L’evangelizzazione: sfida del passato e del presente

Il Dicastero per l’evangelizzazione è impegnato a rendere più accessibili i documenti dei suoi archivi che raccontano il processo storico dalla prima Congregazione de Propaganda fide al Dicastero stesso: è quanto emerso al convegno dedicato ai 400 anni della fondazione della Congregazione, al quale partecipano studiosi, missionari e studenti di cinque continenti. L’obiettivo è capire passato e presente attraverso testimonianze di prima mano, come sottolinea il cardinale Tagle

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Un’impostazione di lavoro originale – temi trasversalmente affrontati rispetto ai dati cronologici o culturali – caratterizza il convegno intitolato Euntes in mundum universum, che ha preso il via oggi pomeriggio, dopo la presentazione alla stampa ieri.

Si ricorda la data del 6 gennaio 1622, quando Papa Gregorio creò la sacra Congregazione de propaganda fide. La scelta della solennità dell’Epifania, antica memoria della chiamata dei pagani nel regno di Cristo e ai suoi insegnamenti, è indicativa di quello che era considerato il principale compito della congregazione. Al tempo stesso fa riferimento al mandato missionario di Cristo (Mt 28, 18-20) e alla responsabilità pastorale del Papa verso tutti i popoli.  vedi anche:

Tra storia e storie

Il cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, Gran Cancelliere della Pontificia Università Urbaniana, ha sottolineato che le buone storie si basano sull’esperienza e su un racconto veritiero. Per questo, ha sottolineato  l’importanza degli archivi storici della Congregazione che – ha assicurato – sta attivando per rendere più accessibili, in parte anche in modalità digitale, i preziosi documenti ivi contenuti. Questo – ha spiegato –  aiuterà i ricercatori di tutto il mondo ad offrire studi scientifici sulla missione del Propaganda Fide e racconti di missione di testimoni oculari.

Le storie – ha affermato il cardinale –  rivelano chi siamo, il senso della nostra vita e dove stiamo andando: “Mentre racconto le mie piccole storie, la storia fondamentale della mia vita viene rivelata non solo all’ascoltatore ma anche a me”. La storia di ognuno – ha ricordato – non si sviluppa nel vuoto ma è immersa nelle storie degli altri e nelle storie del proprio tempo.

Il valore della memoria

Un aspetto importante: l’identità personale è modellata dall’interazione con il mondo messo in memoria. Il ricordo – ha suggerito il cardinale Tagle- è vitale per la conoscenza di sé. Ricordando le nostre storie, ci rendiamo conto che il passato non è statico. Continua a modellarci.  Attraverso le storie vediamo quanto siamo cambiati e quanto ancora dobbiamo cambiare. E proprio queste parole hanno spiegato l’importanza di un convegno che guardi al passato ma anche al presente.

Tra valori e norme

Le storie – ha aggiunto il prefetto –  sono il terreno per comprendere i simboli spirituali, dottrinali ed etici. Le storie rivelano i valori, le norme morali e le priorità di una persona o di una comunità. I simboli etici, spirituali e dottrinali preziosi per una persona sono derivati e compresi solo quando la storia è conosciuta e ascoltata.  Ma le storie – ha avvertito – possono essere soppresse, da dittatori ad esempio, ma non si può dimenticare che “dove le comunità rivendicano la loro vera storia, rivendicano il loro potere per il cambiamento sociale”.

La sfida delle traduzioni

Il professor Claude Prudhomme, dell’Università Lumière-Lyon2, ha illustrato, con interessanti richiami alla documentazione storica di diversi momenti di questi quattro secoli di evangelizzazione, la grande sfida rappresentata dall’esigenza delle traduzioni, di testi sacri o della Liturgia. Ha chiarito come sia stato sempre importante trovare il termine giusto per esprimere in una lingua diversa lo stesso concetto o la stessa verità e ha raccontato qualcosa della cura prestata in tutti i diversi periodi.

Tra fede e cultura

Padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche e coordinatore del convegno, ha ricordato che la costituzione apostolica ‘Inscrutabili Divinis’ del 22 giugno 1622 sottolineava il dovere e il diritto del Papa di diffondere la fede quale principale compito del ruolo papale di pastore di anime. Dall’autorità centrale romana tutti i missionari dovevano dipendere nella maniera più diretta possibile per essere inviati in missione. I metodi dovevano essere regolamentati e l’ufficio doveva assegnare i campi di missione. Il rapporto tra fede e cultura resta un elemento essenziale, ha spiegato padre Ardura, ricordando che al momento della fondazione della Congregazione nel 1622 c’era grande attenzione alle diverse culture. Di fatto – è stato ribadito al convegno – si voleva un impegno di evangelizzazione che non fosse condizionato dalle grandi potenze del momento o da particolarismi religiosi.

L’imperativo dell’unità

Dopo il concilio di Trento (1545-1563) si comprese che la riforma era urgentemente necessaria per creare un’azione più unita e concertata. Il numero crescente di missionari provenienti da diversi istituti religiosi e di clero secolare impegnati nella diffusione della fede esigeva un tale approccio unificato. Emerse la necessità di una nuova istituzione a Roma quale strumento nelle mani del Papa per promuovere la riforma interna della Chiesa nei Paesi europei, alcuni dei quali erano passati al protestantesimo, e per riconquistare i territori persi, ovunque fosse possibile, per favorire rapporti stretti con la chiesa ortodossa. Inoltre, avrebbe avuto la responsabilità della diffusione della fede cattolica in America, Africa e Asia.

Nel 1967, la riforma della Curia Romana effettuata da san Paolo VI con la costituzione apostolica Regimini Ecclesiae universae fa sentire un’eco degli insegnamenti del Concilio Vaticano II nella competenza del dicastero. Ancora una volta la riforma conferma la competenza generale del dicastero missionario come l’organo centrale della Chiesa, responsabile di organizzare e coordinare l’attività missionaria nel mondo.

Papa Francesco, con la costituzione apostolica Praedicate Evangelium del 19 marzo 2022, ha istituito il Dicastero per l’Evangelizzazione, il quale è presieduto direttamente dal Papa ed è composto dalla sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo e dalla sezione per la prima evangelizzazione e le nuove chiese particolari. La sezione per la prima evangelizzazione e le chiese particolari raccoglie l’eredità della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (Propaganda Fide). Dalla sezione per la prima evangelizzazione e le nuove chiese dipendono alcune circoscrizioni ecclesiasti delle Americhe, e quelle di quasi tutta l’Africa, dell’Asia (ad eccezione delle Filippine) e dell’Oceania (ad eccezione dell’Australia). Attualmente ci sono 1,117 circoscrizioni ecclesiastiche (arcidiocesi, diocesi, vicariati apostolici, prefetture apostolici, ecc.) sotto la competenza del dicastero missionario, che hanno lo stesso obiettivo di ritrovarsi nell’unità degli obiettivi.

Padre Ardura ha sottolineato che la Praedicate Evangelium mette chiaramente un luce anche un aspetto preciso: l’impegno ad una nuova evangelizzazione nei territori dove è arrivato storicamente l’annuncio ma dove non ci sono più nelle nuove generazioni evidenze di cristianizzazione.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-11/convegno-urbaniana-evangelizzazione-secoli-cardinale-tagle.html

Un convegno per ripercorrere quattro secoli di evangelizzazione

400 anni di servizio alla missione evangelizzatrice della Chiesa: se ne parla al Convegno “Euntes in mundum universum” all’Urbaniana. L’anniversario della fondazione della Congregazione de Propaganda Fide nel 1622 è l’occasione per rileggere il rapporto tra missione e colonizzazione e guardare alle necessità della nuova evangelizzazione, come spiega il presidente del Comitato di Scienze Storiche padre Bernard Ardura

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il 22 giugno 1622 veniva promulgata la Bolla Inscrutabili Divinae e veniva istituita la Sacra Congregatio de Propaganda Fide. A 400 anni di distanza, la Pontificia Università Urbaniana ospita da  mercoledì 16 a venerdì 18 novembre, il Convegno Internazionale di Studi “Euntes in mundum universum”, frutto della collaborazione tra il Dicastero per l’Evangelizzazione, la Pontificia Università Urbaniana e le Pontificie Opere Missionarie. Questa mattina, nella sala stampa vaticana, si è svolta la conferenza stampa di presentazione del simposio di studi, alla quale sono intervenuti monsignor Camillus Johnpillai, capo ufficio del Dicastero per l’Evangelizzazione; padre Leonardo Sileo, rettore magnifico della stessa Pontificia Università Urbaniana; padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche.

Un evento storico di grande rilievo

Monsignor Johnpillai ha parlato di “evento storico di grande importanza”, sottolineando che Gregorio XV volle la Congregazione de Propaganda Fide per coordinare e guidare l’attività missionaria della Chiesa, fino ad allora controllata dai sovrani cattolici di Spagna e Portogallo. Ha anche sottolineato che il pontificato di Gregorio XV (1621-1623) fu breve ma molto importante per la rinascita cattolica: primo Papa di formazione gesuita – ha spiegato –  cercò di proseguire il rinnovamento interno della Chiesa.

Sede naturale del convegno l’Urbaniana

Padre Leonardo Sileo ha messo in luce il significato della scelta della  Pontificia Università Urbaniana quale sede del convegno, ricordando che l’Università stessa è il frutto dell’evoluzione storica del Collegio Urbano fondato a Roma il 1° agosto 1627 da  Papa Urbano VIII (1623-1644), successore di Gregorio. Proprio Papa Urbano – ha ricordato padre Sileo – diede un forte appoggio al progresso delle missioni attraverso la formazione dei missionari da inviare in particolare nel lontano Oriente e attraverso l’istituzione della Stampa Poliglotta (1626), che ha pubblicato testi di grammatica utili allo studio delle lingue locali o preziose mappe o carte geografiche. Padre Sileo ha anche ricordato l’attività formativa pluriforme della Pontificia Università, che si avvale di una rete interuniversitaria. L’Urbaniana, infatti, è la “casa madre” di 108 istituti universitari presenti e operanti nei cinque continenti, in particolare in Africa e in Asia.

Dal passato al presente

Di preziose testimonianze e insegnamenti per la vita e la missione odierna della Chiesa, del grande laboratorio interculturale che hanno rappresentato le missioni abbiamo parlato con padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche:

Padre Ardura parla di delicato rapporto tra l’intento missionario della Chiesa e gli opportunismi di Stati che hanno visto nella missionarietà un supporto alle loro mire colonizzatrici. Ci sono stati esempi di mancato equilibrio – ammette Padre Ardura – ma si deve andare alle fonti storiche e alla documentazione dell’epoca – aggiunge – per comprendere che fin da subito era evidente il rischio e che dalla Congregazione per la fede si è cercato di evitare tali commistioni. Racconta che dai documenti emerge il divieto di confessare o predicare nella lingua originaria dei missionari e al contrario l’obbligo di imparare la lingua degli indigeni.  Cita poi un esempio relativo al secolo scorso: il richiamo di Benedetto XV nella sua Lettera apostolica Maximum illud del 30 novembre 1919, per il superamento di ogni chiusura nazionalista ed etnocentrica, di ogni compromesso nell’annuncio del Vangelo con le potenze coloniali, con i loro interessi economici e militari. E ribadisce che il richiamo è sempre attuale. Benedetto XV ricordava allora – nota padre Ardura – che l’apertura della cultura e della comunità alla novità salvifica di Gesù Cristo esige il superamento di ogni indebita intrusione etnica ed ecclesiale.

L’obiettivo dell’unità

Tra l’altro – spiega ancora il religioso – un obiettivo della Congregazione del 1622 era anche quello di superare l’amministrazione delle missioni sulla base del sistema di patronato con un altro sistema in grado di assicurare meglio la promozione delle attività di evangelizzazione e consentire ai missionari di conquistare i cuori e le menti delle popolazioni locali. La riforma – aggiunge padre Ardura – era urgentemente necessaria proprio per creare un’azione più unita e concertata, visto il numero crescente di missionari provenienti da diversi istituti religiosi e di clero secolare impegnati nella diffusione della fede. La congregazione doveva coordinare e guidare l’attività missionaria della Chiesa, fino ad allora controllata dai sovrani cattolici di Spagna e Portogallo. Padre Ardura, nell’intervista, spiega anche che l’istituzione della Congregazione era il frutto del lento processo che era stato iniziato durante il pontificato di Gregorio XIII (1572-1585), preoccupato dell’unione degli Orientali con Roma e in modo speciale di Slavi,  Greci,  Siri,  Egizi ed Etiopi, e che era stato poi ripreso da Clemente VIII (1592-1605). Un processo – aggiunge – che avveniva in una Curia romana profondamente riorganizzata da Sisto V, in cui le competenze prima riservate al concistoro erano passate a un sistema di Congregazioni specializzate. Così, – sottolinea padre Ardura – la difesa e la propagazione del cattolicesimo suggerirono a Gregorio XV (1621-1623) l’istituzione di una Congregazione esclusivamente dedicata alla propagazione della fede, sia nelle terre dove erano presenti i cristiani Orientali separati da Roma, sia nelle regioni ancora in via di esplorazione, tanto più che l’Olanda e l’Inghilterra, pur aspirando al commercio e all’espansione coloniale, erano anche pronte a diffondere ovunque le dottrine del protestantesimo.

Due tappe particolari

Padre Ardura ricorda che la denominazione della Congregazione è stata cambiata da Paolo VI – con la Costituzione apostolica Regimini Ecclesiæ universæ del 15 agosto 1967 – in Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, a causa – sottolinea – del rischio di connotazione negativa che assume oggi il termine ‘propaganda’. E c’è poi un’altra tappa fondamentale da ricordare: con l’entrata in vigore della Costituzione apostolica Praedicate evangelium di Papa Francesco, il 5 giugno 2022, la Congregazione come tale di fatto è scomparsa perché forma, con il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, il nuovo Dicastero per l’Evangelizzazione. Con il nuovo assetto del Dicastero per l’Evangelizzazione – mette in luce padre Ardura – si intende pure sottolineare che l’annuncio del Vangelo concerne non soltanto i territori non ancora evangelizzati, ma anche quelli che hanno ricevuto l’annuncio nel corso dei secoli, e nei quali si avverte la necessità di una nuova evangelizzazione degli uomini e delle donne, che vivono oggi nelle nuove culture spesso formatesi fuori dai valori cristiani. Così, la Chiesa intende adempiere al mandato di Gesù di portare a tutti il messaggio della Salvezza.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-11/missione-congregazione-per-la-fede-propaganda-fide-paolo-sesto.html

Bartolomeo I: con il Papa per una data comune della Pasqua tra cattolici e ortodossi

Il Patriarca ortodosso ecumenico parla dell’obiettivo condiviso con Francesco da raggiungere a 17 secoli di distanza dal Concilio di Nicea del 325. Sulla guerra in Ucraina ribadisce: non può esserci pace senza giustizia

Fausta Speranza – Istanbul

Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I ha ricevuto ieri, nella sede del Patriarcato a Istanbul, il gruppo di sacerdoti e giornalisti che per iniziativa dell’Opera Romana pellegrinaggi si trovano da alcuni giorni in Turchia in visita ai luoghi santi sulle orme di San Paolo, per rilanciare l’esperienza dei pellegrinaggi dopo le chiusure per la pandemia. Nell’intervento di benvenuto, il Patriarca ha rivolto anzitutto un caro pensiero al Papa, “fratello” nella fede, incontrato pochi giorni fa in Bahrein, inviando al contempo un affettuoso saluto al presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella e parole di augurio al nuovo governo italiano e al mondo politico, accompagnandole da un incoraggiamento a lavorare per il bene comune.

A Cipro per i funerali dell’arcivescovo Chrysostomos

Bartolomeo I ha annunciato poi di volersi recare domani a Cipro per partecipare alle esequie dell’arcivescovo ortodosso Chrysostomos II, scomparso dopo lunga malattia il 7 novembre scorso, un viaggio particolarmente significativo durante il quale, ha detto, incontrerà il rappresentante del Papa, il cardinale Kurt Koch,  presidente del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani.

Una sola data per la Pasqua cattolica e ortodossa

Il Patriarca ecumenico si è poi soffermato sull’impegno portato avanti con Papa Francesco in vista dell’anniversario del Concilio di Nicea, convocato dall’imperatore Costantino nel 325.

Sua Santità, cosa può dirci di questo impegno comune?

Il Concilio ecumenico (di Nicea – ndr) è stato molto importante per fissare il contenuto della nostra fede cristiana, ma anche per fissare la data della Pasqua, come e quando debba essere celebrata. Purtroppo non la celebriamo insieme da molti anni, da molti secoli. Allora, nel quadro di questo anniversario, oggetto degli sforzi condivisi con il Papa è quello di trovare una soluzione a ciò. Forse non è ora il momento di dare i particolari, ma voglio sottolineare che da parte ortodossa e da parte cattolica c’è questa buona intenzione di fissare finalmente una data comune per la celebrazione della Risurrezione di Cristo. Speriamo di ottenere questa volta un buon risultato.

Come vede le speranze di pace di fronte alla guerra devastante che ha colpito in Ucraina?

Non si può giustificare questa guerra in nessuna maniera. Ne ho parlato ultimamente anche mentre ero in Inghilterra. Ho parlato in maniera dura, ma dovevo farlo in nome della nostra fede cristiana e non solo. Mi pare che tutti gli uomini che abbiano una visione giusta delle cose non possano non condannare questa guerra. Il Papa stesso vuole sensibilizzare tutto il mondo alla pace. In un suo messaggio, il primo gennaio di alcuni anni fa, il Papa ha detto che non si può avere la pace senza la giustizia. E una parola molto giusta, questa: non possiamo avere pace senza giustizia. Questo è sempre valido e nelle mie omelie ripeto questi messaggi del Papa, di tutti i Papi, riguardanti il primo gennaio che è il giorno di preghiera per la pace. Sono messaggi molto importanti e molto saggio è il loro contenuto.

Da parte mia, vi auguro un buon ritorno e di non dimenticare la Turchia, l’Anatolia, dove ci sono tante memorie del nostro passato cristiano, soprattutto dei primi secoli del cristianesimo, dei Concili ecumenici…  Io mi trovavo con la gerarchia cattolica del nostro Paese poche settimane fa a Efeso, dove il nunzio apostolico ad Ankara e i vescovi cattolici hanno concelebrato la Messa nella cattedrale del terzo Concilio ecumenico, occasione in cui mi hanno chiesto di tenere l’omelia. A quel tempo risalgono non solo il Concilio di Calcedonia, i luoghi dei Concili ecumenici, Costantinopoli, ma il monachesimo, l’arte sacra, la teologia, i padri della Cappadocia… Abbiamo tanti luoghi sacri che ogni tanto bisogna tornare a venerare, da cui prendere ispirazione riandando ai secoli passati, in cui pregare e conoscere meglio il popolo turco, che è molto ospitale. Tutti gli stranieri che vengono qui ricavano questa impressione.

Il Patriarcato ecumenico si è distinto da anni in tema di tutela dell’ambiente. Di fronte al processo di digitalizzazione, non c’è il rischio che si esternalizzi l’etica consegnandola in un certo senso alle macchine? Cosa ne pensa?

Noi rispettiamo la scienza, rispettiamo la tecnologia. Il Concilio panortodosso di Creta del 2016 ha detto che la scienza, la tecnologia, la ricerca scientifica sono un dono di Dio, ma d’altra parte riconosciamo che ci sono delle derive. Noi mettiamo al centro di tutto la persona umana, la dignità della persona umana. Naturalmente nelle scuole si usa molto la tecnologia moderna, digitale, ma questo nuovo metodo non può sostituire il metodo antico dell’insegnamento basato sui valori spirituali, sull’etica. Lo ripeto: al centro di tutto c’è la dignità della persona umana, attorno alla quale dobbiamo fare le nostre scelte, rispettando la libertà della persona umana.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-11/bartolomeo-data-comune-pasqua-cattolici-ortodossi.html

Turchia, il nome di un martire cristiano per una moschea

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La memoria di Habib-I Niccar, ucciso nel primo secolo dopo Cristo, è incisa nel luogo di culto islamico ad Antiochia di Oronte. Un ricordo intatto e venerato a distanza di secoli, guerre e persecuzioni, un ponte che unisce due fedi

Fausta Speranza – Antiochia di Oronte

Habib-I Niccar è il nome di un uomo ucciso negli anni delle persecuzioni contro i gruppi che si riunivano, a sud della regione anatolica nell’attuale Turchia, intorno agli apostoli Barnaba e Paolo. Si tratta dei gruppi definiti per la prima volta con l’appellativo, che all’epoca suonava dispregiativo, di cristiani. Siamo nel primo secolo dopo Cristo e ne passerà dunque di tempo prima del 638, anno in cui sulla stessa località del martirio di Habibi-I Niccar sorge la moschea più particolare della città di Antiochia e non solo. La prima particolarità è che il luogo di culto islamico viene intitolato proprio a quel cristiano martire, il cui nome significa in sostanza “caro falegname”.

L’Imam Fetullah che giuda la moschea di Habib-I Niccar in Turchia

La memoria che unisce

La moschea di Habib-I Niccar si trova nel cuore dell’attuale Antiochia di Oronte, crocevia di diverse civiltà, terra di passaggio degli scambi commerciali e terra di conquista, dai tempi degli ittiti fino all’Impero ottomano. Nel 969 nel periodo bizantino la costruzione diventa una chiesa ma poi nel 1269 torna ad essere una moschea. L’imam Fetullah – che oggi guida il luogo di culto isalmico – ci spiega che mai ha cambiato nome e che Habib-I Niccar resta il primo santo vissuto prima di Maometto a essere considerato e riconosciuto. L’imam ci conduce all’interno della moschea e poi ci mostra altre preziose particolarità: una scritta in turco con i nomi di Paolo e Giovanni, che – assicura – sono citati in quanto apostoli di Gesù, con vicino due sarcofagi.

L’interno della moschea di Habib-I Niccar in Turchia

E c’è poi un’altra caratteristica, tipica più di una chiesa che di una moschea: si scendono dei gradini e si trova una cripta. Secondo l’imam Fetullah, si tratta di particolarità storiche che raccontano di un dialogo e di una vicinanza tra esponenti di diverse fedi che a livello popolare si è sempre vissuto e si vive ancora. Tra la gente che anima le strade dei negozi e tra gli stessi negozianti – dice l’imam Fetullah – è impossibile distinguere oggi musulmani o ebrei o cristiani. Se temi come la convivenza tra religioni e la libertà religiosa conservano tutta la loro complessità e delicatezza e richiedono considerazioni approfondite, la storia di questa moschea e il racconto appassionato dell’imam Fetullah rappresentano uno dei doni di questa terra da cui è partita con San Paolo l’evangelizzazione ai gentili e al mondo.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-11/chiesa-moschea-cristiani-martiri-san-paolo-antiochia-di-oronte.html

Opera Romana, nuovi pellegrinaggi sulle orme di San Paolo

Ritrovare lo slancio dei primi cristiani in Asia minore: è l’obiettivo dell’ente del Vicariato di Roma che accompagna i pellegrini sui luoghi dello Spirito nel mondo. Si tratta di riscoprire gli itinerari dell’apostolo delle genti a partire da Antiochia di Oronte, a sud della regione anatolica, dove padre Domenico Bertogli parla della piccola comunità cattolica in cui vive da 35 anni

Fausta Speranza – Antiochia di Oronte

Con Don Remo Chiavarini, amministratore delegato dell’Opera Romana Pellegrinaggi, siamo da ieri in Turchia: 25 persone tra sacerdoti e giornalisti, per ridisegnare percorsi nuovi di pellegrinaggio. C’è il desiderio di rilanciare i percorsi su questa terra che, per lo straordinario valore dello slancio di evangelizzazione di San Paolo, rappresenta una seconda Terra Santa.

Antiochia crocevia di culture

Si parte da Antiochia di Oronte, uno di quei centri urbani che appartiene a quell’arco ideale di civiltà che ha segnato la storia dell’umanità dalla Mesopotamia all’Anatolia, al Levante. Oggi si chiama Atay Antachia. E’ la città in cui, secondo il capitolo 11 degli Atti degli Apostoli, per la prima volta si è usata l’espressione “cristiani”, cioè seguaci di Cristo. Ce lo ricorda Padre Domenico Bertogli, che ci ha accolto nella piccola chiesa intorno alla quale si raccoglie la comunità cattolica che oggi conta circa 100 fedeli su 1100 cristiani.

Luoghi di eccezione

Da visitare c’è la grotta di San Pietro che, anche se non corrisponde davvero al posto dove si riunivano Barnaba, Paolo e Pietro, racconta comunque la storia tramandata nei secoli delle riunioni e delle preghiere degli apostoli con le comunità sorte dalla predicazione ai gentili, a quelli che senza essere ebrei volevano abbracciare il credo di Gesù. Sembrava a qualcuno difficile poterli ammettere e ci fu un confronto serio, fino alla apertura incoraggiata proprio dall’apostolo delle genti, Paolo. Barnaba aveva richiamato Paolo da Tarso proprio per seguire gli sviluppi. Il resto è storia degli Atti degli Apostoli, a cominciare dai tre straordinari viaggi di San Paolo che partirono dalla seconda delle località da non mancare: il porto di Seleucia di Pieria. Merita una visita anche il museo della città che conserva una ricca collezione di mosaici provenienti da ville romane. In questo caso il richiamo non è alla fede ma a un momento di quel bagaglio storico e culturale che questa terra conserva. E’ storia di ittiti, persiani, macedoni, regni ellenistici, prima di arrivare ai romani e alle loro ville, e che prosegue con i Bizantini, i crociati, le Repubbliche marinare di Venezia e di Genova, le ondate migratorie che hanno portato i Selgiuchidi, i mongoli, e poi la dominazione degli Ottomani. Storie di guerre ma anche di compenetrazioni di civiltà. Fino alle vicende di circa 100 anni fa, della prima guerra mondiale, quando su queste stesse terre, l’Anatolia e la Tracia orientale, teatro di occupazioni e persecuzioni, sono stati cancellati gli ultimi segni più evidenti di presenze cristiane.

Tra le pietre vive

Non si può dire che sia rimasto molto delle pietre che hanno ospitato altri nomi illustri di Antiochia, come san Luca o San Giovanni Crisostomo che ne erano originari. Ma ci sono le pietre vive di cui ci parla Padre Bertogli, raccontandoci che qui si vive la liturgia delle fede proprio come accadeva ai primi cristiani, in una casa-chiesa. Si tratta, infatti, di un’abitazione di stampo tradizionale dove una stanza divenuta cappella è stata arricchita di dipinti, tra i quali spicca  la cartina della parabola geografica percorsa da Paolo. Non è solo questione di spazi. Padre Bertogli ci spiega la lunga avventura che ha portato alla possibilità di preservare la chiesa: non è stato facile – spiega – ottenere i titoli di proprietà. Dopo anni di richieste, l’obiettivo è stato raggiunto nel 2006. Si tratta di vicende che ci proiettano in una realtà di minoranza, che vive tutte le difficoltà del caso ma anche tanta grazia. Padre Bertogli con semplicità ci parla dei 26 battesimi che ha celebrato per persone provenienti da famiglie non cattoliche in 35 anni di presenza ad Antiochia. Le sue parole si fanno Comunione viva e la sua testimonianza trasforma quello che potrebbe sembrare un viaggio in un pellegrinaggio: la dimensione storica-aricheologica, infatti, è solo l’ausilio per ritrovare la dimensione spirituale e l’incontro con questi luoghi non è più solo una visita, ma un’esperienza di fede.

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Netanyahu torna a governare con l’appoggio di Sionismo religioso

Il partito dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, Likud, vince le elezioni politiche di Israele del 1° novembre. La sua maggioranza di 65 seggi alla Knesset su 120 si regge sull’appoggio del partito Sionismo religioso, che diventa terza forza politica del Paese, e di Shas e Giudaismo della Torah unita. Ci si aspetta l’incarico di governo dopo la presentazione ufficiale dei risultati mercoledì prossimo

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il partito Likud di Netanyahu ottiene 32 seggi, seguito dal partito Yesh Atid del premier uscente Yair Lapid, che ne ottiene 24, e dal partito Sionismo religioso, definito di estrema destra, che ne registra 15, diventando la terza forza politica del Paese. Si tratta dei risultati definitivi ma non ufficiali: saranno presentati pubblicamente solo mercoledì. Non più tardi della fine della settimana prossima Netanyahu dovrebbe avere l’incarico formale da parte dello stesso presidente Herzog al termine del giro di consultazioni del capo dello Stato con i partiti. Già ieri pomeriggio il premier israeliano Yair Lapid ha ammesso la sconfitta  e si è congratulato con l’ex primo ministro Netanyahu per la vittoria, dando istruzioni al suo ufficio per preparare la transizione di potere.

La prospettiva di governo

La coalizione in grado di governare, dopo cinque elezioni in poco più di tre anni, sarà dunque formata dal partito di Netanyahu, Likud, con il Sionismo religioso e i due partiti Shas e Giudaismo della Torah unita, che ottengono rispettivamente undici e sette seggi. La coalizione si presenta con quattro seggi in più rispetto alla quota minima di maggioranza. L’elemento nuovo, che potrebbe portare incognite, risiede nel peso che ottiene il partito Sionismo religioso guidato da Itamar Ben Gvir che secondo la stampa locale si è pronunciato finora contro la soluzione a due Stati, a favore dell’annessione della Cisgiordania e per l’autorizzazione alle preghiere ebraiche sul Monte del Tempio a Gerusalemme (la Spianata delle Moschee per i musulmani), in violazione dello Status quo.

Le altre formazioni

Per la prima volta dalla sua nascita nel 1992, il partito della sinistra israeliana, Meretz, – secondo le proiezioni dei media – non entra alla Knesset non avendo passato per circa 3800 voti la soglia di sbarramento del 3,25 per cento.  Al momento, secondo i dati diffusi dalla Commissione elettorale, il ‘Campo istituzionale’ di Benny Gantz  centrista è il quarto partito in ordine di grandezza con 12 seggi.  Israel Beitenu, il partito che si definisce laico di Avigdor Lieberman,  ottiene sei seggi, mentre due liste arabe – gli islamici di Raam e il partito di sinistra Hadash-Taal – conquistano entrambe cinque seggi. Ultima percentuale da riferire è quella dell’affluenza pari al 70,6 per cento.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-11/israele-elezioni-likud-netanyahu-sionismo-religioso-governo.html

Si fermano le armi in Tigray: verso la pace in Etiopia

L’Unione Africana commenta l’annuncio dell’accordo per il “cessate il fuoco” tra il governo dell’Etiopia e il Tigray People’s Liberation Front (TPLF) parlando di “una nuova alba”. È un primo passo fondamentale ma dopo lo stop ai combattimenti si deve proseguire il negoziato di pace, sottolinea il professore emerito GianLuigi Rossi, mettendo in luce che manca ancora anche la definizione dei tempi di attuazione

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Firmato a Pretoria, in Sudafrica, l’Accordo di pace tra il governo dell’Etiopia e il Tigray People’s Liberation Front (TPLF) per porre fine a due anni di conflitto nel territorio a nord del Paese africano. Nel comunicato congiunto diffuso ieri pomeriggio si legge che, oltre alla cessazione delle ostilità, il governo etiope e i ribelli hanno concordato di “rafforzare” la cooperazione con le agenzie umanitarie e un programma di “disarmo, smobilitazione e reintegrazione per i combattenti del Tplf”. “L’Unione europea è pronta a sostenere i prossimi passi”, ha scritto su Twitter il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel.

L’impegno sui due fronti

Un’intesa per la quale il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha espresso “forte” impegno nella sua attuazione. “La nostra determinazione a fare la pace rimane incrollabile e il nostro impegno a collaborare all’attuazione dell’accordo è altrettanto forte”, ha dichiarato Abiy in un “messaggio di gratitudine” ai mediatori dell’Unione Africana (Ua), pubblicato su il suo account Twitter. Da parte sua, il capo della delegazione del Tigray, Getachew Reda, ha sottolineato: “Solo la nostra determinazione collettiva impedirà ai eventuali perturbatori, anche nelle nostre stesse fila, di distruggere la pace”.

Si tratta di un ‘cessate il fuoco’ e non di un vero accordo di pace, sottolinea il professore emerito Gian Luigi Rossi, esperto di Storia dei Trattati internazionali e di Storia delle Istituzioni afro-asiatiche:

Secondo Rossi, l’indubbio successo raggiunto non può rappresentare la fine del processo di pace, ma il suo inizio. Spiega che indubbiamente si deve accogliere con favore l’accordo sulla cessazione delle ostilità in Etiopia ricordando l’importanza di questo grande Paese  e anche sottolineando il peso  all’interno di una regione strategica come il Tigray, una delle dieci regioni.

L’importante ruolo dell’Unione Africana

Rossi mette in luce in particolare il ruolo importante dell’Unione Africana nel processo di mediazione in questione e anche quello del Sudafrica che ha ospitato i colloqui. Aggiunge poi che troppo spesso si dimentica il potenziale dell’Unione Africana in termini di prevenzione delle guerre o appunto di operato per la risoluzione di conflitti. Tra l’altro – ricorda Rossi – in Tigray accanto all’esercito del governo centrale hanno operato le truppe della vicina Eritrea. Il negoziato dunque è stato complesso.

L’essenziale fase dell’attuazione

Dopo le felicitazioni per lo stop delle armi – chiarisce Rossi –  bisogna assicurare la decisiva fase di attuazione. È importante, dice, consolidare il primo passo verso una pace e una riconciliazione durature ed è anche prioritario garantire l’assistenza umanitaria e ripristinare i servizi di base. Ma soprattutto mette in luce l’assenza al momento di una indicazione di tempi per l’attuazione dell’accordo. Si tratta, afferma, di “un aspetto fondamentale”. Sarà determinante anche la pacificazione a livello sociale e per questo il professore auspica un intervento preciso sul terreno delle Nazioni Unite.

La prospettiva di pace

Il testo si accompagna ad una “Dichiarazione congiunta” che configura una sorta di road map politica. In otto pagine si parla, infatti, di salvaguardia della sovranità e di integrità territoriale dell’Etiopia, di rispetto della sua Costituzione e dell’unità del suo esercito nazionale. Si sottoscrive “un programma di disarmo e smobilitazione” delle forze tigriane che tenga conto della situazione della sicurezza sul terreno”Si evocano misure transitorie per “il ritorno all’ordine costituzionale” nel Tigray che quindi tornerebbe ad essere una regione/Stato dell’Etiopia federale.  È evidente che occorrerà ripristinare i servizi pubblici e riparare le infrastrutture e per questo si chiede “il sostegno della popolazione per un’attuazione flessibile di questo nuovo capitolo nella storia del Paese”.

L’appoggio dell’Onu

In una dichiarazione ufficiale, Stéphane Dujarric, portavoce del segretario generale dell’Onu António Guterres, ha sottolineato che “l’accordo è un primo passo fondamentale verso la fine del devastante conflitto di due anni in cui sono andate perdute vite e mezzi di sussistenza di così tanti etiopi. Il segretario generale esorta tutti gli etiopi e la comunità internazionale a sostenere il passo coraggioso compiuto dal governo federale dell’Etiopia e dalla leadership tigrina. Il Segretario generale si impegna a sostenere le parti nell’attuazione delle disposizioni dell’accordo e le esorta a continuare i negoziati sulle questioni in sospeso in uno spirito di riconciliazione, al fine di raggiungere una soluzione politica duratura, mettere a tacere le armi e a portare il Paese di nuovo sulla via della pace e della stabilità. Il segretario generale elogia l’Unione Africana e il suo Gruppo di Alto Livello per la facilitazione dei colloqui di pace e la Repubblica del Sudafrica per aver ospitato i colloqui di pace. Le Nazioni Unite sono pronte ad assistere le prossime fasi del processo guidato dall’Unione Africana e continueranno a mobilitare l’assistenza tanto necessaria per alleviare le sofferenze nelle aree colpite”.

L’allarme dell’Oms

Poche ore prima dell’annuncio dell’intesa, il capo dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, aveva rivelato che “un gran numero di sfollati sta arrivando o si sta spostando verso la capitale regionale del Tigray, con bisogni in aumento di giorno in giorno” e che “migliaia di persone sono state uccise, con accuse di gravi violazioni dei diritti umani, compresi possibili crimini di guerra, commesse da entrambe le parti”.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-11/etiopia-cessate-il-fuoco-tigray-ribelli-governo-unione-africana.html

L’appello dell’Ue per il Libano: no al vuoto istituzionale

In Libano il parlamento trovi l’accordo per eleggere un presidente: è l’appello dell’Alto rappresentante della politica estera Ue, Borrell, che ricorda la scadenza del mandato di Aoun e le emergenze socioeconomiche che vive il Paese dei cedri al terzo anno di grave crisi. Intanto si aggrava la preoccupazione per il diffondersi del colera

Fausta Speranza – Città del Vaticano

L’Alto rappresentante della politica estera Ue, Josep Borrell in una nota, ricorda che il 31 ottobre è scaduto il mandato del presidente del Libano Aoun e che dalle ultime elezioni generali di maggio non è nato alcun governo. Dopo quattro turni inconcludenti di votazioni parlamentari, non è stato eletto alcun candidato e la presidenza del Paese dei cedri è ora vacante. Borrell chiede, dunque, che si colmi il vuoto istituzionale eleggendo un capo di Stato. L’Ue mantiene l’impegno di continuare ad assistere il Libano e la sua popolazione affinché si possano avviare verso la ripresa e la stabilità che meritano. Allo stesso tempo, l’Ue esorta la leadership libanese ad assumersi le proprie responsabilità e ad agire”.

Crisi sociale ed economica

Questo vuoto politico si verifica mentre il Libano sta affrontando un deterioramento della situazione socio-economica. La volatilità istituzionale, unita all’instabilità economica, comporterebbe gravi rischi per il Libano e la sua popolazione. L’Ue invita ancora una volta la leadership libanese a organizzare le elezioni presidenziali e a formare un governo con la massima urgenza”.

Tra finanziamenti e sanzioni

“Nel luglio 2022, l’Ue ha rinnovato un quadro di sanzioni che consente di imporre misure restrittive a persone o entità che bloccano l’uscita dalla crisi libanese”, ricorda Borrell. “Per facilitare l’erogazione dei finanziamenti internazionali aggiuntivi e invertire la tendenza al deterioramento dell’economia libanese, è necessario raggiungere un accordo di erogazione con il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e intraprendere, senza ulteriori ritardi, le riforme fondamentali attese da tempo.

Allarme colera

In Libano si aggrava l’epidemia di colera con 17 decessi e quasi 400 contagi nell’arco di tre settimane. Lo riferisce il ministero della sanità di Beirut, che ha oggi annunciato la donazione da parte della Francia di 13.000 dosi del vaccino per contrastare la malattia scomparsa in Libano nel 1993. L’Onu afferma che nella vicina Siria, Paese martoriato da più di 11 anni di guerra, l’epidemia manifestatasi a settembre ha ucciso finora almeno 75 persone con oltre 20.000 casi sospetti. I contagi in Libano si sono registrati dal 5 ottobre nei campi profughi siriani, luoghi dove le condizioni igienico-sanitarie sono particolarmente precarie. Nella conferenza stampa odierna a Beirut, il ministro della sanità Firas Abyad ha messo in guardia dai rischi che il colera possa diventare una malattia endemica nel Paese, afflitto da tre anni dalla peggiore crisi finanziaria della sua storia.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-11/libano-presidente-elezioni-colera-siria-borrell.html

Il pensiero del Papa al viaggio in Bahrein e l’appello alla pace

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Un Viaggio all’insegna del dialogo”: così il Papa, dopo la preghiera mariana dell’Angelus, ha parlato dell’impegno apostolico nel Regno del Bahrein, dove si recherà tra due giorni e dove si tratterrà fino a domenica 6 novembre. E ha espresso ringraziamenti:

Già da ora desidero salutare e ringraziare di cuore il Re, le Autorità, i fratelli e le sorelle nella fede, e tutta la popolazione del Paese, specialmente quanti da tempo stanno lavorando alla preparazione di questa visita.

L’auspicato abbraccio tra Oriente e Occidente

Papa Francesco ha spiegato che parteciperà a un Forum che rappresenta “un’occasione proficua”:

Parteciperò infatti a un Forum che tematizza l’imprescindibile necessità che Oriente e Occidente si vengano maggiormente incontro per il bene della convivenza umana; avrò l’opportunità di intrattenermi con rappresentanti religiosi, in particolare islamici. Chiedo a tutti di accompagnarmi con la preghiera, perché ogni incontro e avvenimento sia un’occasione proficua per sostenere, in nome di Dio, la causa della fraternità e della pace, di cui i nostri tempi hanno estremo e urgente bisogno.

L’appello alla pace per l’Ucraina

Parlando di fraternità e di pace, Papa Francesco ha rinnovato per l’ennesima volta il suo invito a pregare per la martoriata Ucraina:

E cari fratelli e sorelle, per favore, non dimentichiamoci della martoriata Ucraina: preghiamo per la pace, preghiamo perché in Ucraina ci sia la pace.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-11/papa-francesco-angelus-bahrein-ringraziamenti-pace-ucraina.html

Ancora naufragi nel Mare Nostrum di decine di migranti

Si ripete la tragedia nel Mar Mediterraneo: una imbarcazione salpata dalla Turchia si è inabissata nello stretto di Kafireas, poche ore dopo che le guardie costiere greche erano intervenute per cercare di salvare le persone su un’altra imbarcazione alla deriva. Si parla di decine e decine di migranti irregolari dispersi mentre altrettanti chiedono da giorni di poter salpare in porto sicuro dalle navi che li hanno soccorsi nella traversata

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Una barca a vela su cui stavano viaggiando circa 68 migranti, salpata dalla Turchia, è naufragata nelle prime ore di questa mattina nello stretto di Kafireas, tra le isole di Andros e Evia. Lo riferisce la Guardia costiera greca, impegnata nelle operazioni di ricerca e salvataggio dei migranti. Nove uomini, che si erano inizialmente messi in salvo su un isolotto, sono stati soccorsi dalle autorità greche, ma, in base ai racconti dei sopravvissuti, sull’imbarcazione avrebbero viaggiato almeno 68 persone. L’operazione di soccorso è iniziata dopo che i passeggeri del natante avevano lanciato una richiesta di soccorso alla linea di emergenza greca del 112, ostacolata, però, dalle condizioni meteorologiche avverse, in particolare da venti di oltre 30-40 nodi di velocità.

Nazionalità e lidi diversi per un solo dramma

Secondo quanto riferito dalla televisione greca Ert, l’imbarcazione sarebbe salpata dalla città costiera turca di Izmir e la maggior parte dei passeggeri sarebbe originaria dell’Afghanistan, dell’Iran e dell’Egitto. Intanto proseguono le ricerche di almeno otto persone dopo un altro naufragio avvenuto ieri pomeriggio, al largo dell’isola greca di Samos. Per ora la Guardia costiera ha soccorso quattro sopravvissuti che hanno raccontato di avere viaggiato in dodici sulla barca naufragata. Nei primi otto mesi dell’anno, la Guardia costiera greca ha dichiarato di avere soccorso circa 1.500 persone: un numero in evidente aumento rispetto a quello dell’anno scorso, quando meno di 600 persone sono state messe in salvo dalle autorità greche. Mentre a inizio mese due distinti naufragi a largo delle isole greche di Lesbo e di Citera hanno portato alla morte di almeno 27 persone.

Dalla Spagna giunge notizia del recupero dei corpi senza vita di due migranti la scorsa notte in acque di Almeria, città del sud: lo riportano l’agenzia di stampa Efe e il giornale locale Diario de Almeria. Secondo fonti di polizia, le due persone sarebbero annegate dopo aver viaggiato su un’imbarcazione di fortuna insieme con altri migranti. A detta di testimoni consultati dagli inquirenti, uno scafista li avrebbe costretti a sbarcare rapidamente, e in condizioni insicure, dopo essersi accorto che le forze dell’ordine lo stavano inseguendo.

Navi in attesa

Tre navi umanitarie sono da giorni in acque internazionali con 985 migranti soccorsi complessivamente, in attesa di un porto. La Humanity 1 (179 soccorsi), la Ocean Viking (234) e la Geo Barents (572). I portavoce di Medici senza frontiere, che gestisce la Geo Barents, spiegano che dalla nave sono state inviate quattro richieste per un ‘place of safety’ a Malta ed una all’Italia senza ottenere risposta.

A Lampedusa si rinnova l’emergenza

Sono 1.221 i migranti alloggiati all’hotspot di Lampedusa. Nonostante i quotidiani sforzi della Prefettura di Agrigento per trasferire gli ospiti della struttura di prima accoglienza a Porto Empedocle, i padiglioni di contrada Imbriacola – che possono ospitare 350 persone – restano nel caos. Si attende di trasferire, con il traghetto di linea, 110 migranti.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-11/migranti-navi-irregolari-grecia-naufragio.html