Internet avvicina le due Coree

di Fausta Speranza

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Ma Cina, Russia e Giappone non auspicano l’unificazione

Se la Corea del Nord avrà la sua “primavera araba” sarà per le telenovela illegali. E’ la convinzione del direttore dell’Istituto per l’Unificazione delle due Coree che incontriamo nel suo studio in una zona residenziale di Seoul. Choi Jinwook si occupa proprio della situazione del Nord.

Afferma che la gente rischia grosso pur di far girare le trasmissioni del Sud su chiavette usb passate attraverso la Cina. Le telenovela, dunque, cavallo di Troia nella dittatura più isolata del mondo in cui non esiste Internet. Ma su questo ci fa riflettere Philip Hong Sun Kim, responsabile operativo di AhnLab, Agenzia per la sicurezza informatica in Sud Corea. Parliamo dei recenti attacchi informatici ai dati di 35 milioni di sudcoreani. Ci conferma che sono partiti dal Nord con indirizzi di Internet Protocol cinesi. Attacchi non di tipo terroristico-politico – ci spiega – ma finalizzati a rubare soldi. Dunque, forse Internet non è così lontano dal dilagare anche nel Paese in cui ti insegnano che “i genitori ti danno il corpo e il capo supremo lo spirito”, come ci racconta, Y Iang, ex scrittore del regime fuggito.
“La riunificazione della Germania è arrivata all’improvviso – ci dice Choi Jinwook – mentre per le due Coree, siamo ben preparati”. “Anche Cina e Russia sono preparate ad una caduta improvvisa del regime”. Non vuole aggiungere altro. Per quanto riguarda la Cina, sappiamo che sta preparando un massiccio dispiegamento di forze nell’area. Non sappiamo se a causa o in risposta al compound Usa che si sta materializzando a 90 km a sud est della costa meridionale dell’isola di Jeju: 20 navi da guerra con sottomarini, 2 incrociatori. Della Russia sappiamo che fa affari per il trasporto di gas con Kim Jong Il, che dal 1994 è il leader di Pyong Yang, senza avere il peso del padre Kim Il Sung, “presidente eterno”. Mosca non ha interesse a novità che destabilizzino l’area. Così come il Giappone non auspica la riunificazione della penisola che darebbe vita a una grande nazione a pochi km. Per la Cina la situazione è più complessa: la Corea del Nord è il suo baluardo nell’area ma è anche una palla al piede. Pechino non ha gradito le ostilità dell’anno passato, perchè interessato a sempre più stretti rapporti commerciali con la Corea del Sud. Cheong Seong-chang, del Sejong Institute, think-thank sudcoreano, esclude che la Cina onorerebbe il trattato che la lega militarmente con il Nord dal 1961. Dopo le recentissime aperture di Pyong Yang, tutti aspettano la ripresa dei negoziati a sei sul nucleare nordcoreano.  E i negoziati sembrano una bella coperta che tiene in caldo senza scoprire tante cose.

L’Europa corre verso Est

Crisi globale e Cina che soccorre l’Occidente indebitato: in questo scenario l’UE si è lanciata nella guerra commerciale dichiarata da Seoul a Pechino, aprendosi una possibile interessante finestra in Asia. Il 1 luglio è entrato in vigore il Free Trade Agreement tra UE e Corea del Sud, che abbatte le barriere doganali. L’UE è il primo investitore nel Paese del Sud est asiatico. Seoul ha sorpreso il mondo negli ultimi anni con automobili e alta tecnologia ma non fa più solo assemblaggio: compete ora anche sui software. Parliamo di 48 milioni di abitanti su meno di 100.000 Km² e il colosso cinese è un incubo. In più, Pechino, leader del sottocosto, si prepara a risfidare il mondo commerciale sul terreno della qualità. Ce lo assicura Gue-Bae Yeoum, direttore alla Korea Federation of textile industries, settore in cui le tariffe doganali con l’UE sono crollate del 95%. C’è da dire che Seoul tratta rispettivi FTA con Usa, Canada, Giappone e Cina, ma ci vorrà tempo: un vantaggio da non perdere.

Choi Seouk Joung, vice Ministro per Affari Esteri e commercio, ci conferma lo stallo nelle trattative con gli Usa e le contestazioni di piazza: ammette un “sentimento antiamericano”, che sorprende nel Paese liberato dagli Usa, minacciato dalla  parte settentrionale della penisola dominata dalla dittatura comunista. Yoo Duk Kang, leader al Korea Institute International Economy Policy, ci fa notare: “Economia, cultura e politica sono connesse”. La partita dell’UE in Asia si arricchisce di implicazioni, a patto che regga l’urto della crisi.

Seoul conferma il nucleare ma punta sul verde

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La Corea del Sud, che conferma senza esitazione la scelta del nucleare anche dopo Fukushima vissuta a pochi Km di distanza, punta su tutte le possibili energie pulite. Young Soo Gil, presidente del ‘Comitato per la crescita verde’ parla di investimenti cresciuti in tre anni del 75%. Solo nel 2011 i fondi  per ricerca e sviluppo – tutti all’insegna del Green – sono passati dal 30 al 40%:  il governo assiste 21.350 compagnie, 4150 laboratori, 1795 centri di ricerca per creare 30.000 nuovi posti di lavoro. Poi ci sono i fatti: è entrata in funzione da pochi giorni la più grande centrale al mondo per lo sfruttamento delle maree: 10 generatori sulla costa ovest di Seoul in grado di produrre elettricità sufficiente per una città di 500.000 abitanti. E nel Porto di Busan, quarto per grandezza in Asia, a gennaio entrerà in funzione il 60% della nuova grandissima area che vanta sistemi di automazione e energia pulita.

Giovani intrappolati nella rete

Una delle 10 migliori idee al mondo nel 2010 è venuta dal KAIST, primo istituto in Asia per scienza e tecnologia. Praticamente l’MIT coreano. Al Kaist,  quest’anno è alzata la soglia del voto che ti salva da tasse iperboliche, dopo 5 suicidi: 4 studenti e un professore. Il vice Ministro per Uguaglianza di generi e Famiglia, Tae-Seok Kim, ammette: “Stiamo chiedendo agli istituti scolastici più attività di tempo libero”. Joo Mee Bae, psicologa del KYCI, Istituto nazionale per i giovani, ci rafforza nell’idea di una società troppo competitiva ma poi punta il dito contro Internet, nuova emergenza sociale: il 4% dei giovanissimi ha problemi da dipendenza. “Conosco Europa e Usa e vi dico: attenti, è solo questione di tempo, noi siamo un passo avanti nella tecnologia e dunque nelle devianze. Inoltre noi facciamo test in tutte le scuole e abbiamo i dati. Dovreste anche voi fare verifiche a tappeto e non solo affrontare i casi eclatanti”.

Il boom del cattolicesimo

30 anni fa i cattolici in Corea del Sud erano 500.000, oggi sono 5milioni e 500mila. Il 10% di una popolazione che per metà è non credente, per un altro 10% cristiana non cattolica, per il 30% buddhista. Il boom è noto ma girando dalla capitale ai villaggi tradizionali del centro, colpisce il calore di tutti. A chiunque chiedi della Chiesa cattolica ti esprime grandissima stima e inesorabilmente sottolinea: lavora per la gente e non bada a fare soldi. Citano due “eroi nazionali”: “il presidente che ci ha traghettati nella democrazia, Kim Dae-Jung, che era cattolico”. E il cardinale Stephen Kim Sou-hwan, arcivescovo di Seoul dal ’68 al ’98, morto nel 2009: “negli anni della dittatura è stato una coraggiosa voce critica fondamentale per il Paese”. I coreani che si convertono aggiungono al loro nome un nome latino di battesimo: Stephen spopola. Molti citano Assisi, luogo simbolo per loro di una religione che dà calma e serenità alla vita. Nota dolente: anche tra i cattolici resta molto alto il numero di aborti, anche se illegali. La difesa della vita non passa in un popolo che conta gli anni considerando l’anno di gestazione. Curioso e forse promettente.

Famiglia Cristiana del 2 ottobre 2011