Londongrad

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Limes N. 6 2006

Vodga, caviale e affari all’ombra del Big Ben

di Fausta Speranza da Londra

Non è ancora ‘Londongrad’ ma la terza piazza borsistica al mondo parla sempre di più russo. Le case acquistate da ex oligarchi sono tra le più lussuose, compresa la residenza al numero 15 di Kensington Palace Gardens, accanto al palazzo numero due di Londra dopo Buckingham. A chi ha negli occhi la dimensione di bellezza e di esclusività del luogo è dato di capire di più la portata, anche simbolica, dell’acquisto. E di simbolico ci sarebbe anche che il vicino di casa è il principe Michael di Kent, noto in Russia per la sua somiglianza con lo zar Nicola II. Di molto concreto c’è il prezzo: 41 milioni di pound, cioè 105 milioni di dollari. E se il pensiero va a Abramovic, il famoso magnate russo proprietario del Chelsea Fooball Club, si deve correggere. C’è qualcuno che ha battuto la sua offerta, sempre con accento russo. Si chiama Leonard Blavatnik e testimonia, non da solo, che Abramovic, che ha 40 anni, rappresenta un fenomeno particolare ma non un’eccezione assoluta. Dietro la sua smisurata ricchezza ci sono altri, da meno ma non per molto. Approfondiremo questi nomi senza dimenticare il 58enne Boris Berezovsky, che dal Regno Unito ha ottenuto asilo politico e cittadinanza cambiando il nome in Platon Yelenin, ma che spesso si muove con passaporto israeliano.
Cercando una qualche indicazione della presenza russa, dall’Ambasciata di Mosca a Londra ci si sente dire che non c’è statistica neanche per quanto riguarda gli ingressi in Gran Bretagna. Il numero di permessi rilasciati risulta all’Ambasciata britannica a Mosca: 11.130 visti nei primi otto mesi del 2006, che segnano un incremento rispetto al 2004 del 40%. Va da sé che la cifra è sottostimata, ci spiegano, perchè mancano i clandestini. Attualmente sembra siano 70.000 i russi a Londra. Due anni fa, erano 40.000. C’è poi un dato che fotografa giovani e, quindi, di per sé proiettato al futuro: quest’anno sono 85 gli studenti russi alla London Economics and Political Sciences e, facendo il confronto ancora con due anni fa, si sfiora davvero il raddoppio. Erano infatti 44. Guardando invece alle cifre monetarie, ovviamente non ci sono statistiche. Si è parlato di più di 100 miliardi di dollari che hanno lasciato la Russia tra il 1998 e il 2004 per raggiungere, la maggior parte, conti offshore in Svizzera o altrove. Da lì è impossibile seguirne le tracce, ma non si possono dimenticare i vantaggi che la Gran Bretagna offre in tema
di tassazione a persone con conti offshore. Inoltre, nei soli primi sei mesi del 2005, compagnie russe hanno registrato 2,5 miliardi di dollari nella City.
In ogni caso, se non è dato sapere quanti soldi sono arrivati a Londra dalla Russia, si fotografano altri elementi che si traducono in soldi che girano. Ogni grande banca ha un impiegato che parla russo. Harvey Nichols, cugino più giovane di Harrods, ha diversi assistenti madrelingua. Ogni negozio a livello di firme, come Fendi, ha un commesso in grado di capire e orientare i gusti delle signore russe. Robert Bailey, della Robert Bailey Property, agenzia specializzata in case di lusso, assicura che “c’è una grande richiesta da parte di russi”. A contendere il primato dei costi, e anche l’attenzione dei russi, sono gli appartamenti in costruzione a Knightsbridge, che vantano misure di sicurezza da record.  Il progetto è stato approvato a febbraio 2006 dalle autorità:  prevede 86 appartamenti al prezzo di 20 milioni di pound l’una ed è una produzione dei giovani fratelli Nick e Christian Candy, designer e progettisti che vivono nel più costoso appartamento di Londra, 27 milioni di pound. Saranno dotati di ascensori con accesso direttamente a Hyde Park, sistemi biometrici che riconoscono l’iride, telecamere a prova di proiettili e altre sofisticatissime misure di sicurezza.  Viene in mente che Berezovisky ha ottenuto la cittadinanza dichiarando di essere in pericolo di vita in patria. Ma certamente non mancano seri motivi per difendersi a nessun miliardario o milionario.
Nel caso di altre due esclusive agenzie immobiliari, Savills Estate Agency e Harrods Estate, si parla di case e proprietà. Della Savills, basta dire che è leader del settore, della Harrods Estate, che ha due uffici: uno a Knightsbridge, che si occupa delle vendite a Chelsea, Belgravia, Knightsbridge e South Kensington,  e uno a Mayfair, che copre Regents Park, St James. Sono le zone di Londra più belle in assoluto e quelle che contano di più. Ed è significativo che entrambe le agenzie abbiano un desk per la clientela russa. Abbiamo provato a chiedere a Alexandra Lovel, riferimento per la prima, e a Tatiana Beker, riferimento per la seconda, qualche statistica di vendita ma il rispetto della privacy del cliente è assoluto. Si conferma la percezione di una presenza al top.
Passeggiando presso Gloucester Road o entrando in uno dei Pub di livello a
Tower Hill, non siamo più sul piano dei miliardari ma di operatori di borsa, agenti di cambio e assicuratori. All’Emperor Pub alcune sere senti parlare più russo che inglese. Ci spiegano che parecchi nightclub fanno venire da Mosca i DJ. Al Bar Aquarium in Old Street la notte si fa proprio russa: bande in costumi tipici, donne biondi e forti che danzano con seduzione. E’ tenuto da Andrei Lomin, che ci tiene a mettere sul piatto della conversazione la sua laurea in Oceanologia prima di altro, e da sua moglie Sonia, che fa la modella. E’ lì che ci siamo sentiti spiegare che un russo si sente accolto e amato dagli inglesi, perché si tratta di due grandi popoli, per poi sentir dire, quasi en passant, che il russo si distingue sempre per un eccezionale binomio di forza e cultura. E’ un businessman che, con l’aria di riaffermare quanto sostiene spesso,  spiega orgoglioso che un uomo russo può costruire una casa dalle fondamenta e citare Dostojevski. Per poi aggiungere, dopo una pausa, che in Inghilterra gli uomini devono chiamare un idraulico per una goccia d’acqua. Analoga sensazione vicina ad un’allucinazione da colbacchi puoi averla il giovedì sera a Vauxhall Station, ma la frequentazione scende ulteriormente di livello. Siamo su un piano difficile da definire perché si ostentano più o meno soldi ma in modi che a volte  tradiscono uno scarso livello culturale.
Questi sono angoli che si scoprono osservando  bene una città come Londra dove si parlano 300 lingue e dove  la multiculturalità è stata sperimentata prima che teorizzata. Ci sono, cioè, isole di città dove in certi momenti viene voglia di caviale e dove girano giornali e magazine russi, ma una città così inglese e così plurietnica come la città di Blackfriars e di Piccadilly Circus può anche contenere tutto ciò senza che il turista più curioso o il giornalista attento se ne accorgano a prima vista. Non può certo colpire più di tanto sapere che Trafalgar Square  ha ospitato a gennaio 2006 il secondo Festival invernale russo, perché vengono in mente manifestazioni di ogni genere.
Il punto è che, pur sapendo che ci sono almeno 7 pubblicazioni che escono a Londra in russo, è ben difficile trovarle. Hai molte chance se partecipi ad uno dei
possibili ritrovi. Già ne hai meno se frequenti uno dei ristoranti che si stanno moltiplicando all’ombra di Caviar House, o se fai acquisti in uno dei circa 40 negozi di
prodotti alimentari tipici russi. La Russian Media House, che può essere un punto di riferimento, non ha alcuna insegna esterna e neanche una scritta che la identifichi sul citofono. Ma se arrivi ad avere tra le mani  una delle patinate riviste, il target pubblicitario è ben definito e inequivocabile: una clientela di ben alto livello. Harrods viene menzionato solo per l’area dedicata ai gioielli e ti scopri a pensare che in effetti è un grande magazzino appena più folcloristico di altri, se ti fai una passeggiata cercando gli altri negozi citati nella rivista e concentrati nelle zone più ‘in’. L’universo acquisti comincia a Jermyn Street, strada di alta sartoria. Non mancano gli indirizzi precisi di tutte le firme a livello mondiale in tema di abiti, e di inglese c’è l’atelier delle costose e stravaganti creazioni di Scarlet Ribbon a Conduit Street. Per i cappelli l’indicazione è per Lock and Company in St. James Street. Un’altra strada che compare più volte è Pall Mall, la strada dei tradizionali elitari club inglesi. A proposito di club, per il golf è pubblicizzato il Stoke Park Club, che lasciamo all’immaginazione del lettore. Per un parrucchiere il suggerimento è ancora una volta a knightsbridge. Insomma è solo di questo tenore, visto che non ci sono cadute di livello,  quello che interessa  trovare alla maggioranza di russi presenti a Londra, se le riviste si focalizzano su questo. D’altra parte, la Exclusive London from Russia Media House, pubblicata in formato quaderno, si presenta subito in copertina con il logo rappresentato da un grande diamante, che traduce per l’immaginario il termine “exclusive”.
Se tutto ciò non è esattamente evidente al primo impatto, anche perché la clientela giapponese fa la sua parte nello svaligiare le gioiellerie di Bond Street, diverso è il punto di vista di uomini d’affari, commercianti  e soprattutto di consulenti finanziari. Loro sono ben consapevoli di questa clientela russa e stanno gestendo il tutto come una grande, scrupolosa “industria di soldi”. L’espressione è del legale Joe McDonald.  E come tale deve vederla  anche l’occhio politico, se un esponente come Gordon Brown fa trapelare di avere dei dubbi su qualche aspetto del fenomeno per poi bloccarsi. E sembra di capire che a fermarlo siano state le cifre spese da russi. Abbiamo già capito che i turisti spendono
come gli americani ma poi ci sono anche i più o meno residenti che, oltre a comprare intoccabili proprietà e a consumare in ristoranti d’elite, assicurano i salari a tutti i dipendenti, dal cuoco all’autista al traduttore. Tutto può servire: quando, a gennaio scorso, Abramovic ha avuto un infortunio al menisco ha prenotato un ricovero al Wellington Hospital pagando 700 pound a notte. Sono comodità obbligate per  chi può permettersi di vivere, o soggiornare, a un passo dai monumenti storici  della città con  un mercato immobiliare più costoso di New York. C’è anche chi “consuma” di passaggio, come Oleg Deripaska, uno dei dieci miliardari russi che almeno per un lungo periodo ha fatto tappa a Londra tutte le settimane, dichiarando di voler migliorare il suo inglese. Neanche a dirlo ha un punto di appoggio in una casa a Belgravia. Dove ne ha una  anche Abramovic. A Chelsea, invece,  ha comprato casa Berezovsky, mentre ha scelto Mayfair  Alexandre Gaydamak, il trentenne che a gennaio scorso ha fatto un’offerta impossibile da rifiutare per acquistare la metà del Portsmouth Football Club, anche se non è chiaro se rientri nei 36 miliardari russi o se apra la lista dei milionari.
Stiamo parlando di ex oligarchi che hanno fatto fortuna dai tempi delle liberalizzazioni selvagge di Eltsin e di nuovi ricchi russi. Nel 2003 il quasi sconosciuto  Abramovic arriva alla ribalta delle cronache  con l’assegno di 300 milioni di dollari con cui acquista il Chelsea Football Club. E’ evidente che dalla Piazza Rossa già si guardava a Westminster quando, due anni fa, il più ricco di tutti, Khodorkovsky,  è stato condannato, con la sua Yukos, per frode ed evasione fiscale e poi inviato in Siberia. Una mossa partita dal Cremlino dopo anni di espansione economica del miliardario ma solo dopo pochissimo tempo dal suo serio interessamento alla politica. Qualcosa di diverso dall’impegno di governatore della regione Chukotka assunto tempo fa per due anni da Abramovic. In ogni caso, dalla caduta di  Khodorkovsky in molti hanno pensato di navigare nel Tamigi. Nel 2005 Abramovic,  che deve sostanzialmente la sua fortuna al petrolio, ha venduto al governo russo per 7,4 miliardi di pound la Compagnia petrolifera Sibneft che aveva acquistato per poco meno di 100 milioni di pound insieme con Berezovisky. E, parlando di Abramovic, si deve ricordare che nel 2001 la polizia russa aveva aperto un’indagine contro la sua
Sibneft per un’evasione fiscale di circa 450 milioni di dollari, ma il caso è stato chiuso senza    procedimenti.

Va detto perché scelgono Londra, lasciando da parte il fascino e la vivibilità di una città fatta di tanti “villaggi” e di tante facce ma capace di un abbraccio particolare. Le ragioni vere stanno nell’essere un forte mercato di capitali molto vicino a Mosca, solo 4 ore di volo che in jet privati si riducono a tre, e poi ci sono il sistema fiscale favorevole e il sistema giudiziario che ben protegge gli investitori. Non è una novità che gli investimenti in Gran Bretagna sono largamente incentivati dal governo,  che gli investitori stranieri godono  dello stesso  trattamento dei locali e che soldi provenienti da conti offshore non sono indagati. Se provengono da affari non leciti non è un problema del Regno Unito dove arrivano.
Il commercialista di alto livello Humphrey Creed ribadisce, dal suo studio a Salisbury Square, che l’apertura assoluta agli investimenti è una scelta politica.  In testa tra gli investitori ci sono gli Stati Uniti, seguiti dall’India. La Russia – ci dice – non saprebbe collocarla. Del sistema inglese, Creed dice  che “si tratta delle tasse più basse rispetto al resto del mondo”. Ci ricorda la filosofia che ci sta dietro: “Tassare meno più persone porta più soldi che tassare di più meno persone, anche perché comporta meno evasione”. Sulla dimensione della clientela russa dei commercialisti, Creed non si sbilancia ma ammette che quasi tutti i più noti si avvalgono di personale che parla la lingua. Lui sembra fare eccezione ma poi spiega che il suo gruppo ha una partnership con una compagnia in Russia. Dunque la consulenza sembra essere a monte, piuttosto che a valle.
Il punto è che ci sono soldi che vengono spesi a Londra ma che in Gran Bretagna non sembrano arrivare. In realtà,  guadagni realizzati all’estero non sono tassabili ma lo diventano se entrano nel Paese, ad esempio con un acquisto. I conti offshore non sono un fenomeno russo-britannico ma ce ne occupiamo perché cerchiamo di capire se i ricchi russi, che continuano ad arrivare, pagano tasse a sua Maestà. E se questo può essere un bel motivo in più per amare il Big Ben. Va ricordato che chi è domiciliato in Russia, nel Regno Unito  può comprare e vendere senza pagare pegno, a meno che non controlli gli affari dalla Gran Bretagna. Rakesh Kapila,
commercialista insignito del titolo di membro dell’Accademia di esperti e specializzato
tra l’altro in investigazioni di frodi, ricorda il caso di Mohamed Al-Fayed che non intendeva pagare le tasse su affari esteri ma che ha perso la sua causa perché li gestiva dalla Gran Bretagna. Kapila aggiunge però che, con le nuove tecnologie, è molto difficile provare una cosa del genere. Ammette che l’espressione “grande industria di soldi” per consulenti ed esperti di tasse è giustificata. E offre solo alcuni esempi di stratagemmi per  evitare di pagare le tasse restando nella legalità: dichiarare che il 30% del tempo di gestione degli affari è all’estero; tenere nelle isole Cayman il 20-30% dei profitti; portare soldi nel Regno Unito ma tenere separati i conti per il capitale e per gli interessi. Ricordiamo che il non residente deve trascorrere meno di 183 giorni  l’anno su territorio britannico e, su 4 anni, meno  di 90 giorni di media. Non far timbrare il passaporto è lo stratagemma più elementare. Ovviamente non sono solo questi gli escamotage  che fruttano una fortuna ai consulenti della City, ma sono  esempi.
In tema sono ovviamente anche i paradisi fiscali che non nascono certo con il fenomeno dei miliardari russi a Londra, ma che rientrano nel capitolo stratagemmi. Si può comprare qualcosa in Cina a 10 pound, venderla in Jersey a 12 e poi in Gran Bretagna  a 13. Se si denuncia solo il prezzo in Jersey e nel Regno Unito il profitto, su cui si pagherà tassa, è solo di un pound. Kapila spiega che nel caso delle isole Jersey o  Guernsey c’è più di un legame con il mondo anglosassone e dunque può essere più  facile indagare. E fa l’esempio del gruppo bancario Barclays che per una questione di carte di credito ha ottenuto dati abbastanza riservati da autorità in Jersey. Ma per altri paradisi fiscali non c’è appiglio per investigazioni. E, sempre in tema di indagini, Kapila ammette che le risorse sono limitate e spiega che vengono indirizzate sui grandi gruppi: non ci si può permettere di puntare agli individui, per i quali tra l’altro è anche più difficile. Ci viene da pensare che ci sono individui che fatturano come, o più, di una grande compagnia farmaceutica e Kapila ci conferma che “il sospetto è che ce ne siano soprattutto dall’est Europa”. Ammette anche che “finora non c’è stata una focalizzazione su stranieri”. E poi c’è la situazione dei controlli che l’esperto di frodi fotografa così: prima c’erano due dipartimenti, uno per le frodi sulle tasse delle
entrate e uno per le frodi relative all’IVA. Sono stati accorpati e a farla da padrona è
l’IVA perché alimenta, nel Regno Unito, un’evasione di 5 miliardi l’anno. Non meraviglia perché si tratta di un fenomeno generalizzato: l’Unione Europea perde 50 miliardi l’anno per frodi relative all’IVA, una cifra pari a quanto spende in politica agricola.
In definitiva è Kapila stesso a citare Roman Abramovic, dicendo che “ci sono parecchie chiacchiere su di lui” ma che non si meraviglierebbe se dal punto di vista legale fosse  inattaccabile.  Aggiunge però che si tratta di un caso particolare perché è personaggio che definisce in inglese “too connected” per essere indagato, che si può tradurre in diversi modi ma significa sempre che ha buone conoscenze e relazioni. Sappiamo che è più ricco del duca di Westminster.
Di sicuro possiede una maestosa proprietà a Rogate nel West Sussex che si estende  per 10 kmq, con campi da polo tra i migliori d’Inghilterra, guardie del corpo scelte tra ex SAS, le teste di cuoio dei servizi segreti inglesi, e un edificio per sauna e piscina lungo 130 m. e ribattezzato dai vicini Roman Empire Building.  Ha comprato una casa storica nella Eaton Square di Londra, oltre a quella di Belgravia e, secondo  alcuni, altre case nella capitale. Ma Abramovic sembra proprio abbia evitato di prendere la residenza. In Gran Bretagna, precisamente a Weybridge, nel Surrey, ha base la sua Millhouse Capital, il gruppo societario per la gestione del capitale che, nato nel 2001, ha fatto parlare in particolare per l’accordo con la Gazprom, alla quale ha venduto oltre il 72% della Sibneft.  Anche Berezovisky  potrebbe non essere residente né nella casa a Londra né nella proprietà vicino Godalming in Surrey. Lo stesso sarà per il cantante russo Alsou, che ha un appartamento che affaccia su Lord’s Cricket Ground. O per il già citato Leonard Blavatnik, 47 anni,  che ha fatto soldi ancora una volta con il petrolio, ma anche con gas e metalli. Ha lasciato la Russia per New York nel 1978 ma poi, alla caduta del comunismo, è tornato in patria, in tempo per prendere parte alla spartizione della torta delle liberalizzazioni. Nel 2003 ha messo su la TNK-BP, terza compagnia di petrolio in Russia. Nel 2004 ha fatto l’acquisto più prestigioso, di cui dicevamo: la proprietà a Kensington Palace Gardens, nell’area delle ambasciate, tra cui quella russa, dove possono passare solo macchine autorizzate e
anche i pedoni sono strettamente controllati. Una zona lontana dal traffico londinese
come tanti incantevoli angoli  della città rappresentata dalla caotica Oxford Street ma anche dagli aristocratici cortili alle spalle di Fleet Street, ma non altrettanto frequentabile.
Abbiamo cercato di parlare con Abramovic, pur sapendo che ha sempre negato interviste e che in Russia un quotidiano offre una “taglia” per chi può esibire una sua foto recente. La parola d’ordine, dichiarata, è niente interviste, niente titoli nei media. Berezovisky non ha proprio risposto all’invito. Il suo avvocato  Andrew  Stephenson  ci ha ricordato la sua riservatezza e le sofferenze per le diffamazioni subite, ma – aggiungiamo – ben respinte al mittente, vista l’ultima causa vinta con il The Guardian, costretto, di recente, a pagare 20.000 pound, 35.000 dollari, e a porgere pubbliche scuse.
Non si tratta di diffamazioni, ma c’è qualcosa che Anya e Oleg, da alcuni mesi a Londra, rimproverano alla maggior parte degli inglesi: vedono in ogni russo un bevitore di vodga e intravedono alle sue spalle una famiglia di militari, per non parlare dell’allusione alla mafia. Insomma, luoghi comuni che – dicono – non sono sempre veri. Tanya da dieci anni lavora nella capitale britannica e fa presente di aver assistito alla nascita del primo giornale russo pubblicato all’ombra di Westminster. Veste con gusto occidentale raffinato e parla un ottimo inglese. Sembra propensa ad assolvere chi cade negli stereotipi e poi aggiunge che lei spesso ricorda ai suoi interlocutori che “l’Armata rossa ha salvato l’Europa da Napoleone e da Hitler”. Cerchiamo di usare la stessa clemenza da lei usata per gli stereotipi per quello che ci sembra un particolarissimo punto di vista.
A rivendicare un patrimonio di secoli è anche padre Vadim, della Chiesa ortodossa a Londra, ma la sua è una raccomandazione: “I russi devono salvaguardare la loro cultura e condividere con gli inglesi l’anima russa che hanno formato in centinaia di anni”.
E il pensiero corre a curiosità storiche in tema di relazioni Russia-Gran Bretagna. Pensiamo al 1555 quando Ivan il terribile concesse a un gruppo di inglesi un monopolio su pellame, legname e vestiti. Nasceva la MUSCOY Company. Ben più tardi
Lenin complotterà anche da Londra. E poi c’è il fatto che, dopo la presa di potere da
parte dei bolscevichi, aristocrazia e intellighenzia russa si ripararono nella capitale dell’Inghilterra. Immaginiamo conversazioni tra notabili, intramezzate da tartine al caviale e tazze di tè e scandite da un inglese perfetto e un inglese pronunciato con la forza della musicalità russa. Cadiamo in altri stereotipi, che possono darci, però, il senso dello spessore delle culture e delle occasioni di incontro nella storia.

Non è ancora ‘Londongrad’ ma la terza piazza borsistica al mondo parla sempre di più russo. Le case acquistate da ex oligarchi sono tra le più lussuose, compresa la residenza al numero 15 di Kensington Palace Gardens, accanto al palazzo numero due di Londra dopo Buckingham. A chi ha negli occhi la dimensione di bellezza e di esclusività del luogo è dato di capire di più la portata, anche simbolica, dell’acquisto. E di simbolico ci sarebbe anche che il vicino di casa è il principe Michael di Kent, noto in Russia per la sua somiglianza con lo zar Nicola II. Di molto concreto c’è il prezzo: 41 milioni di pound, cioè 105 milioni di dollari. E se il pensiero va a Abramovic, il famoso magnate russo proprietario del Chelsea Fooball Club, si deve correggere. C’è qualcuno che ha battuto la sua offerta, sempre con accento russo. Si chiama Leonard Blavatnik e testimonia, non da solo, che Abramovic, che ha 40 anni, rappresenta un fenomeno particolare ma non un’eccezione assoluta. Dietro la sua smisurata ricchezza ci sono altri, da meno ma non per molto. Approfondiremo questi nomi senza dimenticare il 58enne Boris Berezovsky, che dal Regno Unito ha ottenuto asilo politico e cittadinanza cambiando il nome in Platon Yelenin, ma che spesso si muove con passaporto israeliano.
Cercando una qualche indicazione della presenza russa, dall’Ambasciata di Mosca a Londra ci si sente dire che non c’è statistica neanche per quanto riguarda gli ingressi in Gran Bretagna. Il numero di permessi rilasciati risulta all’Ambasciata britannica a Mosca: 11.130 visti nei primi otto mesi del 2006, che segnano un incremento rispetto al 2004 del 40%. Va da sé che la cifra è sottostimata, ci spiegano, perchè mancano i clandestini. Attualmente sembra siano 70.000 i russi a Londra. Due anni fa, erano 40.000. C’è poi un dato che fotografa giovani e, quindi, di per sé proiettato al futuro: quest’anno sono 85 gli studenti russi alla London Economics and Political Sciences e, facendo il confronto ancora con due anni fa, si sfiora davvero il raddoppio. Erano infatti 44. Guardando invece alle cifre monetarie, ovviamente non ci sono statistiche. Si è parlato di più di 100 miliardi di dollari che hanno lasciato la Russia tra il 1998 e il 2004 per raggiungere, la maggior parte, conti offshore in Svizzera o altrove. Da lì è impossibile seguirne le tracce, ma non si possono dimenticare i vantaggi che la Gran Bretagna offre in tema
di tassazione a persone con conti offshore. Inoltre, nei soli primi sei mesi del 2005, compagnie russe hanno registrato 2,5 miliardi di dollari nella City.
In ogni caso, se non è dato sapere quanti soldi sono arrivati a Londra dalla Russia, si fotografano altri elementi che si traducono in soldi che girano. Ogni grande banca ha un impiegato che parla russo. Harvey Nichols, cugino più giovane di Harrods, ha diversi assistenti madrelingua. Ogni negozio a livello di firme, come Fendi, ha un commesso in grado di capire e orientare i gusti delle signore russe. Robert Bailey, della Robert Bailey Property, agenzia specializzata in case di lusso, assicura che “c’è una grande richiesta da parte di russi”. A contendere il primato dei costi, e anche l’attenzione dei russi, sono gli appartamenti in costruzione a Knightsbridge, che vantano misure di sicurezza da record.  Il progetto è stato approvato a febbraio 2006 dalle autorità:  prevede 86 appartamenti al prezzo di 20 milioni di pound l’una ed è una produzione dei giovani fratelli Nick e Christian Candy, designer e progettisti che vivono nel più costoso appartamento di Londra, 27 milioni di pound. Saranno dotati di ascensori con accesso direttamente a Hyde Park, sistemi biometrici che riconoscono l’iride, telecamere a prova di proiettili e altre sofisticatissime misure di sicurezza.  Viene in mente che Berezovisky ha ottenuto la cittadinanza dichiarando di essere in pericolo di vita in patria. Ma certamente non mancano seri motivi per difendersi a nessun miliardario o milionario.
Nel caso di altre due esclusive agenzie immobiliari, Savills Estate Agency e Harrods Estate, si parla di case e proprietà. Della Savills, basta dire che è leader del settore, della Harrods Estate, che ha due uffici: uno a Knightsbridge, che si occupa delle vendite a Chelsea, Belgravia, Knightsbridge e South Kensington,  e uno a Mayfair, che copre Regents Park, St James. Sono le zone di Londra più belle in assoluto e quelle che contano di più. Ed è significativo che entrambe le agenzie abbiano un desk per la clientela russa. Abbiamo provato a chiedere a Alexandra Lovel, riferimento per la prima, e a Tatiana Beker, riferimento per la seconda, qualche statistica di vendita ma il rispetto della privacy del cliente è assoluto. Si conferma la percezione di una presenza al top.
Passeggiando presso Gloucester Road o entrando in uno dei Pub di livello a
Tower Hill, non siamo più sul piano dei miliardari ma di operatori di borsa, agenti di cambio e assicuratori. All’Emperor Pub alcune sere senti parlare più russo che inglese. Ci spiegano che parecchi nightclub fanno venire da Mosca i DJ. Al Bar Aquarium in Old Street la notte si fa proprio russa: bande in costumi tipici, donne biondi e forti che danzano con seduzione. E’ tenuto da Andrei Lomin, che ci tiene a mettere sul piatto della conversazione la sua laurea in Oceanologia prima di altro, e da sua moglie Sonia, che fa la modella. E’ lì che ci siamo sentiti spiegare che un russo si sente accolto e amato dagli inglesi, perché si tratta di due grandi popoli, per poi sentir dire, quasi en passant, che il russo si distingue sempre per un eccezionale binomio di forza e cultura. E’ un businessman che, con l’aria di riaffermare quanto sostiene spesso,  spiega orgoglioso che un uomo russo può costruire una casa dalle fondamenta e citare Dostojevski. Per poi aggiungere, dopo una pausa, che in Inghilterra gli uomini devono chiamare un idraulico per una goccia d’acqua. Analoga sensazione vicina ad un’allucinazione da colbacchi puoi averla il giovedì sera a Vauxhall Station, ma la frequentazione scende ulteriormente di livello. Siamo su un piano difficile da definire perché si ostentano più o meno soldi ma in modi che a volte  tradiscono uno scarso livello culturale.
Questi sono angoli che si scoprono osservando  bene una città come Londra dove si parlano 300 lingue e dove  la multiculturalità è stata sperimentata prima che teorizzata. Ci sono, cioè, isole di città dove in certi momenti viene voglia di caviale e dove girano giornali e magazine russi, ma una città così inglese e così plurietnica come la città di Blackfriars e di Piccadilly Circus può anche contenere tutto ciò senza che il turista più curioso o il giornalista attento se ne accorgano a prima vista. Non può certo colpire più di tanto sapere che Trafalgar Square  ha ospitato a gennaio 2006 il secondo Festival invernale russo, perché vengono in mente manifestazioni di ogni genere.
Il punto è che, pur sapendo che ci sono almeno 7 pubblicazioni che escono a Londra in russo, è ben difficile trovarle. Hai molte chance se partecipi ad uno dei
possibili ritrovi. Già ne hai meno se frequenti uno dei ristoranti che si stanno moltiplicando all’ombra di Caviar House, o se fai acquisti in uno dei circa 40 negozi di
prodotti alimentari tipici russi. La Russian Media House, che può essere un punto di riferimento, non ha alcuna insegna esterna e neanche una scritta che la identifichi sul citofono. Ma se arrivi ad avere tra le mani  una delle patinate riviste, il target pubblicitario è ben definito e inequivocabile: una clientela di ben alto livello. Harrods viene menzionato solo per l’area dedicata ai gioielli e ti scopri a pensare che in effetti è un grande magazzino appena più folcloristico di altri, se ti fai una passeggiata cercando gli altri negozi citati nella rivista e concentrati nelle zone più ‘in’. L’universo acquisti comincia a Jermyn Street, strada di alta sartoria. Non mancano gli indirizzi precisi di tutte le firme a livello mondiale in tema di abiti, e di inglese c’è l’atelier delle costose e stravaganti creazioni di Scarlet Ribbon a Conduit Street. Per i cappelli l’indicazione è per Lock and Company in St. James Street. Un’altra strada che compare più volte è Pall Mall, la strada dei tradizionali elitari club inglesi. A proposito di club, per il golf è pubblicizzato il Stoke Park Club, che lasciamo all’immaginazione del lettore. Per un parrucchiere il suggerimento è ancora una volta a knightsbridge. Insomma è solo di questo tenore, visto che non ci sono cadute di livello,  quello che interessa  trovare alla maggioranza di russi presenti a Londra, se le riviste si focalizzano su questo. D’altra parte, la Exclusive London from Russia Media House, pubblicata in formato quaderno, si presenta subito in copertina con il logo rappresentato da un grande diamante, che traduce per l’immaginario il termine “exclusive”.
Se tutto ciò non è esattamente evidente al primo impatto, anche perché la clientela giapponese fa la sua parte nello svaligiare le gioiellerie di Bond Street, diverso è il punto di vista di uomini d’affari, commercianti  e soprattutto di consulenti finanziari. Loro sono ben consapevoli di questa clientela russa e stanno gestendo il tutto come una grande, scrupolosa “industria di soldi”. L’espressione è del legale Joe McDonald.  E come tale deve vederla  anche l’occhio politico, se un esponente come Gordon Brown fa trapelare di avere dei dubbi su qualche aspetto del fenomeno per poi bloccarsi. E sembra di capire che a fermarlo siano state le cifre spese da russi. Abbiamo già capito che i turisti spendono
come gli americani ma poi ci sono anche i più o meno residenti che, oltre a comprare intoccabili proprietà e a consumare in ristoranti d’elite, assicurano i salari a tutti i dipendenti, dal cuoco all’autista al traduttore. Tutto può servire: quando, a gennaio scorso, Abramovic ha avuto un infortunio al menisco ha prenotato un ricovero al Wellington Hospital pagando 700 pound a notte. Sono comodità obbligate per  chi può permettersi di vivere, o soggiornare, a un passo dai monumenti storici  della città con  un mercato immobiliare più costoso di New York. C’è anche chi “consuma” di passaggio, come Oleg Deripaska, uno dei dieci miliardari russi che almeno per un lungo periodo ha fatto tappa a Londra tutte le settimane, dichiarando di voler migliorare il suo inglese. Neanche a dirlo ha un punto di appoggio in una casa a Belgravia. Dove ne ha una  anche Abramovic. A Chelsea, invece,  ha comprato casa Berezovsky, mentre ha scelto Mayfair  Alexandre Gaydamak, il trentenne che a gennaio scorso ha fatto un’offerta impossibile da rifiutare per acquistare la metà del Portsmouth Football Club, anche se non è chiaro se rientri nei 36 miliardari russi o se apra la lista dei milionari.
Stiamo parlando di ex oligarchi che hanno fatto fortuna dai tempi delle liberalizzazioni selvagge di Eltsin e di nuovi ricchi russi. Nel 2003 il quasi sconosciuto  Abramovic arriva alla ribalta delle cronache  con l’assegno di 300 milioni di dollari con cui acquista il Chelsea Football Club. E’ evidente che dalla Piazza Rossa già si guardava a Westminster quando, due anni fa, il più ricco di tutti, Khodorkovsky,  è stato condannato, con la sua Yukos, per frode ed evasione fiscale e poi inviato in Siberia. Una mossa partita dal Cremlino dopo anni di espansione economica del miliardario ma solo dopo pochissimo tempo dal suo serio interessamento alla politica. Qualcosa di diverso dall’impegno di governatore della regione Chukotka assunto tempo fa per due anni da Abramovic. In ogni caso, dalla caduta di  Khodorkovsky in molti hanno pensato di navigare nel Tamigi. Nel 2005 Abramovic,  che deve sostanzialmente la sua fortuna al petrolio, ha venduto al governo russo per 7,4 miliardi di pound la Compagnia petrolifera Sibneft che aveva acquistato per poco meno di 100 milioni di pound insieme con Berezovisky. E, parlando di Abramovic, si deve ricordare che nel 2001 la polizia russa aveva aperto un’indagine contro la sua
Sibneft per un’evasione fiscale di circa 450 milioni di dollari, ma il caso è stato chiuso senza    procedimenti.

Va detto perché scelgono Londra, lasciando da parte il fascino e la vivibilità di una città fatta di tanti “villaggi” e di tante facce ma capace di un abbraccio particolare. Le ragioni vere stanno nell’essere un forte mercato di capitali molto vicino a Mosca, solo 4 ore di volo che in jet privati si riducono a tre, e poi ci sono il sistema fiscale favorevole e il sistema giudiziario che ben protegge gli investitori. Non è una novità che gli investimenti in Gran Bretagna sono largamente incentivati dal governo,  che gli investitori stranieri godono  dello stesso  trattamento dei locali e che soldi provenienti da conti offshore non sono indagati. Se provengono da affari non leciti non è un problema del Regno Unito dove arrivano.
Il commercialista di alto livello Humphrey Creed ribadisce, dal suo studio a Salisbury Square, che l’apertura assoluta agli investimenti è una scelta politica.  In testa tra gli investitori ci sono gli Stati Uniti, seguiti dall’India. La Russia – ci dice – non saprebbe collocarla. Del sistema inglese, Creed dice  che “si tratta delle tasse più basse rispetto al resto del mondo”. Ci ricorda la filosofia che ci sta dietro: “Tassare meno più persone porta più soldi che tassare di più meno persone, anche perché comporta meno evasione”. Sulla dimensione della clientela russa dei commercialisti, Creed non si sbilancia ma ammette che quasi tutti i più noti si avvalgono di personale che parla la lingua. Lui sembra fare eccezione ma poi spiega che il suo gruppo ha una partnership con una compagnia in Russia. Dunque la consulenza sembra essere a monte, piuttosto che a valle.
Il punto è che ci sono soldi che vengono spesi a Londra ma che in Gran Bretagna non sembrano arrivare. In realtà,  guadagni realizzati all’estero non sono tassabili ma lo diventano se entrano nel Paese, ad esempio con un acquisto. I conti offshore non sono un fenomeno russo-britannico ma ce ne occupiamo perché cerchiamo di capire se i ricchi russi, che continuano ad arrivare, pagano tasse a sua Maestà. E se questo può essere un bel motivo in più per amare il Big Ben. Va ricordato che chi è domiciliato in Russia, nel Regno Unito  può comprare e vendere senza pagare pegno, a meno che non controlli gli affari dalla Gran Bretagna. Rakesh Kapila,
commercialista insignito del titolo di membro dell’Accademia di esperti e specializzato
tra l’altro in investigazioni di frodi, ricorda il caso di Mohamed Al-Fayed che non intendeva pagare le tasse su affari esteri ma che ha perso la sua causa perché li gestiva dalla Gran Bretagna. Kapila aggiunge però che, con le nuove tecnologie, è molto difficile provare una cosa del genere. Ammette che l’espressione “grande industria di soldi” per consulenti ed esperti di tasse è giustificata. E offre solo alcuni esempi di stratagemmi per  evitare di pagare le tasse restando nella legalità: dichiarare che il 30% del tempo di gestione degli affari è all’estero; tenere nelle isole Cayman il 20-30% dei profitti; portare soldi nel Regno Unito ma tenere separati i conti per il capitale e per gli interessi. Ricordiamo che il non residente deve trascorrere meno di 183 giorni  l’anno su territorio britannico e, su 4 anni, meno  di 90 giorni di media. Non far timbrare il passaporto è lo stratagemma più elementare. Ovviamente non sono solo questi gli escamotage  che fruttano una fortuna ai consulenti della City, ma sono  esempi.
In tema sono ovviamente anche i paradisi fiscali che non nascono certo con il fenomeno dei miliardari russi a Londra, ma che rientrano nel capitolo stratagemmi. Si può comprare qualcosa in Cina a 10 pound, venderla in Jersey a 12 e poi in Gran Bretagna  a 13. Se si denuncia solo il prezzo in Jersey e nel Regno Unito il profitto, su cui si pagherà tassa, è solo di un pound. Kapila spiega che nel caso delle isole Jersey o  Guernsey c’è più di un legame con il mondo anglosassone e dunque può essere più  facile indagare. E fa l’esempio del gruppo bancario Barclays che per una questione di carte di credito ha ottenuto dati abbastanza riservati da autorità in Jersey. Ma per altri paradisi fiscali non c’è appiglio per investigazioni. E, sempre in tema di indagini, Kapila ammette che le risorse sono limitate e spiega che vengono indirizzate sui grandi gruppi: non ci si può permettere di puntare agli individui, per i quali tra l’altro è anche più difficile. Ci viene da pensare che ci sono individui che fatturano come, o più, di una grande compagnia farmaceutica e Kapila ci conferma che “il sospetto è che ce ne siano soprattutto dall’est Europa”. Ammette anche che “finora non c’è stata una focalizzazione su stranieri”. E poi c’è la situazione dei controlli che l’esperto di frodi fotografa così: prima c’erano due dipartimenti, uno per le frodi sulle tasse delle
entrate e uno per le frodi relative all’IVA. Sono stati accorpati e a farla da padrona è
l’IVA perché alimenta, nel Regno Unito, un’evasione di 5 miliardi l’anno. Non meraviglia perché si tratta di un fenomeno generalizzato: l’Unione Europea perde 50 miliardi l’anno per frodi relative all’IVA, una cifra pari a quanto spende in politica agricola.
In definitiva è Kapila stesso a citare Roman Abramovic, dicendo che “ci sono parecchie chiacchiere su di lui” ma che non si meraviglierebbe se dal punto di vista legale fosse  inattaccabile.  Aggiunge però che si tratta di un caso particolare perché è personaggio che definisce in inglese “too connected” per essere indagato, che si può tradurre in diversi modi ma significa sempre che ha buone conoscenze e relazioni. Sappiamo che è più ricco del duca di Westminster.
Di sicuro possiede una maestosa proprietà a Rogate nel West Sussex che si estende  per 10 kmq, con campi da polo tra i migliori d’Inghilterra, guardie del corpo scelte tra ex SAS, le teste di cuoio dei servizi segreti inglesi, e un edificio per sauna e piscina lungo 130 m. e ribattezzato dai vicini Roman Empire Building.  Ha comprato una casa storica nella Eaton Square di Londra, oltre a quella di Belgravia e, secondo  alcuni, altre case nella capitale. Ma Abramovic sembra proprio abbia evitato di prendere la residenza. In Gran Bretagna, precisamente a Weybridge, nel Surrey, ha base la sua Millhouse Capital, il gruppo societario per la gestione del capitale che, nato nel 2001, ha fatto parlare in particolare per l’accordo con la Gazprom, alla quale ha venduto oltre il 72% della Sibneft.  Anche Berezovisky  potrebbe non essere residente né nella casa a Londra né nella proprietà vicino Godalming in Surrey. Lo stesso sarà per il cantante russo Alsou, che ha un appartamento che affaccia su Lord’s Cricket Ground. O per il già citato Leonard Blavatnik, 47 anni,  che ha fatto soldi ancora una volta con il petrolio, ma anche con gas e metalli. Ha lasciato la Russia per New York nel 1978 ma poi, alla caduta del comunismo, è tornato in patria, in tempo per prendere parte alla spartizione della torta delle liberalizzazioni. Nel 2003 ha messo su la TNK-BP, terza compagnia di petrolio in Russia. Nel 2004 ha fatto l’acquisto più prestigioso, di cui dicevamo: la proprietà a Kensington Palace Gardens, nell’area delle ambasciate, tra cui quella russa, dove possono passare solo macchine autorizzate e
anche i pedoni sono strettamente controllati. Una zona lontana dal traffico londinese
come tanti incantevoli angoli  della città rappresentata dalla caotica Oxford Street ma anche dagli aristocratici cortili alle spalle di Fleet Street, ma non altrettanto frequentabile.
Abbiamo cercato di parlare con Abramovic, pur sapendo che ha sempre negato interviste e che in Russia un quotidiano offre una “taglia” per chi può esibire una sua foto recente. La parola d’ordine, dichiarata, è niente interviste, niente titoli nei media. Berezovisky non ha proprio risposto all’invito. Il suo avvocato  Andrew  Stephenson  ci ha ricordato la sua riservatezza e le sofferenze per le diffamazioni subite, ma – aggiungiamo – ben respinte al mittente, vista l’ultima causa vinta con il The Guardian, costretto, di recente, a pagare 20.000 pound, 35.000 dollari, e a porgere pubbliche scuse.
Non si tratta di diffamazioni, ma c’è qualcosa che Anya e Oleg, da alcuni mesi a Londra, rimproverano alla maggior parte degli inglesi: vedono in ogni russo un bevitore di vodga e intravedono alle sue spalle una famiglia di militari, per non parlare dell’allusione alla mafia. Insomma, luoghi comuni che – dicono – non sono sempre veri. Tanya da dieci anni lavora nella capitale britannica e fa presente di aver assistito alla nascita del primo giornale russo pubblicato all’ombra di Westminster. Veste con gusto occidentale raffinato e parla un ottimo inglese. Sembra propensa ad assolvere chi cade negli stereotipi e poi aggiunge che lei spesso ricorda ai suoi interlocutori che “l’Armata rossa ha salvato l’Europa da Napoleone e da Hitler”. Cerchiamo di usare la stessa clemenza da lei usata per gli stereotipi per quello che ci sembra un particolarissimo punto di vista.
A rivendicare un patrimonio di secoli è anche padre Vadim, della Chiesa ortodossa a Londra, ma la sua è una raccomandazione: “I russi devono salvaguardare la loro cultura e condividere con gli inglesi l’anima russa che hanno formato in centinaia di anni”.
E il pensiero corre a curiosità storiche in tema di relazioni Russia-Gran Bretagna. Pensiamo al 1555 quando Ivan il terribile concesse a un gruppo di inglesi un monopolio su pellame, legname e vestiti. Nasceva la MUSCOY Company. Ben più tardi
Lenin complotterà anche da Londra. E poi c’è il fatto che, dopo la presa di potere da
parte dei bolscevichi, aristocrazia e intellighenzia russa si ripararono nella capitale dell’Inghilterra. Immaginiamo conversazioni tra notabili, intramezzate da tartine al caviale e tazze di tè e scandite da un inglese perfetto e un inglese pronunciato con la forza della musicalità russa. Cadiamo in altri stereotipi, che possono darci, però, il senso dello spessore delle culture e delle occasioni di incontro nella storia.