A mio padre

Dopo l’ultimo abbraccio terreno a mio padre il 10 ottobre 2022, in  occasione delle esequie ho espresso questo saluto che in tanti mi hanno chiesto di condividere. Lo faccio su questo sito che proprio mio padre ha pensato e curato per me:

Papone,

tra tanti preziosi insegnamenti – che non muoiono – mi hai fatto capire che non si parla di sé, che le persone che ti vogliono bene non sono abbastanza  oggettive e che alcune circostanze nascondono l’insidia della retorica. Allora, per ricordarti, scelgo l’espressione di un tuo collega e di tempi non sospetti, anni fa. Tu eri pensionato da un po’ e lui, incontrato per caso solo una volta, mi disse: “Tuo padre è un uomo giusto”. Aggiunse: “Eravamo all’opposto in quanto a ideologie politiche ma non faceva mai discriminazioni o favoritismi a nessuno, mai una scelta o una parola dettate da tornaconto personale”. Come raccontarti meglio di così?

Basta, però, con i complimenti: non li amavi e negli anni ho capito perché. I complimenti rischiano di riempire spazi che sono per altro: per il desiderio di essere migliori. Allora ti ricordo quando non sei stato ‘giusto’. Non sei stato equo quando si è trattato di occuparsi della salute di mamma e di quella tua: sei stato squilibrato su di lei. Ed è stata ‘sbilanciata’ anche la cura che hai avuto nell’educare mia sorella Laura e me: ci volevi, e ci vuoi, dolci e generose come il migliore femminile e forti e autonome come il migliore maschile. Ed è stato meravigliosamente esagerato il tuo abbraccio a tua nipote Giulia! peraltro ricambiato da infinito affetto e da un’inusuale confidenza su tutto.

Così come era fuori misura la tua passione civile. In tutti, ma proprio tutti, i messaggi dei tuoi compagni di scuola torna la definizione di un uomo di ideali.

E’ che l’amore, se è amore, fa saltare bilance e bilancini, travolge come un fiume in piena  – e poco importano gli errori – proprio come i tuoi discorsi sulla fraternità e la giustizia sociale.  E non erano solo parole. Quando, oltre alle cure, lo Stato ti ha offerto come a tutti per la malattia un sussidio economico, tu senza esitazioni e con poche parole hai rifiutato spiegando che c’era chi ne aveva più bisogno.

L’amore è come il fuoco che non si modera se non trova argini. E la fiammella che arde dentro di noi, quella tensione verso il Bene, – anche se in vita non lo riconosciamo –  è il riflesso di un fuoco più forte, è la nostalgia di un Amore più grande, è anelito all’Assoluto. Con Sant’Agostino, credo profondamente che sia che  viviamo sia che moriamo siamo del Signore, di quell’Amore infinito. Accade come per la goccia d’acqua che ha un solo modo per non prosciugarsi: tornare al mare.

Chiudo ricordando il nostro ultimo scambio. Parlavamo del fatto che fin da bambina ti ho chiamato molto più spesso papone che papà. Mi hai regalato l’ultimo sguardo di simpatica sfida chiedendomi la differenza e io ti ho spiegato di getto che un papà ama, un papone ama esageratamente. E mi hai regalato l’ultimo bellissimo ironico sorriso quando ho aggiunto quello che ti ripeto parafrasando Totò: papone si nasce e non si diventa e tu modestamente puoi dire ‘lo nacqui’.  Grazie papone

Tra i finalisti del Premio europeo Caruana Galizia

Il video reportage “La discarica della vergogna”, firmato da Fausta Speranza con la regia di Stefano Gabriele e pubblicato sul sito www.MeridianoItalia.tv il 22 febbraio 2022,  e’ tra i 10 finalisti del Premio Daphne Caruana Galizia 2022 del Parlamento europeo.  Il 19 ottobre prossimo a Strasburgo si svolge la cerimonia di premiazione, in ricordo della giornalista maltese uccisa nel 2017 per le sue denunce di delitti ambientali e corruzione.
Questo il link per rivedere il reportage “La discarica della vergogna”:
https://www.meridianoitalia.tv/index.php/ambiente/460-la-discarica-della-vergogna

Tante e vive le testimonianze del carisma scalabriniano

In vista della canonizzazione di Giovanni Battista Scalabrini il 9 ottobre a Piazza San Pietro, da tutto il mondo emergono storie di straordinario impegno nell’accoglienza e nell’integrazione dei migranti. I frutti dell’esempio del vescovo fondatore delle congregazioni di san Carlo Borromeo emerge nelle parole della Superiora, Suor Neusa de Fatima Mariano, e nei racconti di suor Lina Guzzo

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Attualità ed essenzialità del carisma delle Congregazioni dei Missionari di San Carlo Borromeo e delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo Scalabriniane sono emerse questa mattina nella conferenza stampa tenutasi all’Istituto Maria Bambina di Roma. Tra i partecipanti, il postulatore padre Graziano Battistella ha chiarito che il miracolo riconosciuto a Scalabrini riguarda la guarigione di una suora che soffriva di cancro. Il Papa – ha ricordato – è stato d’accordo nel riconoscere la santità anche in presenza di un solo miracolo, indicando la via della dispensa per il secondo miracolo di solito previsto e consultando tutti i cardinali. Monsignor Benoni Ambarus, Segretario della Commissione Episcopale per le migrazioni della Cei, ha messo in luce tutto l’apprezzamento dei vescovi italiani per l’impegno missionario sulla scia del carisma scalibriniano e l’importanza della felice collaborazione in atto.  E’ poi intervenuto monsignor Pierpaolo Felicolo, Direttore generale della Fondazione Migrantes. Accanto a Padre Leonir Chiarello, Superiore Generale dei Missionari di San Carlo Borromeo Scalabriniani, ha spiegato come la presenza degli scalabriniani sia focalizzata in particolare sulla seconda fase di accoglienza: dopo l’emergenza dell’arrivo, è importante un impegno di più ampio respiro. La missionaria Giulia Civitelli ha ricordato l’esperienza dei missionari secolari.

Un carisma più attuale che mai

Giovanni Battista Scalabrini, vescovo fondatore delle congregazioni dei missionari e delle suore di san Carlo Borromeo, è stato proclamato beato da papa Giovanni Paolo II il 9 novembre 1997 e domenica 9 ottobre prossima sarà canonizzato con una cerimonia a San Pietro. Profondamente colpito dal dramma di tanti italiani costretti ad emigrare negli Stati Uniti e nell’America del Sud alla fine dell’‘800, non resta indifferente: sensibilizza la società e manda i suoi missionari e le sue missionarie per aiutare e sostenere gli emigranti nei porti, sulle navi e all’arrivo nei nuovi Paesi. La sua canonizzazione  aiuta a comprendere come la comunità cristiana debba ancora oggi essere impegnata nell’accoglienza e nell’integrazione dei migranti in vista di una società più fraterna.

Un faro per chi guarda all’umanità sofferente

È considerato dunque un padre per tutti i migranti e i rifugiati. Così lo ricorda suor Neusa de Fatima Mariano, Superiora della Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo Scalabriniane: “ad oltre un secolo dalla morte di Giovanni Battista Scalabrini – sottolinea  suor Neusa – la sua vita è ancora un faro per chi nel mondo è al servizio dell’umanità più sofferente: quella migrante. Dopo aver fondato nel 1887 i Missionari di San Carlo Borromeo – spiega –  il Vescovo di Piacenza sapeva che la loro opera era incompleta, specialmente nel Sud America, senza l’aiuto delle Suore”. Sostenuto dalla Beata Assunta Marchetti e dal Servo di Dio padre Giuseppe Marchetti, nel 1895 dà vita alla Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo, riconoscendo il grande valore che le donne consacrate potevano portare al suo progetto missionario nel mondo.

Il volto femminile della missione

Siamo l’espressione del volto femminile del carisma scalabriniano rivolto ai migranti, afferma suor Neusa. “Abbiamo una sensibilità particolare, sentiamo e capiamo tutti i disagi che una donna può vivere nel viaggio migratorio, viaggio che rende le donne e i bambini più fragili e vulnerabili”. “Sono nata in Brasile – racconta – e ho lavorato per molti anni con i bambini e i ragazzi, nella formazione cristiana; ero catechista nella mia parrocchia e appartenevo ai gruppi giovanili, ma c’era nel mio cuore il desiderio di fare qualcosa di più grande e di consegnare tutta la mia vita al servizio di Dio. Ho fatto delle ricerche sulle congregazioni presenti nella zona di San Paolo e mi hanno colpito molto le suore scalabriniane. Le ho incontrate ed erano veramente felici e accoglienti. Ho sentito che quello era il luogo dove il Signore mi chiamava. In seguito, ho conosciuto la spiritualità di Scalabrini, la sua capacità di vedere nei migranti il Signore e di lavorare per il loro bene. Sono diventata così una suora scalabriniana a 21 anni. Una delle mie prime missioni è stata nelle periferie di San Paolo, nelle favelas. Incontravamo i migranti e mi sorprendeva la loro speranza, il loro coraggio e la fiducia che avevano nel Signore, in vista di una vita migliore. Aprivano le loro case e nella semplicità offrivano quello che avevano, nonostante la loro situazione di povertà. Ci raccontavano – prosegue suor Neusa – la loro storia, le sofferenze vissute nel percorso della migrazione. Nel mio essere suora scalabriniana è sempre stato importante fare il primo passo verso l’altro, ascoltarlo, entrare in comunione profonda con la loro realtà; gioivo quando vedevo che le persone uscivano dal loro isolamento, dalla loro tristezza”.

Un impegno mondiale

“Siamo presenti in 27 Paesi con oltre 100 missioni animate dalla spiritualità di Scalabrini”,  ricorda la Superiora sottolineando: “In ogni persona vediamo un figlio di Dio e cerchiamo di vivere il mistero dell’Incarnazione nelle varie realtà della migrazione. La nostra scelta è quella di rivolgerci in modo particolare alle donne e ai bambini rifugiati, essere migranti con i migranti, compagne nel loro cammino”.

Una casa di accoglienza a Roma

Si chiama Chaire Gynai, che in greco significa ‘Benvenuta, donna’, la casa aperta a Roma. La Superiora suor Neusa racconta che nell’abbraccio di una mamma che la ringraziava ha sentito lo scopo della missione: “offriamo loro la possibilità di una vita che riconosca la loro dignità e apra strade verso nuove opportunità”. Il carisma scalabriniano nel mondo è testimoniato attraverso le azioni socio- pastorali, si manifesta nella solidarietà con chi vive il dramma della migrazione, tutto mira a creare comunione, essere sorelle con, per e tra i migranti e i rifugiati. In questi ultimi anni è nato il progetto specifico del ‘Servizio Itinerante’, presente nei luoghi di frontiera, dove c’è più sofferenza: a Roraima in Brasile, nel confine settentrionale e meridionale del Messico, a Ventimiglia in Italia e a Pemba in Mozambico”.

Saper ascoltare e cambiare

“La migrazione arriva – mette in luce suor Neusa – e porta con sé dei cambiamenti strutturali: accogliere i migranti è avere questa capacità di ascolto. Aprirsi all’altro implica di condividere il nostro spazio, le nostre città, ma anche saper valorizzare la bellezza che ognuno porta in sé. Entrare in relazione con i migranti significa anche sapersi commuovere davanti al dolore, così come ha fatto Scalabrini vedendo gli emigranti italiani partire verso l’America. Noi donne – aggiunge – siamo molto più sensibili alla sofferenza degli altri. A partire dal nostro modo di essere donna, cerchiamo di far rifiorire la creatività scalabriniana con i migranti e i rifugiati che non trovano risposte alle loro problematiche, alle loro ferite e cerchiamo di accompagnarli nel loro cammino come fa Gesù, il buon samaritano. Il dolore dei migranti diventa anche il nostro dolore, così pure anche la loro speranza è la nostra speranza. Questo ci ha insegnato Scalabrini”.

Il valore della canonizzazione

“Scalabrini era innamorato del mistero dell’Incarnazione di Dio – chiarisce suor Neusa – e contemplava continuamente il Figlio di Dio che si fa uomo per rivelare l’amore del Padre e per riconsegnare a Lui l’umanità rinnovata. Era un uomo tutto di Dio e per Dio. Ha fatto tesoro della cultura dei migranti, della ricchezza che portavano con sé, al punto di dire: ‘Nel migrante io vedo il Signore’. Abbiamo ricevuto questa eredità, un carisma per il tempo di oggi. Quando leggiamo i suoi scritti, ci accorgiamo che sono ancora attuali. Era anche un uomo d’azione: ha saputo coinvolgere la Chiesa, lo Stato, i laici, i missionari, noi suore scalabriniane affinché tutti potessero fare la loro parte. È bello che la sua canonizzazione arrivi in questo tempo forte di migrazioni. È un segno importante che il Papa vuole dare a tutta la Chiesa e a tutta l’umanità, una chiesa che accoglie e cammina con i migranti e i rifugiati”.

Suor Lina Guzzo,  missionaria scalabriniana di 57 anni, oggi vive a Messina aiutando la comunità dello Sri Lanka e delle Filippine ad integrarsi, Il suo racconto comincia ribadendo che “ogni migrante è figlio di Dio”: “È il 2016 – riferisce suor Lina – quando due fratelli, Ahmed e Fadil (nomi di fantasia), arrivano al porto di Reggio Calabria, dopo essere stati soccorsi in mare dalla Guardia Costiera. Fadil ha solo 15 anni, è stato picchiato, ha ferite e lividi in tutto il corpo e deve essere portato in ospedale, ma lui non vuole. Sa che se lascia ora suo fratello maggiore, verrà trasferito chissà dove e non lo rivedrà più. È in questo momento di disperazione che Fadil incontra suor Lina Guzzo, missionaria scalabriniana. “Non ti preoccupare, vengo in ospedale con te”, dice suor Lina. Per tutta la notte, Fadil piange disperato, mentre suor Lina chiama ripetutamente la Guardia Costiera per essere sicura che Ahmed non venga trasferito in qualche struttura. “Le mie braccia erano segnate dalle sue unghie, mi stringeva e mi ripeteva di non allontanarmi”, ricorda suor Lina.   Al mattino Fadil viene dimesso e suor Lina lo accompagna al porto. Ahmed non si è mosso da lì per tutta la notte. I due fratelli si abbracciano, si baciano, piangono di gioia. “Tutti avrebbero dovuto essere testimoni di quel momento, anche qualche politico. Questi ragazzi avevano affrontato l’abbandono della loro famiglia, il viaggio lungo il deserto, il carcere in Libia, la violenza, la morte in mare dei loro compagni e poi, una volta che sembrava che ce l’avessero fatta, la paura di non rivedersi più. In quell’abbraccio c’era tutta l’umanità, c’era tutta la speranza di una nuova vita. A volte basterebbe avere il rispetto del dolore altrui. Sotto quella pelle di altro colore, c’è il grande dono di una vita ricevuta, ci sono dei figli di Dio”, racconta suor Lina, che da missionaria ha trascorso 57 anni a fianco di chi emigra: dagli italiani in Svizzera, ai profughi del Kosovo in Albania e ai migranti africani in Portogallo e in Italia”.

Senza nessuna barriera

“Non importa se sono cattolici o musulmani o indù – ribadisce suor Lina – hanno una fede, credono in qualcuno al di sopra di loro che è presente nella loro vita. Noi abbiamo ricevuto dal vescovo e santo Giovanni Battista Scalabrini il carisma di servire i migranti, dobbiamo conoscere l’umanità per poterla accompagnare e conoscere noi stesse per essere davvero missionarie con queste persone”.

L’esperienza in Calabria

Per anni suor Lina è stata “l’animatrice del porto di Reggio Calabria”. Così la chiamavano i volontari che insieme a lei e alle altre sorelle accoglievano i migranti. Di questa esperienza racconta: “Sbarcavano anche 900 persone in un giorno, molti erano minori non accompagnati. La sera prima ci avvisavano del loro arrivo e noi ci facevamo trovare all’alba cariche di ciabatte, vestiti, brioches, succhi di frutta. Davamo loro la mano e chiedevamo della loro famiglia. Con i gesti ci si capiva e provavamo a togliere loro di dosso la paura. Spesso non sapevano neanche dove si trovavano. Trascorrevo il giorno e la notte con loro nelle tende o in ospedale”. Suor Lina ricorda un giorno in cui passava tra i ragazzi appena sbarcati distribuendo dei viveri. “Uno di loro mi guardava con gli occhi sbarrati e ripeteva: “Ho fame”. Erano assetati e affamati, ma io avevo appena terminato le brioches. Ero molto dispiaciuta e un suo compagno di viaggio allora mi disse in portoghese: “Mamma, non ti preoccupare perché da oggi noi mangiamo la libertà”. Questa frase è rimasta come pietra scolpita nel mio cuore e mi ha fatto capire quanto è importante per loro arrivare qui, in Paesi democratici, e costruire una vita dignitosa”.

La guerra in Kosovo

Gli anni più difficili sono stati quelli della guerra in Kosovo. Le suore missionarie scalabriniane hanno accolto i profughi nella loro casa in Albania, a Scutari: “Ospitavamo 50 persone, 36 erano minori. Ho dovuto riconoscere persone uccise con la testa piena di pallottole. Ho assistito alla morte di donna, madre di un bambino piccolo, a cui hanno sparato alla schiena. Quando è arrivato il marito, ho pensato: “Adesso cosa faccio, mio Dio?”. Ma dopo lo sconforto  e anche la paura – assicura suor Lina – arriva la fede, la consapevolezza che non finisce tutto così: “C’è un Dio che ti dà la forza di andare avanti nella tua vocazione”.

Un pensiero personale: “Sono vicepostulatrice della canonizzazione e sono riconoscente a Papa Francesco che ha scelto di dare alla Chiesa un modello come Scalabrini. È un regalo grande che Dio fa ai migranti, agli scartati, ai rifiutati dal mondo che hanno bisogno di essere accolti e di ricevere il confronto della fede”.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-10/canonizzazione-scalabrini-carisma-missione-migranti-rifugiati.html

Su Democrazia Futura la recensione di Cecilia Clementel

Le conseguenze dell’eccesso del relativismo e della guerra alle tradizioni culturali

La psichiatra e psicoterapeuta Cecilia Clementel presenta il saggio della giornalista di Radio Vaticana Fausta Speranza, Il Senso della sete. L’acqua tra diritti non scontati e urgenze geopolitiche, sottolineando che “Cura dell’ambiente e cura dell’essere umano [sono] due impegni inseparabili”.

4 Ottobre 2022

Le foto del pianeta terra sono blu perché l’acqua ricopre il 71 per cento del pianeta, di acqua si compone il corpo umano (nella proporzione del 50 per cento nelle donne e 60 per cento negli uomini). Il libro Il Senso della Sete[1] è una panoramica di temi: parte dal ciclo dell’acqua e gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030 per uno sviluppo sostenibile, tratta di tematiche ecologiche come lo scioglimento dei ghiacci, i conflitti per ‘l’oro blu’ in Africa e Medio Oriente (il Nilo e l’Eufrate), i rischi di alluvioni, la carenza di acqua potabile per una gran parte della popolazione del globo.

Giornalista di Radio Vaticana, Fausta Speranza collabora con diversi giornali e si occupa di politica internazionale e comunicazione. Si prendono le mosse dall’Enciclica papale Laudato sì del 2015 che vede il creato come bene comune che Dio ci affida come dono da proteggere e non solo da sfruttare. Come introduzione al libro troviamo una lettera del Papa all’Autrice e quattro introduzioni da parte di altrettanti professori universitari: un economista, un costituzionalista, uno studio di affari internazionali, un esperto di innovazione tecnologica. Mi soffermo sull’introduzione di Vandana Shivanotissima ed influente economista-ecologista indiana che ricorda come l’India sia nutrita concretamente ma anche spiritualmente dal Gange: ‘I fiumi sono sacri’.

Il tema della sacralità della natura e della necessità di un diverso rapporto fra umanità e il mondo naturale è un filo che lega i capitoli del libro che variano da l’acqua in borsa, acqua e salute, il ruolo delle risorse idriche nei processi di industrializzazione al fatto che nel XX secolo i consumi di acqua sono aumentati di dieci volte e dovunque si estendono i deserti.

Le risorse idriche figurano come strumenti anche nelle guerre e le pandemie sono effetti collaterali delle catastrofi ecologiche, tali pandemie hanno illuminato le carenze dei sistemi sanitari e gli effetti negativi di privatizzazioni selvagge.

Le siccità hanno anche conseguenze politiche ed economiche: migrazioni e sommosse, storicamente siccità hanno condotto all’abbandono di centri urbani e al collasso di importanti civiltà mesoamericane.

Accanto alla sorprendente ricchezza di informazioni[2] è presente in questo libro un discorso storico (le tematiche vőlkisch di naturalismo romantico, misticismo, darwinismo sociale e razzismo durante la Repubblica di Weimar confluite nel credo nazista) e ideologico. Speranza sostiene che volendo estirpare le radici della violenza la cultura occidentale contemporanea ha mosso guerra alle tradizioni culturali, i criteri estetici e le norme etiche e religiose prevalenti nell’era moderna, dilatando a dismisura lo spazio dei diritti a scapito dei doveri.[3]  Vengono criticati gli eccessi del relativismo culturale, del libertarismo che riduce il soggetto ad una funzione desiderante, l’idea che la civilizzazione rappresenti una minaccia per l’equilibrio ambientale e una colpa da espiare, questo tende a cancellare la superiorità spirituale dell’essere umano nel creato.

Il testo critica infine una totale sovrapposizione fra identità e autodeterminazione soggettiva per cui individuo o gruppo sarebbero liberi di definire la propria natura indipendentemente da condizionamenti biologici, storici e culturali (per esempio l’identità di genere viene presentata come un’opzione da scegliere).

La conclusione è che non vi può essere cura dell’ambiente senza cura dell’essere umano e viceversa. Posso affermare che un essere umano di cui non ci si cura non può essere in grado di proteggere il suo ambiente.

L’orizzonte del libro, nella seconda parte si rivela ancora più ampio e ricco, con un aggiornamento sulle ricerche dell’acqua nel sistema solare ed il loro scopo.

Il libro esamina brevemente le tecniche per la produzione dell’idrogeno ’verde’ dalla scomposizione dell’acqua. Qui aggiungo il caveat che l’idrogeno verde (prodotto con energia rinnovabile) al momento è solo l’1 per cento dell’idrogeno, il restante 99 per cento richiede l’uso di energia fossile, inoltre l’idrogeno non è fonte energetica ma è utile per lo stoccaggio dell’energia (“vettore energetico”).

Fausta Speranza riporta interessanti sperimentazioni in corso: vengono descritte coltivazioni idroponiche in serra che permettono di risparmiare fino al 90 per cento dell’acqua usando sistemi circolari di irrigazione[4].

Riprendendo le tematiche di Vandana Shiva viene sottolineato il ruolo delle donne (le protagoniste preistoriche della rivoluzione agricola) nella lotta contro la distruzione delle foreste in corso e per la difesa della biodiversità, Speranza sottolinea la necessità di essere all’ascolto di comunità autoctone la cui inventiva e adattabilità si sono dispiegate per secoli sul territorio da loro abitato e difeso.

Si parla di un’agricoltura che produce meno ma distribuisce meglio.

“Una strategia da perseguire: favorire ogni forma di integrazione delle economie come soluzione possibile al cambiamento climatico. E il Mediterraneo sarebbe davvero un’altra volta culla di nuova civiltà[5]

Posso aggiungere ‘con buona pace di Frontex’?

Nella terza parte si precisa la versatilità del libro, che offre in testa a ciascun capitolo una citazione, ad esempio, da Michail Gorbaciov“I popoli viaggiano sull’acqua. I popoli scrivono, cantano, danzano e sognano l’acqua”. Accanto alla scienza, ecologia e geopolitica dell’acqua si allineano i contributi umanistici.

Per l’acqua sulla superficie lunare viene scomodato Leopardi, poeta ma anche matematico e astronomo, si cita anche Fabrizio de André: “Guardate l’idrogeno tacere nel mare, Guardate l’ossigeno al suo fianco dormire” e la risonanza dell’immaginario intorno all’acqua, fonte della vita[6] è esplorata nelle religioni, la letteratura, l’arte, il cinema e l’architettura; viene ripreso il tema della sacralità dell’acqua, fonte e origine della vita.

Questa ricerca procede per associazioni non sistematiche, nate dagli interessi e dalle letture dell’Autrice.

Iniziamo da ‘le acque’ nella Bibbia che scrive al primo paragrafo ‘lo Spirito aleggiava sopra le acque’ e che identifica la salvezza con il passaggio attraverso le acque del Mar Rosso. In tutte le religioni l’acqua ha valore di purificazione rituale.

La simbologia dell’acqua si associa a quella del giardino: nel cantico dei cantici l’amata afferma: ‘Io sono una fontana che irrora i giardini/ pozzo d’acque vive/ che sgorgano dal Libano’.

Nell’ebraismo Dio fa sgorgare l’acqua dalla roccia nel deserto (acqua fossile?) e sono descritti numerosi incontri ai pozzi.

Nel cristianesimo Gesù descrive sé stesso come fonte di acqua viva: “chi beve di quest’acqua non avrà più sete”; il battesimo (un’antica pratica rituale) diventa “battesimo in acqua e Spirito”.

Nel Corano Dio ha creato tutti gli esseri viventi dall’acqua, chi invoca gli idoli al posto di Dio “è come chi stende le mani all’acqua per portarsela fredda alla bocca e non riesce a farlo” (Cor. 57).

Per i buddisti l’acqua simboleggia purezza, chiarezza e tranquillità. Il poeta e mistico indiano Goswami Tulsidas afferma: “Quando confluisce nell’acqua dell’oceano, l’acqua del fiume si acquieta, come l’anima quando trova il Signore”.

Troviamo persino una riflessione su ‘la memoria dell’acqua’ nella teoria della medicina omeopatica, un excursus storico sulle terme romane e la terapia idrologica o termale. Segue la tappa letteraria da Omero e Dante Alighieri fino a Johann Wolfgang von GoetheAlessandro Manzoni e Giuseppe Ungaretti: ”Stamane mi sono disteso/in un’urna d’acqua”.

Non poteva mancare Venezia (Per una civiltà dell’acqua[7]) con il suo Water Museum (del quale ignoravo l’esistenza) che raccoglie patrimoni acquatici naturali e culturali; la barriera Moses e l’acqua alta del 2019. “L’acqua resta ancora l’elemento più misterioso e incontrollabile dell’universo”.

Il ritmo di questo zibaldone sull’acqua è impetuoso e sostiene la concentrazione su di un tema che, più che vasto, è infinito, l’Autrice stessa lo descrive nella sua conclusione[8]: “lavoro di denuncia, riflessione ma anche recupero della memoria spirituale, storica e artistica”.

Come ultima suggestione riporto la chiave finale del film Samsara (2001) diretto da Pan Nalin. Il titolo si può tradurre dal sanscrito come “oceano dell’esistenza”.

Come si può impedire a una goccia d’acqua di asciugarsi? Immergendola nel mare[9].


[1] Fausta Speranza, Il Senso della Sete, L’acqua tra diritti non scontati e urgenze geopolitiche, Roma, Infinito, 2021, 208 p.

[2][2] Si veda Fausta Speranza, Il Senso della Sete, op. cit. alla nota precedente,  p. 65 sui rischi dello scioglimento del permafrost cui conseguirebbe un massiccio rilascio di gas serra.

[3] Ibid. p.74.

[4] Ibid. p.122.

[5] Ibid. p.145.

[6] Ibid. p.151 si cita Talete di Mileto: ‘L’acqua è la sostanza da cui traggono origine tutte le cose’.

[7] Ibid. p. 211.

[8] Ibid. p. 249.

[9] Ibid. p. 248.

Democrazia Futura. Cura dell’ambiente e cura dell’essere umano, due impegni inseparabili

Il dramma delle morti silenziose nel Mediterraneo nel report delle Nazioni Unite

Nel nono anniversario del naufragio di Lampedusa, rimasto simbolo delle disperate traversate per mare di migranti e rifugiati, il bilancio di quanti hanno perso la vita sulla rotta del Mediterraneo somiglia a un bollettino di guerra. Si parla di 25 mila vittime dopo i fatti del 3 ottobre 2013 che, con 368 morti accertati, sembravano aver scosso le coscienze. Tante le iniziative degli organismi Onu

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Quasi 25 mila migranti e rifugiati hanno perso la vita in soli nove anni nel Mediterraneo. L’84 % delle vittime si registrano precisamente sulla rotta del Mediterraneo centrale, che si conferma come una delle più attive e pericolose a livello globale. Nel 2022 si contano già 1.400 persone morte o disperse. I bilanci emergono in un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato alla vigilia del 3 ottobre, Giornata Nazionale della Memoria e dell’Accoglienza, anniversario del naufragio del 2013 al largo di Lampedusa costato la vita di 368 persone, tra cui 83 donne e nove bambini.

Da Lampedusa il grido delle Nazioni Unite

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), l’Agenzia ONU per i Rifugiati (UNHCR), e il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) sono presenti oggi a Lampedusa con il Comitato 3 Ottobre, le organizzazioni della società civile, i rappresentanti delle istituzioni governative locali, nazionali ed europee per ricordare tutti coloro che hanno perso la vita nel tentativo disperato di trovare sicurezza e protezione in Europa. Le organizzazioni hanno inoltre aderito alle attività organizzate dal Comitato 3 Ottobre nell’ambito del progetto Welcome Europe.

L’appello ai governi

“È inaccettabile che bambini, donne e uomini, persone in fuga da guerre, violenze e persecuzioni, continuino a perdere la vita nel Mediterraneo”, denuncia Chiara Cardoletti, rappresentante dell’UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino. “L’Europa deve dotarsi di un meccanismo più prevedibile e efficiente guidato dagli Stati per la ricerca e il salvataggio in mare e fare in modo che chi arriva in cerca di protezione possa trovarla e ricostruire la propria vita in dignità”.

In attesa che un tale meccanismo sia creato e implementato, OIM, UNHCR e UNICEF ribadiscono come sia prezioso il lavoro di soccorso in mare effettuato dalla Guardia Costiera Italiana, dalle Ong e dai comandanti delle navi commerciali. Le Organizzazioni delle Nazioni Unite tornano a sottolineare l’importanza di ampliare i canali sicuri e regolari di asilo e migrazione per garantire alternative sicure all’attraversamento in mare.

“Alla luce del continuo numero di tragedie alle quali ancora assistiamo,  in questa giornata è importante ribadire come la salvaguardia della vita umana sia prioritaria rispetto a tutte le altre considerazioni afferenti la gestione del fenomeno migratorio e che il soccorso di persone in difficoltà è un principio fondamentale di umanità e solidarietà, e che deve essere supportato e promosso a tal fine sia il lavoro degli Stati sia il prezioso contributo delle Ong presenti nel Mediterraneo”, afferma Laurence Hart, direttore dell’Ufficio di Coordinamento OIM per il Mediterraneo.

L’emergenza nell’emergenza dei minori

Secondo Sarah Martelli, coordinatrice Unicef per la risposta in Italia ad interim, “resta inoltre necessario continuare ad assicurare un sistema in grado di identificare tempestivamente le categorie più vulnerabili che arrivano in Italia, tra cui minori stranieri non accompagnati, sopravvissute/i alla violenza di genere e vittime di tratta, e garantire che chi ha subito maltrattamenti e abusi venga indirizzato verso un’assistenza specializzata”. “Ancora oggi – aggiunge Martelli – tra rifugiati e migranti che attraversano il Mediterraneo Centrale contiamo molti minorenni, tra cui tante ragazze, spesso tra i soggetti più esposti al rischio di sfruttamento e violenza. Un’accoglienza adeguata, la presa in carico dei casi più vulnerabili, il reinserimento scolastico e l’inclusione sociale, compreso il contrasto alla discriminazione, restano la chiave per consentire loro un nuovo percorso nella società d’accoglienza”.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-10/migranti-rifugiati-onu-lampedusa-naufragio-morti-mediterraneo.html

Indonesia, tragedia ad una partita di calcio

I tifosi provocano una rissa al termine di una competizione calcistica a Malang, nella provincia di Giava orientale: nella calca perdono la vita quasi 200 persone. Il presidente parla di misure di sicurezza da rivalutare in modo approfondito

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Sono almeno 182 i morti nello stadio di Malang, nella provincia di giava orientale, in Indonesia. Secondo quanto riportano i media locali, i tifosi dell’Arema FC hanno preso d’assalto il campo dopo che la loro squadra aveva perso 3-2 contro il Persebaya Surabaya. Gli agenti della polizia hanno cercato di convincere i tifosi a tornare sugli spalti sparando gas lacrimogeni. Si è scatenata una fuga generale e una calca impressionante.

L’intervento del presidente

Il capo dello Stato indonesiano, Joko Widodo, ha ordinato una revisione del piano di sicurezza per le partite di calcio. Il ministro dello Sport e della Gioventù, il capo della polizia nazionale e il capo dell’associazione calcistica indonesiana hanno ricevuto l’ordine di “condurre una valutazione approfondita”, ha assicurato Widodo in una dichiarazione televisiva.

Precedenti drammatici

Sono tanti gli episodi in divrsi stadi nel mondo finiti in tragedia. Alcuni si distinguono per l’alto numero di vittime. Tra questi: in Perù, 24 maggio 1964, 320 persone sono rimaste uccise e più di mille ferite nella calca durante le qualificazioni olimpiche di Perù-Argentina allo Stadio Nazionale di Lima. I tifosi che non sono riusciti a sfuggire sono stati calpestati o asfissiati.

In Scozia, il 2 gennaio 1971, 66 persone sono morte travolte nella calca all’Ibrox Stadium durante un derby tra Rangers e Celtic. È stato  il secondo disastro dello stadio, dopo il crollo di una tribuna nel 1902, che aveva causato 26 vittime. In Egitto la prima tragedia il 17 febbraio 1974: 48 persone sono morte e 47 sono rimaste ferite quando 80.000 persone si sono stipate in uno stadio con una capacità di 40 mila.

In Russia, il 20 ottobre 1982, al termine di una partita di Coppa Uefa, tra lo Spartak Mosca e gli olandesi dell’Haarlem, allo Stadio Luzniki, a causa di una calca nella tromba delle scale. ufficialmente sono rimaste uccise 66 persone, di cui 45 adolescenti. Secondo il quotidiano Sovietski Sport, il numero di vittime è stato di 340 morti. In Inghilterra, l’11 maggio 1985, 56 persone sono rimaste uccise a causa di un incendio divampato sugli spalti in legno durante una partita tra Bradford e Lincoln City.

In Belgio, il 29 maggio 1985, 39 morti allo stadio Heysel di Bruxelles quando i tifosi della Juventus hanno tentato di fuggire dai tifosi del Liverpool. Ancora in Inghilterra, il 15 aprile 1989, una calca sugli spalti dell’Hillsborough Stadium di Sheffield Wednesday ha provocato la morte di 97 tifosi durante la semifinale di FA Cup tra la squadra del Liverpool e il Nottingham Forest.  In Guatemala, il 16 ottobre 1996, circa 80 spettatori hanno perso la vita dopo essere stati schiacciati dai tifosi che si erano ammassati in una tribuna dello Stadio Nazionale Mateo Flores per la qualificazione alla Coppa del Mondo che si sarebbe disputata nel 1998 tra Guatemala e Costa Rica.

In Sudafrica Il 13 gennaio 1991, 40 morti in una mischia durante la partita Orlando Pirates-Kaizer Chiefs. In Francia, il 5 maggio 1992: 18 morti e oltre 2.300 feriti per il crollo di una terrazza dello stadio Furiani in Corsica. Ancora il Sud Africa vive un secondo dramma l’11 aprile 2001: 43 persone hanno perso la vita nella calca allo stadio Ellis Park di Johannesburg durante una partita tra gli Orlando Pirates e i Kaizer Chiefs. In Ghana, il 9 maggio 2001, 126 persone sono morte ad Accra al termine di una partita tra Hearts of Oaks e Kumasi, quando i tifosi del Kumasi, infuriati per la sconfitta della loro squadra, hanno lanciato proiettili e rotto sedie. La polizia ha lanciato granate lacrimogene. Si è scatenato un fuggi fuggi letale.

Seconda tragedia in Egitto il 1° febbraio 2012, questa volta nello stadio di Port Said: 74 morti dopo gli scontri tra le tifoserie rivali del club locale Al-Masry e dell’Al-Ahly del Cairo. In Camerun, il 24 gennaio 2022: otto persone sono state uccise e decine di altre ferite in una calca prima della partita di Coppa d’Africa tra i padroni di casa del Camerun e le Comore, a Yaoundé.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-10/giava-orientale-stadio-morti-calca-calcio-tifosi.html

Nuovo slancio al Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale

Il cardinale prefetto Michael Czerny e il segretario suor Alessandra Smerilli hanno incontrato i giornalisti per illustrare i nuovi assetti della struttura alla luce della “Praedicate evangelium”

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Servire lo sviluppo umano significa anche lavorare raggiungendo tutti. Così il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ha sottolineato questa mattina in sala Stampa vaticana come sia stato importante riorganizzare il Dicastero, nato nel 2017, alla luce della Costituzione apostolica Praedicate Evangelium, promulgata il 19 marzo scorso da Papa Francesco. Si tratta di riflettere il “volto” di una Curia romana sempre più missionaria, a servizio delle Chiese particolari in un’ottica di rafforzata collegialità e nello spirito della sinodalità ecclesiale. E, ha spiegato il cardinale Czerny, l’obiettivo è che chiunque e ovunque possa sentire che “la Chiesa cammina con chi è in difficoltà”. Una riorganizzazione di cui suor Alessandra Smerilli, segretario del Dicastero stesso, sottolinea innanzitutto la fase iniziale di riflessione. “Ore e ore – dice – a pensare in che modo rispondere alle sfide”.

“Il punto di partenza è l’ascolto, per comprendere le sfide e i bisogni dell’ampio spettro che la nuova Costituzione voluta da Papa Francesco ci assegna: tutte le questioni sociali, compresa la questione della nostra casa comune”. Per questo, spiega, è stato dedicato tanto tempo alla riflessione. C’è stato anche bisogno di consulenze esterne – afferma la religiosa – per una buona valutazione degli strumenti e delle competenze necessari.

Il sussidio di tre sezioni

Dopo le indicazioni della Praedicate evangelium, sottolinea suor Smerilli, il Dicastero è ora organizzato in tre sezioni principali: ascolto e dialogo, ricerca e riflessione,  comunicazione e restituzione. La prima sezione, ascolto e dialogo, “è un ponte con le Chiese locali e con i vari ministri che all’interno di essere promuovono lo sviluppo”. Tutto ciò che passa in questa sezione,  spiega la religiosa, confluisce nella seconda sezione, ricerca e riflessione, “che cerca risposte alle sfide facendo ricorso alle discipline scientifiche correlate ad esse e alla dottrina sociale della Chiesa”.

Infine, c’è la terza sezione, denominata comunicazione e restituzione, che si propone come obiettivo quello di “far diventare la ricerca e la riflessione proposte concrete, documenti da restituire alle comunità e da condividere attraverso una comunicazione fatta di ascolto”. A supporto delle tre sezioni, c’è un’area amministrativa e una segreteria, cui si affianca un gruppo di valutazione e di progettazione, “per dare dinamicità al flusso continuo che emerge dal lavoro delle tre sezioni, affinché non rimangano solo parole”. Ci sono,  inoltre,  questioni specifiche  o urgenze come è accaduto  – ricorda –  per la Commissione Covid-19. Questioni che richiedono una risposta pronta anche se “non rientrano in caselline precise”.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-09/dicastero-sviluppo-umano-servizio-czerny-suor-smerilli.html

Istruzione e conoscenza in tema di migranti

Scambi di esperienze concrete, dall’Ucraina all’Iraq degli yazidi, hanno caratterizzato i workshop dell’incontro “Iniziative per l’istruzione di rifugiati e migranti” alla Gregoriana. E’ fondamentale ricordare di far parte di un’unica famiglia umana, raccomanda padre Thomas Smolich, direttore del Refugee Jesuit Service. Il 29 settembre l’udienza dei partecipanti con il Papa

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Con l’intervento dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, si concludono oggi i tre giorni di lavori dell’incontro internazionale intitolato “Iniziative per l’istruzione di rifugiati e migranti” alla Pontificia Università Gregoriana. Il 29 settembre, a conclusione, l’udienza dei partecipanti dal Papa.

Dei significati del termine istruzione abbiamo parlato con il Direttore Internazionale del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati, padre Thomas Smolich:

L’istruzione è fondamentale per costruire il proprio futuro di autonomia, ma anche per imparare a riconoscersi parte di un’unica famiglia umana. Così il direttore del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati (Refugee Jesuit Service), padre Smolich, chiarisce l’importanza di non lasciare che migranti e rifugiati rimangano fuori da percorsi formativi, ma sottolinea anche come tutti abbiamo da imparare dalle situazioni di coloro che devono abbandonare le proprie case.

Il caso ucraino

Padre Thomas mette in luce come in Europa ci sia stata grande disponibilità da parte di tutti nei confronti dei profughi ucraini, sottolineando che la vicinanza e il relativo coinvolgimento hanno favorito la comprensione. “Conoscere le situazioni e incontrare le persone – spiega – spinge a porgere la mano”. Dunque, padre Thomas auspica che questa drammatica situazione della guerra in Ucraina possa aiutare tutti a ricordare che altre guerre e conflitti lacerano il vissuto di altre persone, costrette alla fuga. In definitiva, aggiunge, si tratta di comprendere che tutti facciamo parte della stessa famiglia umana.

Gli yazidi da non dimenticare

Padre Thomas ricorda come il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati sia presente in diverse zone del mondo, tra cui Ucraina, Iraq e Afghanistan. Guardando oltre la drammatica emergenza nell’Europa dell’est, padre Thomas ricorda la situazione della minoranza yazida, vittima di atroci persecuzioni da parte del sedicente Stato islamico. Testimonia di come ci sia ancora molto bisogno di assistenza per tante persone dopo eccidi e violenze, ribadendo ancora una volta l’importanza di assicurare l’integrazione a scuola o comunque l’insegnamento.

Tra Repubblica Democratica del Congo e Zambia

L’Agenzia Onu per i Rifugiati (Unhcr) ha reso noto che a partire dal dicembre 2021, con la collaborazione dei governi dello Zambia e della Repubblica Democratica del Congo, circa 6.000 rifugiati congolesi sono stati aiutati  a ritornare a casa. I rifugiati erano fuggiti dagli scontri politici e interetnici nella regione sudorientale della RDC nel 2017 e avevano trovato accoglienza nello Zambia. E per i bambini nati nello Zambia, che rappresentano circa il 60 per cento dei rifugiati, è stato spiegato, il ministero dell’Istruzione ha emesso il nullaosta al trasferimento degli scolari,  permettendo loro di proseguire i loro studi nel Congo.

La riconferma di Grandi all’UNHCR

L’Assemblea Generale dell’Onu, su raccomandazione del Segretario generale Antònio Guterres, ha confermato Filippo Grandi per un secondo mandato come Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Grandi rimarrà alla guida dell’Unhcr per altri due anni e mezzo, dal 1 luglio 2023 sino al 31 dicembre 2025. Guterres voleva chiedere all’Assemblea Generale di eleggere Grandi per un secondo mandato di cinque anni, ma l’Alto Commissario ha preferito dare il suo consenso, per motivi personali, al termine più breve.  Prima di essere a capo dell’Unhcr, Grandi è stato impegnato nella cooperazione internazionale per oltre 30 anni, concentrandosi sui rifugiati e sul lavoro umanitario. Ha servito come Commissario generale dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, Unrwa, dal 2010 al 2014, e prima è stato vice commissario generale dell’organizzazione dal 2005. Prima ancora, ha servito come vice rappresentante speciale del Segretario generale in Afghanistan.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-09/rifugiati-migranti-unhcr-gesuiti-famiglia-umana.html

Czerny: no a una narrativa negativa sui migranti

La responsabilità di agire per assicurare l’istruzione a rifugiati e sfollati e favorire la comprensione del fenomeno delle migrazioni al centro dell’intervento del cardinale prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano all’incontro “Iniziative per l’istruzione di rifugiati e migranti” alla Gregoriana. Tra i partecipanti, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

I governi, gli operatori, le comunità, la Chiesa hanno responsabilità complementari nell’obiettivo di assicurare un’istruzione di qualità a coloro che sono stati sradicati dalle proprie case: così il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano, all’incontro internazionale intitolato “Iniziative per l’istruzione di rifugiati e migranti”, che si è aperto oggi alla Pontificia Università Gregoriana e che si concluderà giovedì 29 settembre con l’udienza dei partecipanti dal Papa. Nel sottotitolo, l’invito ad andare “in profondità” e “insieme”. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, interverrà al termine dei lavori il 28 pomeriggio. Tra gli interventi previsti nel pomeriggio della prima giornata, anche quello del  Direttore Internazionale del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, padre Thomas Smolich.

Si tratta di un dialogo tra rappresentanti del mondo accademico, di Ong, di agenzie internazionali che si occupano di migranti, rifugiati, sfollati, in particolare in relazione al tema scelto dell’istruzione e alla visione generale ispirata dai sottotitoli: “In movimento – Immersi – Insieme”. Nei vari workshop previsti intervengono anche rappresentanti di studenti e tra i temi affrontati c’è anche quello concreto dei contesti familiari.

Che significa dire “insieme”

Il cardinale Czerny ha iniziato e concluso il suo intervento soffermandosi sulla parola “insieme”, sottolineando che “solo attraverso sforzi congiunti possiamo realizzare e sostenere opere fondamentali di giustizia, compassione e dignità umana: restituire ai migranti e ai rifugiati ciò che hanno perso lasciando – fuggendo o dislocati con la forza – i loro luoghi di origine”. Serve, ricorda il prefetto, “una chiara missione e generosità di spirito” .

Ci sono “molte buone pratiche sviluppate da organizzazioni cattoliche che potrebbero e dovrebbero essere replicate”. Così il cardinale  ne ricorda alcune: fornendo istruzione attraverso le tecnologie e l’apprendimento a distanza;  le borse di studio per rifugiati e migranti che consentiranno loro di prosperare e crescere.

L’obiettivo comune

La finalità deve essere chiara: “Offrire a coloro che sono stati sradicati dalle loro case, l’opportunità di un’istruzione di qualità per diventare uomini e donne per gli altri, fratelli tutti, custodi della nostra casa comune”. Nel concreto, per “promuovere percorsi formativi che portino all’autosostentamento delle persone migranti”.

Lo scandalo di una narrativa negativa

Dalle parole del cardinale Czerny emerge l’importanza del contributo che proprio il mondo delle Università possono dare per una narrativa   intorno alle migrazioni diversa da quella negativa che troppo spesso si impone. E l’avvertimento è per tutti: “Non trascuriamo lo scandalo dell’ostilità nei confronti di rifugiati e migranti, può sorgere ovunque, anche nelle comunità cattoliche e accademiche di tutto il mondo”. Precisamente, citando l’Enciclica del Papa, il cardinale raccomanda “una valutazione sana e onesta delle cause profonde della migrazione forzata contemporanea, evidenziando le responsabilità dei paesi leader, controbilanciando una comprensione ristretta del bene comune e della giustizia distributiva, con nuove valutazioni etiche: il bene di tutta l’umanità, come in Fratelli tutti”.

Questione di risorse

Il quadro richiamato dal prefetto è essenziale: alcuni Paesi non hanno le risorse per fornire istruzione ai propri cittadini, tanto meno ai nuovi arrivati poveri. Altri Paesi, sebbene dotati di risorse migliori, adottano politiche che impediscono o ritardano l’accesso all’istruzione da parte dei nuovi arrivati. Altri erigono barriere finanziarie. Inoltre, i rifugiati di solito non hanno la libera circolazione necessaria per sfruttare le opportunità di formazione e istruzione. Il punto è che l’istruzione deve essere offerta in molti luoghi e circostanze: idealmente in istituzioni preposte, ma anche nei campi e in contesti urbani marginali, dove attualmente vive metà della popolazione rifugiata.

Strumenti utili già collaudati

Ci sono “molte buone pratiche sviluppate da organizzazioni cattoliche che potrebbero e dovrebbero essere replicate”. Così il cardinale  ne ricorda alcune: fornendo istruzione attraverso le tecnologie e l’apprendimento a distanza;  le borse di studio per rifugiati e migranti che consentiranno loro di prosperare e crescere.

Tra analisi e comprensione

Secondo il prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, è importante “affrontare i problemi non in un quadro deduttivo derivato da fonti dottrinali, ma attraverso un’analisi induttiva degli eventi”. Significa – chiarisce – “affidarsi veramente all’aiuto dello Spirito per individuare nuove strade e scelte coraggiose”. “L’educazione ridotta a mera istruzione tecnica, o mera trasmissione di informazioni, diventa un’educazione alienata e frammentata. Credere di poter trasmettere la conoscenza senza preoccuparsi della sua dimensione etica è essenzialmente abbandonare il compito di insegnare”.

La responsabilità di risposte adeguate

“Non esiste una soluzione univoca e universale alle difficoltà poste dalle realtà sociali odierne”: così il cardinale Czerny mette in luce tutto il valore dello studio e della ricerca continui che servono per trovare risposte adeguate alle complessità. E questo vale per “ogni comunità cristiana nel proprio specifico contesto”. Da qui, l’importanza di porsi alcuni interrogativi che il porporato presenta: “In che modo la tua ricerca contribuisce a vedere più profondamente e ampiamente? In che modo il tuo insegnamento incarna il giudicare ciò che vale la pena di trasmettere e come forma le coscienze ad affinare la loro capacità di giudicare? E qual è l’azione non solo di ricercatori e insegnanti, ma anche, ad esempio, di datori di lavoro e di difensori della società civile?”.

La fase chiave dell’istruzione secondaria

Le opportunità di lavorare, guadagnarsi da vivere ed essere autosufficienti sono i modi più efficaci per i rifugiati di ricostruire le proprie vite, sottolinea il capo Dicastero, citando il terzo slogan dell’incontro internazionale: ‘Scavando più a fondo’. Il punto essenziale è che “l’istruzione post-secondaria incoraggia lo sviluppo di un sostentamento sostenibile che non dipenda dagli aiuti umanitari”. Se il divario educativo tra i rifugiati e i loro coetanei della comunità ospitante mina l’integrazione dei bambini nella comunità locale, la situazione è particolarmente grave ai livelli di istruzione superiori. Oggi – ricorda il prefetto vaticano – solo il cinque per cento dei rifugiati ha accesso all’istruzione e alla formazione post-secondaria, nonostante che queste opportunità di apprendimento e istruzione siano essenziali per il loro successo.

Passi concreti tra titoli di studio e curricula

Un altro contributo importante può essere il riconoscimento reciproco delle qualifiche accademiche (non solo lo scambio dei titoli di studio) tra le università cattoliche come “modo concreto per responsabilizzare rifugiati e migranti”. Dunque, raccomanda il cardinale Czerny, “occorre riconoscere le competenze accademiche e professionali dei rifugiati e dei migranti, e ciò richiede un’adeguata valutazione nonché corsi di aggiornamento e riqualificazione”. Inoltre, è anche importante offrire corsi di formazione per agenti pastorali impegnati in diversi programmi rivolti a rifugiati e migranti;  altri programmi per preparare futuri decisori politici e dirigenti di governo, introducendo moduli su migrazione e asilo in vari curricula.

I fondamenti dell’insegnamento sociale cattolico

Preciso il richiamo all’insegnamento sociale cattolico che – dice il porporato – offre un quadro che può aiutare a esplorare, condividere idee e iniziare a lavorare insieme”. E cita le parole di Papa Francesco alla Conferenza Internazionale dei Dirigenti delle Università Cattoliche, il 4 novembre 2019: “Con la vostra apertura universale (proprio come universitas), potete fare in modo che l’Università Cattolica diventi un luogo dove soluzioni per il progresso civile e culturale per le singole persone e per l’umanità, improntate alla solidarietà, sono perseguite con perseveranza e professionalità. Puoi anche esaminare ciò che è contingente senza perdere di vista ciò che ha un valore più generale. Vecchi e nuovi problemi devono essere studiati nella loro specificità e immediatezza, ma sempre nella prospettiva della centralità della persona e in un’ottica globale”.

Un’ottica davvero internazionale

Il cardinale Czerny cita ancora espressioni di Papa Francesco alla Conferenza del 4 novembre di tre anni fa per ribadire che “l’approccio interdisciplinare, la cooperazione internazionale e la condivisione delle risorse sono elementi importanti che possono permettere all’universalità di tradursi in progetti condivisi e fruttuosi a favore dell’umanità, di tutti gli uomini e dell’ambiente in cui vivono e crescono”. L’obiettivo è fondamentale: “I frutti dello studio non siano acquisiti in modo autoreferenziale, concernente solo la formazione professionale, ma abbiano una finalità relazionale e sociale”.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-09/istruzione-migranti-rifugiati-chiesa-governi-universita-czerny.html

Il Papa ai Premostratensi: le scelte economiche siano a servizio della giustizia sociale

Nel ricordare il nono centenario della fondazione dell’Abbazia di Prémontré, avvenuta nel giorno di Natale del 1121, Francesco parla ai Canonici Regolari dell’importanza di prendere decisioni all’interno delle comunità religiose secondo criteri che sostengano la missione e il servizio dei poveri: l’idolatria dei soldi ci allontana dalla vera vocazione

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Prémontré, piccolo paesino nel nord della Francia divenne  la fucina in cui prese forma la proto-comunità dell’Ordine dei Premostratensi, dopo la prima professione di San Norberto e dei suoi primi compagni nel giorno di Natale del 1121. Lo ricorda il Papa, nell’incontro, questa mattina, con i Canonici Regolari Premostratensi, un anno dopo quell’anniversario, aggiungendo che molte abbazie e monasteri dell’Ordine, sorti in seguito, celebreranno il loro nono centenario di fondazione nei prossimi anni.

Il tempo della riflessione

La storia degli Ordini religiosi – spiega il Papa – evidenzia spesso una certa tensione tra il fondatore e la sua fondazione. E questo è buono – aggiunge a braccio – perché quando non c’è la tensione, il fondatore prende tutto con sé e l’istituto muore con il fondatore. Dunque, “la tensione fa crescere la comunità, l’ordine religioso”. San Norberto  fu un missionario, predicatore itinerante e, da arcivescovo di Magdeburgo, pianificò l’evangelizzazione dei confini dell’allora impero germanico. Poi furono fondate altre abbazie e monasteri dell’Ordine che si apprestano a celebrare il loro nono centenario di fondazione. E dunque il Papa invita a riflettere su come “il carisma missionario di San Norberto potesse attuarsi in comunità stabili e legate a un determinato luogo”. L’organizzazione dell’Ordine ha favorito una grande stabilità nei secoli, dice il Papa. Molti dei monasteri e abbazie sono profondamente legati agli eventi felici e alle prove, all’intera storia di una particolare regione. E sottolinea:

Questa simbiosi ci fa già intuire come stabilità e missione, vita in un luogo ed evangelizzazione possano camminare di pari passo.

Tra buoni propositi e errori senza vergogna

Una consapevolezza: “La presenza di una comunità di sorelle o fratelli è come un faro luminoso nell’ambiente circostante. Eppure, la gente sa anche che le comunità religiose non sempre rispondono pienamente alla vita a cui sono chiamate”. Dunque l’incoraggiamento del Papa:

L’esperienza cristiana concreta è fatta di buoni propositi e di errori, consiste nel ricominciare ancora e ancora e ancora. Non avere vergogna di questo! È la strada.

Il valore della conversione

“Non per nulla – mette in luce il Papa – nella vostra professione canonicale, voi promettete di condurre una vita di conversione e di comunione”, perché “senza conversione non c’è comunione e proprio questo ricominciare e convertirsi alla fraternità è una chiara testimonianza del Vangelo, più di tante prediche”.

Il pregio di una missione ospitale

Francesco mette in evidenza il carattere pubblico e accessibile delle celebrazioni nelle chiese dell’Ordine dei Premostratensi,  affermando che “fedeli e passanti sono i benvenuti e sono coinvolti nella comunità orante” e ribadendo:

La cultura della convivenza fraterna, della preghiera comunitaria, che fa posto anche alla preghiera personale, è il fondamento di una vera ‘ospitalità missionaria’, che mira a far sì che gli ‘estranei’ diventino fratelli e sorelle.

La comune e fedele celebrazione della Liturgia delle Ore e dell’Eucaristia riporta continuamente alla fonte della comunione, ricorda il Papa sottolineando che “la preghiera della Chiesa non conosce confini”.

Tra ispirazione fondamentale e nuove circostanze

In riferimento alla storia, il Papa ricorda che molti Premostratensi sono stati missionari, parla di “una storia di coraggio e di abnegazione” e della consapevolezza sopraggiunta nel tempo che che la missione, nel vostro Ordine, poteva comportare la costituzione di nuove comunità stabili in terra di missione. Da qui nuovi monasteri e abbazie che sorsero in contesti molto diversi da quello europeo. La sfida era “puntare sull’essenziale e sottoporre le forme tradizionali a una giusta critica, per distinguere ciò che è necessario e universale e ciò che può e deve essere adattato alle circostanze”. L’incoraggiamento del Papa:

Nella misura in cui rivivrete, per così dire, i vostri inizi, potrete capire qual è la vostra ispirazione fondamentale.

Con una precisazione: “Nessuna comunità può pretendere di imporre la propria identità alle altre. Piuttosto si tratta di riconoscere quanto si condivide come espressione del carisma comune”.

Adesione alla realtà nello spirito del carisma

I Canonici Regolari – dice il Papa – sono missionari perché, in virtù del loro carisma, cercano sempre di partire dal Vangelo e dai bisogni concreti della gente. Il popolo non è un’astrazione: “è fatto di persone che conosciamo”, comunità, famiglie, individui con un volto concreto legate all’abbazia o al monastero perché vivono e lavorano nella stessa regione”. Dunque l’invito a un dialogo profondo: “Avere capacità di inserirsi culturalmente nel popolo e dialogare con il popolo e non rinnegare il popolo dal quale noi siamo venuti, questo è un carisma che ci fa atterrare continuamente nella realtà”.

Lo slancio missionario di una casa premostratense si traduce – fa notare il Papa – in scelte concrete in campo sociale, economico e culturale. In molti casi si tratta di occuparsi della manutenzione e conservazione di un patrimonio culturale e architettonico. Ribadendo che “l’attività economica serve alla missione e alla realizzazione del carisma, non è mai fine a sé stessa”, Papa Francesco avverte:

Quando in un ordine religioso, anche in una diocesi può darsi, prende il sopravvento l’attività economica e tutto va avanti, si dimentica la gente subito e si dimentica quello che ha detto Gesù: che non si può servire a due signori. ‘O tu servi a Dio – io mi aspettato che dicesse ‘ o al diavolo’, no? Non dice al diavolo – o ai soldi’. L’idolatria dei soldi. Questo ci allontana dalla vera vocazione.

Non dimenticare le conseguenze

“Le scelte economiche e sociali non sono separate dalla missione”, spiega il Papa che para di “saggia apertura nella condivisione dei beni culturali, giardini e aree naturali” che “può contribuire al dinamismo di un’area più ampia”. E il Papa parla delle responsabilità di essere “datori di lavoro” o di avere contatti con gli enti pubblici e varie società, di fare  investimenti:  “possono contribuire a sviluppare buone iniziative”. Una domanda è sempre necessaria:

“Quali saranno le conseguenze per i poveri, per i nostri ospiti, per i visitatori che vedono la nostra attività economica? Le nostre scelte economiche sono espressione della semplicità evangelica o siamo degli imprenditori già, no? Favoriscono l’accoglienza e la vita fraterna? E non si possono servire due signori. Stati attenti. Il diavolo, di solito, entra dalle tasche.

Il Papa parla di premura per la buona gestione e sottolinea che “occorre esercitarla per quanti sono al di fuori della rete sociale, per coloro che sono emarginati a causa dell’estrema povertà o fragilità e, per questo, difficili da raggiungere”. Alcune necessità possono essere alleviate solo attraverso la carità, primo passo verso una migliore integrazione nella società.

Attenzione alla sostenibilità

A proposito degli interrogativi sulle conseguenze bisogna pensare all’ambiente:

La sostenibilità è un criterio-chiave, come pure la giustizia sociale.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-09/papa-premostratensi-missione-fraternita-economia-poveri.html