Visti umanitari contro i viaggi della morte

Per dire Basta ai viaggi della morte

di Fausta Speranza

Visti umanitari, per dire basta ai viaggi della morte: è la proposta contenuta nella risoluzione che il Parlamento europeo vota martedì 12. Una presa di posizione in controtendenza rispetto alle ultime decisioni europee di chiusura delle frontiere e soprattutto in aperto contrasto con quella che la relatrice della risoluzione, Cecile Kyenge, chiama la «fabbrica della paura».

Visti umanitari perché ci sia riconoscimento dell’umanità, spiega, in un’intervista all’Osservatore Romano e a Radio Vaticana, l’eurodeputata Kyenge, sottolineando che «la via l’ha indicata Papa Francesco, quando a Lampedusa ha riconosciuto gli invisibili, ha portato un fiore ai morti in mare senza un nome». E ora va sull’isola greca di Lesbo, simbolo dell’emergenza sulla rotta balcanica, mentre, afferma Kyenge, l’Europa e l’Onu sembrano di nuovo aver smarrito la via.

Precisamente, la proposta di un visto umanitario significa dare la possibilità alle persone di fare richiesta di asilo direttamente nei Paesi dove si trovano, fuori dell’Unione europea e fuori anche dei Paesi confinanti come la Turchia, a casa loro, ovviamente in  ambasciate o consolati. L’ obiettivo è uno solo: evitare che salgano sui barconi della morte. In fondo sarebbe il modo più efficace di contrastare l’indegno traffico di esseri umani, che dalla via del Mediterraneo si è spostato sulla rotta balcanica, con il suo inesorabile prezzo in termini di vite umane spezzate o piegate.

A livello di vertici europei, si discute tanto su come superare o perfezionare il regolamento di Dublino, che finora ha vincolato le richieste di asilo al Paese di primo approdo, congestionando alcune frontiere e sequestrando di fatto migliaia di perone in un limbo. Esattamente quanto successo a Lesbo, dove Francesco si reca proprio perché l’isola dell’Egeo è divenuta simbolo delle condizioni disumane delle persone in fuga da Siria, Iraq, ma anche da Paesi africani, verso il nord Europa. A Lesbo, il 16 aprile, arriverà l’abbraccio umanitario del Papa, insieme con il Patriarca ecumenico di Costantinopoli e l’arcivescovo ortodosso di Atene.

L’abbraccio si fa appello alla politica, ma anche alle coscienze di tutti: leader e cittadini.

Il testo di cui parliamo è al voto dell’Europarlamento, che rappresenta direttamente i cittadini: quei cittadini che i media raccontano terrorizzati e arroccati su frontiere blindate.

Proprio dai loro rappresentanti arriva un segnale forte alla Commissione europea, esecutivo comunitario, e ai capi di Stato e di Governo. Si tratta della assise parlamentare più euroscettica della storia di Strasburgo.

Il punto è che emerge una proposta che va oltre l’emergenza e che tocca la radice dei problemi: conflitti e speculazioni. E qui risulta evidente che, al di là di qualunque euroscetticismo,  questa proposta va incontro agli interessi dei cittadini stessi, anche in termini di sicurezza.

Colpisce il numero di volte in cui nel testo della risoluzione torna la parola solidarietà. Non dovrebbe meravigliare perché nei Trattati fondativi dell’Europa unita è un termine cardine. A ben guardare, quello che stupisce è che non si tratta di una solidarietà declinata nell’emergenza, ma di una solidarietà che ragiona sull’arco ampio della prospettiva reale dei flussi migratori: decenni e non mesi o giorni. Anche questo è un modo per venire incontro ai bisogni reali dei cittadini: pensare politiche di ampio respiro. Si capisce che l’inganno di chi, con le parole di Kyenge, alimenta la <<fabbrica della paura>>, è anche quello di rubare lo spessore storico dei fatti migratori, appiattendo tutto su un piano falsato e illusorio, in cui sembra possibile sbarrare le porte senza una politica di lunga gittata.

A questo proposito, nel testo al voto, che certamente non rappresenta o racchiude la soluzione di tutto, si trova un altro elemento importante: oltre a concepire nuovi canali di migrazione legale attraverso i visti umanitari, si concepisce un progetto di accoglienza che vada oltre la direttiva comunitaria della Blue card, cioè della regolamentazione dell’immigrazione altamente qualificata.  In concreto, si chiede alla Commissione europea di non limitare il progetto a una categoria ristretta di persone, dagli ingegneri ai medici per capirci, ma di allargare la prospettiva, guardando anche ai nuovi bisogni del mercato. Dunque, categorie meno specializzate, lavori meno qualificati.

Non che non ci siano domanda e offerta su questo piano, ma troppo spesso sfuggono a certe politiche di integrazione.

Resta da dire delle incognite aperte dopo l’accordo, il mese scorso, tra Ue e Turchia per la gestione dei migranti, che prevede rimpatri, reinsediamenti di rifugiati. Il dubbio centrale è se l’intesa possa muoversi nel rispetto degli standard internazionali di diritti umani. Le convenzioni ci sono, viene ricordato da più parti, e bisogna applicarle. Su tutto, è fortissima l’attesa per le parole che a Lesbo saranno pronunciate dal Papa. Francesco, ci dice Cecile Kyenge, <<torna a indicarci la via>>.

di Fausta Speranza

Osservatore Romano dell’11 aprile  2016