Iraq: il dramma dei Mujaheddin iraniani

Le violenze nel campo di Ashraf

 

di Fausta Speranza

Il governo iracheno filo iraniano non protegge più i dissidenti iraniani in Iraq. Ne pagano le conseguenze i 35mila mujaheddin – considerati  terroristi dagli Usa ma non dall’Ue – a suo tempo protetti da Saddam Hussein.

Trentacinquemila iraniani racchiusi in un campo di 36 Kmq in Iraq stanno scrivendo un capitolo della storia del conflitto tra l’islamica Teheran e la laica Baghdad, nell’indifferenza della comunità internazionale. Quel campo rappresenta da sempre un termometro di quanto avviene in Iran, anche in questa lunga, strisciante, duramente repressa rivolta che non si placa.

Parliamo del campo di Ashraf, che per 30 anni ha accolto i dissidenti del regime di Teheran, legati ai Mujaheddin del Popolo, gruppo di opposizione che è stato cancellato dalla lista nera dei gruppi terroristici dell’Unione Europea lo scorso gennaio ma che è rimasto in quella degli Stati Uniti.

Si tratta di un gruppo con un altissimo tasso di laureati. Hanno goduto dello status di rifugiati sotto Saddam Hussein e della Quarta Convenzione di Ginevra dallo scoppio della guerra del 2003, in quanto popolazione non coinvolta nel conflitto e avendo consegnato alle forze internazionali tutte le armi.

Ma da gennaio scorso, dal passaggio di consegne da parte dei militari statunitensi alle forze irachene, le cose sono cambiate decisamente. Sono stati isolati per mesi e in molti giurano che, se non fosse stato per la visita di alcuni parlamentari europei, le porte del campo sarebbero rimaste bloccate con conseguenze disastrose.

Poi ad agosto diversi attacchi armati da parte dell’esercito iracheno: 11 morti, 450 feriti e 16 persone portate via senza che se ne sappia ancora nulla. Video con testimonianze agghiaccianti di violenze giungono al Consiglio Nazionale della Resistenza iraniana, l’opposizione all’estero al regime dei Mullah, che ha sede a Parigi.

Si tratta di un dramma annunciato: il regime iraniano dopo la caduta di Saddam Hussein è diventato molto influente in Iraq. Ciò ha provocato la repressione dei dissidenti iraniani.

Già prima del conflitto del 2003 – ci spiega la presidente del Consiglio Nazionale della Resistenza iraniana, signora Rajavi, esibendo documenti – 32.000 iracheni erano in busta paga dei Mullah: ricevevano e continuano a ricevere lo stipendio da Teheran. Dalla Rivoluzione islamica del 1979 – spiega – il primo territorio dove “esportare” la rivoluzione è stato l’Iraq, poi entrato in guerra con l’Iran. Poi sono venuti i Fratelli musulmani in Egitto, Hezbollah in Libano, Hamas in Palestina. Il progetto di “esportazione” non si è mai fermato.

L’invasione dell’Iraq nel 2003 ha riaperto i giochi e il riacutizzarsi della violenza sta facendo il resto. La presidente, signora Rajavi, lancia un appello alla comunità internazionale chiedendo che gli abitanti del campo di Ashraf non vengano uccisi e soprattutto che, se verranno rimandati come sembra in Iran, trovino l’ombrello della protezione internazionale. Il punto non è solo la difesa, pur importante, di vite umane ma – avverte la Rajavi – ad Ashraf si sta giocando una partita importantissima e si sta giocando nell’indifferenza generale.
(25/08/2009)