War e Press

IL GUSTO DEI MEDIA PER LA CATASTROFE O GUERRA IN TV:

TRE MILIONI DI TELESPETTATORI BAMBINI

Dagli Atti del convegno

“Guerra e media: il gusto della catastrofe” è il titolo di un convegno organizzato dall’Università degli Studi Roma Tre e dall’Associazione Stampa estera, promotrice Marcelle Padovani, corrispondente de “Le Nouvelle Observateur”. Di fronte all’ennesimo dibattito, viene da chiedersi se è ancora utile riflettere sulla relazione guerra e media. La risposta è, senza dubbio alcuno, sì. Primo, perché la guerra non è finita e secondo, perché l’analisi di come i media si comportano all’interno dei grandi eventi dovrà diventare una delle nostre funzioni critiche fondamentali. Capire i media sarà nei prossimi anni vitale per la libertà dell’informazione e dei cittadini stessi. Anche la globalizzazione, infatti, altro non è che un fatto comunicativo.
Gli organizzatori di questo convegno hanno sottolineato una verità che è sotto gli occhi di tutti (basta lasciarsi andare alle serate in tv),  “questa è stata una guerra combattuta dai media, più che con i media, in cui l’uso dell’immagine da trasmettere ha giocato e gioca ancora un ruolo fondamentale”. Per l’appunto, dunque, potere mediatico sommato al potere delle immagini, cioè alla televisione.
Gli interventi di apertura sono stati affidati ad alcuni docenti, togliendo in questo modo al convegno la visuale degli storici del momento, anteponendo quella dei filosofi, che hanno dato così della guerra una visione più analitica e distaccata.
Hanno parlato con vivacità Franco Monteleone, docente di storia della Radio e della Televisione, Giacomo Marramao, docente di Filosofia Politica, Enrico Menduni, docente di Linguaggio Radiotelevisivo ed è poi intervenuto Giampiero Gamaleri, docente di comunicazioni di massa a Roma Tre. Molto interessanti per le informazioni che hanno dato e per il diverso punto di vista gli interventi di Samir Al Quariati della televisione araba Al Jaazira e di Francisco Arajo Neto, corrispondente per il brasiliano “O Globo”. Altri esponenti del giornalismo hanno portato la loro esperienza e riflessione:  Roberto Morrione, direttore di “Rainews 24”, Guido Rampoldi, inviato di “Repubblica” e Fausta Speranza, di Radio Vaticana e collaboratrice di Comunicazione di Massa all’Università RomaTre, che ha parlato di “buchi neri dell’informazione” spiegando che nessuno poteva immaginare né prevedere l’11 settembre però non si giustifica  il silenzio e l’assenza di informazione nel prima. Nessuno parlava di Bin Laden e delle sue reiterate minacce, dei Taleban e delle efferate scelte di un regime che lanciava proclami di odio contro gli Stati Uniti, della Jihad, dell’Islam. D’accordo con questa valutazione, Roberto Morrione ha aggiunto come nella disinformazione ci si ricade subito dopo l’effetto allarmismo da catastrofe, ricordando che l’Afghanistan è scomparso dalle pagine dei giornali  con i combattimenti ancora in atto e senza una conclusione del conflitto e, dunque, senza analisi o riflessioni.

La chiave della lettura di questa guerra è stata in questo convegno la parola “catastrofe”. Con l’aiuto del vocabolario leggiamo il senso profondo di questa parola che ha a che vedere con rivolgimenti, sciagure ed eventi gravissimi, qualcosa che attiene alla natura e sembra una calamità, senza soluzione nella sua negatività. Ma è qualcosa di più che la parola catastrofe sottolinea in questa guerra. Un po’ come nella tragedia greca l’accadimento così come viene proposto dai media è subito, più che spiegato o illustrato ai lettori, come dovrebbe. Questa guerra vista dai e sui giornali è stata chiamata da Franco Monteleone la cultura del disastro, una guerra tutta diversa dalle altre, senza un nemico identificabile, una guerra che ha creato il rischio della narcosi. Telespettatori e lettori sono stati vicini all’ assuefazione ad un dramma, come ha detto Giacomo Maramao, un dramma prigioniero di una estetica delle immagini televisive. Tanto da diventare simile ad una specie di serial del terrorismo, una narrazione a puntate trasmessa in diretta, come ha detto Enrico Menduni.  «Le gesta delle Brigate Rosse furono un cupo serial, così gli attentati dell’Eta». Un attentato diventa per la tv dunque un evento mediale. In altre parole, ha detto Menduni: «Il parlarne produce un effetto positivo sull’organizzazione che l’ha realizzato come la performance di una industria migliora i corsi borsistici delle sue azioni».
Ma le notizie sull’11 settembre davvero erano così catastrofiche e virtuali nella loro esposizione su giornali e tv? L’analisi critica della stampa italiana e straniera è stata realizzata da un gruppo di studenti del corso di Sociologia dei media, coordinati da Marina Loi, nel corso di una ricerca promossa da Marcelle Padovani e dal professor Meduni, per il corso di Studi “La comunicazione nella società della globalizzazione”. La ricerca ha dimostrato quanto il giornalismo italiano non sappia rinunciare allo spettacolo, creando consapevolmente o meno un’atmosfera di catastrofismo, come si diceva  in apertura. Cominciando con i grandi quotidiani, come “La Repubblica” (ricerca di Marco Tullio Liuzza), “Il Corriere della Sera” (Silvia De Feo, Davide Scafuro, Maria Chiara Di Felice), che troppo spesso cedono alla tentazione di trasformare ogni protagonista in personaggio e di enfatizzare le notizie e puntare al colore più che ai fatti, sino a giornali come il “Messaggero” (Valentina Proscio), che puntano decisamente i riflettori sul lato emotivo, enfatizzando uno stile da romanzo e da intrattenimento stile fiction tv, al “Mattino di Napoli” (Patrizia Corsaro) che ha evocato atmosfere da fine del mondo. Nessuno è esente da quello che oggi si chiama preziosamente infotainment, nemmeno l'”Espresso” (Luca Patrignani, Alessandro Marascia e Francesco Riccardi), tantomeno le televisioni, “Canale 5” (Simon Cittati, Pietro Bardelli, Diego Nannuzzi),  “Sciuscià” di Michele Santoro (Ilario PIagnerelli, Lucia Bracci, Maria Chiara Perugini, Raffaella Polselli).
E gli stranieri? Tutti più bravi di noi. La stampa francese (ricerca di D’Onofrio, Denti e Loi) si fregia di “Approfondimenti, sobrietà, rigore e toni poco inclini al sensazionalismo, di un rapporto misurato tra scrittura e immagini, meno grafici, meno virgolettati, meno fotografie”. Insomma più contenuti.
“Le Nouvel Observateur” (Silvia Tarquini) usa “toni pacati ma determinati, ha attenzione ai musulmani che hanno condannato l’attentato”, etc.. Serietà e accuratezza nelle fonti per “L’Economist” (Paola Taqruini); riflessivo l'”International Herald Tribune”. Elogi dunque alla stampa estera dagli studenti. Aggiungiamo noi una critica. Sono elogi facili, visto che partiamo da un confronto con un giornalismo notoriamente sensazionalista, come il nostro, viziato da uno strapotere e da una competizione difficile come quella della tv. Fausta Speranza, giornalista di Radio Vaticana e collaboratrice di Comunicazioni di Massa dell’università Roma Tre, che ha analizzato le tv ha sottolineato come dopo un iniziale impegno per un giornalismo serio, anche le tv abbiano ceduto al sensazionalismo scegliendo la strada dell’allarmismo, sia nelle immagini che nei contenuti.   Un comportamento che sembra ancora più colpevole perché quella professionalità,  che non manca anche in Italia e che scende in campo di fronte all’evento straordinario, viene poi sacrificata, in una seconda fase più ragionata, alle logiche di un giornalismo-spettacolo. Quell’allarmismo che di solito si nutre di delitti, di stupri, di incidenti, di ondate di immigrati, nei giorni successivi  all’11 settembre  è ritornato  sotto forma di terrore dell’antrace, accompagnato da vaiolo, peste, veleni chimici.  Salvo poi, ha sottolineato Fausta Speranza, non parlarne più dall’oggi al domani.

Interessantissimo e da ampliare lo spunto sui bambini che hanno visto la guerra in tv (Valentina Diaco). Ottima idea per una ricerca anche istituzionale. Tre milioni di piccoli telespettatori, dai 4 ai 10 anni, hanno visto la tv in prima serata: 40 mila bambini per “Porta a Porta”, 53 mila per “Sciuscià”, 180 mila per il “TG2” e 210 mila per il “TG1”. Gli effetti? Scontati: ansia, assuefazione e abbassamento della soglia della sensibilità. I lettori di domani saranno, dunque, potenzialmente meno critici di noi.

LA GRANDE SPERANZA DEL SINODO AFRICANO

Al sinodo della chiesa africana, in corso fino al 25 ottobre in vaticano, il cardinale nigeriano Francis Arinze ha auspicato che per lo sviluppo del continente le diocesi possano proseguire la missione profetica incentrata sulla riconciliazione, la giustizia e la pace.
Il servizio di Fausta Speranza

21 ottobre 2009

CRISTO SI E’ FERMATO IN AFRICA

IL SINODO CHE PONE LA CHIESA AL SERVIZIO DELLO SVILUPPO DEL CONTINENTE

Sono 244 i vescovi africani che, fino al 25 ottobre, partecipano in Vaticano alla seconda assemblea speciale dedicata alle infinite speranze e alle altrettante ingiustizie che da secoli emarginano i popoli dell’Africa. Il servizio di Fausta Speranza


20 ottobre 2009

Consiglio d’Europa settembre 2009

Aperto a Strasburgo il Consiglio d’Europa: clima e Caucaso tra i temi centrali

Un protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo per difendere il diritto ad un ambiente sano: è tra le proposte in tema di cambiamenti climatici dei quali discute il Consiglio d’Europa. L’Assemblea parlamentare si è aperta stamane a Strasburgo e prevede, oltre all’elezione del prossimo Segretario Generale, la discussione di molti altri argomenti. Ce ne parla la nostra inviata a Strasburgo Fausta Speranza.

 28 settembre 2009 ore 14.00

 28 settembre 2009 ore 18.00 in inglese

La situazione  nel Caucaso del Nord e la posizione della Russia sono tra i principali temi di dibattito all’Assemblea  del Consiglio d’Europa che si è aperta a Strasburgo. All’ordine del giorno anche l’elezione del nuovo segretario generale. Ce ne parla la nostra inviata a Strasburgo, Fausta Speranza:

 29 settembre 2009 ore 8.00

 29 settembre 2009 ore 12.00

29 settembre 2009 ore 14.00

  29 settembre 2009 ore 19.30

Pronunciamento forte stamane sulla situazione del Caucaso all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, che ieri pomeriggio ha eletto il suo nuovo segretario generale, il laburista norvegese Thorbojorn Jagland. Il servizio da Strasburgo della nostra inviata Fausta Speranza:

 30 settembre 2009 ore 14.00

 30 settembre 2009 ore 19.30

Al Consiglio d’Europa si discute oggi dei poteri della delegazione russa: un gruppo di 72 parlamentari ha chiesto di rimetterli in discussione per il mancato rispetto di alcuni impegni da parte di Mosca. Ieri è stato chiesto a Mosca di autorizzare l’accesso in Abkhazia e Ossezia del Sud degli aiuti umanitari. All’Assemblea parlamentare, che si concluderà venerdì, domani si parlerà anche del futuro del Consiglio d’Europa alla luce dei 60 anni di esperienza compiuti quest’anno. Priorità del Consiglio d’Europa è la tutela dei diritti umani. Dell’importanza della difesa della dignità della persona e delle sfide attuali Fausta Speranza ha parlato con mons. Aldo Giordano, Osservatore Permanente della Santa Sede a Strasburgo:

  1 ottobre 2009

Dall’aiuto umanitario a un’esperienza di condivisione

Dall’aiuto umanitario a un’esperienza di condivisione: accade in una parrocchia e in un  Centro dei Gesuiti  di Londra, tra  cattolici e musulmani
◊ Uno sciopero della fame che va da Roma a Parigi, da Londra a Toronto. E’ la scelta di tanti iraniani che vivono nel mondo per esprimere solidarietà a un gruppo di loro che vive in una particolare situazione in Iraq. Il servizio di Fausta Speranza:

Si tratta di 3500 dissidenti al regime di Teheran, da 30 anni nel campo iracheno per rifugiati di Ashraf. Sotto gli anni di Saddam Hussein hanno vissuto indisturbati anche se tra loro c’erano diversi appartenenti al gruppo dei Mujaheddin del popolo che in passato è stato coinvolto in episodi di terrorismo. Per questo il gruppo è ancora sulla lista nera degli Stati Uniti, mentre l’Unione Europea ha riconosciuto nel gennaio scorso che hanno assolutamente messo al bando scelte di violenza. Uomini, donne e bambini di Ashraf durante la guerra scoppiata nel 2003 hanno goduto della Convenzione IV di Ginevra, come persone non coinvolte nel conflitto, e hanno accettato il disarmo totale ma dal ritiro delle forze internazionali, non hanno pace. Il campo è stato isolato con pesanti conseguenze sul piano umanitario, verificate anche da una delegazione di parlamentari europei nella scorsa primavera. Nel mese di agosto ci sono stati degli attacchi e 36 persone sono state portate via dalle forze dell’ordine irachene. E’ per sapere qualcosa di queste persone e delle altre isolate nel campo di Ashraf, che parenti e amici iraniani nelle principali città del mondo stanno facendo lo sciopero della fame, con dimostrazioni davanti alle ambasciate. A Londra il gruppo, che, ormai su sedie a rotelle, chiede l’attenzione internazionale davanti all’ambasciata statunitense ha trovato conforto dal punto di vista umano dai parrocchiani della vicina chiesa dell’Immacolata Concezione e dal vicino Mount Street Jesuit Centre. Abbiamo raggiunto telefonicamente padre William Pearshall, responsabile del Centro:

17 settembre 2009

Una lettera al Papa è l’ultima speranza dei disperati di Ashraf

Sono disperati e chiedono aiuto al Papa. Fin qui niente di strano. Si rivolgono a Benedetto XVI con un’intensa, e allo stesso tempo semplice, lettera firmata da 36 nomi arabi. Sono iraniani, membri dei Mojaheddin del Popolo, l’organizzazione che fino a gennaio scorso stava nella lista nera dei terroristi dell’Unione Europea e che compare ancora nella black list degli Stati Uniti. Al Papa chiedono di “evitare una catastrofe umanitaria”. Si definiscono “vittime di ingiustizie e di oppressione” e dichiarano di essere “indeboliti da giorni di sciopero della fame”. Sono abitanti di Ashraf, il campo profughi in Iraq dove da 25 anni sono rifugiati dissidenti del regime islamico di Teheran. Il campo ospita 3400 persone di cui 1000 donne e centinaia di bambini. I 36 di cui parliamo sono stati prelevati dal campo dalle forze dell’ordine irachene il 28 luglio scorso e da allora sono nel carcere iracheno di Al-Khalis, a 30 Km da Ashraf. Nella lettera datata 12 settembre, si definiscono “ostaggio” delle forze dell’ordine irachene e si appellano al “Grande leader religioso della Chiesa Cattolica Romana e difensore dell’eredità di Cristo”. Raccontano al Papa, con asciutta drammaticità, di aver subito “torture” e di soffrire “condizioni igienico sanitarie disumane”. Giurano di essere “tenuti in carcere illegalmente e con false e inesistenti accuse”. Raccontano che il Tribunale locale, esattamente un mese dopo l’arresto, il 28 agosto, ha ordinato la scarcerazione in assenza di accuse, ma che dall’ufficio del premier iracheno Al Maliki è giunto l’ordine di continuare a trattenerli. Da quel momento hanno iniziato lo sciopero della fame. “Umilmente” chiedono “a Sua Santità il Papa” di “adottare tutte le misure in suo potere” per aiutarli, cominciando da “un appello perché intervengano funzionari dell’ONU”. Per loro stessi incarcerati, chiedono il rilascio ma anche, nell’immediato, l’assistenza medica adeguata “per i sette di loro che sono seriamente feriti”. Per la popolazione di Ashraf, denunciano il rischio di ulteriori violenze. Gli abitanti del campo profughi, così ostili al regime islamico di Teheran,  hanno vissuto indisturbati sotto il laicissimo Saddam Hussein. Allo scoppio del conflitto nel 2003, hanno accettato di consegnare ogni tipo di arma e hanno, dunque, goduto della IV Convenzione di Ginevra in quanto persone non coinvolte nella guerra. Non hanno avuto problemi fino al passaggio di poteri alle autorità irachene, al momento del ritiro delle forze statunitensi a inizio 2009. In primavera è cominciato un isolamento che è diventato assedio, con scarsità di beni alimentari e mancanza di qualunque tipo di carburante. Assedio confermato anche da una delegazione di parlamentari europei. Quindi, il 28 luglio scorso, l’attacco da parte delle forze dell’ordine irachene. Nella lettera, i 36 raccontano che “al momento della loro cattura sono state uccise 11 persone e sono state ferite altre 500”. “Considerata l’influenza del dittatoriale regime in Iran sull’Amministrazione dell’Iraq – affermano nella lettera – abbiamo grande paura e preoccupazione”. A parte la situazione attuale, quello che angoscia di più è la prospettiva di una “estradizione di massa in Iran”. Spiegano al Santo Padre che “già in molte occasioni il regime iraniano ha fatto richiesta in tal senso”. “In attesa di forze dell’ONU ad Ashraf, – scrivono – le forze militari statunitensi ancora presenti in Iraq dovrebbero assicurare protezione agli abitanti del campo”. Dovrebbero farlo – spiegano – “in base agli accordi sottoscritti dalle autorità USA proprio con tutti gli abitanti di Ashraf”. Per ottenere tutto ciò, l’appello al Papa: “Il suo impegno per le persone in carcere e per la popolazione di Ashraf eviterà un’altra catastrofe umanitaria e solleverà dalle pene e dalle sofferenze le famiglie e i parenti degli abitanti del campo che protestano e si sono uniti allo sciopero della fame in 19 differenti città del mondo”. Tra queste città ci sono Londra, Parigi, Toronto, ma pur essendoci decine di persone ormai sulle sedie a rotelle di fronte a varie Ambasciate, perché segnate da 50 giorni senza cibo, non se ne è parlato granchè. Da qui la scelta disperata ma nello stesso tempo carica di speranza di appellarsi a Benedetto XVI, con una citazione di un brano del Vangelo di Luca in cui si dice che Gesù è stato mandato per proclamare che gli oppressi saranno liberati dagli oppressori.

15 settembre 2009

Terra Santa: straordinaria scoperta archeologica di reperti del tempo di Gesù

Potrebbe essere una riproduzione del candelabro a sette bracci che si trovava nel Tempio di Gerusalemme il bassorilievo scoperto in questi giorni a Migdal, sulle rive del lago di Tiberiade, nel nord di Israele. Una straordinaria scoperta. Il servizio di Fausta Speranza.

13 settembre 2009