Quando l’accoglienza diventa integrazione

Un Centro di assistenza straordinaria in Puglia registra record di impiego tra immigrati

di Fausta Speranza
Un Paese in rivolta per l’arrivo di un gruppo di migranti africani e un Paese che registra un record di contratti a tempo indeterminato per giovani neri: sembrano due storie diverse di posti differenti, ma invece parliamo della stessa comunità vista in due momenti distinti e di una vicenda che la rende un modello in Italia e non solo. È la storia del comune di Fasano, nella regione Puglia, e più precisamente della Casa del Sole che ospita richiedenti asilo. Giuridicamente è un Cas, Centro di assistenza straordinaria.

In realtà, l’accoglienza non è fuori dell’ordinario nel senso di emergenziale, ma lo è per gli standard di integrazione, tanto da meritare a giugno 2019 un encomio da parte della Prefettura di Brindisi. Tra tanti resoconti di tensioni e difficoltà legati alle migrazioni — spesso amplificati dai media assetati di sensazionalismo — la Casa del Sole racconta una storia positiva.

Tutto comincia nell’estate 2016, segnata, quasi come l’anno precedente, da flussi intensi di sbarchi sulle coste del Mediterraneo e sulla rotta balcanica. Nel cuore della notte, il sindaco di Fasano, Francesco Zaccaria, viene assediato da messaggi e telefonate di cittadini che hanno saputo che la Prefettura, in affanno, sta assegnando al comune 30 africani: la reazione di chiusura — ci assicura Zaccaria incontrato nel suo palazzo comunale d’epoca — è stata compatta. A tutti sembrava assurda l’idea di dover subire quella che — racconta con un sorriso — veniva definita “un’invasione di neri”. E per lo più nella frazione di Laureto, zona residenziale e abitata da famiglie benestanti. Il sindaco ci confessa di aver vissuto un momento difficile, in particolare perché il suo mandato era cominciato da pochissimi giorni. Poi è arrivata quell’idea che ha «disinnescato la bomba» pur essendo — sono sempre parole di Zaccaria — «una proposta banalissima», cioè quella di accogliere in piazza i ragazzi appena arrivati insieme con i più accaniti difensori della territorialità. Lo ha fatto «pensando che c’erano paure da una parte e dall’altra, ma soprattutto persone e le persone possono parlarsi solo se si conoscono».

A sovrintendere all’incontro c’era Stefania Baldassarre, avvocato e imprenditore che ha assunto l’onere di gestire la struttura sita su un terreno di proprietà della diocesi di Brindisi Ostuni. Anche lei, come il sindaco, ci racconta che non ci sono volute troppe spiegazioni. Dopo pochissimi scambi, soprattutto di sguardi, la gente non si è più opposta. Qualcuno è andato a prendere qualcosa di caldo.

Alla Casa del Sole, a tempo di record, tutto è stato predisposto. L’impegno di Baldassarre, che da allora con polso gestisce la situazione, è andato via via ben oltre l’assistenzialismo. Sono arrivati i fondi messi a disposizione dalle autorità, e per i ragazzi sono cominciate giornate di assistenza legale e soprattutto di apprendimento: dai corsi di italiano a percorsi di preparazione professionale. Un ragazzo, con grande orgoglio anche se con un italiano stentato, ci ha detto di aver fatto «la scuola pizzaiola». Un altro ci assicura: «Ho imparato ad essere un bravo elettricista anche in Italia perché qualcosa da Paese a Paese cambia e soprattutto ora posso capire e farmi capire sul problema che c’è, mi dicono che sono bravo».

La formazione è il tratto caratteristico della Casa del Sole, che peraltro ha una tradizione di accoglienza perché fino a pochi anni fa ospitava un orfanotrofio. Abbiamo visitato questo centro che si distingue innanzitutto per la bellezza del luogo, per l’atmosfera amichevole, ma soprattutto per la precisione e per il rispetto delle regole. Abbiamo parlato con molti dei 90 giovani attualmente ospitati, di cui la maggior parte proviene dall’Africa e solo alcuni dal Medio Oriente o dal Sud est asiatico. Non citiamo i loro nomi per rispetto del procedimento legale in corso in Italia per rispondere alla loro richiesta di asilo. Comunque, in tutti i colloqui, questi ragazzi ci hanno parlato dell’impegno per assicurarsi una qualche professionalità. Ci hanno comunicato «l’ansia di fare qualcosa, fare un lavoro». È toccante rendersi conto che hanno voglia di parlare del loro futuro, che sognano di tranquillità, molto più delle loro vicende personali. Quando sono sollecitati a farlo, cambia l’espressione del loro volto. Le parole, che pure in italiano sono sempre imprecise o pronunciate in modo buffo, si fanno lapidarie: per molti di loro c’è stato il passaggio in Libia. Bisognerebbe riuscire a raccontare la smorfia di dolore che si manifesta sui loro visi quando citiamo i campi profughi in questo Paese dell’Africa settentrionale. Sentiamo di far loro violenza. Ci bastano le parole disperate di uno di loro: «Ho visto fare violenze ma la cosa più brutta è stata vedere l’inganno: quando arrivi, alcuni degli sfruttatori hanno i giubbotti dell’Unhcr (l’organizzazione Onu per i rifugiati) così tu ti fidi e li segui. E non pensano alla disperazione di quando scopri che non sei nelle mani di gente che ti vuole aiutare, ma di uomini senza umanità». Un altro ci confida: «Chi parla di razzismo in Italia non sa cosa sia il razzismo, non sa cosa sia il disprezzo di un uomo per la vita di un altro uomo: lo sai solo se vai in Libia». E aggiunge: «Sì lo so che c’è qualcuno che non ci vuole in Puglia, ma non è vero odio e sono pochi. Tanti sono felici di farci lavorare».

In effetti c’è un dato incontrovertibile: i meno ostili alla prospettiva che questi migranti restino sul territorio sono gli imprenditori. Ne abbiamo incontrati due, titolari di esercizi commerciali. Entrambi hanno sottoscritto contratti a tempo indeterminato per due giovani che definiscono «volenterosi e bravissimi in cucina». Uno, proprietario di due ristoranti, nella nostra conversazione spiega: «Hanno la voglia di fare sacrifici che si aveva noi negli anni cinquanta, la voglia di fare e l’umiltà. È quello che ho imparato io da mio padre che ha aperto questo ristorante 40 anni fa, ma si fa difficoltà a farlo passare ad alcuni dei nostri giovani che vorrebbero solo lavori comodi».

Certamente per l’inserimento è fondamentale quella formazione di base su cui batte tanto l’avvocato Baldassarre. E non solo. Abbiamo incontrato anche il vice prefetto di Brindisi, Maria Rita Coluccia, che ribadisce lo stesso concetto esprimendo seri timori: «Finora non si è messo mano praticamente ai bandi per il rinnovo dei mandati di gestione dei Cas, ma se rimarrà in vita il cosiddetto Decreto Sicurezza, approvato a novembre 2018 dal governo M5s-Lega, saranno ridotti notevolmente i fondi e tante attività non saranno più possibili». Il viceprefetto Coluccia parla di «capitolati che potrebbero essere rivisti». In concreto, il decreto Salvini, dal nome dell’allora ministro dell’interno Matteo Salvini, ha ridotto i fondi: da 35 euro per migrante si è passati a 20. Un taglio che significa fare a meno di psicologi e insegnanti di italiano, ridurre drasticamente le ore del mediatore culturale e dell’assistente sociale. Pensando a questi lavoratori, significa licenziare sul territorio italiano 18.000 persone. Per i migranti significa che, privati di questo tipo di assistenza, rischiano di venire abbandonati a loro stessi e, una volta fuori, di essere fagocitati dal circuito del lavoro nero, del caporalato, della mafia. Tra l’altro, viene anche abolita la sorveglianza notturna nei centri, trasformati in dormitori più insicuri per tutti.

Anche Casa del Sole ha cominciato ad affrontare alcuni tagli e con i prossimi bandi di assegnazione dovrà fare i conti con le nuove cifre. L’espressione solare dell’avvocato Baldassarre quando parla dei progressi nel rispetto delle regole o dei successi lavorativi dei suoi ragazzi cambia quando affrontiamo questo discorso. Nelle sue parole, estremamente competenti e battagliere, c’è l’impegno a mettere in campo tutti gli strumenti giuridici possibili per difendere gli standard raggiunti.

Ma poi c’è anche un moto di fiducia: «Non credevamo di poter fare tutto quello che il Signore ci ha aiutato a fare finora, in qualche modo non ci abbandonerà». Sono tanti gli aspetti che fanno del Cas Casa del Sole un centro di assistenza straordinaria.