Antidoto al negazionismo

Insieme ai giovani e ai volontari del Treno della Memoria diretto ad Auschwitz
dal nostro inviato Fausta Speranza

A 15 anni dal primo Treno della Memoria, voluto per portare i giovani a toccare con mano ciò che resta di Auschwitz, al gruppo in visita quest’anno si sono uniti ex studenti, protagonisti di quella prima particolare esperienza di visita scolastica al campo di sterminio passato alla storia come “il più infame” di tutti. Questi giovani uomini e donne oggi sono volontari dell’Associazione Treno della Memoria, perché — ci ha detto Fabrizio, diventato ingegnere — «quel viaggio mi ha cambiato la prospettiva di vita». «Ho imparato a sentire la comunità e a sentirmi in comunità», ci dice Fabrizio spiegando che «nella solitudine dello sgomento per la negazione dell’umano che ti si palesa ad Auschwitz, allora senti di stringerti a tutti coloro che come te rifiutano tutto ciò, agli uomini che rigettano logiche di odio tra esseri umani».

L’iniziativa del Treno della Memoria è nata l’anno prima della risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale dell’Onu che dedicava il 27 gennaio, giorno in cui le truppe russe entrarono ad Auschwitz, a ricordare l’orrore della Shoah. Ma su tutti prevale un anniversario: 80 anni fa la Germania nazista e l’Unione Sovietica di Stalin davano il via all’invasione della Polonia. Il 1939 non è solo simbolo della follia di due stati (regimi) che volevano spartirsi il territorio polacco annichilendo lingua e cultura locale, ma resta l’anno di inizio del dramma della seconda guerra mondiale che non ha risparmiato nessuno in Europa. Quest’anno il dovere della memoria è più significativo che mai.

Ma «l’urgenza di ricordare non sta solo negli anniversari, piuttosto nel clima che respiriamo». A parlare è Golda Tencer, responsabile dell’associazione polacca Fiamma della Memoria, che promuove progetti e iniziative per ricordare la Shoah, partendo dall’accensione di una candela in ogni abitazione il 27 gennaio. Golda, che è una nota artista ed è presidente della comunità ebraica di Varsavia, ammonisce: «Oggi è diventato difficile far parlare cittadini di diversi paesi europei tra loro quando si discute di politica e lo è anche tra polacchi: non è una buona premessa per evitare che l’odio si rinfiammi».

Non sono un segreto i dati sulla recrudescenza dell’antisemitismo in Europa. Secondo la ricerca commissionata dal parlamento europeo e pubblicata in questi giorni, la popolazione ebraica nell’Ue è in declino, scesa da circa 1,12 milioni nel 2009 a 1,08 milioni nel 2017. Anche la comunità ebraica francese, la più numerosa nell’Ue, è diminuita, passando da circa 500.000 membri nel 2002 a non più di 450.000 L’emigrazione, principalmente verso Israele, è il principale fattore alla base della tendenza, che si è intensificata negli ultimi anni, secondo la ricerca, sotto forma di «negazione e banalizzazione della Shoah, glorificazione del passato nazista, sentimento antisemita dovuto alle leggi sulla restituzione delle proprietà e odio a causa delle politiche israeliane. Include violenza verbale e fisica; minacce; insulti di ebrei che vanno a sinagoghe; molestie contro i rabbini; ripetuti attacchi agli ebrei con simboli della loro religione; incitamento all’odio; bullismo antisemita nelle scuole; e danni alla proprietà, compreso l’incendio doloso». Tanto che il Consiglio europeo, nel dicembre 2018, ha adottato una dichiarazione sulla lotta contro l’antisemitismo e un approccio di sicurezza comune per proteggere meglio le comunità e le istituzioni ebraiche in Europa. E i capi di stato e di governo Ue sono tornati a invitare «gli stati membri a garantire che siano puniti l’istigazione pubblica alla violenza o all’odio per motivi di razza, religione, discendenza o origine etnica o nazionale». E preoccupa la sottovalutazione da parte di alcune forze politiche che ostentano disinteresse, se non fastidio per il ricordo della Shoah.

Auschwitz dista 45 chilometri dalla bella cittadina di Cracovia, uscita non distrutta dal conflitto come altre città, meta turistica da sempre e in particolare nella situazione di ritrovato benessere che vive oggi la Polonia. Nei ritmi di vita che si ritrovano praticamente in tutte le cittadine del mondo è difficile trovare persone disposte a soffermarsi per parlare di quello che è accaduto nel vicino campo di concentramento, che è rimasto alla storia ma che rappresenta solo uno dei 1500 voluti dalla diabolica strategia nazista e costruiti sotto il controllo delle ss.

Chi si ferma, come un distinto signore di 60 anni ma anche una giovane signora di 35, condivide «il rischio che cambi qualcosa nella percezione collettiva quando scompariranno anche gli ultimi testimoni, i sopravvissuti».

Alla vigilia della visita al campo del gruppo di circa 300 ragazzi che seguiamo — in media ogni anno 3000 studenti italiani delle scuole superiori e del primo anno dell’Università vengono ad Auschwitz — Paolo Paticchio, presidente dell’Associazione Treno della Memoria, ci spiega che «portare i ragazzi di queste generazioni così inclini a selfie e a video ritoccati rende evidente l’impatto di Auschwitz perché i ragazzi capiscono che non è un set e non è una ricostruzione, è storia vissuta». È il primo antidoto al negazionismo, che purtroppo sembra dilagare come un virus sui social. È il momento delle fake news e dei messaggi emozionali e sembra passare in secondo ordine il rispetto della verità e il coraggio della ricostruzione. Ma Paticchio assicura: «Non è così quando i ragazzi si ritrovano ad Auschwitz: qui, al di là di qualunque convinzione avessero prima di partire, capiscono la verità».

Purtroppo è innegabile che le dinamiche umane di disprezzo e di odio siano ripetibili. Deve essere ripetuto anche il messaggio della memoria vigile. Golda Tencer sostiene che quest’anno la Fiamma dovrebbe essere tenuta accesa in ogni casa e in ogni scuola tutto l’anno.

L’Osservatore Romano, 1 febbraio 2019