La Spagna vota l’Ue s’interroga

Le elezioni politiche a ridosso di quelle europee

di Fausta Speranza

Spagnoli alle urne a conclusione di una campagna elettorale quasi improvvisata dopo l’annuncio, a metà febbraio, di elezioni anticipate. Con il voto di domenica 28 si devono rinnovare le due Cortes Generales, che dovranno poi votare la fiducia a un nuovo esecutivo. Si tratta di un punto di snodo in una crisi di governo tutta interna al paese, ma l’appuntamento elettorale di Madrid assume particolare significato perché precede di quattro settimane le elezioni europee, fotografando una tendenza alla frammentazione delle forze politiche.

Il governo uscente è guidato da Pedro Sánchez, leader del Partito Socialista (Psoe), principale partito di centrosinistra in Spagna che per 36 anni ha avuto la leadership del paese ma che tra il 2015 e il 2016 ha subito sei sconfitte elettorali. Sánchez è diventato primo ministro nel giugno 2018, dopo la sfiducia votata dal Parlamento nei confronti di Mariano Rajoy, leader del Partito Popolare (Pp), formazione che aveva vinto le ultime elezioni generali nel 2016. Per la Costituzione spagnola vale il sistema della cosiddetta “sfiducia costruttiva”, per cui un governo cade solo se il parlamento vota contestualmente la fiducia a un altro esecutivo. In sostanza, negli ultimi tre anni lo stesso Parlamento ha legittimato due governi molto diversi, uno di destra e uno di sinistra. La decisione di elezioni anticipate è stata presa dopo che i deputati hanno bocciato la legge di bilancio per il 2019 presentata dall’esecutivo socialista, mettendo in evidenza l’assenza di una maggioranza in grado di continuare a governare. Sánchez aveva varato un esecutivo con una fragilissima maggioranza: il mancato sostegno degli indipendentisti catalani è stato sufficiente a ritornare alle urne. Per quanto riguarda i socialisti nell’ottobre 2016 l’orizzonte si presentava fosco come mai era stato e sembrava arrivata alla fine la carriera politica di Sánchez, che tutti si aspettavano si dimettesse da segretario generale del partito. Ma Sánchez in quel momento ha deciso comunque di non andarsene e l’anno successivo si è presentato come candidato segretario al congresso del Psoe, vincendo. E, dopo il periodo segnato dalle difficoltà per la vicenda degli indipendentisti in Catalogna, nel momento di crisi che aveva colpito il governo di Rajoy (Pp), il 2 giugno scorso, ha ottenuto la fiducia in Parlamento, seppure risicata, per formare il nuovo governo. Oggi nei sondaggi, il Psoe è il partito posizionato meglio. A dispetto della caduta del governo, sembra aver recuperato voti a sinistra e una parte di consensi potrebbe arrivare dal centro, dopo lo spostamento a destra di Ciudadanos e la promessa del suo leader, Alberto Rivera, di non fare alleanze proprio con il Psoe. Possibili alleati in una coalizione di governo sono Podemos di Pablo Iglesias e Izquierda Unida di Alberto Garzón. Ma se il Psoe come partito si difende bene, i sondaggi danno per favorita la coalizione del nuovo centro destra, composto dai popolari, dai liberali di Ciudadanos e dal partito di estrema destra Vox. Quest’ultimo si è presentato sulla scena politica a inizio 2014 e fino al 2017 ha registrato consensi che sfioravano l’1 per cento ma alle regionali in Andalusia, a dicembre scorso, ha fatto il suo exploit ottenendo il 10,97 per cento di voti e 12 seggi nel parlamento regionale. Il terremoto politico in Spagna è iniziato con le amministrative del 25 maggio 2015, quando il partito di Pablo Iglesias, Ciudadanos, ha messo fine al bipartitismo tradizionale che ha segnato la storia democratica dopo la caduta del franchismo. È stato il frutto delle denunce contro la corruzione dei partiti tradizionali e delle proteste contro le politiche di austerità. Gli elettori hanno voltato le spalle al Pp di Rajoy in particolare per il caso Gürtel, uno scandalo di corruzione, riciclaggio ed evasione fiscale che ha investito i vertici dei popolari. Ma anche i socialisti sono stati visti come esponenti della casta ritenuta responsabile della profonda crisi economica e sociale del paese. Di fatto, a due giorni dal voto, il leader del Pp, Pablo Casado, ha aperto per la prima volta esplicitamente alla destra di Vox e alla possibilità che questa entri in un ipotetico governo guidato dal Pp. Ha dichiarato che «Vox o Ciudadanos, che ottengano 10 seggi o 40, avranno l’influenza che vorranno avere per entrare nel governo o per decidere l’investitura o la legislatura». Un messaggio chiaro, accompagnato però anche da un appello al «voto utile» e compatto, nella speranza di contrastare così il possibile blocco delle sinistre. Si capisce che anche il Pp ha bisogno come mai di alleanze. Incombe proprio l’esempio dell’Andalusia dove a febbraio si è insediato un governo di centro destra che vive dell’appoggio di Vox. La regione meridionale ricca di arte e di storia ha segnato la prima volta di un esecutivo senza i socialisti nella storia del dopo Franco. Una svolta che è stata definita storica per la Spagna, ma che significa qualcosa non solo per il paese: Vox rappresenta, infatti, uno dei tanti partiti “sovranisti” che stanno segnando il dibattito per il voto europeo. Dal voto, dunque, ci si aspetta la nascita di quello che i commentatori politici hanno definito il “pentapartitismo imperfetto”. Una definizione nuova per un equilibrio nuovo, che però in realtà si basa su un presupposto ormai consolidato negli ultimi quattro anni: la politica spagnola non gira più attorno alla sola rivalità tra i due partiti tradizionali, il Psoe e il Pp. Tra tutti i candidati in lizza c’è una caratteristica che ritorna: i nuovi leader sono tutti giovani. L’elezione nove mesi fa di Pablo Casado (38 anni) quale presidente del Pp — fino ad allora guidato dal sessantaquattrenne Rajoy — ha confermato la fine di un ciclo, un cambio generazionale. Il più  “anziano” è Pedro Sánchez del Psoe, 47 anni. Hanno 40 anni Pablo Iglesias di Unidos Podemos e Alberto Rivera,che è a capo di Ciudadanos dalla sua fondazione. È loro coetaneo Santiago Abascal di Vox, ex deputato del Parlamento locale dei Paesi Baschi, che ne ha 43. Per sapere chi avrà più peso bisogna aspettare l’esito delle urne, ma intanto il “sistema pentapartitico” chiarisce che per governare serviranno alleanze, fare da soli non sarà possibile per nessuno. Resta il fatto che le elezioni di domenica 28 sono le terze in meno di quattro anni, in un paese che fino a non molto tempo fa veniva considerato come uno dei più politicamente stabili in Europa. Anche questo fa pensare alla stessa Ue, che a partire dal 23 maggio affronta il voto per il rinnovo delle sue istituzioni più incerto della sua storia e che rischia di perdere molto della sua stabilità.

L’Osservatore Romano, 28 aprile 2019