La questione di genere: un dibattito serissimo da non relegare alle sedi Onu

A primavera all’Onu si discuterà di orientamento sessuale e di identità di genere ma non sarà più solo per combattere violenze e discriminazioni. Sarà per sdoganare la scelta di identificarsi in una X in alternativa all’indicazione di maschio e femmina e soprattutto sarà per discutere se essere una X è solo una questione di sensazione e non di fisicità.
Mentre discutevamo di diritti delle donne e di giusta lotta a ogni forma di violenza e discriminazione ai danni del femminile e delle persone omosessuali, ci si accorge che senza troppo clamore il diritto internazionale viene sfidato sul terreno dei termini, o meglio della definizione dei termini. Il punto sta diventando se una persona può decidere a prescindere dalla propria fisicità sessuale di essere donna o uomo o X.  Non stiamo dicendo che con un’operazione chirurgica la persona può modificare tale fisicità perchè questa è una frontiera già aperta. Il punto ora sta diventando se, senza nulla operare sui propri organi, una persona possa scegliere di identificarsi in un genere diverso dagli organi stessi. Certamente è dovuto il rispetto per l’inquietudine, la sofferenza, le difficoltà che a livello umano le persone coinvolte possono provare nel volersi identificare con qualcosa di diverso dalla naturale fisicità o in alcuni casi per situazioni oggettivamente non chiare dalla nascita. Ma è d’obbligo ragionare sui principi. Ad introdurre in modo serio e palese questa finestra di discussione è stata la notizia, commentata più o meno in termini di curiosità, della normativa introdotta a ottobre in Australia che prevede la X nei passaporti, in alternativa a maschio e femmina, per transgender e trans. Il pronunciamento giuridico che lo autorizza è preciso: la persona ha facoltà di scegliere il genere al di là dell’evidenza fisica. Basterà infatti una lettera del medico che attesti che quella persona sente di essere donna, uomo o trans per ribaltare quello che la natura fisica dice. La prima cosa che viene da chiedersi è se in un giorno diverso quella persona sentirà una cosa diversa. Ma viene anche da chiedersi come sta messo il diritto internazionale, chiamato prima o poi in causa da questo pronunciamento giuridico.
Il vecchio continente pensando all’appuntamento a primavera a livello di Nazioni Unite si sentiva preparato. Sia l’Unione Europea a 27, sia il Consiglio d’Europa a 47 Paesi, si sono pronunciati più volte contro ogni forma di discriminazione di genere. I dati denunciano un livello di inaccettabile violenza e discriminazione nonostante tutte le Carte sottoscritte e, dunque, i pronunciamenti non sembrano mai abbastanza. In particolare a settembre scorso è approdata al Parlamento Europeo una Risoluzione che ha avuto pareri favorevoli dal Partito Popolare come da quello Socialista e Liberale e Democratico. Il testo si richiama alla Risoluzione A/HRC/17/19 del Consiglio dei diritti umani dell’Onu e esprime la costante preoccupazione del Parlamento Europeo per le violazioni dei diritti umani delle persone LGBT e cioè lesbiche gay bisex transessuali. La sigla è da imparare perché ritorna ormai in tutti i discorsi e i documenti relativi alla questione di genere. Compare da più tempo nei testi del Consiglio d’Europa che ha come finalità proprio quella di tutelare i diritti umani. Il Consiglio d’Europa già nel 2010 ha adottato una sua Risoluzione sul tema. Si tratta della risoluzione 1728 che afferma che “in tutti i paesi membri del Consiglio d’Europa l’omosessualità è stata discriminata”. Ricorda che “in base al diritto internazionale tutti gli esseri umani sono nati liberi e uguali per quanto riguarda la dignità e i diritti”, per poi sottolineare che “non deve essere permesso considerare l’orientamento sessuale e l’identità di genere come motivi di discriminazione”. Precisamente spiega che “secondo la Corte Europea dei diritti dell’uomo una differenza di trattamento è discriminatoria se non ha oggettive e ragionevoli giustificazioni” e che “dato che l’orientamento sessuale è l’aspetto più intimo della vita privata di un individuo, la Corte considera che soltanto ragioni particolarmente serie possono giustificare differenze di trattamento basate su orientamento sessuale”. C’è l’invito a ogni paese membro a “sradicare ogni forma di omofobia e transfobia”, in particolare “sostenendo a livello nazionale cambiamenti nella legislazione e nelle politiche”. Fin qui discorsi già aperti, che non interessa in questa sede analizzare. C’è un punto invece che ci riporta al dibattito che intravediamo giungere dall’Australia. A ben guardare, infatti, nella Risoluzione del Consiglio d’Europa si legge: “L’identità di genere fa riferimento alla esperienza interiore e individuale di genere sentita profondamente da ogni persona”. La domanda da farsi è quale margine di interpretazione lasci questa affermazione. Forse da parte di chi l’ha sottoscritta nel 2010 non c’era la consapevolezza che qualche Corte introducesse il riconoscimento di “sensazioni” di genere. O forse sì. Impossibile dirlo. Ma in ogni caso il dibattito va aperto seriamente a partire dalla normativa di Sidney che autorizza passaporti con M, F, X.
Ma non è l’unico spunto: in Canada compirà un anno proprio in primavera Storm, il figlio, o la figlia, di tali Kathy e Witterick David Stocker. Il sesso del bambino è proprio quanto non è dato sapere. La coppia infatti ha pubblicamente chiesto alle autorità di poter omettere ogni indicazione su questo e conferma di non averlo comunicato neanche ai nonni. La motivazione: la scelta del sesso sarebbe una “questione personale” del nato/a, che lui/lei dovrà decidere, nell’ottica che definiamo inquietante della coppia, “senza condizionamenti sociali”. Della vicenda aggiungiamo solo che i nonni hanno espresso pubblicamente disappunto e preoccupazione. Raccogliendo spunti dall’Australia al Canada, siamo andati a fare una chiacchierata con un politico britannico di fama internazionale in tema di diritto: Lord Alton. Conferma che la questione di genere è stata finora sottovalutata. Precisamente parliamo di David Patrick Paul Alton, Baron Alton of Liverpool, noto per aver promosso campagne contro l’aborto in stretta sinergia con ambienti laici e atei. Professa più che pubblicamente di essere cattolico, ma, quando si tratta di diritti umani – ci tiene a sottolinearlo – “bisogna sentirsi innanzitutto cittadini responsabili prima ancora che credenti”. Lord Alton in questi anni si è messo in contatto con medici e intellettuali atei che si sono posti un problema di fronte ad alcune cifre: la Gran Bretagna in un anno registra 250.000 aborti, cioè più di 600 al giorno. Dietro alle cifre ci sono donne con il loro vissuto e 60 milioni di euro spesi. Al di là del valore della difesa della vita da parte della Chiesa cattolica, in tanti si sono posti il problema. E Alton fa anche un altro esempio: la pena di morte. Se davvero siamo nel mondo in controtendenza è perchè in tanti hanno testimoniato il valore di ogni vita umana ma anche perchè l’opinione pubblica in sempre più paesi sta considerando oggettivamente che non c’è nesso tra pena capitale e maggiore sicurezza. E poi l’eutanasia: Alton assicura che se il parlamento britannico non si è adeguato all’apertura fatta da alcuni Paesi è “perchè il dibattito tra la gente è molto forte e l’opinione pubblica coinvolta”. Per tutti questi temi Alton tiene aperta la discussione con l’Associazione Libertarian for life, movimento che conta molti credenti e non. In definitiva, sulla questione di genere Lord Alton raccomanda proprio un dibattito più trasversale possibile: “Non lasciare la questione di genere solo a chi la affronta come questione politica o religiosa ma coinvolgere tutti i cittadini come i media”. Ognuno deve porsi l’interrogativo se dichiararsi donna, uomo o trans possa essere solo questione di una sensazione. E ognuno deve prepararsi a un dibattito che al momento è solo accennato e circoscritto al prossimo incontro all’Onu ma che in realtà apre interrogativi su parecchi fronti. Se tutti siamo d’accordo a condannare violenza e discriminazione contro Lgbt, infatti, è tutto da dibattere su altre richieste che indubbiamente premono da parte dei gruppi che stanno dietro a questa sigla: adozione, matrimonio, fecondazione assistita. Se non abbiamo più neanche la distinzione biologica “reale” tra uomo e donna come punto di riferimento per ragionare su tutto ciò, il dibattito diventa davvero arduo.  Fausta Speranza

Dicembre 2011