Voto in Italia, Giovagnoli: in evidenza la debolezza dei partiti

Si moltiplicano incontri e consulti all’interno dei partiti e tra diversi schieramenti e delegazioni dopo il secondo giorno di votazione senza risultati in Parlamento per scegliere il capo dello Stato. Lo storico Agostino Giovagnoli: la forza di ciascun schieramento non sta nel cercare visibilità e posizioni di potere, ma nel fare scelte di convergenza

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Anche al secondo giorno di scrutini per l’elezione del presidente della Repubblica italiana è stata pioggia di schede bianche. Mercoledì 26 è il terzo e ultimo giorno di votazione a maggioranza qualificata, poi da giovedì il regolamento prevede la maggioranza assoluta. Ma c’è chi chiede di valutare l’ipotesi di  una seconda votazione giornaliera.

Non è la prima volta che si devono attendere più votazioni per arrivare all’elezione, ma indubbiamente in questi giorni si sta scrivendo una particolare pagina della storia politica dell’Italia per una elezione presidenziale che ha dirette ricadute sull’equilibrio del governo. Della particolare situazione parla lo storico Agostino Giovagnoli, professore ordinario presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore:

Per usare un’espressione che esprima le difficoltà che si respirano per questo voto lo storico Giovagnoli usa una metafora: la politica è malata, ma la malattia è la debolezza dei partiti. Le vicende di questi giorni rilevano – mette in luce Giovagnoli – questa debolezza, che rappresenta una costante degli ultimi ultimi 30 anni e che oggi si avverte con particolare forza. E’ evidente, perché – spiega –  i partiti non sono in grado di indicare la strada,  che non deve corrispondere alla espressione di “forza” di uno o dell’altro, ma dovrebbe essere espressione del sistema dei partiti nel loro complesso. Il punto – sottolinea – è che il sistema risulta indebolito.I partiti dovrebbero convergere in scelte per il bene del Paese ma, meno sono forti, meno riescono a convergere su una scelta.

I rischi di un Parlamento diviso

Lo storico spiega ancora che è normale che il Parlamento raccolga personalità, idee più diverse. Ma oggi si parla di Parlamento particolarmente diviso in base a un concetto preciso e legato al fatto che i partiti non sono in grado di far convergere rappresentanze parlamentari in alleanze o altre forme di convergenza. E’ normale che ogni parlamentare abbia un suo bagaglio ma i partiti dovrebbero costituire quel fattore di equilibrio che spinge alla ricerca di convergenze. Dunque – commenta Giovagnoli –  torna evidente oggi la questione della loro debolezza, una debolezza che sembra destinata anche in futuro a pesare sul governo. Secondo Giovagnoli i partiti vogliono avere un peso, giocare un ruolo cercando visibilità, e questo significa avere obiettivi limitati e non un grande disegno strategico. La forza reale – secondo lo storico  – non corrisponde alla capacità dei partiti di occupare posizioni di potere, piuttosto a quella di compiere delle scelte.

La particolarità di un affollato gruppo misto

Altro aspetto messo in luce dallo storico in questa fase è che nel Parlamento si è raggiunto un numero senza precedenti di deputati che hanno lasciato la parte politica di appartenenza, al momento in cui sono stati eletti, per ritrovarsi nel cosiddetto gruppo misto. Certamente, se il fenomeno è eccessivo nei numeri siamo di fronte a una “degenerazione del sistema”:si tratta di quasi cento persone su 1009 grandi elettori. La risposta però  – sottolinea Giovagnoli – non può essere quella di mettere in dubbio la legittimità di cambiare, tutelata dalla Costituzione con l’Articolo 67.  Non è un problema di norme da cambiare per impedire il passaggio. Piuttosto – ribadisce – bisogna interrogarsi su quanto accade a monte: un numero così alto indica quanto è cambiata la politica in Italia e quanto rapidamente siano cambiati i partiti. Alcuni – sottolinea – hanno proprio cambiato natura.

La presidenza, un ruolo decisivo

Viene riconosciuto – come ha ricordato il presidente uscente Mattarella – che il  presidente della Repubblica in Italia è arbitro nel gioco costituzionale. Giovagnoli a questo proposito spiega che in uno scenario frammentario è chiaro che diventa ancora più importante il ruolo di arvitro. Se i partiti acquistano forza – ribadisce –  il suo  ruolo è meno impegnativo, al contrario ci può essere una situazione difficile come quella che ha affrontato e gestito Mattarella nel suo mandato. Il presidente – afferma Giovagnoli – non è una figura politica, ma deve avere una grande cultura  politica e una forte sensibilità politica.

 

 

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