Dal Mozambico in fuga verso il Malawi

Torna il clima da guerra dopo il ventennio di pace

di Fausta Speranza

Undicimila rifugiati in Malawi dal Mozambico, Paese dell’Africa orientale in cui, a 20 anni dal raggiungimento della pace, è tornato da tempo un clima di guerra.  L’Organizzazione internazionale per le migrazioni, Oim, conferma che da dicembre si registra un aumento degli arrivi con picchi di 250 persone al giorno.

Tanti arrivano come primo approdo nel campo di Kapise, nel distretto di Mwanza, a sud, ad appena 300 metri dalla frontiera con il Mozambico. Per mesi la maggior parte dei richiedenti asilo ha vissuto in condizioni di sovraffollamento in un’area di circa 100 chilometri a sud di Lilongwe, la capitale del Malawi, che in tutto conta 14 milioni di abitanti. Ad aprile, il governo del Malawi ha autorizzato l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, l’Unhcr, a ricollocare i richiedenti asilo in un’area che anni prima ospitava un campo per rifugiati a Luwani, a sud est, riutilizzata ora a questo scopo. Si tratta di un tragitto di 320 chilometri. Sono partiti solo i primi convogli. Non sono mancati e non mancano grandi disagi per i migranti.

Bisogna capire da cosa fuggono. In Mozambico si registrano scontri armati in aumento nelle province centro-settentrionali di Tete, Zambezia e Sofala. Soprattutto da lì fuggono gli sfollati.

A combattere sono i militari legati alla Renamo che sferrano attacchi all’esercito governativo, che risponde con azioni di dura repressione. La popolazione civile è fortemente coinvolta.

Bisogna tornare indietro e ricordare che  il Mozambico ha conosciuto la tragedia della guerra civile dal 1977 al 1992, con la contrapposizione tra il Frelimo, il partito di area socialista al governo dall’indipendenza dal Portogallo nel 1975, e la Renamo, il movimento politico di opposizione legato al blocco occidentale e protagonista della rivolta armata.  Il 4 ottobre 1992, dopo un’intensa opera di mediazione della Comunità di Sant’Egidio e della diplomazia italiana, le due parti hanno raggiunto l’accordo di pace.

Il punto è che dal 2013 è scoppiata una forte tensione che è sfociata da un anno in una grave crisi politica, che vede contrapposti esponenti del Frelimo, l’attuale partito al potere, ed esponenti della Renamo, l’ex movimento di guerriglia divenuto il principale partito d’opposizione.

I primi segnali di peggioramento del clima politico sono arrivati con la minaccia del vecchio leader della Renamo, Afonso Dhlakama, di raggiungere il suo piccolo esercito, che gli accordi di pace avevano mantenuto in vita, nella zona montuosa di Gorongosa, in provincia di Sofala, minacciando il ricorso alle armi. Sono seguite trattative tra il governo e la Renamo che, però, non hanno portato ad alcun risultato. Sono scoppiati i primi incidenti, che sono via via aumentati, fino a rendere la situazione esplosiva.

Alle sofferenze della popolazione guarda la chiesa locale, che chiede la collaborazione di tutti per la pacificazione. La Conferenza episcopale del Mozambico, Cem, ha indetto per  domenica 22 maggio, festa della Santissima Trinità, una giornata di preghiera.

La stabilizzazione del Paese sembrava un traguardo ormai raggiunto ma è improvvisamente rispuntata la minaccia di una nuova guerra fratricida. Questa volta sembra che più che le ideologie c’entrino le risorse minerarie.

A questo proposito ci racconta qualcosa Pietro De Carli, che per anni ha coordinato progetti  di ricostruzione in Paesi africani e poi in Afghanistan, autore di recente del volume Fuga a Occidente. Migrazioni nella globalizzazione, edito da Albatros, che invita ad andare al di là del focus su Mediterraneo e rotta balcanica.

Significative le scoperte di carbone, gas, petrolio e terre rare. Le tensioni, dunque, più che a rancori antichi sembra siano legate a nuove partite per il controllo dei proventi e delle royalty dei giacimenti.

La fase di sviluppo economico è stata vissuta dalla popolazione con un rialzo del Prodotto interno lordo, Pil, ma senza un sensibile miglioramento delle condizioni di vita.  Per non parlare di quanti sono stati coinvolti direttamente negli espropri delle ampie estensioni di aree agricole affidate in concessione a lobby internazionali, avvenuti di pari passo con la distruzione di vaste aree forestali. La corsa all’eldorado delle materie prime a basso costo tocca soprattutto il Nord del Paese e coinvolge multinazionali occidentali e Paesi emergenti, come Cina, India e Brasile. Un esempio, la multinazionale brasiliana “Vale” è assegnataria dell’enorme miniera di carbone di Moatize, in provincia di Tete, dove è avvenuto uno degli episodi di violenza, con la polizia che ha disperso un centinaio di manifestanti che rivendicavano la tutela dei diritti delle comunità locali.

Altri esempi di teatri di violenza. Il 27 aprile, racconta de Carli, un gruppo di contadini ha scoperto una fossa comune contenente 102 corpi in una zona denominata “76” del Monte Gorongosa, dove si concentrava il nucleo armato della Renamo, in prossimità di un cantiere stradale e degli scavi di una miniera abusiva.

In definitiva non sembra possibile pensare solo a una gestione dell’emergenza da parte dell’Unhcr.

Osservatore romano 17 Maggio 2016