Algeria: attesa per i risultati del primo voto dopo Bouteflika

A colpire il dato della forte astensione alle legislative che si sono tenute nel più grande Stato dell’Africa. Un voto anticipato per volontà del presidente Tebboune di fronte al crescente malcontento popolare. Due anni fa, sull’onda dei venerdì di protesta, usciva di scena il presidente al potere dal 1999

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Nella Repubblica Democratica Popolare di Algeria, il Movimento della Società per la Pace (Msp) ha rivendicato la vittoria elettorale in attesa della pubblicazione dei primi esiti del voto, che si è svolto sabato 12 giugno. In un comunicato, il partito conservatore afferma di essere “primo nella maggioranza delle wilaya (prefetture) e all’estero” e “mette in guardia contro i numerosi tentativi di modificare i risultati del sondaggio”. Sono stati circa 24 milioni gli algerini chiamati ad eleggere per cinque anni i 407 deputati dell’Assemblea nazionale del popolo. Hanno dovuto scegliere tra 2.288 liste, di cui più di 1.200 pubblicizzate come ‘indipendenti’.  Si è trattato delle prime legislative dalle dimissioni di Bouteflika e sotto la nuova Costituzione algerina approvata tramite referendum popolare nel novembre 2020.

Primo risultato l’astensione

L’affluenza alle urne, a livello nazionale, ha raggiunto solo il 30,2 per cento, il tasso più basso da almeno 20 anni per le elezioni legislative, ha reso noto il presidente dell’Autorità elettorale nazionale indipendente (Anie), Mohamed Chorfi. Alle ultime elezioni legislative del 2017 si era attestato al 35,7 per cento (42,90 per cento nel 2012).

Il boicottaggio di Hirak

La tornata elettorale è stata caratterizzata da un altissimo tasso di astensione,  dopo gli inviti al boicottaggio lanciati dal movimento di protesta popolare denominato “Hirak” e da parte dell’opposizione. L’ Algeria è andata  al voto in un clima di tensione, dopo che pochi giorni prima erano stati fermati due dei più noti giornalisti del Paese e un attivista di punta dell’Hirak, il “movimento”, la principale forza che contesta quanti hanno preso il potere negli ultimi due anni dopo l’uscita di scena di Bouteflika.

E’ stato denunciato da Amnesty international l’arresto dei reporter Khadel Drareni e Ihsane El Kadi e di  Karim Tabbou,  l’attivista che  era già stato in carcere dal settembre del 2019 al luglio del 2020 ed era stato liberato con la proibizione di svolgere attività politica. Da parte sua, il presidente Tebboune ha dichiarato di voler evitare ogni rischio e di voler portare avanti il progetto di costruire una “nuova Algeria libera dalla corruzione”.

Un voto anticipato

Le elezioni parlamentari erano previste nel 2022 ma il presidente Tebboune ha spiegato di volerle anticipare a fronte di un malcontento crescente. Con una mossa definita dai critici “populista”, il presidente ha firmato un decreto volto a incoraggiare i giovani a “partecipare al processo di costruzione di nuove istituzioni credibili e degne di fiducia”. In Algeria il 70 per cento della popolazione ha meno di 30 anni e la disoccupazione giovanile è al 50 per cento. Si sono presentati 1.500 candidati, indipendenti e attivisti della società civile, accademici e professionisti. Secondo il leader del movimento Hirak nel Paese non è in atto un vero cambiamento perché le leve del potere e il controllo di un’economia, ancora basata sul petrolio e grandi imprese statali, restano nelle mani dei militari che questo movimento di opposizione considera eredi del vecchio rais Abdelaziz Bouteflika.

L’uscita di scena di Bouteflika

Nella primavera del 2019 per settimane fiumi di persone hanno invaso le strade di Algeri  per opporsi a quella che sarebbe stata la quinta candidatura dell’ottantaduenne  Abdelaziz Bouteflika, per il Fronte di Liberazione Nazionale, che nel 2013 era stato colpito da un ictus e veniva considerato il presidente fantasma di un regime ormai dittatoriale.  Ogni venerdì, il movimento di protesta si è via via allargato, sempre con manifestazioni pacifiche, e dopo Algeri i cortei si sono moltipicati ad Orano, Costantine e in molte altre città in tutta l’Algeria.

Dopo alcuni tentativi di placare le folle – ad Algeri hanno sfilato un milione di persone – nella notte tra il 2 e il 3 aprile 2019 Abdelaziz Bouteflika ha firmato le sue dimissioni. Aveva partecipato attivamente alla liberazione dell’Algeria dalla Francia nel 1962 ed era stato un apprezzato ministro degli Esteri nei primi governi indipendenti, poi era diventato l’espressione di un oligarchia che non dava fiato al Paese.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-06/algeria-africa-maghreb-elezioni-astensione.html

La telefonata del Papa per la marcia della pace Macerata-Loreto

Guardare l’orizzonte e non camminare da soli: questo è il “segreto” – dice Francesco – per non procedere nella vita girando a vuoto. E’ la riflessione espressa nella telefonata, fatta come da tradizione, in occasione del pellegrinaggio per la pace Macerata-Loreto a monsignor Giancarlo Vecerrica. Si tratta della 43esima edizione che ha per tema ‘Quando vedo te vedo la speranza’

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“La speranza è lì, la speranza non delude”: così Papa Francesco ha incoraggiato ieri sera – nella ormai tradizionale telefonata a monsignor Giancarlo Vecerrica – quanti hanno partecipato – virtualmente a causa della pandemia – alla marcia   che da oltre 40 anni si svolge da Macerata a Loreto per invocare la pace. “Una telefonata che arriva a tutto il mondo”, ha detto, esprimendo la sua gioia di sentire l’incoraggiamento del Papa, monsignor Giancarlo Vecerrica,  vescovo emerito di Fabriano-Matelica e ideatore e anima del Pellegrinaggio Macerata-Loreto.

Il cammino riflesso della vita

Papa Francesco si è rivolto a quanti ieri sera si sono messi in cammino, “in cammino virtuale, ma in cammino”, sottolineando che “sempre il cammino è un riflesso della vita” e sollecitando una domanda: “Ognuno di noi può domandarsi: ma io cammino in speranza, o cammino senza sapere cosa faccio? Cammino nella vita o giro, giro, giro, o   non so dove vado…? La mia vita è in cammino verso l’orizzonte – cioè con speranza – o la mia vita è una passeggiata, che non sa dove va… O la mia vita è nel labirinto, che gira, e non può uscire avanti?”

La speranza e l’altro

Monsignor Vecerrica ha chiesto a Papa Francesco “come non sprecare questo dramma che stiamo vivendo nel mondo?”, facendo riferimento alla pandemia. Papa Francesco ha risposto dicendo: “Vi dirò quello che vivo io, a tutti voi…”. Ha ricordato che “la speranza non delude mai” e ha parlato di cammino, di orizzonte, di vicinanza all’altro.   “Camminare verso l’orizzonte: quella è la speranza”, ha detto Francesco sottolineando che “il segreto per poter camminare bene è guardare l’orizzonte, sì, ma non camminare da soli: camminare con gli altri, aiutandoci a vicenda, l’uno con l’altro, aiutandoci nel cammino, rimanendo con l’altro, e aiutando gli altri, e nei momenti difficili, dando speranza: quella speranza che io ho, e quando io la perdo, che un altro mi aiuti a ritrovarla”.

L’incoraggiamento

“Cammina oggi, caro fratello, cara sorella, cammina e cammina, guarda l’orizzonte”: queste le parole del Papa che ha affermato: “E mi viene in mente quello che ho detto un’altra volta, che diceva Sant’Agostino…: ‘Canta e cammina!”, sottolineando che “se sei capace di cantare è perché hai la gioia nel cuore, e quando si ha la gioia nel cuore, si cammina verso la speranza”.

La benedizione

“Io sarò vicino a voi! – ha assicurato il Papa – Che Dio vi benedica tutti! Darò la mia benedizione a voi tutti!”. E poi ha aggiunto: “La Madonna vi custodisca. E per favore, pregate per me questa sera, pregate. Che il Signore vi accompagni. Bravi!”

Nel suo ringraziamento, monsignor Vecerrica ha detto:  “Noi vogliamo imitare la sua vita, che è un cammino: ci mettiamo in cammino con il cuore, con lo spirito, e con tutti noi stessi, e insieme. Grazie!”.

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Futuri leader di pace: l’iniziativa di Rondine

Giovani protagonisti della ripartenza post-pandemia: l’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede e l’organizzazione Rondine Cittadella della pace lanciano la campagna per promuovere percorsi di formazione per una cultura in grado di ribaltare le logiche del conflitto, come spiega il presidente di Rondine Franco Vaccari

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Lunedì 14 giugno viene presentata al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede la campagna Leaders for Peace, organizzata dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede insieme con l’organizzazione Rondine Cittadella della Pace. Si tratta di un appello concreto per sostenere percorsi di formazione precisi, come sottolinea il fondatore e presidente dell’organizzazione Rondine Cittadella di pace Franco Vaccari:

Vaccari ricorda che due anni fa i giovani di Rondine hanno presentato alle Nazioni Unite la richiesta di un finanziamento – una percentuale decisamente irrisoria del budget, sottolinea  – per percorsi di formazione. Innanzitutto si tratta – spiega Vaccari – di ribaltare la logica del conflitto: scoprendo che è falsa l’idea del nemico. Si tratta  sottolinea – di diffondere una cultura di pace che nell’organizzazione Rondine si vive praticamente quotidianamente e che – suggerisce il presidente – può formare i futuri leader. Vaccari ricorda che da sempre Rondine accoglie giovani che hanno vissuto sulla propria pelle l’odio, il conflitto armato, “l’inganno del nemico” e che, attraverso il Metodo Rondine, imparano a trasformare tutto ciò in prospettive diverse.

Il ricorso all’Onu

Nel 2018, in occasione del 70° anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, il ministero degli Affari Esteri italiano ha proposto a Rondine Cittadella della Pace di rappresentare il Paese per portare alle Nazioni Unite la propria esperienza come “esempio concreto da cui ripartire sul grande tema dei diritti umani”. Rondine ha risposto alla chiamata lanciando la campagna globale Leaders for Peace. L’appello – ricorda Vaccari – è stato scritto dagli studenti e dagli alumni di Rondine – per chiedere agli Stati membri dell’Onu un impegno concreto nella formazione di giovani leader, in grado di intervenire nei principali contesti di conflitto nel mondo.

L’appello

Si chiede di sottoscrivere l’Appello di Pace della campagna Leaders for Peace. Innanzitutto, Vaccari mette in luce il primo aspetto: un impegno concreto nella formazione di giovani leader di pace, in grado di intervenire nei principali contesti di conflitto nel mondo. E poi cita l’esigenza di inserire l’insegnamento e l’educazione ai diritti umani nei sistemi d’istruzione nazionali, integrati – ribadisce – con le sperimentazioni del Metodo Rondine sulla trasformazione creativa dei conflitti, che ha permesso loro di diventare ambasciatori di pace.

La sfida

Vaccari spiega che si avverte sempre l’esigenza di iniziative come quella proposta da Rondine ma che in questo periodo storico diventa urgente comprendere che si devono fronteggiare vecchi e nuovi conflitti: ci sono infatti – sottolinea –  i conflitti che la pandemia sembra aver pericolosamente riportato sullo scenario internazionale, ma anche conflitti del tutto nuovi che lacerano la società globale.

L’appoggio di partner

Vaccari cita in quanto sostenitori i partecipanti al progetto Mediterraneo Frontiera di Pace, sostenuto dalla Cei e realizzato in collaborazione con Caritas Italiana e Rondine Cittadella della Pace. Consiste in sostanza nell’ideare progetti di impatto sociale nelle diocesi, collaborando per sviluppare azioni di networking in tutto il Mediterraneo.

Rondine Cittadella della Pace

Fondata nel 1998 da Franco Vaccari, Rondine Cittadella della Pace è un’organizzazione che si impegna per la riduzione dei conflitti armati nel mondo e per la diffusione del proprio metodo per la trasformazione creativa dei conflitti (Metodo Rondine). Attraverso lo Studentato internazionale-World House, l’associazione accoglie ogni anno giovani provenienti da Paesi che vivono o hanno vissuto guerre e conflitti: due anni di formazione e convivenza per scoprire la persona nel proprio “nemico” e diventare ambasciatori di pace nei propri Paesi per contribuire alla risoluzione dei con conflitti. Con i suoi percorsi di formazione, Rondine incoraggia i giovani a diventare leader di sé stessi, della propria comunità e attori di cambiamento nella società civile, nella continua ricerca del bene comune. L’obiettivo finale è contribuire alla realizzazione di un habitat socialmente sostenibile e privo di scontri armati, in cui ogni persona abbia gli strumenti per sviluppare relazioni pacificate e generative. Rondine Cittadella della Pace è stata candidata al premio Nobel per la pace 2015.

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Il Messico al voto dopo una sanguinosa campagna elettorale

Un Paese strategico nelle Americhe come il Messico va alle urne per le elezioni parlamentari e municipali ma, piuttosto che parlare di strategie politiche, i media internazionali devono raccontare di decine di candidati uccisi in pochi mesi. I vescovi lanciano un appello a votare con discernimento e considerando il bene comune, mentre la pandemia contribuisce ad accentuare le disuguaglianze e l’incertezza, come spiega lo storico Paolo Valvo

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Almeno 35 candidati uccisi in poche settimane, di cui tre a distanza di dieci giorni a maggio. Sono dati che segnano le elezioni parlamentari di oggi in Messico, fotografando una delle campagne elettorale più sanguinose degli ultimi decenni nel Paese latinoamericano che si trova a nord dell’Equatore. Altri 782 politici o attivisti hanno subìto aggressioni di vario genere negli ultimi mesi. Da settembre 2020 si contano almeno 90 politici  freddati a colpi d’arma da fuoco, in vari casi subito dopo un comizio.  Il dramma del narcotraffico, della criminalità organizzata, degli attacchi a quanti, nella società civile o in ruoli pubblici, cercano di opporsi alla corruzione resta sotto gli occhi di tutti, mentre ad aumentare sono anche le disuguaglianze, come sottolinea lo storico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Paolo Valvo:

Lo storico Valvo sottolinea che il livello di violenza in Messico resta un dramma indicibile, anche se ricorda che, se si parla di numeri e percentuali, bisogna ribadire che per queste elezioni si è raggiunto un livello mai raggiunto prima, ma che, in generale, negli ultimi tre anni in assoluto nel Paese  si è registrata una flessione degli omicidi. In ogni caso, lo storico ricorda che si tratta di livelli inaccettabili comunque. Poi rileva che, purtroppo, a livello di stabilità sociale, non ha certamente aiutato la pandemia, che ha colpito alcuni settori del mondo del lavoro che, in Messico, prevede salari molto bassi per la manodopera, già precari. Le fasce più deboli del Paese rischiano di ritrovarsi terribilmente impoverite, così come anche i piccoli imprenditori di aziende che – siega Valvo – nella maggior parte dei casi occupano i componenti in grado di lavorare di una famiglia.

Il voto

Valvo ricorda che oggi, circa 93 milioni e mezzo di messicani sono chiamati alle urne per eleggere 500 deputati federali, 15 dei 32 governatori statali, 30 congressi locali e 1.900 consigli comunali. Sul piano delle strategie politiche, alla coalizione imperniata su Morena, il partito  guidato dal presidente Andrés López Obrador, si oppone l’inedita alleanza tra i maggiori partiti storici messicani, un tempo grandi rivali:  Partido Revolucionario Institucional (Pri), Partido Acción Nacional (Pan) e Partido de la Revolución Democrática (Prd). Lo storico Valvo cita i sondaggi preelettorali per spiegare che  sembra sicuro che la coalizione di governo mantenga la maggioranza al Congresso, ma che potrebbe perdere la maggioranza qualificata che ha avuto fino ad oggi.

L’economia cresce ma non per tutti

Valvo spiega che l’economia cresce di 3,5 punti percentuali, ma che non sembra ne abbiano alcun beneficio le fasce basse della popolazione che, al contrario, sono state colpite dalle conseguenze negative della crisi sociosanitaria della pandemia, dalle conseguenze dei lockdown. Crescono dunque le profonde disparità che già caratterizzano il Paese. In ballo ci sono progetti infrastrutturali che potrebbero assicurare lavoro per molte persone. Alcuni sono stati sospesi per rivendicazioni ambientali, in alcuni casi sono stati annullati i progetti, in altri si attende una decisione delle autorità competenti. Il punto è – sottolinea lo storico Valvo – che ora i rallentamenti e le complicazioni dovute alla pandemia contribuiscono ad aumentare l’incertezza per questi progetti che lasciano in sospeso tante persone.

L’appello dei vescovi al discernimento

Valvo ricorda che l’Arcidiocesi del Messico, nell’editoriale domenicale del settimanale “Desde la Fe”, ha invitato i cattolici chiamati a votare “al discernimento, a separare i bisogni reali dalle facili offerte, i diritti umani dalle ideologie, e a cercare l’opzione migliore, al di là dell’offerta di mercato e degli attacchi tra candidati”, esortando i candidati stessi “a mettere al primo posto il bene comune e i problemi cruciali, prima di obiettivi personali”.

Nel testo dell’Arcidiocesi viene spiegato che “il lavoro del sacerdote, nelle questioni pubbliche, consiste nell’aiutare a illuminare la coscienza dei fedeli affinché il discernimento possa aiutare a costruire il bene comune”, ma che “spetta ai fedeli laici partecipare attivamente alla costruzione di qualsiasi opzione politica che cerchi di dare governi e risultati migliori al Paese”. L’Arcidiocesi del Messico ha ricordato che “quando le chiese o le comunità ecclesiali intervengono nel dibattito pubblico, esprimendo riserve o richiamando alcuni principi, ciò non costituisce una forma di intolleranza o di interferenza, poiché tali interventi hanno il solo scopo di illuminare le coscienze, permettendo loro di agire liberamente e responsabilmente secondo le vere esigenze della giustizia, anche se ciò può entrare in conflitto con situazioni di potere o interessi personali.” Il cardinale Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Città del Messico e primate del Paese, ha guidato una preghiera alla Vergine di Guadalupe e ha chiesto a tutti di “vivere, il 6 giugno, una giornata esemplare dal punto di vista civico, una giornata che esprima il desiderio di tutti di costruire una società fraterna e solidale”.

da Vatican NEWS  del 6 giugno 2021

Etiopia: i bambini vittime del conflitto nel Tigray

Scuole inagibili o occupate da sfollati: è il primo dei dati che fotografano la drammatica situazione di smarrimento dei minori nella regione dell’Etiopia dove sette mesi fa si è consumato il conflitto tra esercito e forze locali. Restano malnutrizione diffusa e sacche di scontri armati in zone inaccessibili anche all’Unicef, come spiega da Addis Abeba il responsabile dell’organismo dell’Onu, Michele Servadei

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Sono molto gravi per i bambini le conseguenze della situazione in Tigray. Nella regione dell’Etiopia, dopo mesi di  braccio di ferro tra potere locale e quello nazionale, in autunno si è arrivati allo scontro armato tra forze regionali ed esercito nazionale. Ha significato il venir meno dell’accesso ai servizi sociali di base, come istituti scolastici e ospedali, che sono stati presi di mira nell’escalation di violenza e che ancora risultano in gran parte fuori uso, come conferma da Addis Abeba il responsabile del team Unicef in Etiopia, Michele Servadei:

Il bilancio degli scontri armati

A sette mesi dall’inizio del conflitto, l’Unicef traccia un bilancio confermando uccisioni e violenze sessuali su donne e bambini nel Tigray. È stato documentato l’omicidio di almeno 20 bambini nella chiesa di Maryam Dengelat lo scorso novembre. Violenze e saccheggi hanno causato la non operatività di quasi il 60 per cento delle strutture sanitarie. Circa il 57 per cento dei pozzi in 13 città esaminate non funzionano e un quarto delle scuole della regione hanno subito danni a causa del conflitto.

Famiglie in fuga

Servadei conferma che centinaia e centinaia di bambini sono rimasti senza genitori o senza alcun parente più stretto. Spiega che il team dell’Unicef sta lavorando per assicurare che gli aiuti di base continuino a raggiungere i più bisognosi e che le popolazioni possano accedere in sicurezza ai servizi di base. Servadei sottolinea che si cerca di intensificare la presenza del personale Unicef nella regione per rispondere alla portata della sfida. Spiega che se arrivare da Addis Abeba al Tigray adesso è possibile in aereo, che significa – sottolinea- un’ora di volo mentre in macchina sarebbero 16 ore di viaggio, però poi – aggiunge – non sempre si riesce a raggiungere i più bisognosi nelle zone rurali. Proprio nelle zone agricole del nord si concentrano le varie azioni armate da parte di gruppi locali che non ritengono chiuso il confronto con l’esercito. Mentre ad Addis Abeba, dunque, Servadei racconta che la gente non parla quasi più della guerra nel Tigray, la situazione sul territorio resta di guerriglia.

Non bastano i fondi

Servadei spiega che, così come il Pam, che si occupa della malnutrizione crescente nella regione, così l’Unicef chiede maggiori fondi. In particolare l’organismo Onu per l’infanzia fa sapere di avere ricevuto al momento solo la metà dei 50 milioni di dollari che si è riconosciuto servano per i servizi di assistenza. E poi – sottolinea – c’è bisogno di rafforzare i servizi di monitoraggio, segnalazione e protezione per le persone colpite. Gli sfollati al momento vengono ospitati soprattutto negli istituti scolastici, ma questo ovviamente compromette qualsiasi tentativo di “normalizzazione” della vita dei bambini.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-06/etiopia-tigray-unicef-scuole-guerriglia-sfollati.html

Difendere istruzione e formazione, vittime della pandemia

La pandemia di Covid-19 ha messo a dura prova le società e le economie europee con ripercussioni ancora da valutare: senza un preciso impegno a livello di formazione umana non può esserci riscatto. E’ questo il senso delle riflessioni emerse al webinar organizzato dalla Commissione Europea e dalla Comece

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Le ripercussioni della crisi sociosanitaria legata alla pandemia ricadono su tutti i settori e non solo su quello determinante dell’occupazione. Bisogna mettere a fuoco le conseguenze negative nel campo dell’istruzione e della formazione. E il punto – è stato ribadito al webinar – è che  si tratta di conseguenze che hanno un’onda lunga e che dunque si faranno sentire nei prossimi mesi e prossimi anni.

La piattaforma di dialogo

Il webinar ha rappresentato un’occasione di incontro e di confronto, sui temi educativi più urgenti, tra istituzioni europee, delegati della Comece e responsabili dell’Istruzione e Formazione Permanente (Ifp). Hanno partecipato tra gli altri Janine Costa, della Rappresentanza Permanente del Portogallo all’Ue;  Joao Santos, della Commissione europea;  Miriam Lexmann  deputata del Parlamento europeo; Denis Leclerc,  dell’Associazione Maisons Don Bosco;   Paolo Nardi, della Associaizone COMETA Formazione;  Alfredo Garmendia, Centro San Viator, Red EBI e HETEL.

La mancata scolarizzazione

Siamo di fronte a un’emergenza educativa per molti studenti che non hanno potuto frequentare la scuola durante i mesi più duri di lockdown. I partecipanti sono stati d’accordo nel raccomandare che si cominci  a tracciare un bilancio in tema di  mancato apprendimento perchè questo rappresenta un’ipoteca sulle generazioni future. I prossimi passi in questo settore sono fondamentali per il futuro dei cittadini europei e le giovani generazioni. La formazione dei giovani – è stato sottolineato – è essenziale perché la ripresa auspicata trovi cittadini e società  più resilienti e pronte per le sfide future.

Il piano di azione avviato

L’obiettivo è tradurre nel concreto i principi e le linee programmatiche contenute nella Dichiarazione di Osnabrück recentemente adottata sull’istruzione e la formazione professionale. Si tratta del documento firmato a novembre 2020 nella città tedesca della bassa Sassonia, da ministri responsabili dell’istruzione e formazione professionale (VET) negli Stati membri dell’Ue, le parti sociali europee e la Commissione europea.  Il documento, che sostituisce le conclusioni di Riga del 2015, definisce nuove azioni politiche in materia di Ifp per il periodo 2021-25. Integra e rende operativa la visione e gli obiettivi strategici della raccomandazione del Consiglio europeo sull’istruzione e la formazione professionale per la competitività sostenibile, l’equità sociale e resilienza.

Un impegno decennale

Nella dichiarazione di Osnabrück i ministri promettono di contribuire alla ripresa post-Covid 19.  E’ fondamentale – hanno sottolineato i rappresentanti delle istituzioni europee –   il dialogo, come quello promosso dal webinar, per capire come sviluppare ulteriormente l’area europea dell’istruzione e della formazione attraverso sistemi innovativi. E’ importante, anzi urgente,  assicurare sistemi orientati al futuro per sostenere la transizione digitale e quella verde per migliorare l’occupazione e la competitività, stimolando la crescita economica. Dalla Commissione europea è arrivato l’ennesimo appello a considerare il ruolo fondamentale delle politiche, anche nazionali, per l’istruzione e la formazione, nei nuovi orientamenti strategici per la crescita sostenibile dell’Unione.

L’allarme per le discrepanze sociali

Tra le conseguenze della pandemia purtroppo c’è la crescita delle disuguaglianze e delle discrepanze sociali. C’è  l’annosa  questione – ha ribadito la Comece – di non lasciare indietro gli studenti che non riescono, per la situazione economica delle famiglie, a tenere il passo degli aggiornamenti tecnologici.  In particolare,  la  formazione professionale – è stato ricordato – ritorna centrale per lo sviluppo socio-economico dello spazio europeo in un quadro di azione per il prossimo decennio. Tanto più in considerazione della pandemia, deve essere centrale la combinazione tra istruzione e formazione pratica, per comprendere prima ancora che accompagnare le esigenze attuali e future della società e dell’economia. In definitiva, serve – è stato raccomandato – una formazione inclusiva e di qualità, ma anche una nuova cultura di apprendimento permanente.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2021-06/comece-coronavirus-lockdown-scuole-giovani-iunione-europea.html

Nel Tigray è guerriglia: aumentano fame e sfollati

A sette mesi dagli scontri più accesi nella regione del Tigray, in Etiopia, almeno il 90 per cento della popolazione si trova nel bisogno. Non si può parlare di pace: continua la guerriglia e le scuole sono trasformate in campi di rifugiati, come spiega padre Filippo Ivardi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Un totale di 5,2 milioni di persone, equivalenti al 91 per cento della popolazione del Tigray, necessita di assistenza alimentare dovuta al conflitto”, ha detto ai giornalisti riuniti a Ginevra Tomson Phiri, portavoce del Programma alimentale mondiale (Pam).

Si sono spenti alcuni riflettori mediatici sulla crisi nella regione etiope, mentre la situazione non è affatto migliorata, spiega padre Filippo Ivardi, direttore di Nigrizia:

Padre Inardi, missionario comboniano, conferma le notizie che giungono dalle agenzie internazionali, sottolineando che molte ong operano nell’area e che sono arrivati aiuti dell’Onu ma aggiungendo  che le Nazioni Unite hanno chiesto 203 milioni di dollari subito per intensificare gli interventi. Lo scontro civile nel Tigray, regione a nord dell’Etiopia, è scoppiato quasi sette mesi fa, – ricorda padre Inardi – quando il primo ministro etiope, Abiy Ahmed, ha sferrato un’offensiva militare contro le forze leali all’ormai ex partito di governo locale Fronte di liberazione del popolo del Tigray (Tplf) dopo mesi di tensioni con Addis Abeba.

Padre Filippo riferisce di migliaia di morti, di ottantamila rifugiati, di cui alcuni sono giunti in Sudan. Il missionario direttore di Nigrizia spiega che in questi sette mesi si sono aggiunte 700.000 persone al computo dei bisognosi fatto dall’Onu. E racconta che le scuole della regione sono state trasformate in campi per sfollati. La popolazione riferisce di continui attacchi soprattutto nella notte. Si tratta – spiega padre Filippo – di una guerriglia sferrata da gruppi locali contro soldati dell’esercito nazionale. Si moltiplicano episodi di violenza – spiega – come furti di armi ai soldati ma anche ruberie di cibo alla popolazione. Sul terreno sono presenti 32 ong e si contano 1850 operatori umanitari ma – ribadisce – la situazione resta difficile e preoccupante.

Una situazione di tensione oltre i confini

Padre Filippo ricorda che c’è un contesto regionale pieno di incognite e di sfide. Riferisce della presenza in Etiopia di soldati di altri Stati limitrofi e di contenziosi aperti come quello delle dighe in costruzione sul Nilo o sui suoi affluenti – sottolinea – che coinvolge Etiopia, Sudan, Egitto.

Alla radice dello scontro nel Tigray

Ci sono elementi storici che ci aiutano a capire come sia nato il conflitto nel Tigray, spiega l’africanista Anna Bono:

La professoressa Bono torna indietro nell’analisi agli equilibri di potere tra leadership regionale e quella nazionale che negli anni scorsi hanno determinato un braccio di ferro e poi un vero e proprio confronto sul terreno. Cita questioni di tipo etnico che stanno sullo sfondo di antiche tensioni o nuove contese e spiega che non ci si può fermare alla motivazione di rivendicata autonomia regionale, in quanto la componente tigrina è stata forte sul piano nazionale per circa 25 anni ed è stata poi ridimensionata con l’arrivo al potere dell’attuale primo ministro. Le sue rivendicazioni dunque vanno al di là del potere che potrebbe conservare sul territorio regionale del Tigray.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-06/etiopia-tigray-conflitto-sfollati-onu-aiuti.html

Nuovi modelli di produzione contro la fame nel mondo

Ripensare i sistemi alimentari è indispensabile per la sostenibilità ambientale e per la pace. E’ quanto ha sottolineato il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin all’incontro conclusivo della serie di webinar voluti dalla Santa Sede in vista del prossimo Summit delle Nazioni Unite sui Sistemi Alimentari. La necessità di un approccio multidimensionale è ribadita nelle parole di Suor Alessandra Smerilli

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Si è conclusa oggi la serie di tre webinar organizzati dalla Segreteria di Stato della Santa Sede, la Missione Permanente della Santa Sede presso la FAO, l’IFAD e il PAM, il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale e la Commissione Vaticana COVID-19. Come indicato nel titolo dell’iniziativa, si è parlato di Cibo per la Vita, Giustizia Alimentare, Cibo per Tutti.

L’obiettivo

Ispirandosi alla Lettera Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, si intende promuovere l’ecologia integrale, intesa come paradigma che considera le interconnessioni anche tra sistemi sociali ed ecosistemi. E’ il punto di partenza per assicurare una vera e propria rigenerazione dei sistemi alimentari nel futuro post-pandemia, necessaria – è stato ribadito nel webinar – considerando che nel 2020 si è registrato il numero più alto di persone denutrite nel mondo rispetto agli ultimi cinque anni. In sostanza, la finalità è che nessuno sia lasciato indietro. E’ quanto ha ribadito il Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin nel suo intervento oggi pomeriggio a conclusione del webinar dedicato in particolare a “Cibo per Tutti: i conflitti alimentari e il futuro dei sistemi alimentari”. Per farlo – ha spiegato il cardinale Parolin – serve la trasformazione dei sistemi alimentari verso la cura della nostra casa comune, lo sradicamento della fame, il rispetto della dignità umana e il servizio del bene comune.

In vista del Summit mondiale sui sistemi alimentari

La serie in tre parti dei webinar è iniziata durante la Settimana della Laudato si’ (16-24 maggio). Ha dato voce alle donne, alle comunità indigene, alle persone che vivono in situazioni di crisi, ai piccoli agricoltori per imparare dalle loro esperienze e dalla saggezza tradizionale per assicurare dibattiti globali e piani d’azione all’altezza delle problematiche. L’intenzione dunque è dare un contributo, infatti, alla riflessione della comunità internazionale che viene affidata nei prossimi mesi a due momenti centrali. A settembre si svolgerà a New York, nell’ambito della Assemblea generale delle Nazioni Unite, il summit dedicato ai Sistemi alimentari. In vista di questo confronto mondiale, si terrà dal 19 al 21 luglio a Roma il cosiddetto pre-summit voluto a Roma dalla presidenza di turno italiana del G20. Il cardinale Parolin, che ha preso parte al webinar di oggi ma che per un disturbo alla voce ha chiesto che il suo intervento venisse letto dalla dottoressa Francesca Di Giovanni, Sottosegretario al Dicastero per lo Sviluppo umano integrale, ha chiarito che a livello internazionale servono “azioni concrete, incisive, avvedute”. Bisogna – ha ricordato – ripensare i sistemi alimentari per renderli più resilienti, più solidali, maggiormente in grado di sconfiggere l’insicurezza alimentare.

La centralità delle economie locali

“Servono azioni individuale e collettive verso un futuro alimentare che sia sostenibile, equo e sicuro”, ribadisce ai nostri microfoni l’economista Suor Alessandra Smerilli, Sottosegretario al Dicastero per lo Sviluppo umano integrale:

L’accademica Suor Smerilli ricorda il senso dei tre seminari per spiegare il processo logico che intende produrre proposte concrete sul tavolo dei leader mondiali. Innanzitutto sottolinea come la pandemia possa essere un momento di crisi che se ha portato tanti drammi umani può portare però anche un’occasione preziosa di ripensamento degli attuali meccanismi in sui – afferma – troppo spesso gli interessi di alcuni prevalgono sul benessere di fette di popolazioni che non hanno voce. Eppure – sottolinea – proprio le economie locali rappresentano un bacino di conoscenze preziose per una valorizzazione del territorio sostenibile per le future generazioni. Difficilmente in fatti – spiega – le famiglie locali che traggono sostentamento da una terra tenderanno ad un uso distruttivo di quella terra stessa.

Le tematiche affrontate nei webinar

Suor Smerilli raccomanda l’importanza di potenziare le economie locali, ricordando i temi dei webinar. Il primo, co-ospitato dal Forum di Roma e intitolato Cibo per la Vita: il ruolo delle donne nella promozione dello sviluppo umano integrale, si è svolto il 17 maggio ed è stato caratterizzato da un dialogo sul ruolo unico delle donne nello sviluppo, con particolare attenzione a come sostenere la loro leadership nel plasmare sistemi alimentari resilienti in tutto il mondo. Il secondo intitolato Giustizia Alimentare: lavoro, innovazione e finanza al servizio della giustizia alimentare”, del 26 maggio, ha lasciato emergere l’importanza del lavoro dignitoso, della finanza e dell’innovazione nella ricostruzione di sistemi alimentari sostenibili, in particolare nel futuro post-COVID. L’ultimo webinar che si è svolto oggi, co-ospitato dalla Pontificia Accademia delle Scienze e dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, è stato pensato per esplorare le diverse possibili risposte ai conflitti alimentari, partendo dalla riflessione su come la Chiesa possa meglio contribuire e collaborare per affrontare la fame e la disuguaglianza alimentare nel mondo. Si è trattato di una metodologia che, guidata dai valori della Dottrina Sociale Cattolica, dall’esperienza quotidiana degli operatori locali della Chiesa e dall’imperativo morale di eliminare la fame, ha promosso l’ascolto e il dialogo all’interno e all’esterno della Chiesa; ha lasciato emergere, con testimonianze dirette anche da Paesi come il Burundi, le migliori pratiche nel mondo che promuovono sistemi alimentari sostenibili. In sostanza ha dato voce a persone tradizionalmente escluse per ispirare un appello alla giustizia alimentare. “Il cibo – sottolinea suor Smerilli – è come la cartina tornasole delle connessioni tra finanza, lavoro, tecnologia che, se non sono rispettose della dignità della persona e a servizio del bene comune, contribuiscono ad alimentare conflitti a diversi livelli, le cui conseguenze, come quelle dei cambiamenti climatici, ricadono innanzitutto sulle popolazioni e sulle franzge di popolazioni più fragili ma anche su tutta la famiglia umana”.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-05/cibo-summit-comunita-internazionale-onu-santa-sede.html

Appello dell’Unicef per i minori dispersi dopo l’eruzione a Goma

Tra la Repubblica Democratica del Congo e il Rwanda centinaia di famiglie sono in emergenza: sono sfollate dopo l’eruzione del vulcano a nord di Goma. L’Unicef lancia un appello per i bambini dispersi, come spiega Andrea Iacomini, portavoce del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia

Fausta Speranza – Città del Vaticano

In seguito all’eruzione del monte Nyiragongo di due notti fa, più di 5.000 persone hanno lasciato Goma e hanno attraversato il confine tra la Repubblica Democratica del Congo e il Rwanda e almeno 25.000 sono state sfollate a Sake, 25 chilometri a nord-ovest di Goma. Centinaia di persone che tornano indietro trovano abitazioni danneggiate e carenza di acqua ed elettricità. Cercano di tornare lentamente a casa, dal momento che la lava ha smesso di scorrere ieri mattina. La preoccupazione dell’Unicef nelle parole del portavoce Andrea Iacomini:

Iacomini spiega che più di 150 bambini sono stati separati dalle loro famiglie e si teme che più di 170 minori siano dispersi dopo la fuga dalla città di Goma, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Iacomini sottolinea che non è ancora chiaro quante famiglie siano state colpite dall’eruzione nel territorio di Nyiragongo, a nord di Goma, ma che molti bambini nell’area vicino all’aeroporto sono rimasti senza casa e in situazioni di indigenza.

Alcuni morti e molti dispersi

Iacomini riferisce che almeno cinque persone sono state uccise al momento dell’eruzione a Buhene, Kibatshi e Kibumba, ma che ci sono tante persone scomparse. Il portavoce dell’Unicef aggiunge che è stato dispiegato un team del Fondo Onu nelle aree colpite di Sake, Buhene, Kibati e Kibumba per fornire una risposta di prima linea. Al momento l’allarme maggiore– denuncia – riguarda chi non trova la propria abitazione ma anche per le famiglie che si trovano a vagare in zone di confine e in particolare poi per quei minori non accompagnati.

L’impegno dell’Unicef

Iacomini spiega che l’obiettivo al momento è di installare punti di clorazione dell’acqua a Sake e dintorni per limitare la diffusione del colera. Assicura che diverse reti di approvvigionamento idrico nella zona saranno clorate a breve specialmente a Goma, dopo il ritorno di migliaia di residenti. C’è poi l’impegno del Fondo – aggiunge – per  stabilire due centri di transito per bambini non accompagnati e separati, in collaborazione con le autorità congolesi locali.
L’Unicef sta anche lavorando con i partner per fornire orientamento ai casi di violenza e abuso di genere verso un adeguato supporto medico e psicosociale. A questo proposito Iacomini ricorda che l’Unicef è presente normalmente in questa fascia di terra per cercare di strappare i bambini proprio a rischi sempre vivi di abusi e di violenze. Iacomini ricorda che l’ultima potente eruzione di Nyiragongo nel 2002 aveva lasciato più di 100.000 persone senza casa.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-05/repubblica-democratica-del-congo-vulcano-eruzione.html

Senza diritti: l’impegno della chiesa per i migranti “invisibili” in Europa

Dall’Europa orientale all’Europa occidentale per lavorare: se ne è parlato ad una conferenza nell’ambito del progetto CRISIS 2020/21 voluto per promuovere una nuova solidarietà sociale nei confronti di tutti i lavoratori che fanno parte della vita economica quotidiana del vecchio continente, ma che non hanno alcuna tutela giuridica. Servono strategie precise per difendere la dignità umana, sottolinea padre Fabio Baggio

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Dall’Europa orientale all’Europa occidentale ma anche tra Stati terzi rispetto l’Unione e Stati dell’Ue: i lavoratori migranti fanno parte della vita economica quotidiana dell’Europa. Braccianti agricoli ucraini si trovano in Spagna, lavoratori rumeni sono impiegati in fabbriche di carne in Germania, infermiere geriatriche slovacche, ceche e ungheresi assistono famiglie austriache. Sono solo alcuni esempi di persone che risultano “invisibili”, che significa concretamente che molti di loro sono sfruttati sia socialmente che economicamente. Diritti come orari o pause di lavoro sono ignorati. Ma durante questo periodo di crisi per la pandemia in qualche modo questi lavoratori migranti invisibili sono diventati “visibili”. In ogni caso, al di là dell’allerta sanitaria, va difesa la dignità della persona umana con condizioni rispettose per i lavoratori migranti.

L’impegno della Chiesa

Nel webinar che si è tenuto questa mattina, nell’ambito del progetto CRISIS 2020/21, si è discusso delle possibili modalità di intervento dal momento che risulta essenziale promuovere proposte concrete per migliorare la situazione nel senso di una nuova solidarietà sociale in Europa. Tra i partecipanti, dirigenti della Chiesa; comunità e istituzioni; persone con ruoli di responsabilità all’interno delle istituzioni europee; sindacati e datori di lavoro. Abbiamo intervistato padre Fabio Baggio, sottosegretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale:

Padre Baggio spiega che innanzitutto si devono valutare e passare al vaglio critico le condizioni legali o illegali esistenti. In sostanza – sottolinea padre Baggio – bisogna far emergere dal sommerso dell’invisibilità le situazioni. Poi, raccomanda, è essenziale sensibilizzare l’opinione pubblica sul destino dei lavoratori migranti. Dunque, l’impegno della Chiesa è quello – chiarisce – di un primo intervento dal basso: assistenza a queste persone, senza discriminazioni sul credo religioso professato. Poi padre Baggio individua un secondo livello: quello delle politiche locali e nazionali e per questo afferma che le chiese locali possono far sentire la loro voce che è la voce di chi conosce le questioni da vicino. Padre Baggio sottolinea, inoltre, l’importanza di un terzo livello di azione che definisce di “governance globale del lavoro”. Si tratta del piano della comunità internazionale che presenta maggiori difficoltà ma che resta essenziale. E per ottenere risultati concreti su questo piano spiega che è essenziale che si tenga alta l’attenzione su quanto accade in termini di diritti non rispettati e che cambi la narrativa corrente. Ricorda infatti che troppo spesso si mette l’accento sugli aspetti negativi delle migrazioni e si trascurano gli aspetti positivi che invece – sottolinea – emergono da tanti studi scientifici, economici, che mettono in luce, anche se non se ne parla quasi mai, il contributo preciso all’economia dei Paesi ospitanti.

Una precisa metodologia di ricerca

Gli esperti che sono stati coinvolti nel seminario di oggi, e più in generale nello studio di questi fenomeni, hanno spiegato che l’esame della situazione dei lavoratori migranti “invisibili” in Europa non viene fatta nel senso di un’indagine quantitativa. Piuttosto, vengono presentati come esemplari alcuni casi individuali accessibili al pubblico, via Internet, notiziari, racconti che fanno “letteratura”.

Dunque, l’impegno a lungo termine promosso da istituzioni e persone ecclesiastiche viene presentato con un’intenzione paradigmatica.

In quella che gli esperti hanno definito la terza fase, i testi della Dottrina sociale della Chiesa vengono presi in considerazione ed esaminati per rilevanza rispetto al problema dei lavoratori migranti “invisibili”. Questo tipo di impegno viene assunto nella convinzione dichiarata di voler promuovere una pratica di solidarietà tra Europa orientale e occidentale che sia nuova perché impostata in una prospettiva teologica-sistematica. Si individua poi una quarta fase dell’indagine nel momento in cui la ricerca andrà a tracciare soluzioni socio-eticamente valide per una convivenza europea tra Oriente e Occidente che non sfrutti i lavoratori migranti.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-05/migranti-lavoratori-europa-governance-globale-chiesa.html