Il rapporto tra le religioni 10 anni dopo l’11 Settembre

10 anni dopo l’11 Settembre, “Negli ultimi giorni alcuni ritenevano che ciò non sarebbe stato possibile, a causa dei tragici eventi negli Stati Uniti…”. Esattamente 11 giorni dopo il drammatico 11 Settembre 2001, Giovanni Paolo II pronunciava queste parole, mettendo piede in Kazakhistan, paese dell’Asia centrale a maggioranza musulmana ma di tradizione multietnica e multireligiosa. Le sue parole erano ferme come la decisione di mantenere la prevista visita pastorale ad Astana e in Armenia nonostante l’alto allarme internazionale e lo choc delle Torri gemelle.
E’ stato subito evidente a tutti, oltre al dolore e alla paura, che l’attentato a New York fosse uno di quei fatti che segna un prima e un dopo. Passati dieci anni, sono stati fatti tanti bilanci. Tra questi ce n’è uno particolarmente delicato: sul rapporto tra le religioni. Si parlava a gran voce, con timore, di un possibile scontro di civiltà. Oggi, un po’ sottovoce, si riconosce che le tre principali religioni, monoteiste, si presentano una di fronte all’altra ognuna con un rispettivo bagaglio di “fondamentalismo” al loro interno che dieci anni fa non aveva lo stesso spazio.
L’11 Settembre è figlio del fondamentalismo islamico e dunque nel caso del mondo musulmano è palese come il fenomeno fosse già in atto. Nel caso del giudaismo e del cristianesimo invece dobbiamo riconoscere che in questi dieci anni di inizio Millennio le forme di espressione che definiremmo ‘retrò’ si sono moltiplicate e accentuate. Lo sottolinea il prof. padre Giovanni Rizzi, biblista della Pontificia Università Urbaniana, che ci aiuta anche a dare una definizione di fondamentalismo. Ci spiega che si manifesta “quando si accentua una religiosità radicale che compie l’errore grave di fare a meno di alcune delle fonti della propria religione, in particolare della tradizione che media i testi religiosi fondatori con la storia della religione stessa”.  Per l’Islam significa una lettura integralista e politica del Corano che salta la tradizione interpretativa. Per il Giudaismo significa l’esasperazione delle implicazioni politiche. Per l’ambito del Cristianesimo, significa in sostanza trascurare il Concilio Vaticano II in nome di un tradizionalismo, che – dice padre Rizzi – “è una caricatura semplicistica della tradizione”. Il Concilio – afferma – offre ai cattolici documenti che hanno oggi più che mai validità e attualità, eppure in tanti “è venuta meno la speranza del Concilio, la fiducia di costruire”. Come dire che, a 50 anni dall’apertura del Concilio, stiamo attraversando, a parte il ruolo illuminante di uomini di Chiesa, una fase di ripiegamento. D’altra parte, è vero per tutti che senza speranza il ripiegamento è assicurato.
E’ facile trovare letture critiche del fondamentalismo islamico, ed è anche abbastanza facile trovare attente analisi di come un certo mondo ebraico rilegga la storia di Pio XII, ad esempio. Meno facile soffermarsi su quanto accade nel mondo cattolico.
Nel documento Nostra Aetate del Vaticano II si legge: “Nel nostro tempo in cui il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l’interdipendenza tra i vari popoli, la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non cristiane”. Fin qui una consapevolezza che precorreva i tempi. Poi un fermo proposito: “Nel suo dovere di promuovere l’unità e la carità tra gli uomini, ed anzi tra i popoli, la Chiesa in primo luogo esamina qui tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino”. “La Chiesa cattolica – prosegue – nulla rigetta di quanto è vero e santo nelle altre religioni… Considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini”.
Tutto ciò lo ricordiamo per guardare a quanto accaduto a Parigi per lo spettacolo ‘Sul concetto di volto nel Figlio di Dio’, di Romeo Castellucci. Non interessa in questa sede entrare nel merito della valutazione dell’opera che presentava motivi di riflessione ma suscitava anche forti perplessità per alcuni gesti. Il punto qui non è questo: il punto sono alcune manifestazioni aggressive di alcuni contestatori cristiani fuori del teatro dove lo spettacolo veniva messo in scena. Lì – dice padre Rizzi – si è espresso un certo ‘fondamentalismo cattolico’ che non vorremmo vedere. Poi padre Rizzi fa esempi di tutt’altro genere: ricorda la scelta di alcune parrocchie di ospitare in Chiesa musulmani per le loro preghiere, vista l’assenza di loro luoghi di culto. Salvando le buone intenzioni, non si può non temere la confusione tra identità, che non è mai un buon sentiero sul percorso dell’ecumenismo, o sulla via del dialogo. Anche questo può essere estremismo. Inoltre padre Rizzi cita le tendenze di alcuni esponenti di movimenti ecclesiali che pretenderebbero di “sostituire la teologia insegnata nelle università pontificie con surrogati del tutto insufficienti”: vorrebbero ottenere un avvallo di programmi formativi autonomi, senza un vero confronto con tutta la grande tradizione della Chiesa, che non può essere ridotta al pensiero del  fondatore di una realtà ecclesiale. Non è questo il modo di lasciar soffiare lo Spirito che arricchisce la spiritualità dei movimenti ecclesiali. Tutto ciò sa in qualche modo di esagerazione, di esasperazione e di semplicismo irresponsabile. E rischia di essere questa la cifra dei rapporti tra le religioni in un momento storico in cui l’accelerazione delle migrazioni comporta di per sé sfide niente affatto banali.
Intanto si ridisegnano equilibri mondiali in tutto il Medio Oriente e nel continente africano e assistiamo ai massacri di cristiani in Nigeria da parte di gruppi di estremisti islamici. Ci ricorda che è sempre in agguato il rischio delle strumentalizzazioni delle religioni per guerre di potere. E’ un rischio che trascende il periodo in questione e ci riporta a momenti storici che attraversano 1400 anni di storia di rapporti tra musulmani e cristiani. Certamente non c’è solo tutto ciò in questi anni: ci sono quanti guardano alla Congregazione per la dottrina della fede che continua il suo impegno serio e fruttuoso di ermeneutica del Concilio. “Un’ermeneutica – ricorda padre Rizzi – che non è né di destra né di sinistra”. Inoltre ci sono quanti non dimenticano la personale testimonianza di dialogo che ha vissuto papa Giovanni Paolo II, oggi Beato. Papa Wojtyla – va detto – proprio seguendo l’entusiasmo del Concilio ‘apriva porte’ e comunicava aperture ma nello stesso tempo chiamava il teologo Ratzinger alla guida della Congregazione per la Dottrina della fede, quasi come ideale “controparte” di tanto slancio. Padre Rizzi dice: “Con il cardinale Ratzinger Giovanni Paolo II si assicurava note di accortezza, di ponderatezza”. Ecco la cifra della Chiesa ufficiale che però alcuni rischiano di trascurare. E c’è anche altro: c’è l’impegno del magistero di Benedetto XVI. Troppo facile citare solo l’episodio di Ratisbona, con gli effetti di tensione procurati da una certa interpretazione delle parole del Papa, o la tensione con gli ebrei per l’apertura al vescovo lefebreviano negazionista. C’è molto altro, a partire dalla storica visita di Benedetto XVI alla Moschea Blu di Instanbul, in Turchia. C’è il dialogo importante con i musulmani che Benedetto XVI è riuscito a proseguire su un piano culturale, visto che in questa fase storica è praticamente impossibile il dialogo sul piano teologico. Una scelta accorta che può portare frutti importanti, spiega padre Rizzi. Una scelta che sembrerebbe paradossale sotto il Papa teologo per eccellenza. Ma il cammino intravisto dalla Nostra Aetate non è mai stato definito facile in nessun documento e non può esserlo nel contesto del “trend epocale all’estremismo” individuato da padre Rizzi. Bisogna aggiungere qualcosa: quando, nel 2007, 138 saggi musulmani hanno scritto a Benedetto XVI una lettera chiedendo in sostanza di riprendere il dialogo – anche con l’intento di superare l’accerchiamento internazionale e la possibile equivalenza tra Islam e estremismo – chiedevano un dialogo teologico. Con la sua risposta attraverso il segretario di Stato cardinale Bertone, Benedetto XVI ha invece messo a fuoco l’impegno sul piano culturale. Questo la dice lunga sugli anni di cui stiamo ragionando. Padre Rizzi riconosce: “Il mondo cattolico ha bisogno ancora di chiarimenti interni prima di un dialogo teologico con l’Islam”. E c’è da dire che alcuni frutti si sono visti: i saggi da 138 sono diventati presto 500 e dopo la prima adesione di sunniti anche gli sciiti hanno aperto un tavolo di trattative. Intanto proseguono sotto il magistero di Benedetto XVI gli incontri ad Assisi, voluti da Giovanni Paolo II. Ma – come si nota spesso – ci sono meno momenti di preghiera comune. L’importante, in questo momento storico, è mantenere un dialogo. In fondo è anche tutto quello che hanno potuto gli incontri interreligiosi nella cittadina di San Francesco. Dal punto di vista dottrinale, infatti, non è stato raggiunto alcun passo avanti. Ma resta il valore profondo dell’incontrarsi. Come restano le parole di Benedetto XVI alla vigilia dell’ultimo incontro ad Assisi: “I cristiani non cedano mai alla tentazione “di diventare lupi tra i lupi”.    E ancora restano le parole di Giovanni Paolo II in quella particolarissima visita pastorale in un paese musulmano a 11 giorni dalla tragedia degli aerei kamikaze. Rivolgendosi ai cristiani diceva: “Alla forza della testimonianza unite la dolcezza del dialogo”.  Fausta Speranza

Gennaio 2012