Tra sicurezza e tutela della persona I diritti umani visti dal Meeting

PROLIFERAZIONE. Il cardinale Scola avverte: «Destoricizzazione e astrazione portano al rischio che la carta dei diritti diventi un elenco telefonico». di Fausta Speranza

Rimini. Il tema dei diritti umani ha fatto da filo rosso all’edizione del Meeting di Rimini che si è conclusa ieri. Dall’immigrazione alla libertà religiosa, passando per crisi economica e sussidiarietà, e senza dimenticare il tema della vita. La rivendicazione di presunti o sacrosanti diritti ha tenuto banco, precisando a punti fermi e aprendo dibattiti. Tra i punti fermi, la tutela della dignità umana e il rispetto dell’identità. Tra gli spunti di discussione, il confine tra decisioni nazionali e decisioni sovranazionali e il limite tra diritto e desiderio. In tema di crisi globale c’è stato l’appello del ministro dell’Economia, GiulioTremonti, a una mentalità non più nazionale ma europea e mondiale per tutelare il diritto al lavoro, ma anche gli appelli della società civile e del presidente della Commissione europea, Barroso, alla sussidiarietà. In tema di immigrazione, le parole del ministro degli interni Maroni sul bisogno-diritto di sicurezza dei cittadini, come primo passo per una serena integrazione, si sono sposate con l’appello all’accoglienza dell’associazione La Strada. Nella presentazione del libro “Guerra ai cristiani” di Mario Mauro, capo gruppo del Pdl a Strasburgo e Rappresentante personale della presidenza dell’Osce contro razzismo, xenofobia e discriminazione, è emersa la forte denuncia: per 200 milioni di cristiani è in pericolo il primo di tutti i diritti: il diritto alla vita, a causa di strategie politiche ammantate da discriminazione religiosa. Quelli che hanno dato più spunti di riflessione sono stati proprio il dibattito intorno al diritto di libertà religiosa, che è anche diritto a non credere, e quello sulla presenza religiosa nello spazio pubblico. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha parlato di responsabilità politica. Di responsabilità del diritto ha parlato il professore Joseph Weiler, l’avvocato che in sede di appello ha tenuto l’arringa difensiva dell’Italia contro la sentenza della Corte europea di Strasburgo che chiedeva la rimozione del Crocifisso dalle aule. Weiler, ebreo, non ha difeso il crocifisso ma la libertà di averlo a simbolo di tradizione e identità. Un diritto dell’Italia e degli altri Paesi che hanno il crocifisso nelle classi ma anche delle monarchie del Nord Europa che hanno la croce nelle bandiere, o della Gran Bretagna che consegna la Bibbia nella cerimonia di incoronazione del sovrano. È qui il punto critico: la questione dei diritti umani si ritrova compressa tra piano nazionale e piano sovranazionale, in questo caso della Corte del Consiglio d’Europa. È chiarissimo anche nelle parole di due studiosi intervenuti al Meeting e incontrati dal Riformista: Marta Cartabia dell’Università Milano Bicocca e David Kretzmer dell’University School of Law di New York. Entrambi confermano il rischio di «corto circuito tra decisioni dei singoli Stati e pronunciamenti delle due Corti europee, quella del Consiglio d’Europa e quella dell’Ue, o del Comitato diritti umani dell’Onu». Di quest’ultimo, ha fatto parte il professor Kretzmer. È innegabile che la formulazione di Carte che mettono nero su bianco i valori fondamentali validi per tutti è una conquista indiscussa e indiscutibile della civiltà. Solo una Carta sovranazionale che si basasse, come è stato, su un comune denominatore di valori condivisi poteva, infatti, essere garanzia da arbitrii governativi e nazionalistici, come i totalitarismi e Auschwitz. Ma dal Meeting i due studiosi lanciano l’allarme sulla tendenza a «una proliferazione eccessiva di diritti», nell’ambito di “un processo di rincorsa del diritto individuale”. Con loro concorda il Patriarca di Venezia. Il cardinale Angelo Scola, che è intervenuto alla pensosa kermesse di CL su Chiesa e postmodernità, interpellato dal Riformista, denuncia “il rischio che la carta dei diritti diventi un elenco telefonico” e parla di “destoricizzazione e astrazione del diritto” che mina la centralità della persona. E proprio qui, in questa espressione chiave di tutti gli incontri targati CL, secondo il cardinale di Venezia c’è proprio la discriminante per capire ciò che rende non soggettivo ma universale un valore e, dunque, un diritto. Il cardinale Scola non ha dubbi: “Se si fa a meno dell’apporto della religione e dell’etica in tema di centralità della persona può venir meno l’equilibrio tra diritti, doveri e leggi e si può perdere il confine tra diritto, desiderio e voglia”. Sul piano nazionale come su quello sovranazionale.

Il Riformista del 29 agosto 2010

Barroso non sposa il federalismo

Rimini. L’Europa glissa in tema di federalismo fiscale. Al Meeting di CL, il presidente della Commissione Europea, Barroso, interpellato da Formigoni sui possibili contributi dell’UE alla realizzazione del federalismo fiscale in Italia, ha preferito non rispondere. Tema della tavola rotonda, alla quale ha partecipato anche il presidente del gruppo Pdl a Strasburgo Mario Mauro, era il rapporto tra Europa e regioni. Barroso si è mantenuto sul terreno comune della sussidiarietà, promuovendo Formigoni “professore di sussidiarietà”. Promozione nobile, accolta con applauso: è parola cara alla dottrina sociale della Chiesa che ritorna in tutti gli incontri di CL e compare in documenti ufficiale dellUE Significa che la persona e le componentivarie della società vengono prima dello Stato ma anche che l’intervento sussidiario deve essere portato dal livello più vicino al cittadino. Formigoni ha fatto presente che il termine ancora non compare in 85 vocabolari del mondo e in un certo linguaggio informatico e Barroso ha risposto, scherzando ma non troppo, che per quanto riguarda il web impera ancora troppo la statunitense Microsoft.

Il Riformista del 28 agosto 2010

Don Camisasca: Famiglia Cristiana fuori dalle Chiese

«”Famiglia Cristiana” non va venduta fuori delle Chiese»: lo ha affermato, ieri sera al Meeting di Rimini, don Massimo Camisasca, erede di don Giussani e personaggio di spicco di Cl. È il Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo. Ha presentato il suo libro intitolato “Padre. Ci saranno sacerdoti nel futuro della Chiesa?”, Edizioni San Paolo. «Il settimanale dei Paolini è legittimato ad esprimere opinioni politiche ma se lo fa non può essere venduto sul sagrato di una parrocchia». Ha spiegato che sono soprattutto ragioni di opportunità a raccomandare il celibato, per poi sottolineare che la questione del sacerdozio alle donne, invece, è questione dogmatica: «Solo un Papa eretico potrebbe aprire alle donne, mentre superare il celibato potrebbe anche accadere». È intervenuto anche sulla pedofilia nella Chiesa. «Quando è un prete ad aver abusato di un bambino – ha affermato – quel prete ha ucciso in quel bambino la considerazione di se stesso ma anche la considerazione di Dio».

Il Riformista del 27 agosto 2010

E Pansa rimpiange il «curiale Rumor»

Fini è uno sciagurato e tutto il resto non è noia ma disastro. È la sintesi del pensiero di Giampaolo Pansa che rimpiange la Dc ed è disposto anche a rievocare il vecchio adagio: si stava meglio quando si stava peggio. Ieri al Meeting di Rimini ha presentato il suo ultimo libro “I cari estinti”, edito da Rizzoli, che racconta 40 anni di professione giornalistica impegnata a seguire la politica italiana. Il volume, dai titoli ironici e accattivanti, è concentrato sugli anni 1948-1989, dunque proprio la prima Repubblica. Il giornalista, che ha scritto per le più importanti testate (oggi il suo Bestiario esce ogni domenica sul “Riformista”) e che ha oggi 75 anni, ha ripercorso anni cruciali della storia italiana guardandoli da questo 2010 che ha definito «fosco» e segnato in politica da «carrozzoni personali ». Nel libro, diciamo subito che manca stranamente la figura di Cossiga che Pansa ha ricordato come «non autentico democristiano ma anarchico cattolico liberale». Un «uomo coraggioso » che però secondo Pansa non rientrava nell’analisi del libro. Per tutti gli altri politici citati c’è un aggettivo: da De Mita «aggressivo » a Berlinguer «monacale», a Craxi «ardimentoso». A proposito di Craxi, l’ampio spazio dedicato al leader socialista e gli inviti a «non ricordarlo come l’unico dei corrotti» può riaccendere il dibattito sul revisionismo craxiano, ma non è Craxi il leader politico che esce meglio dal libro di Pansa. E’ Mariano Rumor, il «perfetto democristiano». Anche se «un po’ curiale», – ci ha detto Pansa – ha messo in campo le migliori energie per il bene comune che siano state messe in circolo finora: «equilibrio e saggezza». Ricordando anche tutti i limiti della vecchia Dc, dalla corruzione alla generazione del debito pubblico, Pansa ha ribadito di «sentire la mancanza di quell’equilibrio che ha salvato l’Italia negli anni del dopoguerra e negli anni del terrorismo». E il punto è che «non si intravedono all’orizzonte possibili protagonisti di una terza Repubblica ». Pansa ha scherzato e ironizzato con la platea del Meeting, che si è dimostrata particolarmente affettuosa, e ha tessuto un elogio dell’ironia, «a patto che sia bonaria e non cattiva». Ma parlando dell’oggi, ad un certo punto, dall’alto dei suoi anni ha impostato la voce per dire che «l’Italia rischia la guerra civile». E ha puntato il dito contro la cultura dell’apparire che svuota tutto di significati. «Oggi non c’è l’ombra della solidità della Dc – ha aggiunto sempre con tono serio – e non so se l’attuale classe dirigente riuscirebbe a superare prove come quella del caso Moro». «Sia a destra che a sinistra, oggi ci sono le caricature dei politici di un tempo». Pansa ha partecipato al Meeting di CL del 1986 e poi alle ultime edizioni dal 2008. Dietro le quinte ci ha confidato di provare «un’emozione del tutto particolare per la gente del Meeting che esprime, come non capita spesso, interesse e entusiasmo». Forse sono queste alcune delle risorse possibili da cui ripartire dovendo inesorabilmente guardare al futuro.

Il Riformista del 26 agosto 2010

Il dolore del Papa per i preti pedofili

in Prima pagina

“Il Papa soffre moltissimo per le vicende della pedofilia che hanno reso la Chiesa così poco credibile e hanno oscurato l’immagine del prete buon pastore”

Non fa giri di parole il vescovo di Ratisbona, monsignor Gerhard Ludwig Muller, il prelato tedesco al quale Benedetto XVI è profondamente legato

all’interno:

Il vescovo di Ratisbona parla del dolore del Papa per la vicenda pedofilia

«Il Papa soffre moltissimo per le vicende della pedofilia che hanno reso la Chiesa così poco credibile e hanno oscurato l’immagine del prete buon pastore» Non fa giri di parole il vescovo di Ratisbona, monsignor Gerhard Ludwig Muller, il prelato tedesco al quale Benedetto XVI ha chiesto di curare personalmente la raccolta della sua Opera omnia da cardinale. Monsignor Muller ha presentato a Rimini proprio il primo volume di questa raccolta degli scritti precedenti la sua elezione al Pontificato. «Questo scandalo fa soffrire Benedetto XVI perché oscura l’immagine del prete buon pastore ed è emerso nell’Anno sacerdotale fortemente voluto dal Pontefice. Ma non bisogna perdere la fiducia nell’efficacia della presenza di Dio nella vita degli uomini».

A Rimini, nella giornata inaugurale del Meeting di Comunione e liberazione, monsignor Muller ha accettato di parlare con Il Riformista del momento che vive la Chiesa cattolica. Il vescovo di Ratisbona parla di «Circostanze» che rappresentano «un banco di prova per i sacerdoti e per il senso del sacerdozio». «Benedetto XVI è profondamente addolorato – ha sottolineato monsignor Muller – anche perché lo scandalo ultimo della pedofilia ha investito in pieno l’Anno sacerdotale da lui fortemente voluto ». Ma «la Chiesa non si fonda su un’ideologia, non è una costruzione di idee, piuttosto è la nave di Pietro su cui Cristo è sempre presente e fa sì che non affondi», nonostante le miserie degli uomini. Così monsignor Muller ha riassunto, accanto al profondo dolore, la certezza del Papa che «la Chiesa dopo le tempeste sarà più forte di prima». Il punto essenziale, per il prelato tedesco, è non perdere la fiducia «nell’efficacia della presenza di Dio»   che significa «non cancellare il mistero dall’esperienza umana».

Il discorso arriva al cuore degli scritti dello studioso Ratzinger. I volumi previsti sono 16. In questo primo libro troviamo proprio il discorso sull’uomo e il mistero di Dio perché è dedicato alla liturgia. Il teologo Ratzinger spiega che cancellare il mistero dall’esperienza umana è proprio quello che la modernità cerca di fare. La liturgia è terreno delle più conservatrici posizioni del cardinale, prima, e di Papa Benedetto XVI, poi. E questo proprio perché – spiega – la «creatività» nella liturgia porta a un «personalismo » e a una «banalizzazione» che negano l’apertura al campo visivo di Dio. Si sta parlando di alcune espressioni liturgiche degli anni del post Concilio che hanno aperto a elementi nuovi. Nelle parole del cardinale Ratzinger c’è la convinzione che nelle novità ci sia quella modernità che più che innalzare a Dio blocca l’uomo sul suo «virtuosismo». Da qui la nota difesa di tutti gli aspetti tradizionali della liturgia, compresa – come ha spiegato monsignor Muller – la posizione fisica delle Chiese, orientate o meno a Est, e la posizione del sacerdote rispetto all’assemblea, di spalle o di fronte. Una difesa della tradizione ribadita con fermezza dal vescovo di Ratisbona, prima di esprimere la convinzione che condivide con Benedetto XVI: «Oggi l’educazione liturgica di sacerdoti e laici è deficitaria». E qui bisogna riferire che alle parole di monsignor Muller è seguito uno degli applausi più vigorosi dell’assemblea che seguiva la presentazione nell’aula magna del Meeting. La sala non era piena come accade per altri incontri ma l’attenzione è stata altissima. Una partecipazione premiata anche dall’emergere di aspetti meno noti. È vero infatti che questo è il cuore della riflessione di Ratzinger in tema di liturgia, ma è vero anche che c’è tanto altro di cui si sa molto poco. Ad esempio, questa affermazione che, senza saperne la provenienza, potrebbe essere attribuita a un sacerdote con tendenze new age: «L’unione sessuale è uno dei momenti attraverso i quali l’eternità getta uno sguardo sull’uomo». Sembra evidente che se si fa un discorso ampio e serio sulla liturgia non si resta tra i temi che interessano dalle nuvole in su, come a volte si pensa. L’uomo corporeo e storico – spiega nei suoi scritti lo stesso studioso Ratzinger – può incontrare Dio solo in modo umano.

All’incontro del Meeting ciellino era presente don Giuseppe Costa, il sacerdote salesiano direttore della Libreria Editrice Vaticana, che pubblica l’Opera Omnia di Joseph Ratzinger e che sistematicamente pubblica gli scritti di Papa Benedetto XVI. Don Costa ha annunciato da Rimini che sarà presto completo il secondo volume di Benedetto XVI su Gesù di Nazareth, affermando di essere già stato «contattato da tutti gli editori del mondo». La riedizione di scritti del passato, dunque, corre in parallelo rispetto alla scrittura nuova del Papa studioso, che insegna che «la ragione potenziata dalla fede si interessa di tutto».

«Il Riformista» del 24 agosto 2010

Una lettera al Papa è l’ultima speranza dei disperati di Ashraf

Sono disperati e chiedono aiuto al Papa. Fin qui niente di strano. Si rivolgono a Benedetto XVI con un’intensa, e allo stesso tempo semplice, lettera firmata da 36 nomi arabi. Sono iraniani, membri dei Mojaheddin del Popolo, l’organizzazione che fino a gennaio scorso stava nella lista nera dei terroristi dell’Unione Europea e che compare ancora nella black list degli Stati Uniti. Al Papa chiedono di “evitare una catastrofe umanitaria”. Si definiscono “vittime di ingiustizie e di oppressione” e dichiarano di essere “indeboliti da giorni di sciopero della fame”. Sono abitanti di Ashraf, il campo profughi in Iraq dove da 25 anni sono rifugiati dissidenti del regime islamico di Teheran. Il campo ospita 3400 persone di cui 1000 donne e centinaia di bambini. I 36 di cui parliamo sono stati prelevati dal campo dalle forze dell’ordine irachene il 28 luglio scorso e da allora sono nel carcere iracheno di Al-Khalis, a 30 Km da Ashraf. Nella lettera datata 12 settembre, si definiscono “ostaggio” delle forze dell’ordine irachene e si appellano al “Grande leader religioso della Chiesa Cattolica Romana e difensore dell’eredità di Cristo”. Raccontano al Papa, con asciutta drammaticità, di aver subito “torture” e di soffrire “condizioni igienico sanitarie disumane”. Giurano di essere “tenuti in carcere illegalmente e con false e inesistenti accuse”. Raccontano che il Tribunale locale, esattamente un mese dopo l’arresto, il 28 agosto, ha ordinato la scarcerazione in assenza di accuse, ma che dall’ufficio del premier iracheno Al Maliki è giunto l’ordine di continuare a trattenerli. Da quel momento hanno iniziato lo sciopero della fame. “Umilmente” chiedono “a Sua Santità il Papa” di “adottare tutte le misure in suo potere” per aiutarli, cominciando da “un appello perché intervengano funzionari dell’ONU”. Per loro stessi incarcerati, chiedono il rilascio ma anche, nell’immediato, l’assistenza medica adeguata “per i sette di loro che sono seriamente feriti”. Per la popolazione di Ashraf, denunciano il rischio di ulteriori violenze. Gli abitanti del campo profughi, così ostili al regime islamico di Teheran,  hanno vissuto indisturbati sotto il laicissimo Saddam Hussein. Allo scoppio del conflitto nel 2003, hanno accettato di consegnare ogni tipo di arma e hanno, dunque, goduto della IV Convenzione di Ginevra in quanto persone non coinvolte nella guerra. Non hanno avuto problemi fino al passaggio di poteri alle autorità irachene, al momento del ritiro delle forze statunitensi a inizio 2009. In primavera è cominciato un isolamento che è diventato assedio, con scarsità di beni alimentari e mancanza di qualunque tipo di carburante. Assedio confermato anche da una delegazione di parlamentari europei. Quindi, il 28 luglio scorso, l’attacco da parte delle forze dell’ordine irachene. Nella lettera, i 36 raccontano che “al momento della loro cattura sono state uccise 11 persone e sono state ferite altre 500”. “Considerata l’influenza del dittatoriale regime in Iran sull’Amministrazione dell’Iraq – affermano nella lettera – abbiamo grande paura e preoccupazione”. A parte la situazione attuale, quello che angoscia di più è la prospettiva di una “estradizione di massa in Iran”. Spiegano al Santo Padre che “già in molte occasioni il regime iraniano ha fatto richiesta in tal senso”. “In attesa di forze dell’ONU ad Ashraf, – scrivono – le forze militari statunitensi ancora presenti in Iraq dovrebbero assicurare protezione agli abitanti del campo”. Dovrebbero farlo – spiegano – “in base agli accordi sottoscritti dalle autorità USA proprio con tutti gli abitanti di Ashraf”. Per ottenere tutto ciò, l’appello al Papa: “Il suo impegno per le persone in carcere e per la popolazione di Ashraf eviterà un’altra catastrofe umanitaria e solleverà dalle pene e dalle sofferenze le famiglie e i parenti degli abitanti del campo che protestano e si sono uniti allo sciopero della fame in 19 differenti città del mondo”. Tra queste città ci sono Londra, Parigi, Toronto, ma pur essendoci decine di persone ormai sulle sedie a rotelle di fronte a varie Ambasciate, perché segnate da 50 giorni senza cibo, non se ne è parlato granchè. Da qui la scelta disperata ma nello stesso tempo carica di speranza di appellarsi a Benedetto XVI, con una citazione di un brano del Vangelo di Luca in cui si dice che Gesù è stato mandato per proclamare che gli oppressi saranno liberati dagli oppressori.

15 settembre 2009

A 40 anni dallo sbarco sulla luna

A 40 anni dallo sbarco dell’uomo sulla Luna, intervista di Fausta Speranza al responsabile dei laboratori del Centro aereospaziale del MIT: altro che Marte – dice – la tecnologia deve essere al servizio della salute del nostro pianeta

Alla NASA hanno annunciato il taglio di 400 posti di lavoro due giorni fa. Alla maggior parte dei dipartimenti del MIT nel 2009 si taglia il budget dell’8%, l’anno scorso era stato già tagliato del 10% e anche nel 2010 ci sarà un ulteriore 10% in meno di finanziamenti. Non si può parlare di andare su Marte con questi presupposti. Così taglia corto il discorso sul secondo sogno spaziale dell’umanità John Hoffnar, del Dipartimento di Astrofisica e Ricerca Spaziale del mitico Massachuttes Institute of Technology di Boston. Lo abbiamo incontrato nel suo Space Laboratory alla vigilia del 40esimo anniversario dello sbarco sulla Luna. E’ vero che l’Amministrazione Bush nel 2005 ha commissionato alla NASA gli studi per una possibile missione umana fino a Marte, ma non è così facile pensarla oggi, anche se lo sbarco sulla Luna è avvenuto con un computer che praticamente equivale al software di un telefonino di oggi. Ma poi Hoffnar ci spiega che in questi 40 anni dalla camminata lunare qualcosa è cambiato nell’approccio della tecnologia: oggi è più “con i piedi per terra”. Se è proprio uno scienziato spaziale a dirlo, c’è da crederci. John Hoffnar, gentile e informale come la sua Tshirt, ci conferma: la tecnologia deve migliorare la qualità della vita di tutti i giorni delle persone. Certamente andare sulla Luna ha significato aprire a studi importanti: sono 30.000 i diversi oggetti prodotti utilizzando tecnologie messe a punto negli anni della corsa alla Luna, dal goretex delle giacche a vento al rivestimento in teflon per pentole antiaderenti, dai microchip che hanno permesso di concepire il personal computer ai cibi liofilizzati, dalle tecnologie alla base dei satelliti meteorologici e delle telecomunicazioni ai pacemaker e agli spettrometri di massa in chirurgia. Ma Hoffner raccomanda: oggi dobbiamo concentrarci di più sul nostro pianeta: studiare lo spazio non tanto per “camminarci” ma per capire come ridurre l’impatto negativo dell’inquinamento sul nostro pianeta Terra. E ci tiene a precisare che, almeno al MIT, “è cambiata la mentalità di ingegneri, scienziati, professori: più proiettati su “soluzioni vere” – spiega – anche perchè la società esercita su di loro una certa pressione in questo senso, che non c’era negli anni Sessanta. “Oggi siamo più pragmatici: pensiamo che ci vogliono grandi iniziative per l’energia pulita e per il risparmio di energia”. Siamo ad un punto di svolta: non possiamo trascurare ulteriormente la salute del nostro pianeta. Mentre dice questo,  scuote la testa e aggiunge: “Se ce lo fanno fare”. Il problema è quello dei finanziamenti. Hoffner ricorda che tra il 1958 e il 1975 sono stati spesi almeno 25 miliardi di dollari, pari a circa 150 miliardi di oggi, e sono state coinvolte centinaia di migliaia di persone, a diverso titolo, nell’impresa spaziale. Un’impresa che rappresenta il più grande investimento di tecnologie della storia, un’impresa che ha significato credere come non mai nella ricerca. A parte la crisi attuale, scoppiata nei mesi scorsi, “gli Stati Uniti negli ultimi dieci anni hanno accumulato un crescente deficit innovativo, investendo meno in informatica, micromeccanica e biotecnologie”: queste sono parole di Paul Krugman, Nobel dell’economia 2008, che denuncia, dunque, un trend negativo per la ricerca iniziato ben prima della crisi dei subprime. Insomma la situazione non è rosea. Facciamo presente a John Hoffnar che nelle sue parole c’è un evidente scetticismo velato di pessimismo che non ci aspettavamo nel cuore della ricerca mondiale e soprattutto nell’era di Obama. E appena sente nominare il presidente Obama, cambia espressione: “La nuova amministrazione rappresenta la speranza per la ricerca, ha priorità diverse rispetto alla precedente e l’ambiente sta realmente tra queste”. Obama può dare un’accelerata e contribuire a saldare quel deficit innovativo, che anni di esborsi per le guerre hanno lasciato in eredità. E’ una speranza,  ribadisce Hoffner spiegando però che “Obama non potrà tradurla in realtà senza cambiare il corso dell’economia”.
Dopo l’impronta dell’uomo sulla Luna è sembrato quasi che l’umanità raggiungesse l’apice delle proprie potenzialità: il presidente John Fitzgerald Kennedy, che morirà sei anni prima dell’allunaggio, di fronte alla prospettiva dello sbarco sulla Luna, scriveva: “Se riusciremo a superare la serie infinita di difficoltà, a partire da quella di un viaggio a una temperatura che è la metà di quella del sole, dobbiamo essere orgogliosi e audaci”. Oggi, ci conferma Hoffner, sono i robot a rappresentare  l’ennesima frontiera per l’immaginario. Al MIT se ne stanno mettendo a punto di straordinari, con applicazioni dal contesto medico al contesto domestico. Sostituire l’uomo stesso è l’ennesima frontiera della sfida dell’umanità a se stessa ma – aggiunge Hoffner – sempre a patto di non dimenticare dove l’uomo vive.

Il Riformista 21 luglio 2009