TTIP, LE CRITICHE DI CHI NON LO VUOLE

TTIP, LE CRITICHE DI CHI NON LO VUOLE

Privacy, prodotti Ogm, concorrenza sleale… Ecco che cosa teme chi non vuole il Ttip.
langeBernd Lange (foto F. Speranza).

Vista dalla parte dei critici, l’approvazione del TTIP aprirebbe la porta agli Ogm e alla carne agli ormoni, oggi leciti negli Usa e banditi in Eu. Non solo, spazzerebbe via i paletti in tema di rispetto della privacy che distinguono il Vecchio dal Nuovo Continente e lascerebbe inondare il mercato europeo di audiovisivi americani. Sull’onda di questi rischi, in varie piazze europee ci sono state e sono annunciate manifestazioni di protesta. La più consistente a Berlino: 250.000 persone. Ma c’è bisogno di distinguere tra leggende metropolitane e reali prospettive e soprattutto c’è bisogno di capire meglio quello che già accade sulle nostre tavole.

La carne agli ormoni è questione fuori dalla sfera negoziale. Il bando è insito nei Trattati fondanti l’Ue e non può, in nessun modo, essere rivisto da semplici negoziatori. Il TTIP, dunque, potrà rivedere dazi, barriere non tariffarie che riguardano la sola carne senza ormoni, che pure si produce negli Stati Uniti.

Ma se con gli Usa ci sono regole e altre si tenta di scriverne, nel frattempo la globalizzazione sta imponendo, senza troppe discussioni e manifestazioni, uno status quo non trascurabile. Facciamo un esempio: attualmente il 40% della produzione mondiale di maiale e derivati viene dalla Cina. L’immissione nel mercato anche europeo avviene attraverso meccanismi più diversi ma sicuramente senza tutti i vincoli che vigono tra paesi occidentali. Altro prodotto: il pollo. L’Ue non importa pollo dagli Stati Uniti perché, nella fase di disinfestazione, si usa una sostanza, la clorina, in misura non accettata da Bruxelles. Ma in Europa si mangia pollo proveniente dal Vietnam e dalla Cambogia, senza che questo desti particolare sospetto, perchè il percorso è diverso, gestito da quella sorta di far west che caratterizza questa fase di sostanziale inadeguatezza di regole vecchie a un mondo nuovo e di assenza di nuove regole appropriate. In caso di accordo su standard comuni tra Ue e Usa, certamente anche questi paesi sarebbero chiamati ad adeguarsi.

C’è anche un altro punto sensibilissimo per i critici del TTIP: gli Ogm, anche questi vietati in Europa e permessi negli Stati Uniti. Anche qui si tratta di un veto imposto da norme fondanti che non possono essere messe in discussione da politiche commerciali. Ma anche qui bisogna guardare allo stato di fatto. L’europarlamentare Paolo De Castro, del gruppo socialisti e democratici,  assicura a Famiglia Cristiana che 400.000 tonnellate di soia per nutrire gli animali vengono importate in Europa ogni anno da Usa e Brasile e che si tratta di soia Ogm. Parliamo, ci spiega De Castro,  del 90% delle proteine vegetali che compongono i mangimi in Europa. Dunque, non sembra proprio che gli Stati Uniti abbiano bisogno del TTIP per promuovere il prodotto.  E, a guardare ancora meglio, si scopre che la Cina ha cominciato a comprare questo prodotto dagli Usa, con domanda crescente ogni anno, assicurando un’eventuale alternativa a Washington.C’è poi lo scottante tema della privacy, diversamente tutelata in Eu o Usa. E su questo si accaniscono le proteste dei critici del TTIP. Bernd Lange, relatore sul Trattato della Commissione Commercio Internazionale, INTA, dell’Europarlamento, sostiene, carte alla mano, che la privacy in nessun modo rientra tra i temi discussi. E’ la stessa convinzione che ci esprimeHiddo Houben, negoziatore per la Commissione Europea sul TTIP, che ci ricorda il riferimento all’interno del Trattato di Lisbona, spiegandoci ancora una volta che mai negoziatori di politiche commerciali potrebbero cancellare un assioma del Trattato in vigore dal 2009.

Sull’altro tema sollevato dai critici, quello relativo alla produzione di audiovisivi con il presunto rischio di vedere affondato definitivamente il cinema d’autore in Europa dal dilagare della produzione statunitense, entrambi ci spiegano che il settore audiovisivo è semplicemente fuori da qualsiasi punto in discussione per il TTIP. Leggiamo le 28 pagine di mandato a trattare pubblicate sui siti ufficiali delle istituzioni europee e in effetti non compare.

Qualcuno scrive inoltre che il Trattato transatlantico costringerà i governi a privatizzare i servizi pubblici, ma nessuno dei movimenti che alimentano le manifestazioni, a partire dal gruppo Tsipras o del Movimento 5 Stelle rappresentati a Strasburgo, ci sa spiegare in che modo avverrebbe.  C’è poi il divieto stabilito in Ue di esperimenti su animali per la produzione di trucchi, deodoranti, cosmetici, che avvengono invece in Usa. Anche qui si discute delle paure di abbassamento degli standard europei ma non si discute del fatto che intanto dalla Cina arrivano prodotti senza nessuna certificazione adeguata a questi  standard, in particolare in Italia. E non si ricorda che in Europa si sono sviluppate alternative alla sperimentazione animale che gli Stati Uniti stanno prendendo in considerazione. Forse, arrivare a un accordo forte tra sponde dell’Atlantico potrebbe solo rafforzare il peso di certe posizioni.C’è anche un altro aspetto da considerare: è urgente una normativa che argini il fenomeno del ‘faking it’, cioè la contraffazione di prodotti, in particolare, se parliamo di TTIP, di prodotti alimentari. Non avviene solo in Cina, maestra nel settore. Sono pieni anche gli scaffali dei negozi statunitensi di prodotti made in Usa che esibiscono etichette che fanno seriamente pensare a produzioni made in Italy o in Spain. Pensiamo a confezioni di olio di oliva o al parmigiano reggiano.Le scritte sono studiate ad arte per essere equivoche e fuorvianti e spesso compare il nome del paese europeo con accanto la relativa bandiera, anche se nulla di quel prodotto è originale. Una normativa seria, all’intero del TTIP, può arginare il fenomeno che comporta una notevole perdita di mercato e di valore di mercato per i prodotti europei. Un solo esempio: un cittadino americano compra una porzione di parmisan, che lascia pensare di essere italiano, e identifica il sapore che imita l’originale pensandolo l’originale: si ritrova a pensare che non sia così diverso da prodotti Usa e non spenderà di più per brand italiani, neanche in altri casi. Se fosse vero prodotto italiano o spagnolo o greco, invece, la differenza di sapore si sentirebbe.