La speranza che brucia: il documento sulla Fratellanza e l’eredità profetica di Francesco

La speranza che brucia: il documento sulla Fratellanza e l’eredità profetica di Francesco

su Famiglia Cristiana

28/04/2025  Durante il Giubileo degli artisti, il pontefice scomparso ha richiamato la vera natura di questa virtù, intrecciata al dramma umano. Una visione che ha radici profonde nel Documento sulla Fratellanza Umana, firmato nel 2019 con il Grande Imam di Al-Azhar: un testo che non solo condanna senza ambiguità terrorismo e disuguaglianze, ma anticipa anche le crisi che oggi minacciano la pace globale

di Fausta Speranza

https://www.famigliacristiana.it/articolo/la-speranza-che-brucia-il-documento-sulla-fratellanza-e-leredita-profetica-di-francesco.aspx

«La vera speranza si intreccia con il dramma dell’esistenza umana. Non è un rifugio comodo, ma un fuoco che brucia e illumina, come la Parola di Dio». In questa idea di speranza che papa Francesco ha espresso durante il Giubileo degli artisti a febbraio scorso, ci sembra emergere tanto della sensibilità e concretezza del suo pontificato, segnato dalla fattiva attenzione ai più deboli ma anche di richiami e gesti “politici” significativi. Uno in particolare sembra importante ricordare. Durante il viaggio apostolico negli Emirati Arabi Uniti dal 3 al 5 febbraio 2019, papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, che è una delle più importanti autorità del mondo islamico, hanno sottoscritto, precisamente il giorno 4, il Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune. Si tratta di un documento che non ha soltanto il valore di una tappa nel percorso del dialogo interreligioso. Abbiamo chiesto il punto di vista di uno storico, Daniele De Luca, docente di Storia delle Relazioni internazionali e di Storia Internazionale del Medio Oriente presso l’Università del Salento.  «Per alcuni aspetti», spiega De Luca,  «il documento sembra presagire avvenimenti che hanno poi sconvolto il quadro internazionale nel giro di pochi anni. Nel 2019, quanti avrebbero potuto prevedere un conflitto tra due Paesi europei a quasi ottanta anni di distanza dall’ultimo, o una ripresa così violenta del sanguinoso conflitto in Medio Oriente? Eppure, il Pontefice e il Grande Imam di Al-Azhar si soffermarono su alcune questioni che sarebbero diventate di drammatica attualità nel giro di pochissimo tempo: l’estremismo religioso e quello nazionale, l’intolleranza, la mancanza di una equa distribuzione delle risorse naturali (a beneficio di pochi) e che, come possiamo verificare quasi quotidianamente, hanno portato a “crisi letali” nel silenzio internazionale più assordante. È chiaro il riferimento alle innumerevoli situazioni di violenza e sfruttamento, in particolar modo nel continente africano, molto caro a Papa Francesco.

La forte condanna del terrorismo sottoscritta nel Documento non è scontata: non lo era in quel momento e forse lo è ancora meno oggi?

«Vero, perché non sono pochi i Paesi che preferiscono nascondersi dietro una forte ambiguità sull’argomento. Il Documento sulla fratellanza umana, al contrario, è chiaro e diretto: una condanna decisa del terrorismo in tutte le sue forme. Ma la condanna non basta, il Pontefice e il Grande Imam aggiungono che bisogna interrompere qualsiasi tipo di sostegno alle organizzazioni terroristiche. Niente denaro, armi o copertura mediatica, come alcune emittenti televisive hanno fatto negli ultimi anni. Gli atti terroristici devono essere considerati dei chiari crimini internazionali che “minacciano la sicurezza e la pace mondiale”. Basti qui considerare le drammatiche conseguenze provocate dall’attacco di Hamas nei confronti dello Stato di Israele il 7 ottobre 2023.

Quanto è particolare il riferimento alle donne?

«Il richiamo e il sostegno dei diritti delle donne assume un particolare significato perché il Documento viene firmato negli Emirati Arabi Uniti – e non diciamo nulla di nuovo se sottolineiamo la difficile condizione delle donne nell’intero Medio Oriente. Per l’Occidente è quasi scontato il riconoscimento dei diritti delle donne all’istruzione, al lavoro o all’esercizio dei propri diritti politici. In altre regioni del mondo questo non avviene, per questa ragione stilare e sottoscrivere un Documento che, oltre a quanto detto, dichiara la necessità della protezione delle donne dallo sfruttamento sessuale e dalla loro mercificazione diventa di un’importanza fondamentale. E questo in un’ottica più generale per una decisiva difesa della dignità femminile».

Ci si deve soffermare anche sul diritto di cittadinanza. Perché è tanto importante per il mondo mediorientale?

«Perché in molte aree della regione questo è decisamente limitato. Sull’argomento, una parte del Documento appare estremamente interessante: la richiesta di una piena cittadinanza per tutti e per tutte e la rinuncia “all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità̀”. È, insomma, il principio della uguaglianza nella diversità. Uguaglianza nei diritti, nei doveri e nella dignità che viene richiamata nella parte iniziale del Documento, con un riferimento – non sappiamo quanto voluto – al preambolo della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America. Nel caso specifico, i Padri Fondatori inserirono nei diritti delle persone anche il “perseguimento della felicità”».

Ma visto il contesto attuale di tentativi di sgretolamento del diritto internazionale il richiamo contenuto nel Documento assume nuovo valore anche per l’Occidente?

«Forse è proprio qui che troviamo un’ulteriore attualità del Documento del 2019. Papa Francesco e l’Imam Ahmad Al-Tayyeb, insieme, riconoscono l’impellente necessità dell’incontro tra Occidente e Oriente. Citando testualmente: “L’Occidente potrebbe trovare nella civiltà̀ dell’Oriente rimedi per alcune sue malattie spirituali e religiose causate dal dominio del materialismo. E l’Oriente potrebbe trovare nella civiltà̀ dell’Occidente tanti elementi che possono aiutarlo a salvarsi dalla debolezza, dalla divisione, dal conflitto e dal declino scientifico, tecnico e culturale”. Qui siamo di fronte non tanto a un dialogo interreligioso ma a una vera dichiarazione di strategia politica per rispondere a molte delle insidie dei tempi moderni: frustrazione, solitudine, disperazione che – secondo il Documento – possono portare a un estremismo ateo e agnostico, oppure a un integralismo religioso».

Il contesto in cui Bergoglio è stato Papa è stato definito da Lui stesso di “Terza guerra mondiale a pezzi” … vogliamo ricordare il senso di questa espressione tenendo presente il Documento sulla fratellanza Umana?

«Citiamo testualmente, così da essere chiari: “La storia afferma che l’estremismo religioso e nazionale e l’intolleranza hanno prodotto nel mondo, sia in Occidente sia in Oriente, ciò̀ che potrebbe essere chiamato i segnali di una «terza guerra mondiale a pezzi»”. Nel momento in cui il Documento viene scritto, quanto sta succedendo particolarmente in Africa spinge verso una considerazione del genere. Ma il Documento va oltre, mettendo in guardia verso la possibilità che si creino ulteriori zone per nuovi conflitti e, quindi, che si possa realizzare “una situazione mondiale dominata dall’incertezza, dalla delusione e dalla paura del futuro e controllata dagli interessi economici miopi”. In un modo o in un altro, sembra preannunciare i giorni che stiamo vivendo».

«Papa Francesco nella storia: non un’eccezione, ma un frutto della Chiesa del Novecento»

Papa Francesco nella prospettiva storica

27/04/2025  Nel ripensare il suo pontificato occorre evitare sia le banalizzazioni sia le celebrazioni acritiche. La sua attenzione ai poveri, la diplomazia della pace, il dialogo interreligioso e l’impegno per la Casa comune sono eredità profonde, radicate nella storia recente della Chiesa. Con don Roberto Regoli, professore alla Pontificia Università Gregoriana, rileggiamo la parabola di Bergoglio alla luce di un percorso iniziato ben prima di lui, che dal Concilio Vaticano II arriva fino ai nostri giorni lettura in prospettiva nell’intervista allo storico don Roberto Regoli

di Fausta Speranza

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Nel raccontare la figura di un papa, e tanto più nel momento in cui ha chiuso la sua parabola terrena ed è tornato alla Casa del Padre, viene spontaneo sottolineare tutte le specificità che hanno caratterizzato il suo Pontificato e la sua personalità. Di papa Francesco ricordiamo a gran voce l’attenzione ai più poveri e fragili e i temi dei due anni giubilari: quello della Misericordia e quello, in corso, della Speranza. Se lo sguardo però resta troppo concentrato sugli anni in questione, si corre il rischio di perdere di vista l’ottica più opportuna per “rileggere” qualunque pontificato: quella che lo comprende nella storia della Chiesa, in cui si colloca tra un prima e un dopo. Per una prospettiva più ampia, abbiamo intervistato lo storico don Roberto Regoli, professore ordinario della Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa alla Pontificia Università Gregoriana. «In questi giorni», spiega don Regoli, «in tanti hanno parlato di eccezionalità, unicità e di forza rivoluzionaria del pontificato di Francesco, a volte banalizzandolo nei contenuti, come se fosse un extraterrestre o un extraecclesiastico. Facendo passare per nuovo anche ciò che è antico. È opportuno invece inserirlo dentro la storia della Chiesa per capire a meglio il suo contenuto. Solo in questo modo si comprende che Bergoglio ha portato avanti istanze della sua storia personale ecclesiale: un vescovo argentino e dell’America Latina. Un vescovo che era stato al centro delle scelte ecclesiali di quel continente, che ha voluto guardare in maniera preferenziale alle necessità dei poveri e a proporre una Chiesa missionaria dentro gli antichi territori pensati cattolici, ma che non lo sono più. È da ricordare che era un gesuita e la Compagnia di Gesù nel tempo successivo al Concilio Vaticano II ha compiuto la cosiddetta scelta preferenziale per i poveri. Bergoglio non è un caso, un miracolo o un errore della storia, ma il frutto di un percorso. Anche di quello che si inserisce nei pontificati che lo precedono».

In particolare, se guardiamo al Novecento ritroviamo temi fondamentali che vediamo svilupparsi nel corso di diversi papati. Viene in mente innanzitutto il tema della pace e strettamente connessi quelli del multilateralismo e del disarmo…

«Addirittura sin dallo scoppio della prima guerra mondiale (1914-1918) tutti i papi del Novecento si sono impegnati a disarmare la guerra, togliendole ogni possibile pretesa di legittimazione religiosa. Non esiste una guerra santa. Benedetto XV definì la guerra una “inutile strage” e Pio XII dichiarò che “Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra”. E nella stessa direzione sono andati i successori. È importante ricordare Giovanni Paolo II che avviò gli incontri di preghiera delle religioni ad Assisi nel 1986 per far capire al mondo che le religioni non sono causa di guerre, ma comunità per la pace. In questo senso Benedetto XVI dichiarerà addirittura che “la non violenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità”. E in questo percorso non solo si inserisce papa Francesco, ma lo promuove con la stessa convinzione dei suoi predecessori di fronte a quella che lui ha chiamato con ragione e successo “terza guerra mondiale a pezzi”. La sua diplomazia ha privilegiato il multilateralismo, con un sempre maggiore impegno da parte della Segreteria di Stato vaticana, e un bilateralismo creativo come con l’impiego di cardinali non diplomatici a fini pacificatori. Pensiamo al cardinale Ortega per una mediazione tra USA e Cuba e al cardinale presidente della Cei Zuppi per la guerra in Ucraina».

Il diritto internazionale in questa fase storica sembra sempre più minacciato. Può essere di aiuto inquadrare le parole e gli sforzi di papa Francesco in un contesto più ampio?

«A livello diplomatico papa Francesco si è inserito nella tradizione curiale che ha trovato. Come i suoi predecessori, a partire da Paolo VI, ha chiesto il rispetto del diritto internazionale e il coinvolgimento dell’ONU. Sia lui, sia il suo segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, nei primi anni del pontificato affidano un ruolo dirimente alle Nazioni Unite sulle condizioni e la liceità degli interventi militari, cioè sull’uso della forza al fine di formare una forza di interposizione che blocchi le violenze, le aggressioni e i combattimenti. L’ONU riceve alta considerazione nei discorsi pubblici del papa e del suo cardinale segretario di Stato. La Santa Sede ritiene che per compiere azioni di forza si debba richiedere il consenso internazionale. L’ONU, però, è bloccata dai veti interni incrociati. Lo stesso Parolin si lascia andare ad un pubblico richiamo nel quale considera l’ONU una organizzazione caduta nell’“apatia” e nella “irresponsabilità” e per giunta “passiva dinanzi alle ostilità subite da popolazioni indifese”. Di fronte alle grandi crisi internazionali la Santa Sede rimanda all’autorità dell’ONU, cioè indica un metodo, ma non una soluzione. Ma quel metodo non ha portato frutto, perché bloccato nel fuoco incrociato di veti. A fronte di questa situazione il Papato ha voluto giocare anche da solo alcune mediazioni. Vanno segnalati i buoni uffici posti dalla Santa Sede nel processo di normalizzazione delle relazioni bilaterali cubano-statunitensi, rotte dopo la rivoluzione castrista, e che giunse ad un accordo nel 2014».

Come definirebbe la diplomazia di Francesco?

«Durante il pontificato di Francesco emerge un tratto tipico della sua diplomazia, secondo il quale a fianco degli usuali canali diplomatici, il papa coinvolge altri personaggi, nei casi conosciuti alcuni cardinali, come Ortega per Cuba e Zuppi per l’Ucraina, per attivare una diplomazia più personale e personalizzata. Questi canali vengono comunque ricondotti sotto il lavoro della Segreteria di Stato. Si sa di altri contesti in cui il papa e la sua diplomazia ai nostri giorni sono attivi per mediare in senso largo, come nel Sud-Sudan e in Congo, ma di cui non si hanno resoconti sicuri».

Il Documento sulla Fratellanza Umana del 2019, firmato da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, ci introduce al dialogo interreligioso e a un cammino lungo.

«Seguendo l’impostazione di Giovanni Paolo II, il dialogo interreligioso è considerato un presupposto per raggiungere una pace vera e duratura a livello internazionale. In un mondo minacciato dal terrorismo di matrice fondamentalista ad inizio XXI secolo e da guerre regionali e internazionali oggi, il dialogo interreligioso, come quello interculturale, viene presentato quale vera e propria «necessità vitale». In questa prospettiva Francesco insiste su ciò che accomuna in ultimo ogni uomo: l’umanità stessa. È un linguaggio laico che vuole includere ogni possibile interlocutore. Un linguaggio che vuole però essere religioso in nome del fatto che ogni essere umano è stato creato a immagine e somiglianza di Dio».

Certamente la Laudato Sì è stata un’Enciclica importante per comprendere l’urgenza di occuparsi della Casa comune e soprattutto per mettere a fuoco come sistemi naturali e sistemi sociali siano profondamente interconnessi. Come “collocare” questa attenzione preziosa di papa Francesco nella storia della Chiesa?

«La “Laudato sì” è un tipico documento di Francesco. Indubbiamente già da prima c’era questa sensibilità. Si pensi alla dichiarazione del 2006 tra Benedetto XVI e il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo sui comuni sforzi per la conservazione dei valori morali in tutto il mondo, per la tutela dei diritti civili e delle libertà, per resistere alla guerra e al terrorismo e per l’appunto per proteggere l’ambiente dall’inquinamento. Detto questo, va però riconosciuto che il tema ecologico è uno dei contributi più propri di Bergoglio, che ha trovato importanti riscontri nella società civile. L’anziano Bergoglio ha saputo intercettare una sensibilità sempre più presente nell’Occidente. Sarà anche una sua eredità. Ma bisognerà capire come sarà intesa in un mondo occidentale che sta cambiando le sue politiche green».

C’è poi la “più grande grazia del XX secolo” come san Giovanni Paolo II ha definito il Concilio Vaticano II. Ci aiuta a tracciare la linea che parte dalla Chiesa conciliare e arriva fino a papa Francesco?

«Se mi si permette una battuta, vorrei manipolare un detto del papa. Con Francesco abbiamo assistito ad un Concilio Vaticano III  “a pezzi”. Si è fatto promotore di stili e sensibilità che hanno lanciato agende ecclesiali che nei decenni precedenti vivevano per lo più in piccoli circoli. Indubbiamente Bergoglio ha parlato del Vaticano II, ma allo stesso tempo – per la sua mentalità – ha preferito guardare in altre direzioni».

su National Geographic le ultime volontà di Francesco

24 Aprile 2025

  National Geographic

di Fausta Speranza

Le ultime volontà di Papa Francesco: semplicità, fede e umanità

https://www.nationalgeographic.it/le-ultime-volonta-di-papa-francesco-semplicita-fede-e-umanita

In attesa della Messa esequiale di Papa Francesco – che si terrà sabato 26 aprile alle ore 10.00 sul sagrato della Basilica di San Pietro – migliaia di fedeli sono accorsi per rendergli omaggio. Ripercorriamo le ultime volontà del Papa della Gente che evocano il suo credo di umiltà.

“Solamente per quanto riguarda il luogo della mia sepoltura”: con queste parole Papa Francesco ha chiarito al mondo di non avere altre disposizioni testamentarie se non in relazione alle sue spoglie mortali. A colpire tutti è stata la scelta di essenzialità: “Il sepolcro deve essere nella terra; semplice, senza particolare decoro e con l’unica iscrizione Franciscus”.

È la semplicità alla quale il Papa morto il 21 aprile 2025 ci aveva abituato da subito: il 13 marzo 2013 era apparso dalla Loggia di San Pietro augurando “buonasera” e chiedendo “pregate per me”. Lo ha chiesto fino all’ultimo respiro ed è certo che alle esequie, il 26 aprile, nella celebrazione presieduta dal cardinale decano Giovanni Battista Re, saranno in tanti a farlo, in presenza o da lontano. Ma è una semplicità da comprendere appieno, ricordando che il Papa che ha scelto il nome del Santo di Assisi era un colto gesuita. La semplicità non è soltanto spontaneità.

Il testamento

Non manca lo spirito di concretezza di Papa Francesco nel testamento redatto, e in parte reso noto, tre anni prima della morte: “Chiedo che la mia tomba sia preparata nel loculo della navata laterale tra la Cappella Paolina (la Cappella della Salus Populi Romani) e la Cappella Sforza della suddetta Basilica Papale…”. E ci sono anche le risorse previste: “Le spese per la preparazione della mia sepoltura saranno coperte con la somma del benefattore che ho disposto”. L’auspicio: “Il Signore dia la meritata ricompensa a coloro che mi hanno voluto bene continueranno a pregare per me”. E c’è poi la sofferenza “offerta per la pace nel mondo e la fratellanza tra i popoli”.

Perché la sepoltura in Santa Maria Maggiore

C’è una preferenza precisa: “Chiedo che le mie spoglie mortali riposino aspettando il giorno della risurrezione nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore”, dove si recava in preghiera all’inizio e al termine di ogni viaggio apostolico. Si tratta di una Basilica Papale ma non è quella dove ci eravamo abituati a pensare i sepolcri dei papi. Si può essere semplici e controcorrente. Ma non nel senso in cui a volte ci è sembrato di sentire raccontare Francesco: quasi una sorta di “Giamburrasca” del Vaticano. Dietro alle scelte, piuttosto, c’è un bagaglio di comprensione da non sottovalutare.

Oltre la dichiarata personale devozione per la Madre di Dio e Madre della Chiesa, c’è quella lettera che Papa Francesco ha scritto cinque anni fa al presidente della Pontificia Accademia Mariana Internazionale (PAMI), padre Stefano Cecchin, firmata il 15 agosto 2020. Francesco ha chiesto di liberare Maria dall’immagine di una donna sottomessa che tanto è utile alle logiche familistiche e impenetrabili delle mafie, e di tutti gli apparati di potere.

Si comprende l’importanza e l’urgenza di riscoprire l’umiltà di Maria che non è sottomissione o sudditanza. È la scelta libera di una donna forte di aderire totalmente al Mistero della Salvezza. Peraltro, già l’esortazione apostolica Marialis Cultus di Paolo VI nel 1974 chiariva che “Maria non è donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante, ma donna che non dubitò di proclamare che Dio è vindice degli umili e degli oppressi e rovescia dai loro troni i potenti del mondo”. Francesco ha inoltre nominato suor Raffaella Petrini Presidente del Governatorato e suor Simona Brambilla primo Prefetto donna. Sono gesti concreti che suonano come promesse di un cambio di passo al quale solo il futuro potrà dare compimento. Nel linguaggio e nei fatti.

Il papato di Francesco e il consesso internazionale

A livello di equilibri internazionali sembrano di nuovo sdoganate le logiche di potenza, con l’emergere di poteri forti vecchi e nuovi, strutture, condizionamenti che non rispondono a criteri evangelici e neanche a principi del diritto internazionale. A questo proposito, Papa Francesco si è inserito nella tradizione curiale che risale a Paolo VI, chiedendo il rispetto del diritto internazionale e il coinvolgimento dell’ONU, un organismo che però risulta bloccato nel fuoco incrociato di veti.

Da Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin ha parlato di una organizzazione caduta nella “apatia” e nella “irresponsabilità” e per giunta “passiva dinanzi alle ostilità subite da popolazioni indifese”. Da qui alcune mediazioni. Pensiamo ai buoni uffici posti dalla Santa Sede nel processo di normalizzazione delle relazioni bilaterali cubano-statunitensi, rotte dopo la rivoluzione castrista, giunto ad un accordo nel 2014. Inoltre, Francesco ha coinvolto altri personaggi, nei casi conosciuti alcuni cardinali, come Ortega per Cuba e Zuppi per l’Ucraina, per attivare una diplomazia più “personalizzata”. Peraltro si sa di altri contesti come nel Sud Sudan e in Repubblica Democratica del Congo. In ogni caso, sono canali ricondotti sotto il lavoro della Segreteria di Stato, confermando “creatività” e tradizione. Un binomio in cui restano centrali i valori.

Tra guerre vecchio stampo e ripensamenti dell’ordine mondiale, tra antiche diseguaglianze e moderne forme di rapacità economica, è urgente infatti ricordare – e Papa Francesco come altri Papi ha cercato di chiarirlo – che le istituzioni occidentali vanno ricongiunte alle loro radici di civiltà più profonde: quelle che dal nomos greco, dallo ius romano, dalla Legge ebraica conducono all’affermazione netta della centralità assoluta della persona umana, e della sua superiorità rispetto a ogni potenza terrena, asserita dall’umanesimo cristiano. Anche l’obiettivo è urgente: frenare la consunzione delle barriere contro l’abuso del potere, alla quale stiamo assistendo. E sulla centralità della persona c’è tutta la fermezza della Chiesa.

Le ultime volontà di Papa Francesco

ROMA, ITALIA – 8 DICEMBRE: Papa Francesco celebra la Festa dell’Immacolata Concezione donando tre Rose d’Oro all’antica icona romana “Maria Salus Populi Romani” nella Basilica di Santa Maria Maggiore, l’8 dicembre 2023 a Roma, Italia. FOTOGRAFIA DI Vatican Media

Le esequie

Tornando al commiato, ci sono poi le nuove regole volute da Francesco per le esequie. In questo caso, non ha disposto per sé ma in generale per i Pontefici. Tra le novità c’è stata la constatazione della morte non più nella camera del defunto ma nella cappella dell’abitazione Domus Sanctae Marthae; la deposizione immediata dentro la bara; l’eliminazione delle tradizionali tre bare di cipresso, piombo e rovere a favore di una di legno e zinco. La bara di Papa Francesco, esposta nei giorni 23, 24 e 25 aprile nella Basilica vaticana, è stata deposta davanti all’Altare della Confessione su una piccola pedana leggermente inclinata, posta su un tappeto a terra, e non sul catafalco come è sempre avvenuto nel passato.

La salma è rivestita delle vesti liturgiche rosse, con mitra e pallio, e il rosario tra le mani. Manca il pastorale papale. Francesco si è presentato da vescovo di Roma. D’altra parte, ha diffuso di sé l’immagine del “parroco del mondo”, vicino alla gente, lontano dalle aristocrazie. Un’immagine alla quale hanno dimostrato di essere affezionati i fedeli che nel primo giorno di esposizione a san Pietro sono arrivati in 20.000. Un modo di fare che ha conquistato molti ma che ha rischiato di essere assimilato al vento di populismo che ha contagiato la nostra epoca.

Ma il punto importante non è soltanto come abbia presentato al mondo il vicario di Cristo ma anche cosa abbia disposto per vescovi e cardinali: nel 2021 con Motu proprio ha stabilito che i cardinali e i vescovi, quando sono accusati di reati penali comuni (non religiosi), siano processati nel Tribunale vaticano, come tutti gli altri cittadini, secondo i tre gradi di giudizio. Ha eliminato il privilegio di un pronunciamento da parte di una commissione per gli alti prelati. È una decisione destinata a rimanere, salvo un intervento diretto ed esplicito del prossimo Papa, più di un’immagine.

I Novendiali

Nessuna variazione per l’antica consuetudine dei Novendiali: per nove giorni consecutivi si svolgono particolari celebrazioni dell’Eucaristia, a partire dalla Messa esequiale il 26 aprile alle ore 10.00 sul sagrato della Basilica di San Pietro. I Novendiali sono celebrazioni aperte che in realtà prevedono, ogni giorno, la partecipazione di un “gruppo” diverso, in base all’Ordo Exsequiarum Romani Pontificis. Interessante notare chi celebri in questo caso. Domenica 27 aprile, ore 10.30, presiede il cardinale Pietro Parolin per i dipendenti del Vaticano. Si tratta del “già” Segretario di Stato perché tutte le cariche risultano automaticamente decadute alla morte di un Papa.

Il richiamo è all’art. 6 della Costituzione apostolica Pastor Bonus di Giovanni Paolo II abrogata dalla Praedicate Evangelium di Francesco ma non per tale articolo. Tutti i Capi dei Dicasteri della Curia Romana, sia il Segretario di Stato sia i Prefetti sia i Presidenti Arcivescovi, come anche i Membri dei medesimi Dicasteri cessano dall’esercizio del loro ufficio. Fanno eccezione il Camerlengo di Santa Romana Chiesa e il Penitenziere Maggiore, che continuano a svolgere gli affari ordinari, facendo riferimento al Collegio dei cardinali. Allo stesso modo, in base alla Costituzione apostolica Vicariae potestatis, il Cardinale Vicario per la diocesi di Roma non cessa dal suo ufficio e non cessa, per la sua giurisdizione, l’Arciprete della Basilica e Vicario Generale per la Città del Vaticano.

La Sede vacante verso il conclave

Ci si augura che la Salus Populi Romani, l’icona così tanto venerata da Papa Francesco, vegli sulle sue spoglie mortali, sui suoi propositi migliori e sulla Chiesa che si presenta all’appuntamento del prossimo Conclave. I cardinali hanno giurato di osservare fedelmente le norme della Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis circa la vacanza della Sede Apostolica e l’elezione del Romano Pontefice promulgata da Giovanni Paolo II nel 1996. Una costituzione che, come mille altre, introduceva cambiamenti. A conferma di un cammino della Chiesa che ci ricorda la definizione della Chiesa secondo il Concilio Vaticano II: “Un popolo di Dio in cammino”. Un’espressione, usata da Francesco in quel primo affaccio dalla Loggia, che presuppone passi concreti senza immobilismi ma che va letta nel suo insieme: soffermarsi troppo sulle specificità di un tratto finirebbe per far passare per nuovo anche ciò che non lo è.

Papa Bergoglio non è stato un “intruso” nella storia della Chiesa, come sembrerebbe da analisi protese a sottolinearne la novità, ma un figlio di questa storia, fatta dalle gerarchie e dal popolo di Dio. Nessuno si avverta esente da responsabilità. Una storia che prosegue e che ci interroga sul futuro di una Chiesa, al di là degli entusiasmi, missionaria anche in Paesi un tempo cattolici.

Nuova luce alla fede

Presentati i restauri ad opere e spazi della Basilica di san Pietro

Nuova Luce alla Fede

di Fausta Speranza

Osservatore Romano, 11 Aprile 2025

Luce e memoria, bellezza e sicurezza, contemplazione e fede sono i termini chiave per raccontare gli interventi di restauro — presentati stamane nella Sala stampa della Santa Sede —, che hanno interessato opere d’arte e luoghi all’interno della basilica Vaticana.

Dei lavori, a cura della Fabbrica di San Pietro, ha parlato innanzitutto il cardinale arciprete Mauro Gambetti, vicario generale di Sua Santità per la Città del Vaticano e presidente della Fabbrica di San Pietro, esprimendo «la gioia di presentare attività su cui si lavora da anni» e sottolineando l’obiettivo di «assicurare a pellegrini e turisti quell’esperienza di memoria e di fede che la basilica, patrimonio lasciato in eredità, regala sempre e in particolare nel cuore del giubileo della speranza». In termini di numeri si tratta di «12 milioni di visitatori ogni anno e del doppio nell’anno giubilare».

Si è intervenuti sul monumento funebre di Paolo III e su quello di Urbano VIII, ma anche per la riqualificazione illuminotecnica della Necropoli, delle Sale archeologiche e delle Grotte Vaticane. Inoltre è stato messo a punto un piano di esodo dalla basilica, realizzato in sinergia con il Corpo dei Vigili del Fuoco italiano, d’intesa con il Comando dei Vigili del Fuoco del Governatorato vaticano.

Chiaro l’obiettivo di fondo — ha sottolineato Gambetti — di migliorare la conservazione di beni e di garantire maggiore sicurezza attraverso l’implementazione tecnologica. In particolare, il cardinale ha ricordato che la basilica è «accogliente ed esposta» per poi definire il progetto messo a punto per l’uscita più veloce dei pellegrini o l’evacuazione dalla basilica «un modello esemplare a livello mondiale in tema di accessibilità ai luoghi di culto più impegnativi e ai beni monumentali in genere». Tutto è iniziato con la scansione in 3D della basilica, ha spiegato Stefano Marsella, direttore centrale per l’innovazione tecnologica e risorse logistiche del Dipartimento dei Vigili del Fuoco italiano.

Gesti per «un accompagnamento di luce nella memoria» che si ritrova in tutte le opere e gli spazi interessati e che è frutto di un lavoro di squadra. A raccontarlo sono stati gli interventi in conferenza stampa di Alberto Capitanucci, responsabile dell’Area tecnica e beni culturali della Fabbrica di San Pietro, che ha citato la collaborazione dei Musei Vaticani, e di Pietro Zander, responsabile della Sezione Necropoli e Beni artistici della Fabbrica di San Pietro.

Il professor Zander ha parlato di «una rosa di lavori» che ha permesso di assicurare «una migliore fruizione e anche un tocco di didattica». Ha spiegato infatti che nella Necropoli la scala di accesso ripropone ora una “scala del temp o”: ogni gradino indica 70 anni di storia, dall’anno 64 della morte di san Pietro ai tempi nostri. E sono stati aggiunti pannelli che aiutano a comprendere la collocazione temporale rispetto alla basilica.

Inoltre, ha invitato a scoprire la scelta in vari casi di riportare le statue alla loro originalità, così come si presentavano prima di interventi “censori” che hanno coperto alcune nudità. A questo proposito è stata citata una delle statue allegoriche in marmo del monumento funebre di Paolo III, opera di Guglielmo Della Porta, completato nel 1574.

L’altro monumento funebre interessato dai restauri, quello di Urbano VIII fu commissionato dal Papa stesso a Gian Lorenzo Bernini nel 1628. Si tratta di due Pontefici e delle due importanti famiglie, quella Farnese e quella Barberini, che hanno segnato ampi periodi storici. È stato anche ricordato il contributo assicurato dalle tantissime offerte dei visitatori e quello di vari benefattori, citando i Cavalieri di Colombo, Osram/Zumtobell e altri istituti filantropici.

La basilica resta un luogo privilegiato — ha ribadito il cardinale Gambetti — per «un’immersione nella storia e un’esperienza profonda del sacro». E gli interventi presentati sono «il segno di una Chiesa viva e attenta alle cose di Dio, uomini e donne del nostro tempo assetati di autentica spiritualità», secondo l’incoraggiamento di Papa Francesco che — ha ricordato il cardinale — chiede di essere «artigiani di speranza e restauratori di umanità».

All’incontro con i giornalisti si sono rese disponibili anche le due restauratrici che hanno avuto la fortuna di essere presenti giovedì pomeriggio quando a sorpresa è arrivato il Papa. Quando — ha detto il cardinale arciprete della basilica — «Francesco è entrato, come fanno tanti pellegrini, alla ricerca delle fonti della cristianità, della testimonianza apostolica di P i e t ro »

Osservatore  Romano

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2025-04/quo-083/nuova-luce-alla-fede.html

11 Aprile 2025

Un progetto di vita oltre l’assistenza

Un progetto di vita oltre l’assistenza

9 aprile 2025

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2025-04/giubileo-disabilita-ambasciata-italia-santa-sede.html

Talenti e capacità sono i due termini che meglio aiutano a riassumere il dibattito tenutosi, in vista del Giubileo delle persone con disabilità, a Palazzo Borromeo, con la partecipazione del ministro per le Disabilità, Alessandra Locatelli, e il contributo di suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità della Cei

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Talenti e capacità sono i due termini che meglio aiutano a riassumere il dibattito avvenuto nella giornata del 9 aprile a Palazzo Borromeo, organizzato dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, in collaborazione con il Comitato Interministeriale per i Diritti Umani, con la partecipazione del ministro per le Disabilità, Alessandra Locatelli.

Sono intervenuti diversi rappresentanti delle principali realtà federative e associative del mondo della disabilità insieme con rappresentanti della società civile, imprenditori e sportivi, tra cui il presidente di Athletica Vaticana Giampaolo Mattei e l’atleta Sara Vargetto.

Suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità della Conferenza episcopale italiana (Cei) ha inviato un video in cui ha sottolineato, tra l’altro, che “negli ultimi anni si sta operando su tutti gli ambiti – pastorale, realtà abitative, affettività, scuola, lavoro, sport, aggregazione, turismo – nell’ottica di un intero progetto di vita”.

In vista del Giubileo delle persone con disabilità, in programma il 28 e 29 aprile prossimi, l’evento, dal titolo “Scoprire, tutelare e sviluppare il valore delle Persone con Disabilità”, è stata l’occasione per riflettere e approfondire i temi dell’inclusione e della disabilità dopo l’udienza di Papa Francesco ai ministri per le Disabilità del G7 lo scorso mese di ottobre. Dalla formazione al lavoro, dal tempo libero allo sport, si è parlato di come superare barriere culturali. Tante e tutte toccanti le testimonianze personali, a partire dalla senatrice e atleta Giusy Versace.

Della sua scoperta di essere malata di Sla e dell’impegno tra tante sfide di imprenditrice di successo ha parlato Dalila Russo, impegnata nell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (Aism). Di moda e di creatività ma anche dell’esperienza di forte inclusione che vive la sua azienda ha parlato Marco Bartoletti, (BB Holding). Della cooperativa Arte e Libro Onlus hanno riferito la responsabile Katia Mignogna e Marco, uno dei giovani e talentuosi dipendenti.

La testimonianza di Marco

Da tutti è giunta testimonianza di quanti talenti emergano se si guarda alle reali potenzialità di ognuno dietro alle forme di disabilità che in molti casi – come ha sottolineato il ministro Locatelli – “non ci parlano di fragilità ma della forza e dell’energia messa in campo per cammini di vita straordinari”.

 

Il dialogo interreligioso come leva per la coesione sociale

Fortificare le “strutture spirituali” delle società

8 aprile 2025
Osservatore Romano
Alla Pontificia Università Antonianum, l’8 e 9 aprile, il Convegno “Comuni orizzonti”, organizzato dal Centro internazionale di dialogo (Kaiciid) con il Centro europeo dei leaders religiosi (Ecrl). Al centro del confronto l’esigenza di trovare percorsi interreligiosi per la coesione sociale e di giustizia climatica in Europa

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Fortificare le “strutture spirituali” delle società che risultano in crisi ovunque: è l’obiettivo che emerge dal Forum intitolato “Comuni orizzonti” organizzato dal Centro internazionale di dialogo (Kaiciid) con il Centro europeo dei leaders religiosi (Ecrl) l’8 aprile e 9 aprile presso la Pontificia Università Antonianum. In particolare, si discute di “percorsi interreligiosi per la coesione sociale e di giustizia climatica in Europa”.

L’intervento del cardinale Koovakad

«Cultura ecologica non significa occuparsi di questioni ambientali ma è piuttosto una visione, un progetto di sviluppo integrale che si pensa per il bene comune di tutto il mondo», ha sottolineato il cardinale George Jacob Koovakad, prefetto del Dicastero per il dialogo interreligioso, ricordando innanzitutto l’Enciclica Laudato Sì che dieci anni fa Papa Francesco presentava al mondo. Si tratta — ha sottolineato — di un invito a «concepire una comunità umana più fraterna e in grado di occuparsi delle profonde interrelazioni che ci sono tra le maggiori sfide attuali: le crescenti diseguaglianze, il consumo non sostenibile delle risorse del pianeta, i conflitti». In questo contesto la Santa Sede e i credenti — ha aggiunto — possono innanzitutto contribuire a ribadire e difendere l’imprescindibile dignità della persona umana e il valore dell’educazione.

Una nuova alleanza sui valori dell’umanesimo

Il rettore dell’Antonianum, fratel Augustin Hernandez Vidales, ha ribadito l’importanza di una «nuova alleanza culturale intorno ai valori dell’umanesimo», sottolineando che «la Laudato Sì rappresenta lo strumento ermeneutico imprescindibile». Ha poi parlato di «dignità ontologica che deve farsi dignità sociale», per contrastare lo scenario cui assistiamo di «frammentazione». E gli ambiti in cui i leader religiosi sono più chiamati ad essere “lievito” di solidarietà e di giustizia sono quelli del «sapere, della cultura, della responsabilità». Per questo ha lanciato il suo invito a concepire «un’intelligenza integrale».

L’obiettivo del Forum è stato ribadito e sottoscritto da tutti: creare sempre più forti reti di dialogo e di collaborazione. E secondo il Segretario generale di Kaiciid, ambasciatore Antonio Almeida-Riberio, servono «idee fresche per approcci sempre nuovi perché il dialogo non sia fatto di parole ma di esperienze».

Intervista con António de Almeida-Ribeiro

Le “strutture spirituali” e il contributo sociale dei leader religiosi

A suggerire l’espressione “strutture spirituali” per discutere del possibile concreto contributo dei leader religiosi nelle società è stata Kiran Bali, magistrato del Regno Unito e leader del Global Chair of the United Religions Initiative. Bali ha invitato a considerare «le reti e i ponti di dialogo tra le religioni come ideali software per le politiche sociali che possono essere considerate come gli hardware di una società». Inoltre, Bali ha ricordato che sono le donne le prime vittime dei disastri ambientali per poi affermare che «la paura per le conseguenze dei cambiamenti climatici deve diventare una finestra di occasioni per riscoprire valori fondamentali».

Kiran Bali

 

Su quella che ha definito una «aggressiva secolarizzazione», in atto nei Paesi europei e non solo, si è soffermata Kari Mangrud Alvsvåg, presidente dell’Ecrl e vescovo della chiesa protestante di Norvegia. Immaginando ruoli e compiti dei leader religiosi, ha lanciato un sentito appello a «esplorare e discutere senza smettere di insegnare alle persone a pregare e a difendersi dalle manipolazioni», per poi raccomandare di «essere uniti su tutto ciò che unisce e empatici». «Non si può essere sempre ottimisti, considerando quello che ci circonda ma — ha affermato — si può sempre essere donne e uomini di speranza».

L’eredità di San Francesco

Il termine crisi è tornato nell’intervento di fratel Giuseppe Buffon, vice rettore e direttore del Centro di ricerca dell’Antonianum, che ha definito i contorni di «una crisi sociale che si esprime in forme nuove di colonialismo e imperialismo ma che è innanzitutto crisi epistemiologica, di senso e significato». Particolare il suo appello a discutere di fonti energetiche sostenibili ma anche di «energia per la vita». Inoltre, parlando di riscoperta dei valori della filosofia e della religione in Occidente, ha richiamato l’attenzione su un aspetto dell’eredità di san Francesco: «Aver chiarito 800 anni fa che cosa sia la fraternità ricordando la comune condizione  al cospetto di Dio: nullu omo ène dignu te mentovare».

Fratel Giuseppe Buffon

 

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2025-04/dialogo-religioni-societa.html

Alla Camera dei Deputati su Giubileo migrazioni

Alla Camera dei Deputati su Giubileo e migrazioni

ricordando Madre Cabrini

 

 

 

 

“Verso il Giubileo delle migrazioni nel ricordo di Santa Francesca Cabrini”

Si è svolto alla Camera dei Deputati lunedì 31 marzo 2025 l’incontro “Verso il giubileo delle migrazioni, nel ricordo di Santa Francesca Cabrini”. L’evento è stato moderato da Gianni Lattanzio direttore editoriale “Meridianoitalia”.

Su Aise: https://www.aise.it/anno/verso-il-giubileo-delle-migrazioni-nel-ricordo-di-santa-francesca-cabrini-domani-la-presentazione-alla-camera/217304/1

L’articolo su Fatti Nostri: 

Alla Camera dei Deputati l’incontro “Verso il giubileo delle migrazioni, nel ricordo di Santa Francesca Cabrini”

L’intervento di Fausta Speranza:

 

Tra libertà e potere, una riflessione sulle origini del “costituzionalismo”

Tra libertà e potere, una riflessione sulle origini del “costituzionalismo”

di Fausta Speranza
28 febbraio 2025 VaticanNews
https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2025-02/costituzioni-liberta-potere-valori-persona-cristianesimo.html
Le costituzioni come le democrazie non sono scontate: nel dibattito pubblico serve ritrovare l’idea antica di libertà dell’essere umano, connessa alla concezione filosofica e religiosa della sua dignità. Pena la deriva del “dirittismo” o del “rudimentale presentismo”. La riflessione dello storico Eugenio Capozzi nel suo ultimo libro “Libertà o potere. Ascesa e declino delle costituzioni”

Tra guerre vecchio stampo e più o meno improvvisi ripensamenti dell’ordine mondiale, tra antiche diseguaglianze e moderne forme di rapacità economica, si discute della fragilità o meno delle democrazie occidentali mentre nuovi soggetti si palesano nel consesso delle decisioni politiche in virtù della potenza tecnologica che rappresentano. Un dibattito doveroso che rischia però di rimanere in superficie se non si torna a parlare dei fondamenti delle carte costituzionali, di quei valori condivisi su cui poggia il concetto di diritti umani inalienabili. E’ quanto mette in luce l’ultimo libro dello storico Eugenio Capozzi Libertà o potere. Ascesa e declino delle costituzioni (Macerata, Liberilibri, 2025, pagine 116, euro 15).

Intervista audio con Eugenio Capozzi

Viene subito in mente la difficoltà di parlare di valori nel contesto attuale che risulta segnato dal relativismo e stordito dall’inflazione dei diritti. Il professor Capozzi, ordinario di storia contemporanea presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, affronta proprio questa sfida raccontando in estrema sintesi la profondità del percorso storico che abbiamo alle spalle e mettendo a fuoco con estrema chiarezza la posta in gioco.

Il primo passo: chiarezza sui termini

Si comincia con il chiarire alcuni fraintendimenti sui termini, partendo dal concetto di costituzione. Nel discorso pubblico i temi relativi alla politica e al diritto prima o poi vi fanno necessariamente riferimento, ma questo non vuol dire – avverte Capozzi – che il concetto sia generalmente adoperato a proposito, o che le sue varie possibili accezioni siano sempre pienamente comprese: “Spesso la sua evocazione superficiale e inflazionata favorisce un notevole margine di ambiguità e genera molti equivoci”. Pensandoci bene, tra le varie accezioni ce ne sono almeno due molto comuni. La prima è quando per costituzione si intende la “legge fondamentale” di un ordinamento politico alla quale le leggi ordinarie dovrebbero conformarsi. In questo senso viene considerata da un punto di vista puramente formale come documento approvato da un potere legislativo, benché speciale, qual è un’assemblea costituente. La seconda è rappresentata dall’uso del termine costituzione come sinonimo di “forma di governo”, dunque una tipologia qualsiasi di regime politico. Si comprende effettivamente che i margini di interpretazione si dilatano. Peraltro, al di là del linguaggio più comune, gli studiosi a volte parlano di costituzione anche per definire l’articolazione concreta di una società: dall’assetto socio-economico al diritto, dall’amministrazione alle istituzioni propriamente politiche.

L’Occidente non rinneghi la sua concezione etico-politica

In ogni caso, fin qui – ci fa capire Capozzi – non si arriva al cuore della questione. Riusciamo a farlo se parliamo di “costituzionalismo” intendendo non tanto la branca della scienza giuridica dedicata allo studio del diritto costituzionale, quanto piuttosto l’universo delle idee, costumi, norme, istituti finalizzati a difendere la libertà di individui e comunità contro abusi ed eccessi del potere politico. Capozzi si sofferma proprio su questa accezione etico-politica e sulla visione del mondo e dell’uomo formatasi nella storia di ciò che oggi chiamiamo Occidente, ribadendo che “le costituzioni sono valori, prima di essere dati di fatto”.

La superficialità  che apre al “presentismo”

Si vuole discutere di libertà e potere e non di libertà o potere. Il punto però è che nella cultura diffusa, nella dialettica politica e spesso anche in quella intellettuale, questa priorità dei principi, e il loro effettivo significato, raramente emergono, sommersi da figure retoriche, polemiche di parte, generici e imprecisi luoghi comuni. Per non parlare della tendenza che Capozzi definisce “rudimentale presentismo”, cioè un appiattimento sugli ordinamenti liberaldemocratici occidentali contemporanei che non considera lo sviluppo storico con tutte le sue dialettiche. Significa ritrovarsi con ordinamenti che si presentano come contenitori svuotati di senso. Peraltro fare a meno dello spessore storico significa appiattirsi su una visione che perde di vista la complessità del mondo e questo alimenta l’illusione, ben nota, che tali modelli di regime liberaldemocratico siano naturalmente destinati ad estendersi su base planetaria.

L’urgenza di recuperare la concezione originaria di libertà

Guardare alle origini e allo sviluppo delle costituzioni, che oggi tendiamo a considerare come un dato ovvio e scontato, significa ritrovare un’idea molto antica di libertà dell’essere umano, connessa alla concezione filosofica e religiosa della sua dignità. Un’idea che prende forma tra la civiltà greca, quella romana e quella ebraica, e trova una sintesi peculiare nel cristianesimo, traducendosi in cultura, equilibri sociali, ordinamenti giuridici, istituzionali e politici. E’ proprio qui la forza della cultura costituzionale, che è sopravvissuta ai totalitarismi del Novecento non senza drammi e che – sottolinea Capozzi – “può continuare a svolgere una funzione di lievito, in grado di reagire in forma efficace ai profondi mutamenti delle diverse epoche”.

Il dramma di tagliare i riferimenti

Ci rendiamo conto che per quanto la maturazione di un’idea universalistica di diritti, libertà, dignità sia caratteristica essenziale dell’umanesimo occidentale ed elemento fondante della “tecnica” costituzionale, non può essere data per scontata la sua sopravvivenza, se si negano i riferimenti culturali, morali, religiosi condivisi che ne erano alla base. Si capisce la gravità di negare l’idea stessa di “un comune sentire”. Capozzi avverte: “Il mantenimento di un legame costante tra le società nate nella storia da una civiltà e le radici di quella civiltà in termini di rappresentazione del mondo e di principi fondanti non costituisce – come sostengono gli aedi del dirittismo – un freno alla libertà, ma al contrario la sua condizione primaria, il presupposto che consente agli individui viventi in quelle società di essere spiritualmente e culturalmente autonomi, e quindi di non soccombere al mito del potere demiurgico”.

Nello stordimento degli “aedi del dirittismo”

L’espressione “aedi del dirittismo” ben si comprende quando lo storico denuncia un dibattito intellettuale in cui “si adopera il termine diritti in modo confuso, generico, senza darne una definizione chiara e condivisa e senza il doveroso riferimento alla precisa concezione dell’uomo di cui sono emanazione”. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: si mettono in un unico calderone diritti civili, politici, sociali, aggregando rivendicazioni che con l’una o l’altra di queste categorie, o con tutte, hanno in realtà poco a che spartire. L’avvertimento è preciso: “L’inflazione dei diritti ne svilisce la dignità”. E Capozzi individua anche la “matrice” di questo processo parlando di “’religioni secolari’ che propongono di smontare e ricostruire la società secondo un progetto di presunta razionalità totale”. A quel progetto è funzionale la “mutazione genetica della politica in cui l’intera eredità dell’umanesimo classico, ebraico-cristiano ed europeo si avvia ad essere completamente snaturata”, colpita dalla “azione corrosiva di nuove (ma per molti versi vecchie) ideologie”.

Le barriere contro l’abuso di potere ci sono ma vanno difese

Si comprende l’urgenza di ricongiungere le istituzioni occidentali alle loro radici di civiltà più profonde: quelle che dal nomos greco, dallo ius romano, dalla Legge ebraica conducono all’affermazione netta della centralità assoluta della persona umana, e della sua superiorità rispetto a ogni potenza terrena, asserita dall’umanesimo cristiano. Anche l’obiettivo è urgente: frenare la consunzione delle barriere contro l’abuso del potere, alla quale stiamo assistendo.

Osservatore Romano

su Famiglia Cristiana: Terra Santa, a Gerusalemme un museo che “racconta” la convivenza delle fedi

Terra Santa, a Gerusalemme un museo che “racconta” la convivenza delle fedi

 

 

07/02/2025  I lavori sono avviati 
e sarà ospitato nel complesso della Chiesa del Salvatore a Gerusalemme. Il superiore della Basilica del Santo Sepolcro, fratel Stefan Milosevich: «L’obiettivo è di raccontare attraverso documenti storici e opere d’arte della Custodia lo spessore storico della convivenza possibile di questa terra dove, nonostante tutto, da otto secoli i cristiani convivono con ebrei e musulmani. Questa non è la città che divide ma dove si vive insieme»

di Fausta Speranza

“Nessuna ricerca identitaria, piuttosto una ricca rappresentazione della condivisione che vive da secoli Gerusalemme, anche quando si racconta solo altro”: nelle parole del Superiore della Basilica del Santo Sepolcro, fratel Stefan Milosevich, è questo l’obiettivo del secondo grande polo espositivo che sta nascendo grazie ai frati della Custodia di Terra Santa nel cuore più antico della città.

Arte e Storia in un Museo

Si tratta del Museo dedicato ad Arte e Storia ospitato nel complesso della Chiesa del Salvatore, mentre quello archeologico, fondato nel 1902 e modernizzato di recente, si trova attiguo alla Chiesa della Flagellazione. “E’ un’operazione culturale nel senso più autentico perché racconta l’incrocio delle culture”, ci dice fratel Stefan, mentre ci apre la porta su sale che avvertiamo piene di significati anche se si presentano appena pitturate e ancora vuote. Ci preannuncia l’arrivo “a breve” del “maestoso bassorilievo di risurrezione” per l’ingresso del Museo. Per l’apertura del Museo invece non c’è certezza.

La promessa è coinvolgente:

Chi viene in Terra Santa ritrova luoghi originari della propria fede ed è la straordinaria ricchezza che ognuno si aspetta, ma c’è anche una dinamica opposta: nelle opere che conserviamo in Terra Santa si ritrovano radici occidentali”. Testimonianze uniche di vari periodi storici che altrove sono state travolte da conflitti e distruzioni mentre “qui, nella terra considerata troppo spesso solo come luogo emblematico di conflittualità, sono preservate e conservate”.

L’impressione è di trovarsi all’interno di uno scrigno dove le preziosità tradiscono lo splendore della cura nella provvisorietà di un trasloco, mentre il valore della memoria illumina tutto.

Opere ed oggetti sono stati catalogati come i quadri, o restaurati come le ceramiche.

Attese e speranze

Manca il passo decisivo dell’allestimento vero e proprio. Fratel Stefan ci confida: “Abbiamo avuto una battuta d’arresto per l’escalation delle violenze dal 7 ottobre 2023 perché “la Custodia ha deciso di devolvere le risorse per l’assistenza di civili, in particolare di donne e bambini”, vittime di conflitti che in questa regione hanno diversi fronti. La priorità sono sempre le persone ed è proprio quello che ci racconta la ricca collezione di brocche, vasi, orci da speziale, farmacopee, ricettari e registri di medicinali della Farmacia del monastero di San Salvatore.

La cura per tutti

Fratel Stefan lo sottolinea: “I francescani hanno curato a partire dal XV secolo tutti coloro che ne avevano bisogno: locali o pellegrini, ebrei e musulmani di qualunque nazionalità”. E’ accaduto anche mentre si inasprivano o scoppiavano conflitti e ha permesso di intessere “tele di rapporti”.

Con un’espressione velata da amarezza fratel Stefan sottolinea: “Quante volte si dice dei rapporti difficili con ebrei ma noi conserviamo attestati di benevolenza e di stima e lo viviamo anche oggi”. Ci fa un esempio concreto e simpatico: “Moltissimi ebrei vengono in visita nelle nostre cantine che conservano botti e strumenti di un tempo”.

Vino e culture

L’antica terra di Canaan è stata culla e luogo di diffusione della coltivazione della vite ben due millenni prima che la cultura del vino arrivasse in Europa e durante il periodo romano e bizantino, la Giudea e le città portuali di Ashkelon e Gaza erano considerati centri vitali per la produzione, ma durante il dominio musulmano, poiché la legge proibisce ai credenti musulmani di bere, era possibile coltivare solo uva da cibo. Tra il XII e il XIII secolo, i crociati provarono a reimpiantare le viti ma era più semplice importare il prodotto finito dall’Europa. Il rinnovamento della vinificazione in Israele è del XIX secolo: da qui tanta curiosità per pezzi di storia mancanti.

In tema di radici

In realtà, fratel Stefan ci chiarisce di cosa stiamo effettivamente parlando discettando di vino: “Noi abbiamo le nostre radici nel giudaismo, ma loro in queste opere trovano le loro radici umane occidentali e le trovano paradossalmente nelle chiese”. Comprendiamo che la cultura occidentale che in questa terra non si avverte è viva nel patrimonio di questo museo in fieri. Peraltro, il vino racconta frammenti di dialogo anche con i musulmani: durante il dominio dei mamelucchi e poi in particolare sotto quello ottomano, i frati hanno dovuto acquistare permessi per produrre il vino necessario alla Messa. C’erano poi i lasciapassare o le autorizzazioni ad aprire e gestire scuole e tanti altri atti amministrativi.

Oltre le aspettative

Fratel Stefan accenna a “centinaia e centinaia di documenti di vari periodi”. Ad imporsi alla vista con tutta l’eleganza e la minuziosità che li contraddistingue ci sono i lavori in madreperla e argento. E anche in questo caso regalano pezzi di passato e di verità. Si tratta di manufatti in gran parte regalati da arabi musulmani che avevano imparato l’arte di questa lavorazione dai francescani stessi. L’obiettivo era insegnare un mestiere che permettesse di vivere e mantenere una famiglia e alcuni di loro, divenuti artisti affermati all’estero, non hanno mai dimenticato gli insegnanti. Un’opera parla per tutte: la riproduzione in miniatura del

Santo Sepolcro.

Il Superiore della Basilica ci mostra come si possa aprire e scoperchiare per mettere bene in luce le parti più significative. Condivide uno sguardo di ammirazione per tanta raffinatezza artistica e di felice stupore per “il rapporto di rispetto, cordialità e perfino di affetto che nasconde”.

Fili di unicità

La sensazione di scoprire tracce uniche di storia la proviamo ancora più decisamente di fronte ai paramenti sacri che fratel Stefan ci mostra estraendoli da un armadio che riesce a contenerne decine e decine. In particolare, colpisce la casula solenne ricamata a mano a Versailles a metà del XVIII secolo e inviata dal re ai frati a Gerusalemme, prima dei saccheggi sull’onda della rivoluzione. E’ intessuta di fili di seta e di oro della migliore qualità, come si addiceva al dono del sovrano di Francia. Con la finezza del disegno e la forza dei colori, che conserva vivissimi, è l’esempio più sorprendente di espressioni artistiche perdute in Occidente che si possono ritrovare nel cuore di Gerusalemme. Sono tutti doni che ricchi pellegrini portavano o che eminenti sovrani inviavano nell’impossibilità di venire in pellegrinaggio: “Era il massimo offrire quello che avevano di più bello”, sottolinea il Superiore con il sorriso del francescano e l’entusiasmo dello studioso.

Scrigni di speranza

“Anche in tutto questo si ritrovano semi della speranza alla quale siamo tutti sempre chiamati come cristiani ma che l’Anno Santo 2025 ci invita a rinnovare e a vivere in profondità di fede”. Così fratel Stefan ci incoraggia a parlare di questi tesori testimoniando che “la speranza è difficile ma non muore mai e tantomeno a Gerusalemme”.

I motivi di preoccupazione per la situazione nel Vicino e Medio Oriente non mancano e fratel Stefan prega perché “presto si possa trovare la via della pace, riaccogliere pellegrini e condividere con un pubblico da tutte le parti del mondo il patrimonio del Terra Sancta Museum.

Lo spessore ella convivenza possibile

Appare chiaro che il Museo non è solo una curiosità intellettuale ma è un messaggio: “Deve essere aperto come aperta è la Chiesa e deve raccontare tutto lo spessore storico della convivenza possibile”. In questa terra – ribadisce – “da otto secoli la Chiesa ha rapporti con comunità ebraiche e musulmane, con pellegrini cristiani e musulmani. Ed è quello che anche oggi noi viviamo nonostante tutto, anche se non viene adeguatamente raccontato”. Un’altra prospettiva ci appare rovesciata. Fratel Stefan riconosce che “la Terra Santa è motivo di preoccupazione perché non sono mancati e non mancano i momenti difficilissimi” ma poi ci regala una verità: “Nel quotidiano dei secoli si ritrovano rapporti piuttosto buoni”.

Nel Santo Sepolcro insieme

Ci parla del suo vivere giornaliero: “Da Superiore della Basilica del Santo Sepolcro io ho rapporti con tutti e quest’anno ad esempio sono docente al Seminario dei greci ortodossi, mentre secondo i mass media sembrerebbe che cattolici, ortodossi, greci, copti, siriaci, siano sempre in accesa lite tra loro”.

Fratel Stefan ci ricorda che “i cristiani non si sono divisi al Santo Sepolcro ma si sono divisi a Efeso, a Calcedonia, in Europa” e sottolinea che “il Santo Sepolcro è un luogo dove la gente lontana altrove si ritrova insieme”. Anche Gerusalemme – ci assicura salutandoci – “non è il luogo che divide, ma il luogo in cui si vive insieme”. Fausta Speranza

Famiglia Cristiana

https://www.famigliacristiana.it/articolo/terra-santa-a-gerusalemme-un-museo-che-racconta-la-storia-dei-francescani-della-custodia.aspx

 

 

Una moneta per il Giubileo

Una moneta per il Giubileo
03 febbraio 2025

 

di FAUSTA SPERANZA

Dodici millimetri di diametro per una lega di metalli di nessun valore. Sono le caratteristiche fisiche della moneta che la Biblioteca Apostolica Vaticana ha scelto, tra le duemila che conserva, per celebrare il Giubileo del 2025. Il magnifico spessore storico e simbolico che la piccola moneta racchiude si palesa nelle parole di Eleonora Giampiccolo, direttrice del Medagliere della Biblioteca. Ci proiettano nel cuore della sensibilità del pellegrino del Medioevo, in una connessione ideale di fede.

Pellegrinaggio e reliquie

Scopriamo che si tratta di un picciolo della zecca di Roma emesso durante il pontificato di Niccolò V Parentucelli in occasione del Giubileo del 1450 e l’emozione già si gonfia di secoli. Poi aggiunge che mentre, al rovescio, reca le chiavi decussate e la legenda NI PP V, cioè Nicolaus Pontifex Pontificum Quintus, al dritto, riproduce il Volto Santo o Velo della Veronica.

Nella spiritualità del Medio Evo

La sensazione è quella di avvertire con forza qualcosa dello spirito che animava i pellegrini che da tutte le parti d’Europa durante il Medioevo facevano di tutto per recarsi al sepolcro dell’apostolo Pietro, così come a quello dell’apostolo Paolo. E il riferimento al Volto Santo evoca una delle reliquie più significative per il Medio Evo cristiano in Europa, di cui il pellegrinaggio ha rappresentato il fenomeno più importante.

Dagli scavi voluti da Pio XII

Per quanto riguarda il Medagliere, dobbiamo ricordare gli scavi archeologici nell’area della Confessione della Basilica vaticana voluti da Pio XII tra il 1940 e il 1949, che hanno portato alla luce quella che è stata riconosciuta come la prima tomba di san Pietro e i resti del trofeo di Gaio nell’area occupata da una necropoli pagano-cristiana del I secolo. Proprio in prossimità della tomba sono riemerse anche le monete custodite nel Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana. A testimonianza di quella devozione nei confronti del «Principe degli Apostoli» espressa dai pellegrini attraverso il dono delle monete fino alla costruzione della nuova Basilica vaticana iniziata a opera di Giulio II nel 1506.

In attesa del nuovo catalogo

Sono circa duemila monete raccolte insieme nel fondo denominato Tomba di san Pietro. Sono state elencate, con una descrizione sommaria e talvolta non priva di inesattezze rispetto agli studi più recenti in materia, dall’allora conservatore del Medagliere Camillo Serafini, in appendice al volume Esplorazioni sotto la confessione di San Pietro in Vaticano eseguite negli anni 1940-1949Relazione a cura di B.M. Apollonj Ghetti, A. Ferrua, E. Josi. E. Kirschbaum, pubblicato nel 1951. Ma è proprio durante l’anno giubilare in corso che, grazie al sostegno dell’Istituto per le Opere di Religione e alla collaborazione di diversi studiosi italiani e stranieri, sarà pubblicato il nuovo catalogo scientifico.

Poche ma emblematiche 

Il numero delle monete è significativo in termini di reperto ritrovato, ma rappresenta una percentuale davvero piccola di quelle che continuamente venivano lasciate sulla tomba o in prossimità della tomba di san Pietro. Quotidianamente venivano raccolte dagli addetti alla pulizia della basilica e da una relazione del cardinale Jacopo Caetani degli Stefaneschi sappiamo che nel solo Anno Santo del 1300 le monete offerte e raccolte dal personale equivalsero a 30.000 fiorini.

Il valore della devozione

Denari, penny, scellini, rappresentano offerte modeste di scarso valore intrinseco, a eccezione di un tremisse d’oro della zecca di Lucca depositato, secondo la tradizione, da Carlo Magno durante uno dei suoi viaggi a Roma. Sono in molti casi pezzi decisamente rovinati ma è intatta la testimonianza dell’uso diffuso della moneta come offerta amorevolmente custodita dal pellegrino nel corso del viaggio per essere donata all’arrivo presso tombe e altari, in ricordo del proprio luogo d’origine e quale memoria dell’esperienza di cammino vissuta.

Al di là dei chilometri

In questo senso, la piccola moneta scelta come “protagonista” del Giubileo che stiamo vivendo, essendo stata battuta nella zecca di Roma, ha percorso poca strada. Ma forse proprio per questo può ricordarci, come sottolinea Giampiccolo, che al di là della lunghezza e della fatica del viaggio conta la giusta predisposizione d’animo che apre all’intensità dell’esperienza.

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2025-02/quo-027/il-valore-della-devozione.html