La speranza che brucia: il documento sulla Fratellanza e l’eredità profetica di Francesco

La speranza che brucia: il documento sulla Fratellanza e l’eredità profetica di Francesco

su Famiglia Cristiana

28/04/2025  Durante il Giubileo degli artisti, il pontefice scomparso ha richiamato la vera natura di questa virtù, intrecciata al dramma umano. Una visione che ha radici profonde nel Documento sulla Fratellanza Umana, firmato nel 2019 con il Grande Imam di Al-Azhar: un testo che non solo condanna senza ambiguità terrorismo e disuguaglianze, ma anticipa anche le crisi che oggi minacciano la pace globale

di Fausta Speranza

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«La vera speranza si intreccia con il dramma dell’esistenza umana. Non è un rifugio comodo, ma un fuoco che brucia e illumina, come la Parola di Dio». In questa idea di speranza che papa Francesco ha espresso durante il Giubileo degli artisti a febbraio scorso, ci sembra emergere tanto della sensibilità e concretezza del suo pontificato, segnato dalla fattiva attenzione ai più deboli ma anche di richiami e gesti “politici” significativi. Uno in particolare sembra importante ricordare. Durante il viaggio apostolico negli Emirati Arabi Uniti dal 3 al 5 febbraio 2019, papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, che è una delle più importanti autorità del mondo islamico, hanno sottoscritto, precisamente il giorno 4, il Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune. Si tratta di un documento che non ha soltanto il valore di una tappa nel percorso del dialogo interreligioso. Abbiamo chiesto il punto di vista di uno storico, Daniele De Luca, docente di Storia delle Relazioni internazionali e di Storia Internazionale del Medio Oriente presso l’Università del Salento.  «Per alcuni aspetti», spiega De Luca,  «il documento sembra presagire avvenimenti che hanno poi sconvolto il quadro internazionale nel giro di pochi anni. Nel 2019, quanti avrebbero potuto prevedere un conflitto tra due Paesi europei a quasi ottanta anni di distanza dall’ultimo, o una ripresa così violenta del sanguinoso conflitto in Medio Oriente? Eppure, il Pontefice e il Grande Imam di Al-Azhar si soffermarono su alcune questioni che sarebbero diventate di drammatica attualità nel giro di pochissimo tempo: l’estremismo religioso e quello nazionale, l’intolleranza, la mancanza di una equa distribuzione delle risorse naturali (a beneficio di pochi) e che, come possiamo verificare quasi quotidianamente, hanno portato a “crisi letali” nel silenzio internazionale più assordante. È chiaro il riferimento alle innumerevoli situazioni di violenza e sfruttamento, in particolar modo nel continente africano, molto caro a Papa Francesco.

La forte condanna del terrorismo sottoscritta nel Documento non è scontata: non lo era in quel momento e forse lo è ancora meno oggi?

«Vero, perché non sono pochi i Paesi che preferiscono nascondersi dietro una forte ambiguità sull’argomento. Il Documento sulla fratellanza umana, al contrario, è chiaro e diretto: una condanna decisa del terrorismo in tutte le sue forme. Ma la condanna non basta, il Pontefice e il Grande Imam aggiungono che bisogna interrompere qualsiasi tipo di sostegno alle organizzazioni terroristiche. Niente denaro, armi o copertura mediatica, come alcune emittenti televisive hanno fatto negli ultimi anni. Gli atti terroristici devono essere considerati dei chiari crimini internazionali che “minacciano la sicurezza e la pace mondiale”. Basti qui considerare le drammatiche conseguenze provocate dall’attacco di Hamas nei confronti dello Stato di Israele il 7 ottobre 2023.

Quanto è particolare il riferimento alle donne?

«Il richiamo e il sostegno dei diritti delle donne assume un particolare significato perché il Documento viene firmato negli Emirati Arabi Uniti – e non diciamo nulla di nuovo se sottolineiamo la difficile condizione delle donne nell’intero Medio Oriente. Per l’Occidente è quasi scontato il riconoscimento dei diritti delle donne all’istruzione, al lavoro o all’esercizio dei propri diritti politici. In altre regioni del mondo questo non avviene, per questa ragione stilare e sottoscrivere un Documento che, oltre a quanto detto, dichiara la necessità della protezione delle donne dallo sfruttamento sessuale e dalla loro mercificazione diventa di un’importanza fondamentale. E questo in un’ottica più generale per una decisiva difesa della dignità femminile».

Ci si deve soffermare anche sul diritto di cittadinanza. Perché è tanto importante per il mondo mediorientale?

«Perché in molte aree della regione questo è decisamente limitato. Sull’argomento, una parte del Documento appare estremamente interessante: la richiesta di una piena cittadinanza per tutti e per tutte e la rinuncia “all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità̀”. È, insomma, il principio della uguaglianza nella diversità. Uguaglianza nei diritti, nei doveri e nella dignità che viene richiamata nella parte iniziale del Documento, con un riferimento – non sappiamo quanto voluto – al preambolo della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America. Nel caso specifico, i Padri Fondatori inserirono nei diritti delle persone anche il “perseguimento della felicità”».

Ma visto il contesto attuale di tentativi di sgretolamento del diritto internazionale il richiamo contenuto nel Documento assume nuovo valore anche per l’Occidente?

«Forse è proprio qui che troviamo un’ulteriore attualità del Documento del 2019. Papa Francesco e l’Imam Ahmad Al-Tayyeb, insieme, riconoscono l’impellente necessità dell’incontro tra Occidente e Oriente. Citando testualmente: “L’Occidente potrebbe trovare nella civiltà̀ dell’Oriente rimedi per alcune sue malattie spirituali e religiose causate dal dominio del materialismo. E l’Oriente potrebbe trovare nella civiltà̀ dell’Occidente tanti elementi che possono aiutarlo a salvarsi dalla debolezza, dalla divisione, dal conflitto e dal declino scientifico, tecnico e culturale”. Qui siamo di fronte non tanto a un dialogo interreligioso ma a una vera dichiarazione di strategia politica per rispondere a molte delle insidie dei tempi moderni: frustrazione, solitudine, disperazione che – secondo il Documento – possono portare a un estremismo ateo e agnostico, oppure a un integralismo religioso».

Il contesto in cui Bergoglio è stato Papa è stato definito da Lui stesso di “Terza guerra mondiale a pezzi” … vogliamo ricordare il senso di questa espressione tenendo presente il Documento sulla fratellanza Umana?

«Citiamo testualmente, così da essere chiari: “La storia afferma che l’estremismo religioso e nazionale e l’intolleranza hanno prodotto nel mondo, sia in Occidente sia in Oriente, ciò̀ che potrebbe essere chiamato i segnali di una «terza guerra mondiale a pezzi»”. Nel momento in cui il Documento viene scritto, quanto sta succedendo particolarmente in Africa spinge verso una considerazione del genere. Ma il Documento va oltre, mettendo in guardia verso la possibilità che si creino ulteriori zone per nuovi conflitti e, quindi, che si possa realizzare “una situazione mondiale dominata dall’incertezza, dalla delusione e dalla paura del futuro e controllata dagli interessi economici miopi”. In un modo o in un altro, sembra preannunciare i giorni che stiamo vivendo».

Read also (28 Aprile 2025) https://www.faustasperanza.eu/wordpress/2025/04/28/la-speranza-che-brucia-il-documento-sulla-fratellanza-e-leredita-profetica-di-francesco/

«Papa Francesco nella storia: non un’eccezione, ma un frutto della Chiesa del Novecento»

Papa Francesco nella prospettiva storica

27/04/2025  Nel ripensare il suo pontificato occorre evitare sia le banalizzazioni sia le celebrazioni acritiche. La sua attenzione ai poveri, la diplomazia della pace, il dialogo interreligioso e l’impegno per la Casa comune sono eredità profonde, radicate nella storia recente della Chiesa. Con don Roberto Regoli, professore alla Pontificia Università Gregoriana, rileggiamo la parabola di Bergoglio alla luce di un percorso iniziato ben prima di lui, che dal Concilio Vaticano II arriva fino ai nostri giorni lettura in prospettiva nell’intervista allo storico don Roberto Regoli

di Fausta Speranza

su Famiglia Cristiana on line: https://www.famigliacristiana.it/articolo/papa-francesco-nella-storia-non-un-eccezione-ma-un-frutto-maturo-della-chiesa-del-novecento.aspx

Nel raccontare la figura di un papa, e tanto più nel momento in cui ha chiuso la sua parabola terrena ed è tornato alla Casa del Padre, viene spontaneo sottolineare tutte le specificità che hanno caratterizzato il suo Pontificato e la sua personalità. Di papa Francesco ricordiamo a gran voce l’attenzione ai più poveri e fragili e i temi dei due anni giubilari: quello della Misericordia e quello, in corso, della Speranza. Se lo sguardo però resta troppo concentrato sugli anni in questione, si corre il rischio di perdere di vista l’ottica più opportuna per “rileggere” qualunque pontificato: quella che lo comprende nella storia della Chiesa, in cui si colloca tra un prima e un dopo. Per una prospettiva più ampia, abbiamo intervistato lo storico don Roberto Regoli, professore ordinario della Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa alla Pontificia Università Gregoriana. «In questi giorni», spiega don Regoli, «in tanti hanno parlato di eccezionalità, unicità e di forza rivoluzionaria del pontificato di Francesco, a volte banalizzandolo nei contenuti, come se fosse un extraterrestre o un extraecclesiastico. Facendo passare per nuovo anche ciò che è antico. È opportuno invece inserirlo dentro la storia della Chiesa per capire a meglio il suo contenuto. Solo in questo modo si comprende che Bergoglio ha portato avanti istanze della sua storia personale ecclesiale: un vescovo argentino e dell’America Latina. Un vescovo che era stato al centro delle scelte ecclesiali di quel continente, che ha voluto guardare in maniera preferenziale alle necessità dei poveri e a proporre una Chiesa missionaria dentro gli antichi territori pensati cattolici, ma che non lo sono più. È da ricordare che era un gesuita e la Compagnia di Gesù nel tempo successivo al Concilio Vaticano II ha compiuto la cosiddetta scelta preferenziale per i poveri. Bergoglio non è un caso, un miracolo o un errore della storia, ma il frutto di un percorso. Anche di quello che si inserisce nei pontificati che lo precedono».

In particolare, se guardiamo al Novecento ritroviamo temi fondamentali che vediamo svilupparsi nel corso di diversi papati. Viene in mente innanzitutto il tema della pace e strettamente connessi quelli del multilateralismo e del disarmo…

«Addirittura sin dallo scoppio della prima guerra mondiale (1914-1918) tutti i papi del Novecento si sono impegnati a disarmare la guerra, togliendole ogni possibile pretesa di legittimazione religiosa. Non esiste una guerra santa. Benedetto XV definì la guerra una “inutile strage” e Pio XII dichiarò che “Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra”. E nella stessa direzione sono andati i successori. È importante ricordare Giovanni Paolo II che avviò gli incontri di preghiera delle religioni ad Assisi nel 1986 per far capire al mondo che le religioni non sono causa di guerre, ma comunità per la pace. In questo senso Benedetto XVI dichiarerà addirittura che “la non violenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità”. E in questo percorso non solo si inserisce papa Francesco, ma lo promuove con la stessa convinzione dei suoi predecessori di fronte a quella che lui ha chiamato con ragione e successo “terza guerra mondiale a pezzi”. La sua diplomazia ha privilegiato il multilateralismo, con un sempre maggiore impegno da parte della Segreteria di Stato vaticana, e un bilateralismo creativo come con l’impiego di cardinali non diplomatici a fini pacificatori. Pensiamo al cardinale Ortega per una mediazione tra USA e Cuba e al cardinale presidente della Cei Zuppi per la guerra in Ucraina».

Il diritto internazionale in questa fase storica sembra sempre più minacciato. Può essere di aiuto inquadrare le parole e gli sforzi di papa Francesco in un contesto più ampio?

«A livello diplomatico papa Francesco si è inserito nella tradizione curiale che ha trovato. Come i suoi predecessori, a partire da Paolo VI, ha chiesto il rispetto del diritto internazionale e il coinvolgimento dell’ONU. Sia lui, sia il suo segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, nei primi anni del pontificato affidano un ruolo dirimente alle Nazioni Unite sulle condizioni e la liceità degli interventi militari, cioè sull’uso della forza al fine di formare una forza di interposizione che blocchi le violenze, le aggressioni e i combattimenti. L’ONU riceve alta considerazione nei discorsi pubblici del papa e del suo cardinale segretario di Stato. La Santa Sede ritiene che per compiere azioni di forza si debba richiedere il consenso internazionale. L’ONU, però, è bloccata dai veti interni incrociati. Lo stesso Parolin si lascia andare ad un pubblico richiamo nel quale considera l’ONU una organizzazione caduta nell’“apatia” e nella “irresponsabilità” e per giunta “passiva dinanzi alle ostilità subite da popolazioni indifese”. Di fronte alle grandi crisi internazionali la Santa Sede rimanda all’autorità dell’ONU, cioè indica un metodo, ma non una soluzione. Ma quel metodo non ha portato frutto, perché bloccato nel fuoco incrociato di veti. A fronte di questa situazione il Papato ha voluto giocare anche da solo alcune mediazioni. Vanno segnalati i buoni uffici posti dalla Santa Sede nel processo di normalizzazione delle relazioni bilaterali cubano-statunitensi, rotte dopo la rivoluzione castrista, e che giunse ad un accordo nel 2014».

Come definirebbe la diplomazia di Francesco?

«Durante il pontificato di Francesco emerge un tratto tipico della sua diplomazia, secondo il quale a fianco degli usuali canali diplomatici, il papa coinvolge altri personaggi, nei casi conosciuti alcuni cardinali, come Ortega per Cuba e Zuppi per l’Ucraina, per attivare una diplomazia più personale e personalizzata. Questi canali vengono comunque ricondotti sotto il lavoro della Segreteria di Stato. Si sa di altri contesti in cui il papa e la sua diplomazia ai nostri giorni sono attivi per mediare in senso largo, come nel Sud-Sudan e in Congo, ma di cui non si hanno resoconti sicuri».

Il Documento sulla Fratellanza Umana del 2019, firmato da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, ci introduce al dialogo interreligioso e a un cammino lungo.

«Seguendo l’impostazione di Giovanni Paolo II, il dialogo interreligioso è considerato un presupposto per raggiungere una pace vera e duratura a livello internazionale. In un mondo minacciato dal terrorismo di matrice fondamentalista ad inizio XXI secolo e da guerre regionali e internazionali oggi, il dialogo interreligioso, come quello interculturale, viene presentato quale vera e propria «necessità vitale». In questa prospettiva Francesco insiste su ciò che accomuna in ultimo ogni uomo: l’umanità stessa. È un linguaggio laico che vuole includere ogni possibile interlocutore. Un linguaggio che vuole però essere religioso in nome del fatto che ogni essere umano è stato creato a immagine e somiglianza di Dio».

Certamente la Laudato Sì è stata un’Enciclica importante per comprendere l’urgenza di occuparsi della Casa comune e soprattutto per mettere a fuoco come sistemi naturali e sistemi sociali siano profondamente interconnessi. Come “collocare” questa attenzione preziosa di papa Francesco nella storia della Chiesa?

«La “Laudato sì” è un tipico documento di Francesco. Indubbiamente già da prima c’era questa sensibilità. Si pensi alla dichiarazione del 2006 tra Benedetto XVI e il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo sui comuni sforzi per la conservazione dei valori morali in tutto il mondo, per la tutela dei diritti civili e delle libertà, per resistere alla guerra e al terrorismo e per l’appunto per proteggere l’ambiente dall’inquinamento. Detto questo, va però riconosciuto che il tema ecologico è uno dei contributi più propri di Bergoglio, che ha trovato importanti riscontri nella società civile. L’anziano Bergoglio ha saputo intercettare una sensibilità sempre più presente nell’Occidente. Sarà anche una sua eredità. Ma bisognerà capire come sarà intesa in un mondo occidentale che sta cambiando le sue politiche green».

C’è poi la “più grande grazia del XX secolo” come san Giovanni Paolo II ha definito il Concilio Vaticano II. Ci aiuta a tracciare la linea che parte dalla Chiesa conciliare e arriva fino a papa Francesco?

«Se mi si permette una battuta, vorrei manipolare un detto del papa. Con Francesco abbiamo assistito ad un Concilio Vaticano III  “a pezzi”. Si è fatto promotore di stili e sensibilità che hanno lanciato agende ecclesiali che nei decenni precedenti vivevano per lo più in piccoli circoli. Indubbiamente Bergoglio ha parlato del Vaticano II, ma allo stesso tempo – per la sua mentalità – ha preferito guardare in altre direzioni».

su Famiglia Cristiana: Terra Santa, a Gerusalemme un museo che “racconta” la convivenza delle fedi

Terra Santa, a Gerusalemme un museo che “racconta” la convivenza delle fedi

 

 

07/02/2025  I lavori sono avviati 
e sarà ospitato nel complesso della Chiesa del Salvatore a Gerusalemme. Il superiore della Basilica del Santo Sepolcro, fratel Stefan Milosevich: «L’obiettivo è di raccontare attraverso documenti storici e opere d’arte della Custodia lo spessore storico della convivenza possibile di questa terra dove, nonostante tutto, da otto secoli i cristiani convivono con ebrei e musulmani. Questa non è la città che divide ma dove si vive insieme»

di Fausta Speranza

“Nessuna ricerca identitaria, piuttosto una ricca rappresentazione della condivisione che vive da secoli Gerusalemme, anche quando si racconta solo altro”: nelle parole del Superiore della Basilica del Santo Sepolcro, fratel Stefan Milosevich, è questo l’obiettivo del secondo grande polo espositivo che sta nascendo grazie ai frati della Custodia di Terra Santa nel cuore più antico della città.

Arte e Storia in un Museo

Si tratta del Museo dedicato ad Arte e Storia ospitato nel complesso della Chiesa del Salvatore, mentre quello archeologico, fondato nel 1902 e modernizzato di recente, si trova attiguo alla Chiesa della Flagellazione. “E’ un’operazione culturale nel senso più autentico perché racconta l’incrocio delle culture”, ci dice fratel Stefan, mentre ci apre la porta su sale che avvertiamo piene di significati anche se si presentano appena pitturate e ancora vuote. Ci preannuncia l’arrivo “a breve” del “maestoso bassorilievo di risurrezione” per l’ingresso del Museo. Per l’apertura del Museo invece non c’è certezza.

La promessa è coinvolgente:

Chi viene in Terra Santa ritrova luoghi originari della propria fede ed è la straordinaria ricchezza che ognuno si aspetta, ma c’è anche una dinamica opposta: nelle opere che conserviamo in Terra Santa si ritrovano radici occidentali”. Testimonianze uniche di vari periodi storici che altrove sono state travolte da conflitti e distruzioni mentre “qui, nella terra considerata troppo spesso solo come luogo emblematico di conflittualità, sono preservate e conservate”.

L’impressione è di trovarsi all’interno di uno scrigno dove le preziosità tradiscono lo splendore della cura nella provvisorietà di un trasloco, mentre il valore della memoria illumina tutto.

Opere ed oggetti sono stati catalogati come i quadri, o restaurati come le ceramiche.

Attese e speranze

Manca il passo decisivo dell’allestimento vero e proprio. Fratel Stefan ci confida: “Abbiamo avuto una battuta d’arresto per l’escalation delle violenze dal 7 ottobre 2023 perché “la Custodia ha deciso di devolvere le risorse per l’assistenza di civili, in particolare di donne e bambini”, vittime di conflitti che in questa regione hanno diversi fronti. La priorità sono sempre le persone ed è proprio quello che ci racconta la ricca collezione di brocche, vasi, orci da speziale, farmacopee, ricettari e registri di medicinali della Farmacia del monastero di San Salvatore.

La cura per tutti

Fratel Stefan lo sottolinea: “I francescani hanno curato a partire dal XV secolo tutti coloro che ne avevano bisogno: locali o pellegrini, ebrei e musulmani di qualunque nazionalità”. E’ accaduto anche mentre si inasprivano o scoppiavano conflitti e ha permesso di intessere “tele di rapporti”.

Con un’espressione velata da amarezza fratel Stefan sottolinea: “Quante volte si dice dei rapporti difficili con ebrei ma noi conserviamo attestati di benevolenza e di stima e lo viviamo anche oggi”. Ci fa un esempio concreto e simpatico: “Moltissimi ebrei vengono in visita nelle nostre cantine che conservano botti e strumenti di un tempo”.

Vino e culture

L’antica terra di Canaan è stata culla e luogo di diffusione della coltivazione della vite ben due millenni prima che la cultura del vino arrivasse in Europa e durante il periodo romano e bizantino, la Giudea e le città portuali di Ashkelon e Gaza erano considerati centri vitali per la produzione, ma durante il dominio musulmano, poiché la legge proibisce ai credenti musulmani di bere, era possibile coltivare solo uva da cibo. Tra il XII e il XIII secolo, i crociati provarono a reimpiantare le viti ma era più semplice importare il prodotto finito dall’Europa. Il rinnovamento della vinificazione in Israele è del XIX secolo: da qui tanta curiosità per pezzi di storia mancanti.

In tema di radici

In realtà, fratel Stefan ci chiarisce di cosa stiamo effettivamente parlando discettando di vino: “Noi abbiamo le nostre radici nel giudaismo, ma loro in queste opere trovano le loro radici umane occidentali e le trovano paradossalmente nelle chiese”. Comprendiamo che la cultura occidentale che in questa terra non si avverte è viva nel patrimonio di questo museo in fieri. Peraltro, il vino racconta frammenti di dialogo anche con i musulmani: durante il dominio dei mamelucchi e poi in particolare sotto quello ottomano, i frati hanno dovuto acquistare permessi per produrre il vino necessario alla Messa. C’erano poi i lasciapassare o le autorizzazioni ad aprire e gestire scuole e tanti altri atti amministrativi.

Oltre le aspettative

Fratel Stefan accenna a “centinaia e centinaia di documenti di vari periodi”. Ad imporsi alla vista con tutta l’eleganza e la minuziosità che li contraddistingue ci sono i lavori in madreperla e argento. E anche in questo caso regalano pezzi di passato e di verità. Si tratta di manufatti in gran parte regalati da arabi musulmani che avevano imparato l’arte di questa lavorazione dai francescani stessi. L’obiettivo era insegnare un mestiere che permettesse di vivere e mantenere una famiglia e alcuni di loro, divenuti artisti affermati all’estero, non hanno mai dimenticato gli insegnanti. Un’opera parla per tutte: la riproduzione in miniatura del

Santo Sepolcro.

Il Superiore della Basilica ci mostra come si possa aprire e scoperchiare per mettere bene in luce le parti più significative. Condivide uno sguardo di ammirazione per tanta raffinatezza artistica e di felice stupore per “il rapporto di rispetto, cordialità e perfino di affetto che nasconde”.

Fili di unicità

La sensazione di scoprire tracce uniche di storia la proviamo ancora più decisamente di fronte ai paramenti sacri che fratel Stefan ci mostra estraendoli da un armadio che riesce a contenerne decine e decine. In particolare, colpisce la casula solenne ricamata a mano a Versailles a metà del XVIII secolo e inviata dal re ai frati a Gerusalemme, prima dei saccheggi sull’onda della rivoluzione. E’ intessuta di fili di seta e di oro della migliore qualità, come si addiceva al dono del sovrano di Francia. Con la finezza del disegno e la forza dei colori, che conserva vivissimi, è l’esempio più sorprendente di espressioni artistiche perdute in Occidente che si possono ritrovare nel cuore di Gerusalemme. Sono tutti doni che ricchi pellegrini portavano o che eminenti sovrani inviavano nell’impossibilità di venire in pellegrinaggio: “Era il massimo offrire quello che avevano di più bello”, sottolinea il Superiore con il sorriso del francescano e l’entusiasmo dello studioso.

Scrigni di speranza

“Anche in tutto questo si ritrovano semi della speranza alla quale siamo tutti sempre chiamati come cristiani ma che l’Anno Santo 2025 ci invita a rinnovare e a vivere in profondità di fede”. Così fratel Stefan ci incoraggia a parlare di questi tesori testimoniando che “la speranza è difficile ma non muore mai e tantomeno a Gerusalemme”.

I motivi di preoccupazione per la situazione nel Vicino e Medio Oriente non mancano e fratel Stefan prega perché “presto si possa trovare la via della pace, riaccogliere pellegrini e condividere con un pubblico da tutte le parti del mondo il patrimonio del Terra Sancta Museum.

Lo spessore ella convivenza possibile

Appare chiaro che il Museo non è solo una curiosità intellettuale ma è un messaggio: “Deve essere aperto come aperta è la Chiesa e deve raccontare tutto lo spessore storico della convivenza possibile”. In questa terra – ribadisce – “da otto secoli la Chiesa ha rapporti con comunità ebraiche e musulmane, con pellegrini cristiani e musulmani. Ed è quello che anche oggi noi viviamo nonostante tutto, anche se non viene adeguatamente raccontato”. Un’altra prospettiva ci appare rovesciata. Fratel Stefan riconosce che “la Terra Santa è motivo di preoccupazione perché non sono mancati e non mancano i momenti difficilissimi” ma poi ci regala una verità: “Nel quotidiano dei secoli si ritrovano rapporti piuttosto buoni”.

Nel Santo Sepolcro insieme

Ci parla del suo vivere giornaliero: “Da Superiore della Basilica del Santo Sepolcro io ho rapporti con tutti e quest’anno ad esempio sono docente al Seminario dei greci ortodossi, mentre secondo i mass media sembrerebbe che cattolici, ortodossi, greci, copti, siriaci, siano sempre in accesa lite tra loro”.

Fratel Stefan ci ricorda che “i cristiani non si sono divisi al Santo Sepolcro ma si sono divisi a Efeso, a Calcedonia, in Europa” e sottolinea che “il Santo Sepolcro è un luogo dove la gente lontana altrove si ritrova insieme”. Anche Gerusalemme – ci assicura salutandoci – “non è il luogo che divide, ma il luogo in cui si vive insieme”. Fausta Speranza

Famiglia Cristiana

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Una mappatura mondiale dei santuari

Famiglia Cristiana

10 Novembre 2023

Una mappatura mondiale dei Santuari mariani

10/11/2023  È affidata alla mariologa Giustina Aceto, che l’ha presentata al II Incontro internazionale per rettori e operatori di luoghi mariani. Sarà pronta entro l’inizio del giubileo

Una tappa importante in vista di un vero e proprio censimento dei Santuari in Italia e nel mondo. Rappresenta anche questo il II Incontro internazionale per rettori e operatori di luoghi mariani in corso da ieri nell’Aula Paolo VI, che si chiude con l’intervento del Papa domani, sabato 11 novembre. Manca una mappatura completa dei Santuari e a compilarla è stata chiamata una donna.

Si chiama Giustina Aceto, insegna presso la Pontificia Facoltà Teologica Marianum, ed è membro della Pontificia Accademia Mariana Internazionale (Pami). Un Santuario è tale – ci spiega Aceto – se racchiude tre fattori determinanti: l’aspetto della pietà popolare; l’elemento del pellegrinaggio; il pronunciamento dell’autorità competente. A questo proposito, è chiamato a firmare il relativo decreto a livello diocesano il vescovo, mentre a livello internazionale dal 2017, dalla pubblicazione della Lettera apostolica in forma di Motu Proprio Sanctuarium in Ecclesia, è investito il Dicastero per l’evangelizzazione.

La professoressa Aceto ci spiega che il dicastero stesso è chiamato a decidere l’eventuale erezione di Santuari internazionali e l’approvazione dei rispettivi statuti; lo studio e l’attuazione di provvedimenti che favoriscano il ruolo evangelizzatore dei santuari; la promozione di “una pastorale organica dei santuari”. Si comprende che serve una mappatura completa. Aceto ci sta lavorando e al congresso di questi giorni illustra passi e sfide del suo impegno.

Si tratta di un lavoro iniziato prima del Giubileo del 2000: ha già portato ad una prima pubblicazione per quanto riguarda il territorio italiano che però è in corso di aggiornamento, mentre si prepara il censimento a livello mondiale.

Il punto è che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il censimento non è cosa facile. Basti pensare che in alcuni casi si è trattato di recuperare la documentazione dispersa in vari archivi, in altri casi si è dovuto richiedere dal nuovo un decreto di riconoscimento, con il lavoro di rigoroso discernimento che comporta. Inoltre, anche per la storia dei Santuari serve precisione, per mettere insieme, confrontare, emendare, completare dati storici e storiografici, racconti orali, documenti di archivio.

Non manca ormai tanto: la professoressa Aceto ci assicura che tutto il censimento sarà presentato entro l’inizio del nuovo giubileo del 2025. Sarà un’occasione preziosa anche per aiutare le Conferenze episcopali nel mondo a trovare forme similari per cercare di comprendere la presenza dei santuari nel proprio territorio.

Intanto, è molto importante un Incontro che, dopo la celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, riunisce per riflessioni e confronti rettori provenienti dai più importanti luoghi mariani d’Europa con rettori e operatori provenienti dalla Colombia, dal Burundi, dalla Costa d’Avorio, dal Brasile. Tra le riflessioni e le domande emerge l’esigenza di chiarire ai fedeli come approcciare alla devozione popolare centrata su reliquie e icone. Nel tempo cambia la sensibilita’, si oscilla tra un forte entusiasmo e una certa diffidenza – si dice – ed e’ sempre impegnativo il discernimento utile per guidare i fedeli. Il coordinamento dovrebbe aiutare anche al confronto in questo senso, risponde monsignor Rino Fisichella, pro-rettore al Dicastero per l’Evangelizzazione che guida i tre giorni di Incontro. Sottolinea che “il popolo di Dio va rispettato nelle modalita’ della sua fede, fatte salve palesi esagerazioni”. In generale Fisichella raccomanda di “non razionalizzare troppo la fede e di evitare di dare tanta importanza al livello intellettuale, come si e’ fatto in casi in cui si e’ negato il sacramento della Cresima a ragazzi con disabilita’”.

“Ritrovarsi da diversi punti del mondo con esperienze diverse rappresenta uno scambio di beni spirituali”, commenta madre Luisa Carminati, madre generale delle Figlie della Madonna del Divino Amore, che parlando con Famiglia Cristiana rivendica con un sorriso che già nel 1958 al Santuario del Divino Amore don Umberto Terenzi aveva organizzato un ufficio di coordinamento tra i Santuari. Il sorriso si illumina mentre sottolinea l’importanza di essere arrivati oggi al “riferimento autorevolissimo e concreto del Dicastero per l’Evangelizzazione”.

Per chi bussa alle soglie della Chiesa pellegrino in un Santuario, sentirsi a casa dovrebbe significare scoprire la consapevolezza della serietà del peccato e della certezza della misericordia infinita di Dio. E’ questo il cuore della riflessione che oggi padre Paul Brendan Murray, docente alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, dedica alla “preghiera del peccatore”.

A sottolineare l’importanza di “sintonizzarsi” sulle note della bellezza, per aprire il cuore a una profonda esperienza di fede, è monsignor Marco Frisina, direttore del coro della Diocesi di Roma e rettore della Basilica di Santa Cecilia in Trastevere, chiamato a parlare di “come pregare con la musica e il canto”. E sul piano culturale c’è anche la testimonianza sulla “preghiera nell’arte” di David Lopez Ribes, artista contemporaneo che ha ricevuto il premio delle Pontificie Accademie della Scienza e delle Scienze sociali 2012. Sul concetto di “preghiera popolare” si sofferma padre Daniel Cuesta Gómez, della pastorale giovanile e universitaria di Santiago de Compostela. Sottolinea l’importanza di una specifica formazione degli operatori dei santuari e dei luoghi di pietà e promozione. E non si tratta solo del piano dell’assistenza spirituale che ovviamente è imprescindibile, perché – viene ribadito con convinzione – si deve essere in grado di valorizzare i santuari anche dal punto di vista culturale e artistico.

Sono sempre di più infatti quanti visitano i Santuari cercando arte e cultura e, sulla scia della crescente riscoperta di cammini a piedi, si moltiplicano quanti fanno tappa, in percorsi come la Via Francigena od altri, in luoghi di devozione. In molti casi, si tratta di persone lontane dalla fede o troppo distratte dal quotidiano, che possono scoprire o riscoprire tanti significati nella specificità del silenzio e dell’accoglienza nei Santuari.

https://www.famigliacristiana.it/articolo/una-mappatura-completa-dei-santuari-mariani.aspx

Santuari, “anima” del Giubileo del 2025

9/11/2023

L’incontro internazionale per rettori e operatori dei luoghi mariani in vista del grande evento ecclesiale. Diverranno centri di riferimento per le famiglie e le comunità parrocchiali, chiamate a riscoprire la “pedagogia di evangelizzazione” che caratterizza i luoghi sacri

di Fausta Speranza

 «Molti Santuari sono stati percepiti come parte della vita delle famiglie e delle comunità tanto da aver plasmato l’identità di intere generazioni, fino ad incidere sulla storia di alcune nazioni». È quanto dice monsignor Rino Fisichella, pro-prefetto della sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione, nel pomeriggio in cui, nell’Aula Paolo VI, dà il via al II Incontro internazionale per rettori e operatori di Santuari, che si chiuderà con l’intervento del Papa sabato 11 novembre. Hanno aderito circa 600 operatori da 43 Paesi del mondo. Sono cifre che «rendono l’idea del grande impegno pastorale che i Santuari svolgono nella comunità cristiana» – sottolinea Fisichella – e che suggeriscono «la grande responsabilità che hanno i Santuari di accogliere i pellegrini dando loro il grande senso della Speranza»Una responsabilità che ha un orizzonte: il Giubileo del 2025.

Dopo il primo incontro, svoltosi nel 2018 sul tema dell’accoglienza, questo secondo appuntamento è dedicato a “Il Santuario: casa di preghiera in cammino verso il Giubileo 2025”.

Monsignor Fisichella ricorda che Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione è il Papa, segno dell’importanza che Francesco riconosce a questo impegno pastorale. E a proposito dei Santuari, monsignor Fisichella annuncia che sarà creato un gruppo di coordinamento, formato da 15 rettori, che potrà incontrarsi almeno una volta l’anno.

Tra le sfide da affrontare c’è quella di capire i bisogni di chi arriva nei Santuari e tra questi c’è “la preghiera di intercessione”. Ne parla padre Ermanno Barucco, docente alla Pontificia Facoltà Teologica Teresianum. Barucco sottolinea che non significa solo il tentativo di ottenere qualcosa. «L’atto di pregare è abbandono filiale e dunque è come dire che la preghiera di per sé ci immerge nella preghiera», aggiunge. «Gesù si è fatto garante della fede dei discepoli che si mostravano increduli», dunque – raccomanda – questo pensiero deve accompagnare i pastori che si pongono in ascolto delle preghiere di pellegrini magari occasionali. Afferma che «la posta in gioco è sempre la stessa: affinché il mondo creda». Ribadendo che nella nostra fede deve rimanere chiaro che «il male è il maligno, non è Giuda, non è il peccatore».

 «La realtà ci presenta sempre più disperati del benessere, le società vivono nel disorientamento». È quanto afferma il cardinale Angelo Comastri, arciprete emerito della Basilica di San Pietro, parlando di come “accogliere e congedare” i pellegrini. I Papi recenti – ricorda – hanno raccomandato tutti l’importanza dei Santuari. Tra tante altre, ricorda le parole di Paolo Vi e il suo invito a riconoscere “l’ora di grazia scattata per i Santuari”. Il valore dell’accoglienza emerge da una considerazione: «L’esperienza comune ci dice che si arriva pellegrini a volte per caso ma anche così chi li accoglie ha l’occasione di affacciarsi in quell’esperienza intima che nel Santuario pone davanti a Dio anche il pellegrino per caso». Una considerazione da non dimenticare: «Il mondo mette in crisi tutto, ma continua a riconoscere il Santuario come luogo sacro». Dunque, una raccomandazione: «I cristiani rischiano un cristianesimo senza Cristo, non bisogna avere paura di parlare di Gesù, oggi se ne parla troppo poco».

 Emerge il rimando alle famiglie e alle comunità parrocchiali, chiamate a riscoprire la “pedagogia di evangelizzazione” che caratterizza i santuari, luoghi sacri che rinnovano il desiderio di un impegno sempre più responsabile sia nella formazione cristiana di ciascuno, sia nella necessaria testimonianza di carità che ne scaturisce. Il rettore del Santuario di Lourdes, padre Michel Daubanes ci parla di «osmosi tra il pellegrinaggio al Santuario e la vita di tutti i giorni».

 Difficile piegare le preghiere alle statistiche, ma nello scambio degli interventi si concorda che nei Santuari più grandi, più noti, annualmente si contano milioni di persone; in quelli meno conosciuti le presenze annuali si aggirano in media sul mezzo milione di visite.

 Come ricordato, Papa Francesco ha voluto i Santuari come «centri propulsori della nuova evangelizzazione», li ha pensati in prima linea per favorire un’opera comune di rinnovamento della pastorale della pietà popolare e del pellegrinaggio verso luoghi di devozione. Nel 2017, con Lettera apostolica in forma di Motu proprio, ha affidato le competenze dei santuari all’allora Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione poi confluito nel Dicastero per l’evangelizzazione. Fino a quel momento se ne occupava la Congregazione per il Clero. Si legge nel Motu proprio che «il Santuario possiede nella Chiesa una grande valenza simbolica», e che la pietà popolare «trova nel Santuario un luogo privilegiato dove poter esprimere la bella tradizione di preghiera, di devozione e di affidamento alla misericordia di Dio inculturati nella vita di ogni popolo».

San Giovanni in Laterano, una rassegna di eventi per celebrarne gli splendori

Famiglia Cristiana

8 Novembre 2023

08/11/2023  Concerti, mostre, celebrazioni e convegni e altre iniziative per i 1700 anni dalla nascita. «Il luogo dove la prima famiglia cristiana si è costituita intorno al vescovo di Roma», lo ha definito il cardinale vicario Angelo De Donatis

La presentazione delle iniziative.

 «Il luogo dove la prima famiglia cristiana si è costituita intorno al vescovo di Roma». Così il cardinale Angelo De Donatis, vicario generale del Papa per la Diocesi di Roma e arciprete della Basilica Papale di San Giovanni in Laterano, ci parla proprio della “cattedrale di Roma” e dell’annesso Palazzo del Laterano. L’occasione è la presentazione delle molteplici iniziative per celebrare i 1700 anni della chiesa comunemente nota come basilica di San Giovanni, questa mattina in Vicariato. Primo appuntamento è la celebrazione solenne di domani pomeriggio, 9 novembre, Festa della Dedicazione. Poi, a conclusione di un anno che prevede anche dibattiti, visite culturali, concerti, il 9 novembre 2024 il cardinale De Donatis annuncia che ci sarà il Papa. Prima ancora, il 24 gennaio prossimo, il vescovo di Roma sarà in Vicariato per incontrare il clero.
«Il primo Battistero ufficiale, che ha annunciato al mondo la maternità della Chiesa in un contesto di bellezza». Con queste parole, monsignor Marco Frisina, direttore del coro della Diocesi di Roma, confida la gioia con cui ha preparato nuove composizioni per le celebrazioni solenni, annunciando che guiderà nella Arcibasilica Lateranense un concerto natalizio il 17 dicembre e poi un altro il primo novembre 2024. «L’arte ha dato espressione a quello che la fede ha ispirato, ci dice monsignor Frisina, sottolineando l’urgenza di riscoprire valori storici e spirituali».

Parlando con monsignor Guerino Di Tora, vicario del Capitolo Lateranense, scopriamo che c’è un altro tipo di bellezza da recuperare: l’immagine di famiglie intere, con donne che allattano e bambini che giocano. È quanto accadeva al suo interno – ci assicura – quando è stata costruita la Basilica, che ha rappresentato all’epoca il primo edificio di culto ufficiale. Rappresentava «il primo grande luogo di riunione e di comunione, di incontro, e si arrivava da tutte le parti della città e anche dai suburbi, in abiti eleganti o in vesti  popolane».
La bellezza non può essere fine a se stessa, raccomanda padre Giulio Albanese, direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali del Vicariato, ricordando le urgenze tra guerre e crisi di cui la cronaca è piena. «Nella maestosa magnificenza della madre di tutte le chiese dobbiamo riuscire a vivere questo anniversario con la speranza della pace nel cuore; la bellezza deve aiutarci ad essere davvero pietre belle perché vive di una Chiesa vicina a chi soffre», ribadisce.

Vicende secolari e preziosità artistiche emergono nelle parole di monsignor Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio per la pastorale universitaria della Diocesi di Roma, che cura il ciclo di incontri di carattere religioso-culturale in Vicariato, nelle seguenti date: 14, 21-28 novembre prossimo; 5 dicembre prossimo.
A proposito di “pietre vive”, monsignor Lonardi ci ricorda che sono tante le opere d’arte di rilievo all’interno di quella che definisce “la chiesa modello di tutte le altre” ma suggerisce anche di approfondire aspetti noti, come concili ecclesiali e incoronazioni, ma anche fatti di storia vissuta come quanto accaduto durante la seconda guerra mondiale, quando circa mille persone dell’intellighenzia d’opposizione al regime nazi-fascista hanno trovato rifugio in Vicariato, «personaggi di diversa estrazione accomunati dal bisogno di opporsi alla violenza e all’oppressione, da Alcide De Gasperi a Pietro Nenni».

Si capisce la ricchezza di una storia che riconosciamo sia iniziata nel 324, anche se alcuni suggerirebbero di anticipare al 318. La Basilica del Laterano viene consacrata il 9 novembre di 1700 anni fa dall’allora Papa Silvestro I, poi divenuto santo, il cui pontificato coincise con il lungo impero di Costantino, il primo imperatore romano ad accettare il cristianesimo segnando il passaggio dalla Roma pagana alla Roma cristiana. I terreni donati alla Chiesa per costruirvi una domus ecclesia, secondo gli Annali di Tacito, erano appartenute alla potente famiglia dei Laterani. Papa Silvestro intitolerà la patriarcale arcibasilica lateranense a Cristo Salvatore. Solo durante il XII secolo fu dedicata anche a San Giovanni Battista.     Il palazzo Lateranense per oltre dieci secoli è stata la residenza papale prima che i Papi si trasferissero ad Avignone, durante il periodo della cattività avignonese, e successivamente decidessero di spostare la residenza in Vaticano. Tra le sue mura si sono svolti duecentocinquanta Concili, cinque dei quali ecumenici, tra cui il Lateranense IV, nel 1215, considerato dagli storici uno spartiacque fondamentale nel Medio Evo per l’idea di una società cristiana universale.

https://www.famigliacristiana.it/articolo/san-giovanni-in-laterano-una-serie-di-eventi-per-celebrarne-lo-splendore.aspx

Un nuovo modo di abitare il mondo

Famiglia Cristiana 07/11/2023

UN NUOVO MODO DI ABITARE IL MONDO

di Fausta Speranza

Una tavola rotonda alla Casina Pio IV sui mutamenti necessari al Pianeta per sopravvivere: «Costruire e comunicare un’economia che promuove sostenibilità e pace, che riconosce la dignità degli esseri umani, che attualmente non sembra rappresentare una priorità per politiche, infrastrutture e investimenti»

La locandina del simposio.

«Costruire e comunicare un’economia che promuove sostenibilità e pace, che riconosce la dignità degli esseri umani, che attualmente non sembra rappresentare una priorità per politiche, infrastrutture e investimenti». Nelle parole del cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, è concreto l’obiettivo dell’iniziativa che si è svolta alla Casina Pio IV, nei giardini vaticani. E libera è stata la modalità del confronto: non si è trattato propriamente di un convegno tradizionale, ma di una vera e propria tavola rotonda. Tra i vari interventi, Jim O’Neil, capo dei progetti di Corporate and Investment Banking per Europa, Medio Oriente e Africa della Bank of America, ha parlato delle crescenti aspettative nei confronti del settore privato: affinché affronti le questioni globali e affinchè innanzitutto assicuri trasparenza su scelte e comportamenti che hanno a che fare con queste sfide. Da parte sua, Jennifer Jordan- Saifi, amministratore delegato della piattaforma  Sustainable Markets Initiative, ha parlato di progetti di bene comune possibili in ambito locale da replicare su scala più ampia. JR Kerr, Amministratore delegato della società di Informatica Handshake, ha messo in luce l’importanza di fare i conti con i nuovi orizzonti della tecnologia, che possono aprire nuove possibilità se gestiti per il bene comune.

La regista Lia Beltrami.La regista Lia Beltrami

È imprescindibile abbandonare uno stile di vita predatorio, ha affermato il cardinale Turkson, ribadendo l’urgenza di “un nuovo approccio ecologico”. Ha sottolineato gli elementi che possono fare la differenza in tema di “cura della casa comune” chiarendo che la sfida si articola su due binari. Il primo è quello di trasformare il nostro modo di abitare il mondo, le nostre scelte, la nostra relazione con le risorse della Terra, consapevoli della necessità di preservare i doni che Dio ci ha dato per il bene comune. Il secondo presuppone di cambiare il modo di guardare all’uomo, «affinché nessun essere umano rimanga indietro».  La varietà delle esperienze confrontate e la complessità delle finalità individuate richiedono nutrimento. Sembra questo il senso del titolo della giornata “Emozioni per generare cambiamenti”. Lo scambio di idee ha confermato l’esplicita dichiarazione d’intenti: dalle emozioni che il creato ci regala dobbiamo partire e alle corde emotive delle persone bisogna arrivare, se si vuole un cambio di passo reale. Di responsabilità dei mezzi di comunicazione, ha parlato, in collegamento video, il prefetto del Dicastero per la comunicazione Paolo Ruffini, sottolineando l’importanza di impegnarsi a veicolare messaggi costruttivi, a dare voce alla volontà dei giovani di cambiare il corso degli eventi: fermare la forza distruttiva delle guerre e liberare l’energia della creatività.

 

Il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson.Il cardinale Peter  Turkson

Un esempio viene dal video CHANGE di Lia e Marianna Beltrami in collaborazione con il Dicastero per la Comunicazione e con il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che è stato proiettato a conclusione della tavola rotonda. Si tratta di una carrellata di 24 foto scandite dalla sonorità della musica e accompagnate dai versi scritti del Cantico delle creature di San Francesco. La complessità dell’universo delle api, i colori accesi di una discesa rocciosa, i giochi di luci tra i ghiacci, la semplicità di una donna che fila la lana, la distruzione di alberi incendiati, la maestosità di grattacieli, l’inquietudine di una terra arida, l’armonia di un’imbarcazione di bambù, la malinconia di una periferia, la bellezza di un tramonto. Alcune di queste foto sono state esposte nella Sala stampa vaticana per tutta la durata del Sinodo ad ottobre. A testimonianza di un impegno che cerca di varcare i confini e ambiti per creare sinergie.
Certamente questa mattina la sinergia si è creata su un punto: oggi più che mai è indispensabile una visione che vada oltre l’immediato, al di là di prospettive prettamente opportunistiche della realtà dove efficienza e produttività sono volte al vantaggio egoistico di ristretti gruppi d’interesse.

Nutrire di pensiero la fede

«IL PAPA VUOLE UNA TEOLOGIA CHE SAPPIA

NUTRIRE DI PENSIERO LA FEDE»

03/11/2023

di Fausta Speranza

Il teologo Bruno Forte e monsignor Antonio Staglianò commentano la Lettera apostolica “Ad theologiam promovendam” con la quale papa Francesco ha rinnovato gli statuti della Pontificia Accademia di Teologia: «Una “riforma” in linea con il magistero di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II che sollecitava tutti i cattolici a pensare la fede altrimenti si rischia una concezione magica della religiosità» 

“Un grande atto di fiducia e di incoraggiamento”: così il teologo e arcivescovo di Chieti – Vasto Bruno Forte commenta la Lettera apostolica in forma di Motu Proprio di papa Francesco Ad theologiam promovendam, firmata il 1° novembre e con la quale vengono approvati i nuovi statuti della Pontificia Accademia Teologica. Si concepisce – dice con soddisfazione Forte – “la teologia come coscienza critica del vissuto ecclesiale, ma anche come fermento e luce provocante, sfidante, illuminante della Parola di Dio”. Si chiede “ascolto e interlocuzione davvero con tutti, perché la teologia non sia astratta ma vitalmente inserita nella comunità ecclesiale e nelle vicende del mondo”.

Non sono solo raccomandazioni a parole, sottolinea monsignor Antonio Staglianò (nella foto in alto con papa Francesco, ndr), presidente della Pontificia Accademia di Teologia, spiegando che i rinnovati Statuti prevedono strutturalmente delle novità. Innanzitutto, si amplia il ventaglio degli accademici: verranno accolti professori di altre confessioni religiose per un dialogo ecumenico e interreligioso. Inoltre, Staglianò precisa che si prevedono una “segreteria operativa” e “interlocutori referenti”, sottolineando che saranno non solo fedeli di parrocchie o diocesi, ma “persone scelte in tanti ambiti della realtà: nel campo della medicina, del diritto, della finanza…”.

L’obiettivo è “avere spazi di riflessione che attraversano sapere e praxis umana”. Nelle parole del vescovo teologo Staglianò i livelli di riflessione sono molteplici. In generale, si sollecita la teologia a un ripensamento epistemologico e metodologico che – assicura il presidente dell’Accademia – è “in profonda continuità con gli insegnamenti di Benedetto XVI che chiedeva di “allargare i confini della ragione in maniera sapienziale”; con Giovanni Paolo II, che sollecitava tutti i cattolici a “pensare la fede altrimenti si rischia una concezione magica della religiosità”. Ma i richiami – spiega Staglianò – sono ben più antichi, come l’avvertimento di Sant’Agostino: “La fede che non si pensa è nulla”. Inoltre, Staglianò aggiunge che nella Lettera apostolica del Papa c’è anche un richiamo a Antonio Rosmini, alla sua idea di “sapienza come verità e carità”, perché l’una contiene l’altra: “Non si può pensare la verità del Vangelo senza il pensiero ai poveri e alla carità e pensare la carità è verità”.

Tutto questo sollecita il credente a maturare una fede adulta, ma – spiega il presidente dell’Accademia di Teologia – chiede anche ai teologi “un linguaggio che non sia solo concettuale ma che sappia intercettare registri importanti, come quello del sentimento, dell’intelligenza emotiva, perfino dell’immaginazione, con i quali si vive nella propria umanità la fede”.

Si tratta – suggerisce – di recuperare il valore etimologico della parola ‘sapere’ che lo lega al concetto di ‘sapore’ per riscoprire una conoscenza esperienziale che contiene il gusto della vita”. E si tratta anche di scoprire una teologia “in uscita e in ginocchio: che riscopre una ragione critica ma che non parte dall’orgoglio della ragione ma dall’umiltà della ragione”.

In questo impegno rinnovato ad una “educazione sapienziale della Parola di Dio”, la teologia acquista un volto nuovo che – ribadisce Staglianò – risponde alla sfida di sempre della Chiesa: far arrivare a tutti il Vangelo, credenti e non credenti, “anche a persone che sentono di essere lontane o arrabbiate con la Chiesa”. Nel percorso rinnovato per “teologare”, il dialogo e il giudizio critico hanno un posto di rilievo, aggiunge, anche perché tutti comprendano davvero e ribadiscano a gran voce che non può esserci un Dio che concepisca violenza e guerra.

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