BILIN

Famiglia cristiana N. 33  17 agosto 2008

BILIN: MURO NO MA PIC NIC SI’

di Fausta Speranza dalla Cisgiordania

Ogni venerdì, dopo la preghiera in moschea, sfilano presso il tratto di Muro da costruire. Chiedono che sia rispettata la sentenza della Corte di giustizia israeliana del 4 settembre 2007, che ha decretato che Il percorso del muro che investe Bilin e altri cinque villaggi doveva essere modificato per non privare gli abitanti delle loro terre.
Forse anche per rendere omaggio alla lotta pacifica di queste 1.700 persone, per tre giorni Bilin è stata sede di una conferenza internazionale cui hanno partecipato il primo ministro palestlnese Salam Fayyad (che si è Impegnato ad appoggiare la scelta non violenta) e Mustafa Barghouti, segretario del partito AI Mudabara, che si pone come terzo polo tra AI Fatah e Hamas. Barghoutl ha invitato I palestinesi a contrastare la spinta alla disgregazione innescata dalla vittoria elettorale di Hamas nel 2006 e dai successivi scontri. Con loro anche delegati da Israele, Francia, BelgJo, Germania, Italia e altri Paesi europei.
Nonostante i poverissimi mezzi, la gente di Bilin veste di colori e fantasia la sua protesta. Per ostacolare i lavori, vengono organizzati pie nle, piantati ulivi, giocate partite di calcio proprio sul tracciato del Muro. I soldati israeliani non vogliono che si facdano foto, ancne perché quasi ogni venerdi qualcuno resta ferito dai loro proiettili di gomma.
La scelta della non violenza, però, è per la gente di Bilin irreversibile. Fu presa di fronte ai primi mattoni del Muro. È stata difesa nonostante la disperazione di vedere disattesa la sentenza a loro favore.

Dal presidente Napolitano onorificenza al presidente del Parlamento europeo Poettering

Ieri pomeriggio, al Quirinale, il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, ha conferito un’alta onorificenza al presidente del Parlamento europeo, Hans Gert Poettering. Si tratta del titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana. Il servizio di Fausta Speranza:

25/06/2008

Incertezza nell’UE dopo il “no” dell’Irlanda al Trattato di Lisbona

Gli Irlandesi, poco meno dell’1% della popolazione europea, hanno bocciato con il referendum di ieri il Trattato di Lisbona, pensato per far funzionare meglio l’Unione Europea, gettando l’intera comunità in una fase di profonda incertezza. Da parte sua il premier sloveno Janez Janza, ricorda oggi che il Trattato è già stato ratificato da 18 Paesi e che tutti i leader dei Paesi che rimangono sono determinati nel continuare il processo di ratifica. Il servizio di Fausta Speranza:

14/06/2008

Il Papa e La Santa Sede

L’Europa può rinascere dalle radici cristiane: così il Papa all’udienza generale dedicata a San Colombano, l’abate irlandese che lottò contro la corruzione dei potenti.

Un Santo europeo: così Benedetto XVI definisce la figura di Colombano, l’abate irlandese cui ha dedicato la catechesi dell’udienza generale di oggi. Ricorda il suo rigore morale di fronte alla corruzione dei potenti e il contributo alle radici cristiane dell’Europa che nasceva. Il servizio di Fausta Speranza:

11/06/2008

Promuovere la verità nell’informazione rispettando la dignità della persona

E’ necessario “promuovere la verità nell’informazione” rispettando sempre “la dignità della persona”: è quanto ha detto stamani il Papa ai partecipanti al Congresso Internazionale delle Facoltà di Comunicazione nelle Università cattoliche, promosso dal Ponteficio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, e iniziato ieri a Roma presso la Pontificia Università Urbaniana. Il servizio di Fausta Speranza:

23/05/2008

A Napoli il primo Consiglio dei ministri del nuovo governo Berlusconi

Sicurezza e rifiuti sono solo due dei temi del primo Consiglio dei ministri che il premier Berlusconi ha voluto tenere a Napoli. In città per6 l’inizio del Consiglio dei ministri è stato accompagnato dall’avvio di alcune delle manifestazioni previste nell’arco della giornata: al passaggio di cortei di disoccupati sono stati rovesciati cassonetti della spazzatura. Delegazioni dei senza lavoro che con diversi cortei stanno manifestando a Napoli affermano che verranno ricevuti da un funzionario della presidenza del Consiglio. Dei primi prowedimenti nell’agenda del governo, ci parla nel servizio Fausta Speranza:

21/05/2008

Raid israeliano a nord di Gaza e disordini in Cisgiordania

Un miliziano di Hamas è rimasto ucciso e tre suoi compagni sono stati feriti la scorsa notte in un raid aereo israeliano condotto nella zona di Beit Lahya, a nord di Gaza. Nel villaggio cisgiordano di Qabatya, presso Jenin, invece, un palestinese di 21 anni è rimasto ferito in modo grave da un proiettile alla testa, durante disordini divampati mentre agenti dell’ANP cercavano di imporre l’ordine mediante l’istituzione di posti di blocco. Il servizio di Fausta Speranza:

6 maggio 2008

L’avvocato libera i bambini

Pubblicato da Famiglia cristiana n.° 16 – 20 aprile 2008

di Fausta Speranza da Israele

Tra i palestinesi cresce la violenza tra clan rivali e in ambito familiare. Lo denuncia Ray Dolphin, responsabile dell’OCHA, l’Ufficio dell’ONU per le questioni umanitarie nei Territori Occupati. Lo abbiamo incontrato nel suo ufficio di Gerusalemme. Tensione, disorientamento e anarchia non sono solo il frutto del sostanziale stallo nel processo di pace con gli israeliani ma anche del conflitto tra Fatah e Hamas. Dalla vittoria alle elezioni di Hamas a gennaio 2006 e lo scontro a giugno 2007 con gli esponenti del partito del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, la frattura non è ricomposta e si riflette sulla popolazione. Nell’ultimo incontro che hanno avuto nei giorni scorsi a Gerusalemme, il premier israeliano Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen hanno ribadito di voler arrivare a un accordo di pace entro la fine del 2008, in coincidenza con la fine della presidenza di George W. Bush. Ma restano aperte tutte le questioni e cresce la sfiducia nella popolazione. La situazione a Gaza è quella di una terra sotto assedio ma anche in Cisgiordania il peggioramento delle condizioni di vita è evidente, a causa della frammentazione del territorio provocata dalla costruzione del famoso muro, che Tel Aviv porta avanti senza che la comunità internazionale se ne accorga.
Tutto ciò ovviamente si va a sommare alla situazione già tragica di decenni di conflitto. Si tratta di un terreno arido e difficile dove qualcuno continua a coltivare semi di non violenza, di dignità, di positività. E’ quello che accade al centro di accoglienza per bambini orfani o sbandati vicino Tel Aviv. Si trova nel villaggio di Lidda-Lod, che pur distando solo mezz’ora da Tel Aviv è molto povero, con una caratteristica: ad essere in difficoltà economiche in quella zona sono palestinesi con passaporto israeliano ma anche ebrei. Il fondatore si chiama Zidan Mtanes, è un avvocato palestinese cattolico, battezzato Antonio. Cristiani sono la maggior parte delle 7 persone che lavorano come volontari nel centro che si chiama Arfad Association, ma il 98% dei bambini che sono stati accolti finora e di quelli
che attualmente lo frequentano sono palestinesi musulmani. Al momento sono 140 minori, ospitati a dormire e seguiti per un recupero del percorso scolastico perso nella maggior parte dei casi. Antonio spiega che nella stessa zona o nelle vicinanze ci sono strutture con lo stesso obiettivo di recupero sovvenzionate dal governo israeliano ma sono solo per bambini ebrei.  Da qui la spinta a crearne uno per tutti gli esclusi, di qualunque religione siano o qualunque passaporto abbiano.
In realtà il villaggio di cui parliamo, che nei secoli ha preso la denominazione di Lidda o quella di Lod, non è un villaggio qualunque: ospita il sepolcro di san Giorgio, il martire cristiano la cui memoria è celebrata anche nei riti siro e bizantino, dal IV secolo. La tradizione popolare lo raffigura come il cavaliere che affronta il drago, simbolo della fede intrepida che trionfa sulla forza del maligno. Il centro Arfad Association sorge all’ombra della chiesa dedicata a San Giorgio, chiesa affiancata, come spesso succede in Palestina, da una moschea. Abbiamo incontrato Antonio Zidan Mtanes nel cortile del suo centro, sorto tre anni fa.

Antonio, fino a che età i bambini posso stare?

Fino a 16 anni. Per il momento non ci è proprio possibile ospitarli o assicurare loro scolarità oltre. Certo viviamo il dramma di vederli andare via in un’età ancora molto difficile. E tanti di loro vengono da un’infanzia segnata da morte, carcere dei genitori o abbandono. E c’è poi il dramma del lavoro che non si trova. Cerchiamo di mantenere un filo forte con loro per tentare di non restituirli alla strada.

Ricevete aiuti?

Il governo israeliano non ci dà nessun sostegno di nessun tipo e neanche il Comune di appartenenza. Abbiamo avuto donazioni internazionali. Ringraziamo Dio per quello che riusciamo a fare: siamo tutti volontari.  Il
punto è che ogni giorno si sente maggiore tensione. Sempre di più. Non soltanto aumenta il livello di violenza a livello familiare e a livello di clan tra i palestinesi, ma tutto ciò è motivo di inasprimento da parte israeliana. Parlo da arabo con passaporto israeliano: con la lotta tra palestinesi si esaspera l’atteggiamento nei nostri confronti degli israeliani. Vengono ancora meno i nostri diritti. Stiamo perdendo quel 30% di diritti che avevamo in rapporto agli israeliani ebrei. Siamo persi in Israele.

Nel tuo caso sei arabo con passaporto israeliano e cattolico…

Per noi cristiani è peggio. Siamo tra l’incudine e il martello. Noi cristiani palestinesi paghiamo tutto il prezzo dalla parte israeliana e dalla parte palestinese. Se gli arabi sono il 20%, i cristiani sono l’1,5%. Devo dire che si dice spesso che aumentano i musulmani ma bisogna anche dire che anche gli ebrei aumentano. In questa zona ne sono arrivati tanti dall’Etiopia ma anche dalla Russia, richiamati dal governo israeliano. E io parlando con alcuni giunti dalla Russia ho scoperto che erano cristiani ortodossi ma molto poveri e si sono convertiti all’ebraismo per essere accolti e iutati dal governo israeliano.  Quindi, non è solo il numero di musulmani che aumenta. Aumenta, e anche in questo modo, il numero degli ebrei. La decisione del governo è giustificata da tanti discorsi di Olmert che  ha parlato più volte di problema demografico. Hanno fatto venire milioni di persone.

In quanti anni?

In dieci anni.

Dunque già prima di Olmert con il governo Sharon. E continua questo processo?

Sì, continua. Continuano a far venire gente. C’è anche un altro motivo ora. Il governo ha bisogno anche di persone per il servizio militare. Ci sono
insediamenti di 400 coloni che hanno 4000 soldati che li proteggono.

Dalla vittoria a gennaio 2006 di Hamas, e in particolare negli ultimi 9 mesi, dopo lo scontro sul campo tra esponenti di Hamas e sostenitori di Fatah, c’è una drammatica situazione di divisione e di tensione tra palestinesi.  Si sente nel quotidiano?

E’ un dolore per noi. Mi dispiace tantissimo, per il fatto che la Palestina è un luogo santo dove è nato e ha vissuto Gesù cristo. E ogni lotta e divisione che si gioca su questa terra aumenta la sofferenza.

Ha una speranza di negoziati?

Tutto sono talmente finti. Israele alla fin fine vuole occupare tutto il territorio arabo. I palestinesi voglio anche Gerusalemme capitale. Secondo me Gerusalemme è una questione cruciale.  Se la questione di Gerusalemme si risolve tutto si risolve. Però  a mio parere è talmente così difficile. Io una soluzione non ce l’ho.

Come avete vissuto l’incontro di Annapolis a novembre scorso?

Un incontro fatto in fabbrica, soltanto per far vedere al mondo che Bush faceva qualcosa. Un incontro finto. Ogni due anni fanno un incontro simile per calmare l’opinione pubblica internazionale e la gente qui. Io penso che la nostra speranza è solo un miracolo di Dio.

Che ne pensa di Hamas? Dello statuto fondativo del movimento?

Hamas è un’organizzazione violenta. Non mi piace la violenza e non mi piacciono i loro toni fanatici. Sono proprio fanatici. E già per questo non mi piace. Il loro obiettivo è di cancellare Israele e questo non è condivisibile. E poi c’è da dire che se potessero non sarebbero certo teneri con i cristiani.  E’ un’organizzazione fanatica e violenta e io sono contro. Certo quando parlo di violenza devo anche dirti che io condanno anche tante cose che il
governo israeliano fa. Ognuno che decide di ammazzare senza motivo lascia senza fiato.

Si parla sempre della corruzione di Fatah. E’ stato uno dei motivi principali per cui si è spostato il voto?

La corruzione dispiaceva ma non è stato questo il motivo principale. La gente disperata appoggia il forte. Io non lo farei e non sono d’accordo ma quando tanti hanno visto che Fatah è debole, hanno appoggiato Hamas che sembra più forte. Il motivo è uno solo: non vogliono essere ammazzati e pensano di essere più protetti da uno forte. Non hanno visto altra scelta per vivere, anzi per sopravvivere perché qui non si vive, al massimo si sopravvive.  Per esempio, la gente che vive a Gerusalemme e che non avendo passaporto israeliano vota nelle elezioni palestinesi, ha votato al 98% e rivolterebbe ora Hamas. Sanno che è un’organizzazione violenta ma dicono di essere esasperati e per questo di voler votare chi sembra forte. E’ un momento bruttissimo per i palestinesi:

L’isolamento di Gaza e la frantumazione del territorio in Cisgiordania con sempre nuovi insediamenti di coloni ebrei e conseguente blocco delle comunicazioni: è un momento particolarmente negativo e drammatico per i palestinesi. Ma se ne parla abbastanza secondo lei anche in Europa?

Da quello che so io no. Si fa solo il conto dei morti se sono tanti.

Intanto, in questi giorni, le autorità israeliane hanno deciso di distribuire di nuovo alla popolazione, a partire dall’anno prossimo, le maschere antigas, che erano state ritirate negli scorsi anni, in previsione di un conflitto nel quale le città del paese potrebbero essere colpite da missili armati con testate chimiche.

Lama Hourani

I fondamentalismi uccidono la democrazia

di Fausta Speranza

Dopo la visita del Segretario di Stato americano Condoleeza Rice in Medio Oriente e poi l’incontro, tra il premier israeliano Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen, al di là delle intenzioni ribadite in questi giorni di un accordo entro il 2008, si confermano lo stallo dei negoziati e l’esasperazione della situazione sul terreno. A Gaza è assedio e in Cisgiordania  il territorio è sempre più frantumato a causa di insediamenti e check point israeliani. Non si intravedono novità nella strategia di Israele, mentre tra i palestinesi, dopo l’esperienza di governo di unità nazionale, è ormai piena frattura tra Hamas, che controlla Gaza, e Fatah che ha il suo quartier generale a Ramallah.
Lama Hourani è una palestinese attivista per i diritti umani e in particolare per i diritti delle donne. Non senza difficoltà, da poco ha lasciato  Gaza, dove viveva da anni. Si è distaccata da familiari e amici per fuggire da Hamas. L’abbiamo incontrata a Gerusalemme e ci ha motivato così la sua scelta:

Sono scappata non per paura degli israeliani ma per paura del fondamentalismo di Hamas. Ho portato avanti diverse battaglie per la condizione della donna e mai avrei portato il velo, perché sono laica. Ho avuto paura per me e per mio figlio, perché il fondamentalismo combatte proprio le persone come me. Il fondamentalismo uccide proprio quello per cui io combatto, quello in cui io credo: diritti e democrazia. Io credo che un po’ tutte le religioni, in fondo, non possano andare d’accordo con la democrazia, perché si fondano su una verità fuori discussione. Ma la discriminante è se i leader vogliano o non vogliano imporre a tutti la verità politica che pensano di dedurre dalle verità di fede. L’islam, poi, viene dopo giudaismo e cristianesimo e qualche suo esponente è convinto di aver elaborato il meglio in assoluto. In ogni caso, io penso che siamo, in generale nel mondo, in una fase di esasperazione, di fondamentalismo. Le donne devono studiare la legge islamica perché ci sono leggi in diversi paesi basate sulla Sharia che a sua volta ha la pretesa di basarsi sul Corano. Le donne devono studiare molto e conoscere bene la Sharia e il Corano, per capire fino a che punto il Corano viene strumentalizzato per mantenere in vita un sistema politico, che va contro i diritti basilari delle persone.

Che ne pensi della divisione tra Hamas e Fatah?

Non è una lotta di potere, ma è una frattura che nasce da differenti visioni politiche. L’OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina,  e il partito di Fatah vogliono uno stato nazionale palestinese, sostanzialmente basato sui confini che c’erano prima della guerra del 1967. Gli islamici di Hamas, invece, non vogliono uno stato nazionale palestinese ma vogliono uno stato islamico. Che potrebbe essere Gaza o tutta la Palestina o tutto il mondo. La loro non è una battaglia nazionalista: questa è la grande questione di fondo.

Secondo te, perché Fatah ha perso alle elezioni di gennaio 2006?

Secondo me, la prima ragione sta nel collasso del processo di pace. Il popolo palestinese ha capito che Israele non è pronto ad accettare uno stato palestinese e a rispettare le risoluzioni o lo proposte della comunità internazionale. C’è stato poi anche il problema della corruzione all’interno di Fatah, che aveva deluso, ma non è tra le principali motivazioni. Anche l’Autorità Nazionale Palestinese non è riuscita, agli occhi della gente, a conciliare i negoziati per la pace con la resistenza per costruire lo stato palestinese. Essere impegnati in negoziati non può significare fermare ogni manifestazione di resistenza. Resistenza non significa per forza rockets, razzi. Ci sono tante modalità di resistenza che secondo la legge internazionale sono pienamente legittime. Il punto è: come e quando arrivare ad uno stato palestinese. Questo è uno dei principali punti caldi con Hamas. I rockets non aiutano. Uccidono e hanno come reazione da parte di Israele l’uccisione di palestinesi e la confisca di terra. Tutto ciò distrugge, non aiuta la soluzione di due stati. Comunque, l’unico a beneficiare della divisione tra palestinesi è Israele.

Anche tu, come tanti, affermi che Hamas è utile per Israele. Tu eri a Gaza quando Hamas ha preso il completo potere: Israele ha aiutato in qualche modo Hamas?

Indirettamente sì. Almeno indirettamente perché non ho prove per dire altro. Hanno cominciato prima delle elezioni e ti spiego come: Abu Mazen è sempre stato contro i lanci di razzi contro la città israeliana di Sderot ed era stato eletto nelle precedenti elezioni con il 63% dei voti. Quello era il momento di trattare seriamente con Abu Mazen ma Israele non si è impegnato affatto. Israele e gli Stati Uniti non hanno affatto approfittato del momento, anzi. Israele ha continuato a costruire il muro, non ha negoziato con Abu Mazen. Sembra evidente che Israele vuole la Terra Santa e basta, senza i palestinesi. Porta avanti una sola politica: rendere i palestinesi tanto disperati da lasciare la propria terra, come praticamente è successo di recente a Hebron.  Per quanto riguarda Hamas, il problema è che non considerano la realtà sul terreno, sono presi solo dall’ideologia. Il problema di Hamas non è solo che non riconosce Israele. Se ci pensi bene, l’Autorità Nazionale Palestinese, nata dopo gli accordi di Oslo, riconosce Israele ma già il Partito di Fatah dichiara di poter riconoscere Israele solo dentro i confini precedenti il 1967. Il fatto che Hamas non riconosce Israele non è il vero problema. Piuttosto, il dramma è che non riconoscono l’evidenza dei fatti e non concepiscono una giusta strategia. Il punto importante è proprio quello di elaborare una strategia che porti alla soluzione dei due stati. L’operato di Hamas distrugge questa possibilità.

Tu non sei un politico ma fai parte del mondo dell’associazionismo palestinese…Ritieni che ci siano contatti in corso tra esponenti di Hamas e di Fatah per cercare di ritrovare un’unità?

Non credo che i leader stiano comprendendo che la priorità è ritrovare l’unità. Il problema è mettere insieme due politiche completamente diverse. I leader non stanno lavorando per questo. Ma dobbiamo ricordarci che non sono gli unici attori della scena. Protagonisti in Medio Oriente sono Israele, Stati Uniti, Siria, Iran, gli Hezbollah del Libano, l’Arabia Saudita, l’Egitto. Se parliamo di divisione, dobbiamo parlare di divisione del Medio Oriente e della comunità internazionale. Intanto, il popolo palestinese continua a sperare che un giorno i leader supereranno le differenze e troveranno un compromesso, ricreando un fronte comune, che sia sotto la sigla dell’OLP o di altro. Io preferirei l’OLP perché ha già una legittimità internazionale,  ma qualunque altra sigla andrebbe bene. Il punto è che tutta la partita non è solo in mano ai palestinesi. 

Qualcuno riconoscendo come legittimo il risultato delle libere elezioni, afferma che bisogna trattare con Hamas e non rifiutarlo come organizzazione terroristica. Secondo te, è possibile? Ci sono rischi?

Certo che ci sono rischi. Ma il punto è: perché non è stato detto e fatto subito dopo le elezioni? C’è stato un governo di unità nazionale e invece di aiutarlo hanno messo l’embargo. Trattare ora significherebbe  aumentare la divisione tra palestinesi. Tutti già si chiedono chi rappresenti i palestinesi. La comunità internazionale ora dovrebbe lavorare per rimuovere gli ostacoli che stanno di fronte ad Abu Mazen sulla via del negoziato e prima ancora sulla via del ritrovamento dell’unità. Se Abu Mazen dialoga con Hamas, Unione Europea e Stati Uniti tagliano gli aiuti economici, che significa il deterioramento della già difficile situazione in Cisgiordania. La comunità internazionale dovrebbe aiutare Abu Mazen a dialogare con Hamas, piuttosto che ostacolarlo, e nello stesso tempo dovrebbe anche fare seria pressione su Israele per il rispetto delle risoluzioni. Non credo che si voglia seriamente tutto questo.