La poesia universale di Dante ha cantato in …..

La poesia universale di Dante ha cantato in persiano, ungherese, spagnolo di Fausta Speranza

Dante in un’altra lingua per capire meglio la lingua di Dante. Alla terza edizione della manifestazione “La Divina Commedia nel mondo” non abbiamo più dubbi: la lettura comparata delle terzine sull’Inferno e sul Paradiso ci regala proprio una parola in più per esprimere quello che Dante ci dice. Non è solo un piacevolissimo gioco accademico o letterario ma è come una lettura indiretta che ci riporta più direttamente alle inesauribili suggestioni dei versi e dei significati. In particolare, la novità dell’edizione di settembre 2000, cioè la traduzione in dialetto romagnolo, ci ha richiamato quasi bruscamente al valore vivo e autentico della parola in rima dell’Alighieri. La traduzione del romagnolo Filippo Monti ha avuto la colpa o il privilegio di suscitare per la prima volta mormorii. Sussurrati, compiaciuti commenti hanno osato infrangere il religioso silenzio che si crea ad ogni lettura di quella che resta la “divina” commedia. Insomma, ha prevalso l’emozione di comprendere con tutta la forza, l’irriverenza, la spontaneità del proprio dialetto il racconto di Dante, che nell’Inferno è stato indubbiamente così forte, irriverente, spontaneo, nonostante tutto lo sforzo architettonicamente costruttivo della sua poesia.     Chi non conosceva il dialetto ha potuto constatare che di un’altra lingua si tratta,  lontana dall’italiano. Certamente chi ha studiato, anche superficialmente, francese o inglese, nelle precedenti edizioni ha potuto comprendere di più nella lettura della Prof.ssa Jaqueline Risset o del Prof. Allen Mandenbaum. Ma avvertire come la sala reagiva alle espressioni del dialetto, che in quanto tali appartengono al vissuto sempre intenso dell’infanzia e della famiglia, ha regalato un’emozione molto molto bella anche a chi  non possedeva il codice linguistico per capire.
Ancora una volta abbiamo goduto con Dante della bellezza delle emozioni e della fantasia ma anche della ricchezza del suo spessore concettuale. La suggestione della proposta interpretativa dell’idioma romagnolo ci ha ricordato quanto Dante, che  ha dettato legge in fatto di poesia, alle leggi della poesia si sia piegato. Il padre della lingua italiana, che ha viaggiato dall’Inferno al Paradiso rincorrendo la verità dell’uomo, voleva proporre una lingua aulica, curiale, cardinale ma ci ha regalato versi in cui irrompono i dialetti da lui conosciuti.  E’ riuscito nel suo intento di offrire il primo dialettale abbozzo dell’italiano futuro, secondo i propositi del De vulgari eloquentia,  ma forse proprio in fatto di lingua ha pagato il suo tributo più alto alla poesia che non è tale se non è viva. E, infatti, non ha potuto evitare che  l’umanità più autentica e spontanea, che amava raccontare, raccontasse se stessa  attraverso l’autenticità delle sue espressioni più primordiali. E quando il dialetto non irrompe con prepotenza tra le rime, Dante stesso ci suggerisce di non dimenticarlo, ad esempio quando scrive che Beatrice parla “in sua favella” o che Virgilio si esprime “in mantovano”.   In definitiva rigore concettuale e fantasia non ci deludono mai nella Divina Commedia.
D’altra parte, i precedenti nove appuntamenti, in cui si sono susseguiti anche studiosi di paesi molto lontani, ci hanno abituato proprio ad una fruizione musicale delle traduzioni ma anche al vezzo concettuale di  percepire il riverbero in altre culture della ricca proposta culturale di Dante. Troppo spesso si dimentica in Italia di accostarsi con la sensibilità di oggi alla poetica dell’Alighieri. Si resta ancorati ad una lettura scolastica  e nozionistica che non rispetta la vitalità dei versi. Ascoltare quanto intensamente Dante parli agli uomini di lingua diversa può essere perfino  un suggestivo, curioso,  sottile,  piacevole rimprovero.  Nelle due precedenti edizioni abbiamo avuto il privilegio di incontrare il cinese Huang Wenjie, il russo Aleksandr A. Iljusin, il turco Rekin Teksoy, il portoghese Vasco Graca Moura. Quest’anno, prima dell’originale lettura in dialetto, abbiamo ascoltato, nella prima serata, l’interpretazione del tedesco Hans Werner Sokop, che ha coraggiosamente e con competenza affrontato il XIX Canto del Paradiso, in cui la poetica dell’astrazione assume i toni severi e sprezzanti delle pagine più polemiche dell’ultima Cantica. Poi, sempre nella suggestiva Chiesa di San Francesco, ha letto la sua traduzione l’arabo Mahmoud Salem Elsheikh. Ha proposto il XXVIII Canto dell’Inferno in cui con più forza Dante sottolinea la durezza della pena per chi semina odio, vendetta, sangue. Più che le figure dei singoli dannati il poeta è concentrato a descrivere l’orrore di chi insanguina la pace e ferisce la giustizia. All’inizio Dante stesso ricorda i limiti di ogni parola scrivendo: “Chi poria mai pur con parole sciolte dicer …ogne lingua di certo verria meno…”. Forse l’ammissione del poeta, che riconosce il valore relativo della parola di fronte all’intensità della vita vissuta dell’uomo, ha incoraggiato lo studioso che si esprime in una lingua anche strutturalmente così lontana dall’italiano. E, ci piace pensare che tale espressione abbia già in precedenza incoraggiato l’ideatore della manifestazione, il colto e appassionato Walter Della Monica, che, con fantasia e coraggio, ha proposto di allargare, in questo modo,  gli orizzonti della comprensione e dell’interpretazione della parola di Dante a Ravenna, la città che lo ha accolto in esilio. E  a sottolineare il successo della manifestazione ci aiuta in particolare il ricordo della serata dedicata alla romena Adriana Mitescu che si è distinta per le personali doti comunicative.  Quest’ultima ha vinto una doppia scommessa, perché ha suscitato entusiasmo e partecipazione proponendo il Canto XXVIII del Purgatorio che, generalmente, è delle tre Cantiche la meno amata. E’ ricca di invenzioni allegoriche e la tensione emotiva e poetica è asservita al valore della purificazione ascetica che permette di fare il salto dall’Inferno al Paradiso. Ma la studiosa romena ha scelto il Canto in cui il pellegrino Dante giunge alla soglia del Paradiso terrestre e scopre le sensazioni nuove suggerite dalla natura felice del luogo. La descrizione del bosco, in cui possiamo riconoscere la particolare pineta di Classe fuori Ravenna, ben si presta ad una traduzione di respiro universale.  Infatti,  già  Dante nei suoi versi la tratteggia con un notevole grado di stilizzazione, suscitando una suggestione più musicale che descrittiva. Dante voleva ricreare l’immagine universale di una natura incontaminata, simbolo e luogo di accoglienza  delle virtù morali ed intellettuali. Forse proprio tale valore di universalità ha arricchito in modo particolare il lavoro della studiosa romena. E’ solo l’ennesima, piacevole conferma del prodigio della poesia che, quasi come in un contrappasso dantesco, si nutre dell’intimità più raccolta dei sentimenti ma rinnega ogni chiusura e non conosce confini.

del 17 novembre 2001

Il “grande esule” ha trovato una patria in tutto il mondo

Il “grande esule” ha trovato una patria in tutto il mondo
di Fausta Speranza

Il profondo misticismo, l’amore per la donna, l’incrollabile fede:  sono queste le ragioni della passione nutrita nei confronti della poesia di Dante dalla giovane letterata Farideh Mandavi Damghani che ha aperto quest’anno la rassegna La Divina Commedia nel mondo, a Ravenna. La quarta edizione si è svolta come di consueto nella Basilica di San Francesco, negli ultimi tre venerdì di settembre, e ha riscosso  proprio il consueto successo.  Mai come in questo momento avvertiamo che esigenze e realtà del mondo più lontano si fanno urgenti e vicine e che la nostra realtà deve aprirsi a comprendere altro. Non possiamo sottrarci a un incontro tra culture e popoli e abbiamo il dovere di fare di tutto ad ogni livello perché sia confronto e non scontro. Mai come quest’anno ascoltare l’eco che la poesia di Dante suscita in altri paesi e in altre culture è stato fonte di profonda speranza. “Nati non foste a viver come bruti ma per seguir vertute e conoscenza”: è un famoso versetto del sommo poeta che ha riassunto, in un viaggio fantastico e straordinariamente vero, la parabola dell’essenza umana e spirituale dell’uomo alla ricerca di se stesso e del valore di se stesso. La speranza, dunque, è quella che nell’uomo di oggi, sotto ogni latitudine, prevalga il desiderio di ricercare tale valore, nel rispetto delle differenze culturali.   Dopo la serata dedicata alla lettura comparata in italiano e persiano, nei due appuntamenti successivi,  il viaggio sulle orme dell’Alighieri ci ha portato in Ungheria e in Spagna. In questi due casi le versioni riproposte appartengono a due illustri poeti scomparsi, rispettivamente per l’Ungheria  Mihaly Babits, morto nel 1941, e per la Spagna Angel Crespo, morto nel 1995. Come sempre a condurre la conversazione che precede la lettura comparata di un canto, sono stati chiamati i più autorevoli esperti in materia. Ecco dunque, l’introduzione del persianista Angelo Michele Piemontese dell’Università di Roma, poi, per la seconda serata, l’italianista Jozsef Pal dell’Università di Szeged e dell’italianista-magiarista Peter Sakozy dell’Università di Roma-Budapest. Infine, l’ultimo appuntamento ha visto la partecipazione dell’ispanista Gaetano Chiappini dell’Università di Firenze, dell’ispanista e comparatista Pilar Gomez Bedate Crespo dell’Università di Barcellona e dell’italianista Isabel Gonzales Fernandez dell’Università di Santiago de Compostela. Il loro prezioso contributo ha permesso ai partecipanti di conoscere qualcosa dell’accoglienza di Dante in ciascun paese e, soprattutto, degli elementi più caratteristici di tale accoglienza. Non si tratta solo di curiosità letterarie ma di spiragli di comprensione che raccontano molto della ricchezza culturale e letteraria di un paese.  Tra tante differenze tra la nostra vita quotidiana e quella del suo popolo, una donna come Farideh, che vive a Teheran, capitale dell’Iran, e che nasconde i capelli sotto il velo, ci invita a capire quanto possano  insegnare alla sua gente il profondo misticismo, l’amore per la donna e l’incrollabile fede di Dante. E’ un preziosissimo stimolo a riscoprire qualcosa che ci appartiene ma che a volte dimentichiamo. La cultura è anche la capacità di riconoscere il senso più profondo e più vero delle parole e ci conforta l’attenzione alla parola misticismo. Ci conforta pensare che  può essere recuperata, dunque, in ogni tempo, riscoprendo che l’uomo che ama l’uomo rispetta il misticismo ma rifugge dal fanatismo religioso o da una scarsa considerazione della vita. Il fanatismo religioso fa sì che ancora oggi i Talebani compiano comportamenti disumani in nome di dio,  ma le migliaia di morti ogni anno sulle nostre strade, in particolare le giovani vite spezzate per una corsa di notte verso una discoteca, nascondono una scarsa considerazione della vita che ancora non ci inquieta come dovrebbe. Sono solo esempi della nostra realtà che non può essere un’altra faccia della medaglia rispetto alla cultura ma dovrebbe nutrirsi del bagaglio di umanità che appartiene alla letteratura.  “Un uomo che ha goduto di buona fama non morirà”, ha affermato Farideh ricordando le parole di un poeta persiano.  E’ anche per questo che lei ha caparbiamente voluto pubblicare la sua traduzione completa in lingua persiana della Divina Commedia. Si tratta di tre volumi, che raccolgono anche molti commenti dei più illustri dantisti, e che soprattutto rispettano la terzina dantesca, mentre la traduzione precedente riassumeva  in prosa i versi di Dante. Un uomo che ha goduto di buona fama, dunque, non morirà nemmeno in Iran nonostante che abbia messo all’Inferno proprio Maometto. Anche questo è fonte di speranza in questo inizio secolo segnato dall’affacciarsi della spettro della guerra.  Farideh ammette che non ha potuto tradurre i versi di Dante relativi a Maometto, perché la religione musulmana non lo permette, però ha spiegato ai suoi lettori il significato di quelle terzine mancanti e cioè le critiche, magari esasperate, di Dante. Il coraggio di Farideh che non pubblica in un paese che rispetta la libertà di espressione è il coraggio, in questo caso sofferto come è sofferta la situazione in Iran, di uscire dalle proprie sclerotizzate certezze. Un coraggio che sempre la letteratura chiede a chi voglia avventurarsi in ciò che l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo ha vissuto e espresso. Un coraggio da riscoprire anche  difendendo la riflessione dalla velocità e dalla banalità della nostra epoca. L’immagine del vagare di Dante tra Inferno, Paradiso e Purgatorio è sempre l’immagine di un uomo che varca confini difficili da varcare, cercando di imparare a vivere e a morire.

del 25 settembre 1999