A 40 anni dallo sbarco sulla luna

A 40 anni dallo sbarco dell’uomo sulla Luna, intervista di Fausta Speranza al responsabile dei laboratori del Centro aereospaziale del MIT: altro che Marte – dice – la tecnologia deve essere al servizio della salute del nostro pianeta

Alla NASA hanno annunciato il taglio di 400 posti di lavoro due giorni fa. Alla maggior parte dei dipartimenti del MIT nel 2009 si taglia il budget dell’8%, l’anno scorso era stato già tagliato del 10% e anche nel 2010 ci sarà un ulteriore 10% in meno di finanziamenti. Non si può parlare di andare su Marte con questi presupposti. Così taglia corto il discorso sul secondo sogno spaziale dell’umanità John Hoffnar, del Dipartimento di Astrofisica e Ricerca Spaziale del mitico Massachuttes Institute of Technology di Boston. Lo abbiamo incontrato nel suo Space Laboratory alla vigilia del 40esimo anniversario dello sbarco sulla Luna. E’ vero che l’Amministrazione Bush nel 2005 ha commissionato alla NASA gli studi per una possibile missione umana fino a Marte, ma non è così facile pensarla oggi, anche se lo sbarco sulla Luna è avvenuto con un computer che praticamente equivale al software di un telefonino di oggi. Ma poi Hoffnar ci spiega che in questi 40 anni dalla camminata lunare qualcosa è cambiato nell’approccio della tecnologia: oggi è più “con i piedi per terra”. Se è proprio uno scienziato spaziale a dirlo, c’è da crederci. John Hoffnar, gentile e informale come la sua Tshirt, ci conferma: la tecnologia deve migliorare la qualità della vita di tutti i giorni delle persone. Certamente andare sulla Luna ha significato aprire a studi importanti: sono 30.000 i diversi oggetti prodotti utilizzando tecnologie messe a punto negli anni della corsa alla Luna, dal goretex delle giacche a vento al rivestimento in teflon per pentole antiaderenti, dai microchip che hanno permesso di concepire il personal computer ai cibi liofilizzati, dalle tecnologie alla base dei satelliti meteorologici e delle telecomunicazioni ai pacemaker e agli spettrometri di massa in chirurgia. Ma Hoffner raccomanda: oggi dobbiamo concentrarci di più sul nostro pianeta: studiare lo spazio non tanto per “camminarci” ma per capire come ridurre l’impatto negativo dell’inquinamento sul nostro pianeta Terra. E ci tiene a precisare che, almeno al MIT, “è cambiata la mentalità di ingegneri, scienziati, professori: più proiettati su “soluzioni vere” – spiega – anche perchè la società esercita su di loro una certa pressione in questo senso, che non c’era negli anni Sessanta. “Oggi siamo più pragmatici: pensiamo che ci vogliono grandi iniziative per l’energia pulita e per il risparmio di energia”. Siamo ad un punto di svolta: non possiamo trascurare ulteriormente la salute del nostro pianeta. Mentre dice questo,  scuote la testa e aggiunge: “Se ce lo fanno fare”. Il problema è quello dei finanziamenti. Hoffner ricorda che tra il 1958 e il 1975 sono stati spesi almeno 25 miliardi di dollari, pari a circa 150 miliardi di oggi, e sono state coinvolte centinaia di migliaia di persone, a diverso titolo, nell’impresa spaziale. Un’impresa che rappresenta il più grande investimento di tecnologie della storia, un’impresa che ha significato credere come non mai nella ricerca. A parte la crisi attuale, scoppiata nei mesi scorsi, “gli Stati Uniti negli ultimi dieci anni hanno accumulato un crescente deficit innovativo, investendo meno in informatica, micromeccanica e biotecnologie”: queste sono parole di Paul Krugman, Nobel dell’economia 2008, che denuncia, dunque, un trend negativo per la ricerca iniziato ben prima della crisi dei subprime. Insomma la situazione non è rosea. Facciamo presente a John Hoffnar che nelle sue parole c’è un evidente scetticismo velato di pessimismo che non ci aspettavamo nel cuore della ricerca mondiale e soprattutto nell’era di Obama. E appena sente nominare il presidente Obama, cambia espressione: “La nuova amministrazione rappresenta la speranza per la ricerca, ha priorità diverse rispetto alla precedente e l’ambiente sta realmente tra queste”. Obama può dare un’accelerata e contribuire a saldare quel deficit innovativo, che anni di esborsi per le guerre hanno lasciato in eredità. E’ una speranza,  ribadisce Hoffner spiegando però che “Obama non potrà tradurla in realtà senza cambiare il corso dell’economia”.
Dopo l’impronta dell’uomo sulla Luna è sembrato quasi che l’umanità raggiungesse l’apice delle proprie potenzialità: il presidente John Fitzgerald Kennedy, che morirà sei anni prima dell’allunaggio, di fronte alla prospettiva dello sbarco sulla Luna, scriveva: “Se riusciremo a superare la serie infinita di difficoltà, a partire da quella di un viaggio a una temperatura che è la metà di quella del sole, dobbiamo essere orgogliosi e audaci”. Oggi, ci conferma Hoffner, sono i robot a rappresentare  l’ennesima frontiera per l’immaginario. Al MIT se ne stanno mettendo a punto di straordinari, con applicazioni dal contesto medico al contesto domestico. Sostituire l’uomo stesso è l’ennesima frontiera della sfida dell’umanità a se stessa ma – aggiunge Hoffner – sempre a patto di non dimenticare dove l’uomo vive.

Il Riformista 21 luglio 2009