Progetto Pompei: arrivati soldi ma ….

Il “Grande Progetto Pompei”: arrivati soldi, attenzioni mafiose, esperti, ma mancano i custodi

di Fausta Speranza


105 milioni di euro, 66 ettari di area archeologica, 22 nuove assunzioni: sono i numeri essenziali del Grande Progetto Pompei che in questo mese dovrebbe avere una svolta operativa.  Intanto, per quanto riguarda i soldi, la Direzione Investigativa Antimafia ha già bloccato due appalti perché in odore di cosche mentre, per quanto riguarda il nuovo personale, restano comunque scoperte le guardiole dei custodi.
Dal 2010 le cronache non risparmiano gli allarmi su Pompei per crolli vari. Quello alla Schola Armatorum, o meglio conosciuta come Casa del Gladiatore, suscitò, oltre alla sollevazione dei media internazionali, l’appello duro del presidente Napolitano. Da lì partì qualcosa di concreto, il Grande Progetto Pompei per il quale l’Unione Europea contribuisce con 40  milioni di euro e l’Italia impiega 60 milioni dei fondi che sempre da Bruxelles provengono e che avrebbero preso altre vie. Fanno 105 milioni, di cui 70 potrebbero essere impiegati già entro la fine dell’anno. Ci sono progetti e idee. Sono arrivati da circa un anno al sito di Pompei 13 nuovi archeologi e 8 tra architetti e funzionari. Se a qualcuno sembrano pochi, va ricordato che prima gli archeologi erano 4. Ma il punto è che mancano custodi. Al momento si verifica che sulla carta a coprire i turni dell”intera giornata sono meno di 30 custodi di cui qualcuno ovviamente ogni tanto sta male o sta in ferie. Su 66 ettari di area. Capiamo perché la maggior parte delle Domus di Pompei siano chiuse ai visitatori, oltre al rischio crolli.
Facciamo un giro al sito che conserva il fascino indiscutibile della storia ritrovata, dell’affaccio su ciò che è stato. I turisti non mancano. La maggior parte sono incanalati nei percorsi guidati. Pochi girano da soli. Probabilmente con le poche ore a disposizione delle gite organizzate, tanto più se di altri paesi o continenti, non si accorgono più di tanto di quanto non sia visitabile. A chi si sofferma, fanno effetto i tanti cartelli di vietato l’accesso. I pannelli sanno di posticcio ma di un posticcio logorato dal tempo. Anche noi scegliamo una guida, anzi due. Si tratta di due dei giovani archeologi assunti in quella che ci piacerebbe pensare come la nuova era di Pompei. Si chiamano Luigi Scaroina e Laura D’Esposito. Sono giovani e disponibili a dedicare del tempo che dovranno recuperare anche se già fanno sistematicamente 20 ore di straordinario al mese che nessuno paga loro. Sono concreti e diretti. Ci accompagnano dove vogliamo. Scaroina ammette i grandi problemi del sito ma ci invita anche a guardare le cose da vicino e non con i riflettori dei media. Ci spiega con documentazione alla mano che il grande crollo del 2010 in realtà è consistito in una sola pietra antica più una parte di cemento armato messo ovviamente di recente. Non doveva succedere ma Scaroina chiede maggiore attenzione prima di strillare che crolla Pompei. Un richiamo a far prevalere la precisione sul sensazionalismo non fa mai male. Ci sono da ricordare in realtà altri cedimenti come quello al teatro piccolo che inquietano perché si immagina quanti altri simili potrebbero accadere. E poi ci sono flash di immagini che non vorremmo vedere: angoli di incuria o ad esempio le teche con i calchi che ci restituiscono l’immagine dei corpi rapiti alla vita nel sonno e che contengono le ossa di quelle persone conservate come solo gli scherzi della natura possono fare. Le teche sono a malapena coperte ma sono vecchie e non hanno termoregolazione. Ricevono i flash delle foto di forse tutti i 2 milioni di visitatori che ogni anno accedono al sito. Facendo mente locale sul numero di esperti e soprattutto su quello del personale che dovrebbe sorvegliare interventi e comportamenti, e considerando la ampiezza dell’area archeologica, i conti non tornano.
Scaroina ci assicura che alcuni progetti di intervento sono partiti. E poi ci parla appassionatamente dei progetti più importanti che potrebbero partire. Studiati, preparati, in attesa dell’avvio. E’ chiaro chi dovrebbe dare il via: il nuovo Direttore Generale per gli scavi di Pompei. E’ figura nuova, voluta di fascia dirigenziale più alta. E’ la seconda novità dopo lo scorporo delle Soprintendenze: fino ad ora una sola Soprintendenza si occupava di Napoli e Pompei.  Con la conseguenza di accorpare due territori difficilissimi e diversissimi. Tra i miracoli prodotti dall’emergenza crolli, che pure non avremmo voluto avere, c’è quello di una Soprintendenza per la sola zona archeologica di Pompei. Ma il punto è che il nuovo Soprintendente può poco a livello operativo senza il Direttore Generale. Il tutto sotto il cielo d’Italia, dove non ci sono tempi certi per le nomine e dove la durata del governo è messa in dubbio un giorno su due.
C’è un conto da fare subito a proposito di Soprintendenza unica.  Verifichiamo che l’introito dei biglietti per la visita al sito fruttano 25 milioni di euro l’anno. Finora erano inghiottiti dalla cassa comune dell’unica Soprintendenza. Ora arriveranno a quella che gestisce solo Pompei. Anche questo dovrebbe significare qualcosa oltre ai 105 milioni. In attesa che significhi interventi di messa in sicurezza o altro, per il momento rappresenta un’attrazione fatale per le mafie. Parlando con Scaroina, si respira ottimismo: già in due casi, l’intervento assegnato a una ditta è stato sospeso perché, in questa nuova era, la torta sta sotto lo stretto controllo della Dia, Direzione Investigativa Antimafia. E Scaroina lancia un’altra stoccatina ai media: si chiede perché gridano all’allarme ogni volta che si viene a sapere di un sopralluogo della Dia in uno dei cantieri: fa parte della doverosa vigilanza che è scattata da alcuni mesi e dovrebbe rassicurare piuttosto che allarmare. E’ un punto di vista più che comprensibile e fa bene pensare che ci sia qualcuno che non teme controlli, in questa Italia un po’ sgangherata dove a volte sembra che chiunque abbia qualcosa da nascondere. Ma il punto è un altro. Anche Scaroina deve ammettere che il blocco delle due ditte in odore di mafia ha già fermato di molto i passi che anche in attesa del nuovo Direttore generale si erano potuti fare. E si abbandona a un sospiro quando gli ricordiamo che la scadenza per il compimento del lavoro affidato al Grande Progetto Pompei per il restauro e la messa in sicurezza c’è e non è poi lontana: è il 2015. Ci viene da pensare che, seppure a titolo diverso, tanti dei soldi provengono da Bruxelles e dunque questa volta a qualcuno dovremo rendere conto. Anche qui respiriamo un’aria nuova: Scaroina sorride tradendo una certa soddisfazione sul fatto che qualcuno verificherà il lavoro fatto. Si respira voglia di fare e non è poco.

Tra tanta doverosa preoccupazione di salvaguardia, però, torna forte il pensiero dello studio di ciò che è stato. Tanto si è ricostruito della vita a Pompei al momento della terribile eruzione del Vesuvio nel mese di agosto del 79 d.C., ma tanto c’è ancora da scoprire. Per esempio ci sarebbe da analizzare gli elementi sulla vita precedente agli ultimi anni di Pompei prima dell’eruzione. Gli studiosi non mancano: ogni anno ottanta università ottengono permessi mirati a missioni di studio particolari. Provengono da 15 Paesi diversi. Operano sul terreno già scavato con rilevazioni e esplorazioni  circoscritte. A nessuno è dato di sognare di scavare i 22 ettari ancora non esplorati. La reazione di tutti, amministrativi o archeologi, è la stessa: è impensabile, per i costi insostenibili. Emerge dagli archeologi anche una sottile ma ferma consapevolezza: l’umanità oggi non è all’altezza. Molto più opportuno pensare che la terra, che “conserva molto meglio di qualunque mano d’uomo”, preservi ancora per un po’ tesori che forse ad altre generazioni sarà possibile disvelare. Nessuna domanda scalfisce la sicurezza della risposta: da 30 anni sostanzialmente si studia e preserva ciò che è emerso e non si scava; è tutto quello che si può fare. Sentiamo la mancanza di una voce discordante. Vorremmo sentire uno slancio visionario magari un po’ romantico, vorremmo percepire l’ostinazione della curiosità che altre epoche hanno tanto conosciuto. Sarebbe un sentire antico eppure forse nuovo per questa epoca di oscurantismo della cultura.
da Area di ottobre 2013