«Una Amma da riscoprire»

A 350 anni dalla prima apparizione all’apostola del Sacro Cuore di Gesù

2 Giugno 2025

su L’Osservatore Romano:

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2025-06/quo-126/una-amma-da-riscoprire.html

di Fausta Speranza

Dalla Dilexit nos, ultima enciclica di Papa Francesco, al cuore ardente di tradizione agostiniana nello stemma papale di Leone XIV. Senza dimenticare che nello sviluppo della devozione al Sacro Cuore di Gesù una tappa importante è stata l’enciclica di Leone XIII Annum Sacrum. Nella vocazione universale dell’amore, non sorprendono richiami e punti di congiunzione che aiutano, arricchendola, la comprensione di eventi significativi come le celebrazioni giubilari per i 350 anni dalla prima apparizione del Sacro Cuore di Gesù a santa Margherita Maria Alacoque, il 27 dicembre 1673. Le celebrazioni, iniziate a fine 2023, si concluderanno a Paray-Le-Monial, in Francia, il 27 giugno prossimo. Ci sarà in quanto Inviato speciale di Papa Leone XIV il cardinale François-Xavier Bustillo, vescovo di Ajaccio.

Un’occasione privilegiata

L’anniversario rappresenta un’occasione privilegiata per riscoprire «una autentica Amma, madre spirituale», come padre Bernard Ardura, presidente emerito del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, definisce la mistica nata nel 1647 e morta nel 1690 proprio nell’edificio adiacente alla basilique du Sacré-Cœur sorta in Borgogna a Paray-Le-Monial. È stato il luogo delle apparizioni avvenute nell’arco di 17 anni, rese note e valorizzate dal suo padre spirituale Claudio de la Colombière (1641-1682) della Compagnia di Gesù. Oggi è uno dei santuari più importanti di Francia.

«Un ricchissimo messaggio di amore»

Padre Ardura parla di «un ricchissimo messaggio di amore» trasmesso «senza inutili ricerche stilistiche, ma con naturalezza e limpidezza». È quanto si legge nella sua prefazione al volumetto Lettere (Amazon Italia Logistics, 2025, pagine 150, euro 4.50) che racchiude le missive inviate dalla suora Visitandina alla superiora, madre Maria Francesca de Saumaise. Si tratta di un’iniziativa editoriale voluta e sovvenzionata dal gruppo di preghiera nato sui social denominato Trionfo del Sacro Cuore di Gesù. In una serie di agili volumi tematici si ripropongono gli scritti così come riportati nella Vie et Oeuvres de S. Margherita Maria Alacoque, opera a cura di monsignor Francesco Leone Gauthey, (Edizioni de Gigord, 1915), nella traduzione italiana approvata dal Monastero di Paray-le-Monial. Da marzo 2024 sono usciti Consigli particolariPreghiereSfide e istruzioni, oltre a Lettere, ma altri ne seguiranno.

Il testamento spirituale di Francesco

Il 3 giugno, presso la Libreria San Paolo di via della Conciliazione a Roma, verranno presentati in un incontro con don Javier Ortiz, parroco della basilica del Sacro Cuore di Gesù a Castro Pretorio, e Luciano Regolo, codirettore della rivista «Maria con te». Un’occasione di riflessione intorno a quella che la mistica ha definito «la grazia del Cuore di Gesù: incontrare l’amore personale di Gesù per me». Proprio in questi giorni Leone XIV ha inviato alla Conferenza dei vescovi di Francia un messaggio a 100 anni dalla canonizzazione di san Giovanni Eudes, san Giovanni Maria Vianney, santa Teresa del Bambin Gesù. Ricorda che «il compianto Papa Francesco ci ha lasciato, un po’ come un testamento, una bella enciclica sul Sacro Cuore nella quale afferma: “Dalla ferita del costato di Cristo continua a sgorgare quel fiume che non si esaurisce mai, che non passa, che si offre sempre di nuovo a chi vuole amare. Solo il suo amore renderà possibile una nuova umanità”». Leone XIV aggiunge: «Non potrebbe esserci programma di evangelizzazione e di missione più bello e più semplice».

ANSA: https://www.ansa.it/vaticano/notizie/giubileo_news/2025/06/02/giubileoa-fine-mese-si-chiude-in-francia-evento-del-sacro-cuore_90b40301-98ee-494b-90a5-28e72fcf8dc7.html

Tempi di dialogo per “percorsi solitari”

19 maggio 2025

Il nuovo pelagianesimo e gli interrogativi sempre attuali di sant’Agostino in una riflessione con il professor Gaetano Piccolo

di Fausta Speranza

L’illusione che l’uomo possa salvarsi da solo e una ricerca interiore che diventa solipsismo. Sono due attitudini mentali che ritroviamo nel nostro tempo, avvezzo a individualismi e protagonismi. Se è molto chiaro come tutto ciò si palesi oggi amplificato nei social, sembra meno evidente il collegamento con il IV e il V secolo e con il vescovo di Ippona. Ma, parlando con padre Gaetano Piccolo, decano della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana, si comprende quanto possa essere stimolante il salto temporale.

Parliamo della fase storica in cui la Chiesa intesa come istituzione religiosa viveva, dopo l’Editto di Milano del 313 che sanciva la libertà di culto per i cristiani in tutto l’Impero Romano, un notevole sviluppo. Significava anche trovarsi alle prese con l’emergere di tante eresie di cui una in particolare, il pelagianesimo, riporta proprio all’idea che l’uomo possa bastare a se stesso. Si tratta, dunque, di uno dei parallelismi possibili che ci raccontano come sant’Agostino non sia solo un gigante della cultura, della teologia e della spiritualità del passato, ma anche un uomo che parla agli uomini e alle donne del nostro tempo.

L’attualità di sant’Agostino al centro dell’appello di Leone XIV

Recuperare questa consapevolezza aiuta a comprendere la profondità dell’incoraggiamento di Leone XIV: «Viviamo bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi». Sono parole di sant’Agostino che il Papa ha ricordato il 12 maggio scorso nel discorso agli operatori dei media venuti da tutto il mondo per i funerali di Papa Francesco e per il Conclave. Leone XIV, come ha detto al primo affaccio dalla Loggia di San Pietro l’8 maggio, è agostiniano: nel seminario minore dei padri agostiniani ha compiuto gli studi per il diploma conseguito nel 1973; l’Ordine di Sant’Agostino ha scelto nel 1977 per il suo noviziato; dell’Ordine stesso è stato Priore generale dal 2001 per 12 anni.

Oltre l’oracolo di Delfi

Per mettere a fuoco al meglio perché «noi siamo i tempi» — ci suggerisce padre Piccolo — conviene approfondire la correlazione tra le due opere più note del santo di Ippona: le Confessioni, in cui sant’Agostino riflette molto sulla propria interiorità, e il testo De Civitate Dei, in cui riflette molto sui suoi tempi. Innanzitutto padre Piccolo focalizza l’idea di interiorità del santo di Ippona affermando che «attraversa la filosofia classica e dunque abbraccia il presupposto del “conosci te stesso” dell’oracolo di Delfi, ma propone poi la conoscenza di Dio».

Oltre i Soliloqui

Si tratta di un’interiorità che porta fuori il proprio io e, su questo piano, padre Piccolo cita un’altra opera importante, Soliloqui, spiegando che si tratta di un termine inventato da sant’Agostino stesso per spiegare che Agostino dialoga con Agostino, con la sua ragione. Come in uno specchio, trova l’interlocutore cui sottoporre dubbi, aspirazioni, rivelare profonde fragilità e il dialogo diventa strumento per scandagliare lo spirito soprattutto su due argomenti-cardine: Dio e l’anima. Padre Piccolo sottolinea: «Rappresenta in sostanza un dialogo tra sé e la ragione in cui emerge la convinzione che anche la ricerca delle ragioni come la ricerca di Dio non si fa da soli». Peraltro padre Piccolo mette in luce che secondo il vescovo di Ippona «anche il desiderio porta fuori da sé, muove verso altro e in questo senso aiuta a non fermarsi in modo narcisistico su se stessi». In ogni caso, non è ancora l’approdo che regala pienezza. Con sant’Agostino si scopre che il cuore resta «inquieto» se la ricerca non va oltre se stessi e anche oltre il desiderio, se resta su «percorsi solitari» senza arrivare a Dio. In definitiva, si conosce se stessi pienamente se si conosce Dio e la relazione nuova con Dio. Ed è proprio in questa relazione — afferma padre Piccolo — quella «salvezza di Dio che non avrebbe senso se l’uomo si salvasse da solo».

Al di là dell’autocompiacimento

L’argomentare di padre Piccolo a questo punto torna all’uomo di oggi per sottolineare che «ogni visione, ricerca umana è bene che si concentri su di sé ma quel tanto che permetta di trovare segnali e indicazioni che possano portarci fuori». Non a caso, — aggiunge — sant’Agostino darà vita a una comunità, adatterà il suo episcopio a vivere con alcuni chierici, fonderà monasteri, «nella convinzione che nessuno può farcela da solo».  Risulta evidente che stiamo parlando di un’attitudine contraria a quel ripiegamento sul proprio io e a quell’autocompiacimento che producono estraniamento dalla propria coscienza e dall’altro, nonché fuga dalla realtà. E che precludono la scoperta della verità di Dio.

I tempi sono “luogo”

È con tutti questi elementi di consapevolezza che conviene guardare ai tempi. Sant’Agostino li considera come un “luogo” in cui si svolge la storia dell’umanità e come un’occasione di grazia divina. Il tempo infatti è visto come lo “spazio” in cui Dio incontra l’uomo per salvarlo. Per questo è importante aver compreso i suoi concetti di interiorità e di salvezza. Il punto è che ai tempi del vescovo di Ippona, di fronte al disgregarsi della società latina, la Chiesa era accusata dai suoi detrattori di essere la causa del crollo dell’Impero romano. Sant’Agostino, in particolare nel suo testo De Civitate Dei ma non solo, fa ben notare che sono altre le ragioni.

Le vere ragioni della crisi

Il riferimento ai tempi attuali diventa interessante quanto doveroso. «Anche oggi — afferma padre Piccolo — ci interroghiamo sul declino della società occidentale ed è indispensabile saper leggere il presente e chiederci quali siano i veri motivi». Leone XIV, il giorno dopo l’elezione, ha parlato tra l’altro di «perdita del senso della vita, oblio della misericordia, violazione della dignità delle persone nelle sue forme più drammatiche, crisi della famiglia», ricordando che la Parola di Gesù è «fastidiosa per le istanze di onestà e le esigenze morali che richiama». Nel discorso al corpo diplomatico, il 16 maggio, ha affermato che «la Chiesa non può esimersi dal dire la verità sull’uomo e nel mondo» e ieri alla Messa di inizio Pontificato ha chiarito quale Chiesa: «Una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato». Si delinea sempre meglio lo spessore di significati e di responsabilità racchiusi nell’appello a comprendere che «i tempi siamo noi».

Nuova luce alla fede

Presentati i restauri ad opere e spazi della Basilica di san Pietro

Nuova Luce alla Fede

di Fausta Speranza

Osservatore Romano, 11 Aprile 2025

Luce e memoria, bellezza e sicurezza, contemplazione e fede sono i termini chiave per raccontare gli interventi di restauro — presentati stamane nella Sala stampa della Santa Sede —, che hanno interessato opere d’arte e luoghi all’interno della basilica Vaticana.

Dei lavori, a cura della Fabbrica di San Pietro, ha parlato innanzitutto il cardinale arciprete Mauro Gambetti, vicario generale di Sua Santità per la Città del Vaticano e presidente della Fabbrica di San Pietro, esprimendo «la gioia di presentare attività su cui si lavora da anni» e sottolineando l’obiettivo di «assicurare a pellegrini e turisti quell’esperienza di memoria e di fede che la basilica, patrimonio lasciato in eredità, regala sempre e in particolare nel cuore del giubileo della speranza». In termini di numeri si tratta di «12 milioni di visitatori ogni anno e del doppio nell’anno giubilare».

Si è intervenuti sul monumento funebre di Paolo III e su quello di Urbano VIII, ma anche per la riqualificazione illuminotecnica della Necropoli, delle Sale archeologiche e delle Grotte Vaticane. Inoltre è stato messo a punto un piano di esodo dalla basilica, realizzato in sinergia con il Corpo dei Vigili del Fuoco italiano, d’intesa con il Comando dei Vigili del Fuoco del Governatorato vaticano.

Chiaro l’obiettivo di fondo — ha sottolineato Gambetti — di migliorare la conservazione di beni e di garantire maggiore sicurezza attraverso l’implementazione tecnologica. In particolare, il cardinale ha ricordato che la basilica è «accogliente ed esposta» per poi definire il progetto messo a punto per l’uscita più veloce dei pellegrini o l’evacuazione dalla basilica «un modello esemplare a livello mondiale in tema di accessibilità ai luoghi di culto più impegnativi e ai beni monumentali in genere». Tutto è iniziato con la scansione in 3D della basilica, ha spiegato Stefano Marsella, direttore centrale per l’innovazione tecnologica e risorse logistiche del Dipartimento dei Vigili del Fuoco italiano.

Gesti per «un accompagnamento di luce nella memoria» che si ritrova in tutte le opere e gli spazi interessati e che è frutto di un lavoro di squadra. A raccontarlo sono stati gli interventi in conferenza stampa di Alberto Capitanucci, responsabile dell’Area tecnica e beni culturali della Fabbrica di San Pietro, che ha citato la collaborazione dei Musei Vaticani, e di Pietro Zander, responsabile della Sezione Necropoli e Beni artistici della Fabbrica di San Pietro.

Il professor Zander ha parlato di «una rosa di lavori» che ha permesso di assicurare «una migliore fruizione e anche un tocco di didattica». Ha spiegato infatti che nella Necropoli la scala di accesso ripropone ora una “scala del temp o”: ogni gradino indica 70 anni di storia, dall’anno 64 della morte di san Pietro ai tempi nostri. E sono stati aggiunti pannelli che aiutano a comprendere la collocazione temporale rispetto alla basilica.

Inoltre, ha invitato a scoprire la scelta in vari casi di riportare le statue alla loro originalità, così come si presentavano prima di interventi “censori” che hanno coperto alcune nudità. A questo proposito è stata citata una delle statue allegoriche in marmo del monumento funebre di Paolo III, opera di Guglielmo Della Porta, completato nel 1574.

L’altro monumento funebre interessato dai restauri, quello di Urbano VIII fu commissionato dal Papa stesso a Gian Lorenzo Bernini nel 1628. Si tratta di due Pontefici e delle due importanti famiglie, quella Farnese e quella Barberini, che hanno segnato ampi periodi storici. È stato anche ricordato il contributo assicurato dalle tantissime offerte dei visitatori e quello di vari benefattori, citando i Cavalieri di Colombo, Osram/Zumtobell e altri istituti filantropici.

La basilica resta un luogo privilegiato — ha ribadito il cardinale Gambetti — per «un’immersione nella storia e un’esperienza profonda del sacro». E gli interventi presentati sono «il segno di una Chiesa viva e attenta alle cose di Dio, uomini e donne del nostro tempo assetati di autentica spiritualità», secondo l’incoraggiamento di Papa Francesco che — ha ricordato il cardinale — chiede di essere «artigiani di speranza e restauratori di umanità».

All’incontro con i giornalisti si sono rese disponibili anche le due restauratrici che hanno avuto la fortuna di essere presenti giovedì pomeriggio quando a sorpresa è arrivato il Papa. Quando — ha detto il cardinale arciprete della basilica — «Francesco è entrato, come fanno tanti pellegrini, alla ricerca delle fonti della cristianità, della testimonianza apostolica di P i e t ro »

Osservatore  Romano

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2025-04/quo-083/nuova-luce-alla-fede.html

11 Aprile 2025

Il dialogo interreligioso come leva per la coesione sociale

Fortificare le “strutture spirituali” delle società

8 aprile 2025
Osservatore Romano
Alla Pontificia Università Antonianum, l’8 e 9 aprile, il Convegno “Comuni orizzonti”, organizzato dal Centro internazionale di dialogo (Kaiciid) con il Centro europeo dei leaders religiosi (Ecrl). Al centro del confronto l’esigenza di trovare percorsi interreligiosi per la coesione sociale e di giustizia climatica in Europa

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Fortificare le “strutture spirituali” delle società che risultano in crisi ovunque: è l’obiettivo che emerge dal Forum intitolato “Comuni orizzonti” organizzato dal Centro internazionale di dialogo (Kaiciid) con il Centro europeo dei leaders religiosi (Ecrl) l’8 aprile e 9 aprile presso la Pontificia Università Antonianum. In particolare, si discute di “percorsi interreligiosi per la coesione sociale e di giustizia climatica in Europa”.

L’intervento del cardinale Koovakad

«Cultura ecologica non significa occuparsi di questioni ambientali ma è piuttosto una visione, un progetto di sviluppo integrale che si pensa per il bene comune di tutto il mondo», ha sottolineato il cardinale George Jacob Koovakad, prefetto del Dicastero per il dialogo interreligioso, ricordando innanzitutto l’Enciclica Laudato Sì che dieci anni fa Papa Francesco presentava al mondo. Si tratta — ha sottolineato — di un invito a «concepire una comunità umana più fraterna e in grado di occuparsi delle profonde interrelazioni che ci sono tra le maggiori sfide attuali: le crescenti diseguaglianze, il consumo non sostenibile delle risorse del pianeta, i conflitti». In questo contesto la Santa Sede e i credenti — ha aggiunto — possono innanzitutto contribuire a ribadire e difendere l’imprescindibile dignità della persona umana e il valore dell’educazione.

Una nuova alleanza sui valori dell’umanesimo

Il rettore dell’Antonianum, fratel Augustin Hernandez Vidales, ha ribadito l’importanza di una «nuova alleanza culturale intorno ai valori dell’umanesimo», sottolineando che «la Laudato Sì rappresenta lo strumento ermeneutico imprescindibile». Ha poi parlato di «dignità ontologica che deve farsi dignità sociale», per contrastare lo scenario cui assistiamo di «frammentazione». E gli ambiti in cui i leader religiosi sono più chiamati ad essere “lievito” di solidarietà e di giustizia sono quelli del «sapere, della cultura, della responsabilità». Per questo ha lanciato il suo invito a concepire «un’intelligenza integrale».

L’obiettivo del Forum è stato ribadito e sottoscritto da tutti: creare sempre più forti reti di dialogo e di collaborazione. E secondo il Segretario generale di Kaiciid, ambasciatore Antonio Almeida-Riberio, servono «idee fresche per approcci sempre nuovi perché il dialogo non sia fatto di parole ma di esperienze».

Intervista con António de Almeida-Ribeiro

Le “strutture spirituali” e il contributo sociale dei leader religiosi

A suggerire l’espressione “strutture spirituali” per discutere del possibile concreto contributo dei leader religiosi nelle società è stata Kiran Bali, magistrato del Regno Unito e leader del Global Chair of the United Religions Initiative. Bali ha invitato a considerare «le reti e i ponti di dialogo tra le religioni come ideali software per le politiche sociali che possono essere considerate come gli hardware di una società». Inoltre, Bali ha ricordato che sono le donne le prime vittime dei disastri ambientali per poi affermare che «la paura per le conseguenze dei cambiamenti climatici deve diventare una finestra di occasioni per riscoprire valori fondamentali».

Kiran Bali

 

Su quella che ha definito una «aggressiva secolarizzazione», in atto nei Paesi europei e non solo, si è soffermata Kari Mangrud Alvsvåg, presidente dell’Ecrl e vescovo della chiesa protestante di Norvegia. Immaginando ruoli e compiti dei leader religiosi, ha lanciato un sentito appello a «esplorare e discutere senza smettere di insegnare alle persone a pregare e a difendersi dalle manipolazioni», per poi raccomandare di «essere uniti su tutto ciò che unisce e empatici». «Non si può essere sempre ottimisti, considerando quello che ci circonda ma — ha affermato — si può sempre essere donne e uomini di speranza».

L’eredità di San Francesco

Il termine crisi è tornato nell’intervento di fratel Giuseppe Buffon, vice rettore e direttore del Centro di ricerca dell’Antonianum, che ha definito i contorni di «una crisi sociale che si esprime in forme nuove di colonialismo e imperialismo ma che è innanzitutto crisi epistemiologica, di senso e significato». Particolare il suo appello a discutere di fonti energetiche sostenibili ma anche di «energia per la vita». Inoltre, parlando di riscoperta dei valori della filosofia e della religione in Occidente, ha richiamato l’attenzione su un aspetto dell’eredità di san Francesco: «Aver chiarito 800 anni fa che cosa sia la fraternità ricordando la comune condizione  al cospetto di Dio: nullu omo ène dignu te mentovare».

Fratel Giuseppe Buffon

 

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2025-04/dialogo-religioni-societa.html

Una moneta per il Giubileo

Una moneta per il Giubileo
03 febbraio 2025

 

di FAUSTA SPERANZA

Dodici millimetri di diametro per una lega di metalli di nessun valore. Sono le caratteristiche fisiche della moneta che la Biblioteca Apostolica Vaticana ha scelto, tra le duemila che conserva, per celebrare il Giubileo del 2025. Il magnifico spessore storico e simbolico che la piccola moneta racchiude si palesa nelle parole di Eleonora Giampiccolo, direttrice del Medagliere della Biblioteca. Ci proiettano nel cuore della sensibilità del pellegrino del Medioevo, in una connessione ideale di fede.

Pellegrinaggio e reliquie

Scopriamo che si tratta di un picciolo della zecca di Roma emesso durante il pontificato di Niccolò V Parentucelli in occasione del Giubileo del 1450 e l’emozione già si gonfia di secoli. Poi aggiunge che mentre, al rovescio, reca le chiavi decussate e la legenda NI PP V, cioè Nicolaus Pontifex Pontificum Quintus, al dritto, riproduce il Volto Santo o Velo della Veronica.

Nella spiritualità del Medio Evo

La sensazione è quella di avvertire con forza qualcosa dello spirito che animava i pellegrini che da tutte le parti d’Europa durante il Medioevo facevano di tutto per recarsi al sepolcro dell’apostolo Pietro, così come a quello dell’apostolo Paolo. E il riferimento al Volto Santo evoca una delle reliquie più significative per il Medio Evo cristiano in Europa, di cui il pellegrinaggio ha rappresentato il fenomeno più importante.

Dagli scavi voluti da Pio XII

Per quanto riguarda il Medagliere, dobbiamo ricordare gli scavi archeologici nell’area della Confessione della Basilica vaticana voluti da Pio XII tra il 1940 e il 1949, che hanno portato alla luce quella che è stata riconosciuta come la prima tomba di san Pietro e i resti del trofeo di Gaio nell’area occupata da una necropoli pagano-cristiana del I secolo. Proprio in prossimità della tomba sono riemerse anche le monete custodite nel Medagliere della Biblioteca Apostolica Vaticana. A testimonianza di quella devozione nei confronti del «Principe degli Apostoli» espressa dai pellegrini attraverso il dono delle monete fino alla costruzione della nuova Basilica vaticana iniziata a opera di Giulio II nel 1506.

In attesa del nuovo catalogo

Sono circa duemila monete raccolte insieme nel fondo denominato Tomba di san Pietro. Sono state elencate, con una descrizione sommaria e talvolta non priva di inesattezze rispetto agli studi più recenti in materia, dall’allora conservatore del Medagliere Camillo Serafini, in appendice al volume Esplorazioni sotto la confessione di San Pietro in Vaticano eseguite negli anni 1940-1949Relazione a cura di B.M. Apollonj Ghetti, A. Ferrua, E. Josi. E. Kirschbaum, pubblicato nel 1951. Ma è proprio durante l’anno giubilare in corso che, grazie al sostegno dell’Istituto per le Opere di Religione e alla collaborazione di diversi studiosi italiani e stranieri, sarà pubblicato il nuovo catalogo scientifico.

Poche ma emblematiche 

Il numero delle monete è significativo in termini di reperto ritrovato, ma rappresenta una percentuale davvero piccola di quelle che continuamente venivano lasciate sulla tomba o in prossimità della tomba di san Pietro. Quotidianamente venivano raccolte dagli addetti alla pulizia della basilica e da una relazione del cardinale Jacopo Caetani degli Stefaneschi sappiamo che nel solo Anno Santo del 1300 le monete offerte e raccolte dal personale equivalsero a 30.000 fiorini.

Il valore della devozione

Denari, penny, scellini, rappresentano offerte modeste di scarso valore intrinseco, a eccezione di un tremisse d’oro della zecca di Lucca depositato, secondo la tradizione, da Carlo Magno durante uno dei suoi viaggi a Roma. Sono in molti casi pezzi decisamente rovinati ma è intatta la testimonianza dell’uso diffuso della moneta come offerta amorevolmente custodita dal pellegrino nel corso del viaggio per essere donata all’arrivo presso tombe e altari, in ricordo del proprio luogo d’origine e quale memoria dell’esperienza di cammino vissuta.

Al di là dei chilometri

In questo senso, la piccola moneta scelta come “protagonista” del Giubileo che stiamo vivendo, essendo stata battuta nella zecca di Roma, ha percorso poca strada. Ma forse proprio per questo può ricordarci, come sottolinea Giampiccolo, che al di là della lunghezza e della fatica del viaggio conta la giusta predisposizione d’animo che apre all’intensità dell’esperienza.

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2025-02/quo-027/il-valore-della-devozione.html

Un confuciano occidentale in Oriente

In versione italiana il docu-film dedicato a Matteo Ricci prodotto in Cina

13 novembre 2024

Un pubblico di un miliardo di persone per un missionario di quattro secoli fa: in Cina, in poco tempo, è stata questa l’accoglienza riservata al docu-film Un confuciano occidentale in Oriente dedicato alla straordinaria figura di Matteo Ricci. Si tratta di una produzione del Kuangchi Program Service (Kps) dei gesuiti, in stretta collaborazione con la China Central Tv (Cctv), la più grande emittente televisiva al mondo.

La versione italiana

Dopo il successo dell’opera in lingua cinese prodotta nel 2020, la versione italiana del documentario televisivo in quattro parti, dedicato al gesuita nato a Macerata il 6 ottobre 1552 e morto a Pechino l’11 maggio 1610, viene presentata nella serata di giovedì 14 novembre, al Teatro Quirino. È frutto di esclusive riprese fatte in Cina, Macao, India, Italia, Portogallo e anche nell’Archivio della Curia dove sono stati filmati documenti originali.

Il primo gesuita in Cina

Padre Matteo Ricci, di nobile famiglia, sceglie presto di abbracciare la Compagnia di Gesù e di guardare all’Asia, seguendo l’impulso missionario che vivrà senza rinnegare i suoi talenti di matematico, cartografo o sinologo, anzi costruendo proprio con i suoi studi ponti di dialogo. Dopo alcuni anni in India, riesce ad approdare in Cina al tempo della dinastia Ming e riceverà dai mandarini il titolo onorifico di «studioso confuciano del grande Occidente».

Individuare semi di bene

Al centro di tutto il suo impegno c’è la scelta di «individuare semi di bene che sempre lo Spirito regala a tutti i popoli e a tutte le culture creando così fraternità concreta». Con queste parole padre Massimo Nevola, assistente nazionale dell’associazione laicale ignaziana Comunità di Vita cristiana, ci parla di uno degli aspetti che rendono preziosi gli insegnamenti di Matteo Ricci: «La capacità di vivere nell’attitudine di rispettoso dialogo e ampie vedute che permette di riconoscere i valori di una cultura, di adattare il Vangelo alle esigenze locali, per poi annunciare la completezza e lo splendore della Croce e della misericordia di Cristo».

Inculturazione ante litteram

È quello che con un termine moderno chiamiamo inculturazione e che padre Ricci ha saputo vivere al di là delle definizioni. Padre Nevola ci aiuta con un esempio concreto: padre Ricci, approdando in Cina, ha scelto di riconoscere significati e valore al «culto dei morti», frutto degli insegnamenti del confucianesimo, prima di parlare di Vangelo.

Oltre le paure

Viene proclamato Servo di Dio da san Giovanni Paolo II il 19 aprile 1984 e viene riconosciuto Venerabile da Papa Francesco il 17 dicembre 2022. Senza nulla negare alla memoria eccezionale che ha sempre accompagnato il gesuita, alla sua morte, nonostante i frutti raccolti, — ricorda padre Nevola — le sue metodologie sono state fortemente messe in discussione e criticate da dotti religiosi, in particolare di altri ordini come domenicani o francescani, ma non solo. Si trattava di studiosi convinti che l’approccio di Ricci non potesse reggere il confronto sul piano teologico. È storia di dialetticità all’interno della Chiesa, che «all’epoca era spesso segnata da paure e rivalità — sottolinea padre Nevola — ma che è molto feconda se ci si apre al pensiero dell’altro nello spirito che Papa Francesco ci ha insegnato a chiamare sinodalità».

La lungimiranza di Pio XII

Il primo passo importante per rivalutare l’approccio dei “riti cinesi” è venuto da Pio XII . Lo sottolinea padre Nevola prima di ricordare la svolta decisiva su questi temi impressa dal concilio Vaticano II .

In ogni caso, la vicenda di Matteo Ricci è anche la vicenda dei padri che lo hanno ispirato, della cultura teologica del suo tempo, dei quaranta preziosi compagni di missione, di studi, di vita che lo hanno accompagnato, così come anche della terra e del popolo che lo ha accolto in un cammino difficile e vivo. Tutto questo trapela nel docu-film in cui emerge in tutta la sua straordinarietà «l’eclettica figura» di Matteo Ricci. «Non era esattamente uno scienziato — precisa padre Nevola — ma aveva straordinarie capacità di studio che lo hanno portato nel giro di soli tre anni a sostenere una dotta conversazione in lingua locale e soprattutto a scrivere trattati in cinese e a pubblicare dizionari». Peraltro — prosegue — anche e proprio sul piano dello studioso ritroviamo la sua impronta: ha prodotto il primo mappamondo che mette la Cina e non il mondo occidentale al centro. «È un simbolo della sua fantastica opera di esaltazione del sapere locale che gli ha permesso di dare un contributo preziosissimo a quel sapere insegnando la geometria euclidea e tanto altro».

Talenti locali

D’eccezione è anche il percorso che ha portato al documentario. Kps è una società di produzione televisiva fondata nel 1958 dal padre statunitense Phillip Bourret, che negli anni Cinquanta ha cominciato con una radio in una baracca per poi avviare l’avventura pionieristica della tv. Kps in cinese si chiama Guangqi She (Società Guangqi) e prende il nome da Paolo Xu Guangqi (1562-1633), l’amico cinese di Matteo Ricci.

Altri gesuiti da riscoprire

E Kps in collaborazione con la Jiangsu Broadcasting Corporation (Jbc) di Pechino ha già prodotto altri interessanti documentari messi in onda dalla China Central Television: la serie in quattro parti Paolo Xu Guangqi: un uomo cinese per epoche diverse; la serie in due parti Adam Schall von Bell: al servizio degli imperatori, sulla figura del gesuita tedesco Adam Schall von Bell, precettore del giovane imperatore Shunzhi; la serie in quattro parti Giuseppe Castiglione: pittore imperiale, umile servo, artista gesuita milanese. E l’impegno prosegue: sarà messa in atto la produzione sul gesuita spagnolo Diego de Pantoja, compagno di missione di Matteo Ricci.

Talenti locali

Si tratta della vita di studiosi, artisti e scienziati gesuiti che hanno dato un contributo notevole al progresso culturale e scientifico della Cina e alla crescita della nascente Chiesa cattolica cinese. Lo hanno fatto con i loro amici e collaboratori cinesi ed è bello che la realizzazione dei docu-film si avvalga di talenti locali in collaborazione con studiosi internazionali. C’è dunque un auspicio che padre Nevola ci confida: che «anche oggi un Paese come l’Italia, che non può competere minimamente con la potenza cinese in termini di sviluppo economico o tecnologico, possa continuare a offrire il suo contributo alla Cina in termini di umanità, di bellezza, di senso di tutte le cose, di spiritualità sulla scia dei grandi santi italiani».

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2024-11/quo-257/un-confuciano-occidentale-in-oriente.html

Il Cantico delle Creature compie 800 anni

Il Cantico delle Creature ha dato il via a 8 secoli di cultura francescana tra teologia e scienza

Canto di lode che dura da secoli

02 ottobre 2024

«Fare scienza al servizio del mondo e non per il puro gusto dell’erudizione». Così Cecilia Panti, docente di Storia della filosofia medievale all’Università di Roma Tor Vergata, parla del secolare impegno di studio dei francescani. Indubbiamente il punto di partenza è il Cantico delle Creature del frate di Assisi che — sottolinea — ha insegnato a «non pensare la natura solo in senso estetico e simbolico, ma a guardarla per come è, e soprattutto a considerarla come la nostra casa comune».

Quando nasce la lode di san Francesco

La stesura del Cantico, noto anche come Cantico di frate sole, si ritiene sia iniziata nel 1224 e, in ogni caso, deve collocarsi prima della morte di san Francesco avvenuta nel 1226. È questo, dunque, un momento speciale per celebrare, a otto secoli di distanza, il testo poetico più antico della letteratura italiana di cui si conosca l’autore.

Una mostra per ripercorrere otto secoli di cultura

E da oggi fino al 6 gennaio 2025, al Museo di Roma Palazzo Braschi, si potrà visitare la mostra Laudato Sie: tra natura e scienza. L’eredità culturale di Frate Francesco. Si tratta di un’iniziativa promossa da Roma Capitale, organizzata dalla St. Francis Day Foundation con il Sacro Convento di Assisi, l’Italian Academy foundation e l’associazione AntiquaÈ, con il patrocinio del comune di Assisi. Ieri, il direttore de «L’Osservatore Romano», Andrea Monda, ha moderato la conferenza stampa di presentazione, alla quale hanno partecipato esponenti di tutte le istituzioni coinvolte, sottolineando innanzitutto che si tratta di «una poesia che esprime un canto di lode a Dio e che ha permeato di spiritualità ottocento anni di cultura».

I depositari a Assisi

Padre Marco Moroni, Custode del Sacro Convento di Assisi, ha affermato che «la cultura moderna tenda a privilegiare l’affermazione dell’uomo, mentre Francesco è maestro nello scoprire che la grandezza di ognuno è nell’essere parte unica e insostituibile nella grande orchestra che è il mondo, la casa comune come dice Papa Francesco». Nelle parole di padre Moroni, «il Cantico esprime con rara armonia bellezza e fede, rispetto e contemplazione, forza e dolcezza, Dio, l’umanità e il mondo».

Tra teologia e sapere scientifico, la mostra propone — ha illustrato all’incontro il curatore Paolo Capitanucci — antichi codici e miniature preziose conservati nel Fondo antico comunale della Biblioteca del Sacro Convento di Assisi. Tra gli altri, è in esposizione il codice 338, di cui la Fondazione Sorella Natura ha curato la prima ristampa in fac simile al cento per cento, che conserva la più antica raccolta di scritti di Francesco d’Assisi, con la più antica versione in volgare umbro del Cantico.

L’impostazione multimediale dell’esposizione permette anche ai non addetti ai lavori di comprendere l’ampiezza della riflessione filosofica e teologica dell’Ordine francescano. Accanto a opere che raccontano lo studio della Bibbia e del sapere filosofico antico, raccolti in nove sezioni, sono esposti manoscritti dedicati a astronomia, matematica, fisica, chimica, medicina. Testi che hanno contribuito a una visione scientifica del mondo e che per l’anniversario, come ha spiegato il restauratore Stefano Benato, hanno subito interventi di conservazione, recupero e valorizzazione di ogni parte originale.

La preziosità di alcune intuizioni

Tra gli esempi possibili, Capitanucci ha citato scritti dedicati alla luce, che hanno anticipato teorie dell’ottica, e manoscritti che testimoniano l’influenza delle teorie aristoteliche sui maestri delle università medievali, tra i quali spiccano molti dotti francescani. Ci sono anche gli elaborati che illustri francescano hanno dedicato all’alchimia nonostante i divieti ecclesiastici, un impegno di studio sulle possibili “trasformazioni” di minerali o metalli che non si è conservato in quanto scienza, ma che in qualche modo ha contribuito al pensiero scientifico moderno.

Da Roma ad Assisi: Stefania Proietti, sindaca della città umbra dove nel 1182 è nato Francesco, ha annunciato che dal 7 aprile al 12 ottobre 2025 la mostra sarà ospitata nelle sale del Sacro Convento. Continua — ha assicurato — l’impegno a «valorizzare per un largo pubblico il significato storico culturale e artistico della ricca selezione di codici manoscritti e di libri a stampa».

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2024-10/quo-223/canto-di-lode-che-dura-da-secoli.html

Diplomazia dei valori: nel libro di monsignor Chica Arellano

In un libro l’Osservatore permanente presso la Fao, Fernando Chica Arellano, parla di “diplomazia dei valori” e del ruolo della Santa Sede

L’opzione per i poveri
nella famiglia delle Nazioni
30 settembre 2024

Attenzione alla persona e diritto internazionale: si gioca a diversi livelli il ruolo della Chiesa che si presenta al mondo come “esperta di umanità”, come disse Paolo VI all’Onu il 4 ottobre 1965. Se l’obiettivo resta quello di promuovere il bene comune della famiglia umana e la peculiarità è sempre quella di non avere particolari interessi commerciali, militari o politici da difendere, negli ultimi anni l’impegno si è declinato sempre più in relazione alla questione ecologica e ambientale, cartina tornasole di diseguaglianze e urgenze.

Un sussidio prezioso tra diritto e persona

Si comprende come il mondo della “diplomazia dei valori” si presenti sempre più come un ambito interessante da conoscere anche per i non addetti ai lavori. Di prezioso aiuto può essere il volume a firma di monsignor Fernando Chica Arellano, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Agenzie specializzate del Polo romano dell’Onu, intitolato Ecologia integrale e diplomazia dei valori. La Santa Sede per l’alimentazione dell’umanità (Roma, Rubbettino, 2024, pagine 78, euro 13).

La dimensione della giustizia sociale e della cura della casa comune è il paradigma dell’ecologia integrale e l’attenzione per il mondo dell’agricoltura e per l’alimentazione è decisamente centrale, se si parla di cambiamento climatico e di sostenibilità, affinché nessuno rimanga indietro. Proprio la sostenibilità è direttamente connessa con l’opzione preferenziale per gli ultimi e i più poveri che in questo ambito sono braccianti, piccoli contadini, pescatori, popoli indigeni, donne e giovani rurali.

In dialogo nel Polo Romano dell’Onu

Dunque, l’impegno della Missione Permanente della Santa Sede presso le tre agenzie del campo agroalimentare — Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad), il Programma alimentare mondiale (Wfp) — è in sostanza alla base del contributo che la Chiesa porta quotidianamente a favore dell’umanità e rappresenta uno dei momenti più concreti della sua azione.

Con Papa Francesco, e la sua perseverante dedizione a favore di uno sviluppo umano integrale — ci dice monsignor Chica Arellano — ha ripreso respiro quella instancabile premura della Chiesa a difesa della centralità della persona nel palcoscenico della comunità internazionale. Dare voce a poveri, diseredati, sofferenti, anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso, traduce sostanzialmente il concetto di sviluppo umano integrale. Nella prefazione, l’economista Stefano Zamagni, già presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali, ricorda che si tratta di lottare per l’allargamento degli spazi della libertà da fame, ignoranza, nuove forme di schiavitù, e di difendere la libertà di realizzare il proprio piano di vita, di autodeterminarsi.

Soggettività internazionale della Santa Sede

Se l’obiettivo è cercare di approfondire l’azione della Santa Sede nel consesso di queste organizzazioni internazionali, si comprende che il primo passo è acquisire alcuni concetti, a partire dal principio di “soggettività internazionale della Santa Sede”. È un elemento acquisito, comprovato dalla larga maggioranza di Stati che con essa intrattengono regolari relazioni diplomatiche, ma è bene sapere che storicamente è stato messo in discussione da alcuni studiosi a causa della perdita di sovranità territoriale dello Stato pontificio, avvenuta il 20 settembre 1870, con l’atto di debellatio ad opera del Regno d’Italia.

Ed è interessante comprendere che la soggettività di diritto internazionale non è data dai tre noti elementi utilizzati dal diritto costituzionale per identificare uno Stato (popolo, territorio e autorità di governo) ma dalla presenza di una sovranità effettiva e dell’indipendenza in grado di salvaguardare il titolo di legittimazione. Questi e altri elementi chiave per la comprensione dell’azione della Santa Sede vengono spiegati con sintetica efficacia nell’agile volume di monsignor Fernando Chica. Il testo riassume brevemente anche il funzionamento delle organizzazioni internazionali per poi chiarire l’essenziale: quali sono le priorità della dottrina sociale della Chiesa nel settore dell’agricoltura e dell’alimentazione per contrastare “la globalizzazione dell’indifferenza” denunciata da Papa Francesco e combattere così le conseguenze del cambiamento climatico.

Prospettiva globale

Il contesto è quello della globalizzazione, che abbiamo imparato tutti a conoscere, o della post-globalizzazione, che si caratterizza per la formazione nel mondo di macro aree economiche. In ogni caso, monsignor Arellano aiuta a ragionare sul fenomeno di interscambio globale che si è imposto a partire dagli ultimi decenni del XX secolo. Cambia la prospettiva se si prendono in considerazione gli aspetti prettamente economici o se si valutano implicazioni socio-culturali. In ogni caso, non si può pensare di assistere a un processo che porti a una polarizzazione tra “vincitori e vinti”. Il punto è che non si può guardare solo alla crescita complessiva della ricchezza ma alle conseguenze di una distribuzione tra pochi ricchi, sempre più ricchi, e tantissimi poveri, sempre più poveri.

A questo proposito, il libro aiuta a comprendere i criteri con cui le organizzazioni internazionali si occupano di globalizzazione. E poi sottolinea  che tutti i relativi documenti ufficiali concordano sul fatto che “nessuno si salva da solo”. I processi mondiali sono diventati tali per cui — avverte l’Osservatore Permanente — “bisogna intraprendere azioni come famiglia umana”. Un solo esempio: i meccanismi di accaparramento della terra denunciati dalle organizzazioni internazionali, in particolare dall’Ifad, in termini di land grabbing non sono concepibili nell’ottica di una destinazione universale dei beni.

Ossessione dei consumi

Quando Papa Francesco denuncia la “globalizzazione dell’indifferenza” e chiede sobrietà, parla di fratellanza umana. Lo fa innanzitutto perché è l’orizzonte naturale della spiritualità cristiana, ma non solo per questo. L’enciclica Laudato Si’ propone un modo alternativo di intendere la qualità della vita rispetto all’ossessione dei consumi. Per «evitare le dinamiche di dominio», sottolinea monsignor Chica Arellano. In definitiva, la fratellanza umana è anche l’unico orizzonte possibile per un’umanità che si vuole salvare.

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2024-10/quo-221/l-opzione-per-i-poveri-nella-famiglia-delle-nazioni.html

Straordinario restauro per il Christus triumphans di Forlì

Restauro del «Christus triumphans» della cattedrale di Forlì, capolavoro della scultura medievale europea

La forza rara
di quegli occhi aperti

20 settembre 2024

«Sono occhi che incoraggiano chi lo guarda. Non solo Cristo condivide il dolore e la sofferenza, come tutti i crocifissi, ma questo — come tutti i crocifissi trionfanti — incoraggia e conferma la fede nella vita eterna». Così il vescovo di Forlì-Bertinoro, monsignor Livio Corazza, parla del Christus triumphans, statua lignea della fine del 1100 restituita in questi giorni ai fedeli della Cattedrale della Santa Croce di Forlì dopo l’impegnativo lavoro della restauratrice Carlotta Scardovi. Si tratta di un capolavoro della scultura medievale europea.

Tutto fa pensare che sia il Crocifisso voluto per la nuova Cattedrale dopo il devastante incendio del 1173, probabilmente donato tra il 1180 e il 1190 per iniziativa dell’abate vallombrosano di San Mercuriale.

In croce ma senza i segni della Passione

Grazie al restauro che ha restituito vividezza ai colori, balza agli occhi la peculiarità di Gesù raffigurato in croce ma vivo, senza i segni della passione, con gli occhi aperti. Sul capo, inoltre, si nota una corona regale, non una corona di spine. Le dimensioni monumentali del crocifisso (310 x 206 centimetri) lasciano immaginare una collocazione originaria in posizione preminente, con molta probabilità fissato a una trave o a un arco nella zona superiore del presbiterio.

Per la Cattedrale,  è la più antica testimonianza artistica e di fede

Negli ultimi anni si trovava in una navata laterale ma ora ha ritrovato il suo posto sull’altare maggiore e monsignor Corazza sottolinea la gioia della comunità di riaverlo e, in particolare, in tempo per il prossimo Giubileo. Ricorda che «ad ogni diocesi è richiesto di individuare un Crocifisso che diventi simbolo dell’Anno Santo 2025 e punto di riferimento per tutte le celebrazioni e i cammini di speranza e misericordia previsti».

La professoressa Scardovi definisce il Crocifisso «un’opera di alto pregio» e chiarisce che «l’obiettivo principale dell’intervento svolto è stato quello di intervenire sui fenomeni di degrado che potessero compromettere la conservazione dell’opera nel tempo». Certamente l’intervento di restauro permette di garantirne l’integrità e la tutela, ma anche la valorizzazione. Migliora infatti la possibilità di fruizione legata ai valori di fede, culturali e storico-artistici.

Al di là di qualche singola analogia

Il Crocifisso di Forlì si distingue. L’architetto Marco Servadei Morgagni della Commissione diocesana per l’arte sacra a spiega: «In ciascun paragone emerge la dirompente presenza plastica assai inferiore in qualunque altro esemplare. Oltre allo sguardo penetrante, riemerso in seguito all’ultimo restauro, l’intero volume della figura, affidato a una sapiente sintesi di naturalismo e purismo geometrico, si impone allo sguardo con forza rara». Morgagni sottolinea che «il rapporto uomo-croce, risolto con un’apparente semplicità, nasconde una profonda sapienza tecnica e teologica». Si ha effettivamente l’impressione che il corpo sia disgiunto dal supporto e si avverte un senso di leggerezza che Morgagni spiega come una «sovrapposizione piuttosto che una dipendenza, del Cristo dalla Croce».

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2024-09/quo-213/la-forza-rara-di-quegli-occhi-aperti.html

I miei maestri

Tra i vari frammenti del mio percorso professionale raccolti e raccontati in questo sito, voglio inserire anche la brevissima registrazione di una telefonata: è la mia professoressa di lettere delle medie che mi rintraccia e mi saluta dopo aver ascoltato i miei primi servizi alla Radio Vaticana. E’ la professoressa Iorio che purtroppo è venuta a mancare qualche anno fa.

Ricordo gli insegnanti più importanti della mia vita scolastica: il mitico professor Negro, appassionato docente di italiano e latino ma soprattutto pensatore libero, e l’acuta studiosa di storia e filosofia, professoressa Cino. A loro devo tanto del mio amore per lo studio e della mia curiosità intellettuale.

Ci sono poi maestri d’eccezione per il mio impegno professionale: Sergio Trasatti, direttore della scuola di giornalismo dell’allora Comunità europea che mi ha dato ottime basi della tecnica e dell’impostazione giornalistica, scomparso purtroppo prima di potergli raccontare le tappe più belle del mio percorso. E il grandissimo Sergio Zavoli: lavorare con lui è stato il più grande privilegio professionale. Mi ha dato e mi dà una straordinaria testimonianza della passione per la verità che dà senso all’impegno di giornalista. E, con i suoi indimenticabili complimenti, mi ha dato uno slancio che ritrovo sempre vivo dentro di me.

Tengo caro il loro esempio, il rigore appassionato dei loro insegnamenti. Grazie.