La Liberia vuole farcela da sola

 

La difficile ma tenace scommessa del piccolo Paese africano

di Fausta Speranza

Povertà, postumi della guerra civile, missione Onu. Sono tutti termini che servono, per una volta, non a denunciare uno dei tanti scenari di instabilità e sofferenza al mondo ma, piuttosto, a raccontare la scommessa di rinascita che sta vivendo la Liberia. Questo Paese dell’Africa occidentale, che è stato tra i più colpiti dalla ferocia delle armi, dalla cecità dalla dittatura e poi dalla forza distruttiva di ebola, oggi saluta i soldati della forza di peacekeeping internazionale perché il loro lavoro è finito. Non tutte le ferite sono state risanate, ma il Paese si sente in grado di voltare pagina.

D’ora in poi, saranno le forze dell’ordine liberiane a garantire la sicurezza. Dopo 13 anni di missione, gli uomini del contingente di pace delle Nazioni Unite il 30 giugno hanno passato le consegne alle forze armate locali e stanno lasciando il piccolo Paese africano. Si è trattato di una delle missioni più strutturate in Africa, con 42 nazioni che hanno contribuito con propri militari e 35 con personale di polizia.

Il tessuto sociale della Liberia — di poco più di 111.000 chilometri quadrati e una popolazione di poco più di un milione di abitanti — è stato lacerato da due guerre civili (dal 1989 al 1996 e dal 1999 al 2003) e da una dittatura, quella di Charles Taylor, che dal 1997 ha consentito uccisioni e torture, suscitando ribellioni e repressioni che sono costate la vita a 200.000 persone. L’uscita di scena di Taylor — che è stato condannato dalla Corte dell’Aja per i crimini di guerra e contro l’umanità avvenuti nella vicina Sierra Leone — è stata negoziata: l’esilio in Nigeria a patto di non essere perseguito in patria.

Al momento a Monrovia, la capitale, c’è un Governo di unità nazionale che riunisce vari esponenti delle diverse fazioni che si erano combattute. Una scelta difficile, così come è stato per la riammissione alla vita politica, decisa cinque anni fa dalla Corte Suprema liberiana, di Prince Yormie Johnson, uno dei militari che aveva fatto sequestrare, torturare e poi uccidere l’allora presidente Jamuel K. Doe. Ma tutto questo fa parte della scommessa di riconciliazione che si gioca questo Paese, che già nel nome proclama di credere nella libertà, e che ha avuto nel 2011 la soddisfazione di veder assegnato il Premio Nobel per la pace al suo presidente Ellen Johnson Sirleaf.

La nascita della nazione liberiana risale intorno al 1822, quando aziende private statunitensi finanziarono il rientro nel continente nero di schiavi di origine africana. E la capitale Monrovia prese il nome del capo della Casa Bianca dell’epoca, James Monroe. Non è solo una curiosità storica, è il segno di un rapporto privilegiato con Washington.

A caratterizzare l’azione delle autorità al potere, c’è la lotta senza frontiera alla corruzione. Il presidente, che è anche capo dell’Esecutivo, ha assunto iniziative clamorose, come il licenziamento del personale di interi settori impiegatizi e la riassunzione solo di quanti potevano dimostrare di non avere avuto implicazioni in affari illeciti.

La lotta all’illegalità è il primo passo affinché le considerevoli materie prime che il Paese possiede, a partire dai diamanti, divengano effettivamente un bene comune. La Liberia gode della crescita di circa il 4 per cento del Prodotto interno lordo, come altri Paesi dell’area del Golfo di Guinea. Non è povera di acqua e non manca neanche di potenzialità agricole. Ma la questione aperta è l’equa distribuzione di queste ricchezze e di queste potenzialità tra tutta la popolazione.

Fa impressione ricordare che in due anni l’epidemia di ebola ha falcidiato 4.800 persone. Passata l’emergenza, anche con il contributo internazionale, ora il settore sanitario sta tornando alla normalità. Ma in Liberia questo significa avere, per ogni 100.000 abitanti, un solo medico e appena 80 posti letto.

Mentre nella stessa area geopolitica dell’Africa subsahariana Paesi come il Mali e la Nigeria stanno lottando duramente contro l’insidia fondamentalista, la Liberia lancia così la sua scommessa. Dicendo al mondo di potercela fare, cominciando dal riassumere il controllo del suo territorio.

Osservatore romano 18 Luglio 2016