nonostante il basso costo del greggio che avrebbe dovuto scoraggiare gli investimenti, questo tipo di estrazioni alternative e particolarmente onerose — oltre che dannose per l’ambiente — è cresciuto molto. A ciò si aggiunge il fatto che l’Europa, dal canto suo, si è impegnata a ridurre il consumo di  materie fossili per motivi ambientali, puntando sulle energie rinnovabili.

A compensare la grande domanda di consumo di energia dovrebbe  essere la Cina, in grande espansione industriale, nonché altre nazioni  emergenti dell’Asia. Ma, a conti fatti, questi paesi non hanno inciso in maniera sostanziale. Almeno fino a oggi. L’interrogativo che gli analisti del settore si pongono è se ci sia ancora qualcuno in grado davvero di muovere il prezzo del petrolio. E questo significa domandarsi se il petrolio resta ancora l’oro nero in grado di influenzare gli equilibri geopolitici.

L’Osservatore Romano, 25 Maggio 2017