Difficile anniversario per Biden: un anno fa il giuramento alla Casa Bianca

Il compimento dei primi dodici mesi alla Casa Bianca di Joe Biden è stato segnato dal blocco al Senato del provvedimento per la difesa del diritto di voto. Il presidente democratico si dice deluso ma non scoraggiato, mentre i media sottolineano il crollo nei sondaggi. L’analista di questioni internazionali, Raffaele Marchetti, sottolinea l’importanza del ritrovato approccio multilaterale sul piano internazionale, ma anche il persistere di una forte polarizzazione sociale

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il 20 gennaio 2021, il mondo seguiva in tv il giuramento di Job Biden come 46º presidente degli Stati Uniti d’America. “E’ stato un anno di difficoltà, ma anche un anno di enormi progressi”. Così, tempestato di domande in un’affollatissima conferenza stampa nell’east Room alla vigilia del suo primo anno alla Casa Bianca, Joe Biden ha cercato di rilanciare la sua presidenza, segnata negli ultimi sei mesi da un crollo nei sondaggi, che gli attribuiscono ora il 40 per cento circa dei consensi. Dati condivisi con la sua vice Kamala Harris, che al momento non sembra sia riuscita a stagliarsi come sua possibile erede, ma con la quale il presidente ha ribadito di voler correre nel 2024.

I successi nelle parole di Biden

Da parte sua, Biden ha cercato di mettere in fila tutti i successi della sua amministrazione e di dispensare ottimismo sui problemi irrisolti. Ha parlato di “progressi storici” nell’economia che un anno fa “era sull’orlo del collasso” e che ora può vantare un tasso di disoccupazione del 3,9 per cento (contro il 6,4 per cento) e il record di 6,4 milioni di nuovi posti di lavoro (contro la perdita di 9,4 milioni). Ha parlato di  svolta nella pandemia, con il 74 per cento degli adulti completamente vaccinati (contro l’1 per cento di un anno fa) e il 95 per cento delle scuole aperte (contro il 46 per cento). “Ora siamo in una situazione migliore, non torneremo ai lockdown e alla chiusure delle scuole, ma dobbiamo vaccinarci e proteggerci”, ha sottolineato. Tra i successi vantati anche il piano di aiuti anti Covid da 1.900 miliardi e quello sulle infrastrutture da 1.250 miliardi. E, sul piano internazionale, il rilancio della leadership statunitense, delle alleanze e della difesa dei diritti umani.

I limiti sottolineati dai media

Un errore messo in luce dai media è stato quello di promettere che il 4 luglio sarebbe stata la festa dell’indipendenza dal virus: poi sono arrivate le varianti Delta e Omicron, che hanno ripiombato il Paese nell’emergenza con dati record. E nei giorni scorsi la Corte suprema ha cancellato l’obbligo di vaccino nelle grandi aziende. La ripresa economica invece è segnata dalle strozzature della catena di fornitura, dal caro benzina e da un’inflazione al 7 per cento (al massimo dopo 40 anni): la ricetta è rendere l’economia “più produttiva”, ha spiegato Biden, apprezzando anche che la Federal Reserve, la banca centrale statuinitense, ricalibri gli aiuti. Ci sono anche due senatori democratici che, a causa dell’esigua maggioranza del partito nella Camera alta, bloccano il resto dell’agenda del presidente: il piano da 1.900 miliardi per welfare, educazione e clima, le leggi elettorali a tutela del voto, nonché le restrizioni sulle armi, la riforma della polizia e quella dell’immigrazione, tornata a livelli record al confine con il Messico.

La prossima tappa di analisi sarà il discorso sullo stato dell’Unione del primo marzo davanti al Congresso. Ma lo sguardo in realtà va alle elezioni di midterm a novembre quando i repubblicani – al momento dati in vantaggio nelle preferenze di voto – potrebbero conquistare entrambi i rami del parlamento. Per una riflessione di bilancio e di prospettiva, abbiamo intervistato Raffaele Marchetti, docente di relazioni internazionali:

Il professor Marchetti cita gli scenari di tensione che Biden ha trovato al suo arrivo alla Casa Bianca – nei rapporti tra Stati Uniti  e Russia e Cina – affermando che persistono. Ricorda però che l’approccio al multilateralismo voluto dal capo della Casa Bianca rappresenta l’elemento positivo da sottolineare dopo questo primo anno da presidente. C’è però un altro piano da considerare: quello della società degli Stati Uniti al suo interno. A questo proposito Marchetti sottolinea che purtroppo tensioni e divisioni sono tuttora vive. Certamente questo anniversario risulta legato a quello, ricordato il 6 gennaio, dell’assalto a Capitoll Hill. Rispetto a quel giorno non sembrano essere migliorate le cose. Secondo Marchetti, dunque, è normale che si guardi già – come fanno i media – alle  elezioni di metà mandato, anche se si terranno  tra più di 10 mesi. E il dibattito purtroppo risulta segnato da una dialettica di polarizzazione. Per quando riguarda la pandemia, che ha complicato qualsiasi aspetto della vita di qualsiasi Paese, in realtà è opinione di Marchetti che, per quanto riguarda gli Stati Uniti, non si debbano segnalare questioni particolari. Per quanto riguarda la vice presidente, Kamala Harris, Marchetti spiega che, dopo il grosso favore mostrtato dall’opinione pubblica e dagli osservatori internazionali, oggi gli analisti mettono in luce come si sia mostrata impreparata su alcuni dossier importanti.

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Comece: Roberta Metsola al Parlamento europeo, una scelta di speranza

Madre e seriamente impegnata nella politica. Monsignor Galea-Curmi, a nome della Commissione delle conferenze episcopali della Comunità Europea, si congratula per la scelta di Roberta Metsola alla presidenza del Parlamento europeo, sottolineando che le sfide non mancano e “l’antipolitica non è superata”. Il vescovo ausiliario di Malta si sofferma sul ruolo delle donne e sui valori cristiani, sottolineando che la nomina è anche un incoraggiamento per i giovani

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Diventano due su tre le donne ai vertici dell’Unione europea, con la nomina questa mattina di Roberta Metsola alla presidenza del Parlamento europeo, dopo quella di Ursula von der Leyen a capo della Commissione europea. Due donne accanto al presidente del Consiglio Ue Charles Michel. Eurodeputata maltese e membro del Ppe, Metsola è stata eletta questa mattina, al primo turno. I voti favorevoli sono stati 458. Il numero di votanti è stato 690, le schede bianche e nulle sono state 74, i voti espressi 617.

Le congratulazioni della Comece

“A nome dei vescovi dell’Unione europea – scrive in una dichiarazione stampa giunta al Sir il cardinale Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e presidente della Comece –, vorrei esprimere le mie più sincere congratulazioni a Roberta Metsola per la sua elezione a presidente del Parlamento europeo. Abbiamo già avuto modo di lavorare con lei e ne riconosciamo le qualità: è una persona brillante che saprà sicuramente svolgere in maniera eccellente questo importante ruolo istituzionale. Non vediamo l’ora di continuare questa collaborazione per il bene comune, avvicinando le istituzioni pubbliche ai cittadini europei, rendendo i giovani protagonisti della politica europea e promuovendo politiche incentrate sulla persona umana, sulla famiglia e sulla comunità”.

Della scelta di una donna di 42 anni che si riconosce nei valori cristiani sui quali è nata l’Europa unita, abbiamo parlato con il vescovo ausiliare di Malta, monsignor Joseph Galea-Curmi, delegato dell’isola alla Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità Europea:

Un “buon segnale” per tutti e una “buona scelta” la definisce monsignor Galea-Curmi, sottolineando che Metsola è una donna madre e seriamente impegnata in politica, fortemente legata ai valori europei della democrazia, del rispetto per i diritti umani, del rispetto per le minoranze. Il vescovo ausiliare di Malta parla di un passo in avanti nella prospettiva di “lavorare insieme” sulle grandi sfide per il vecchio continente. Tra queste cita le migrazioni per sottolineare che non si possono ignorare o emarginare vite umane. Cita l’antipolitica per ribadire che non è un fenomeno superato e per lanciare un appello a tornare alle radici dell’esperienza di integrazione europea, ai valori fondanti. Si tratta di valori cristiani che – afferma – come Sassoli anche Metsola ha nel proprio orizzonte di formazione. Solo su quei fondamenti può rinascere una speranza nuova per l’Europa e soprattutto per le donne che – sottolinea – con i giovani pagano il prezzo più alto della disoccupazione, delle diseguaglianze sociali, delle discriminazioni.

Il discorso programmatico della neo eletta

“Una finestra di opportunità per far sì che il Parlamento sia più moderno, efficace ed efficiente”.Così Roberta Metsola, neoeletta presidente del Parlamento europeo (Pe), parla del suo mandato che segue quello di David Sassoli, il quale – dice – “si batteva per un mondo di solidarietà e di servizio”. La verità – conclude – emerge dal disaccordo e dal dibattito”. Del presidente scomparso martedì, di cui la maltese Metsola è stata la prima di 14 vicepresidenti, la neo eletta ricorda anche che “ha lottato duramente per portare le persone attorno al tavolo”, per poi affermare di voler proseguire su quell’impegno. Metsola ribadisce che “non si deve avere paura delle riforme”, affermando che l’europarlamento è “un’Istituzione unica al mondo e va rafforzata”. Emergono alcune priorità quando afferma che “non è facile trovare una maggioranza per la migrazione, per la protezione dei diritti fondamentali, per Frontex, per la lotta alla corruzione”.

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Creatività contro le “giungle legislative”, nell’ultimo discorso pubblico di Sassoli

Camera ardente in Campidoglio e funerali di Stato per il presidente dell’europarlamento, ma anche milioni di messaggi da gente comune e giovani. L’ultimo discorso istituzionale di Sassoli auspica per l’Europa coraggio e coesione per superare le “giungle legislative” e difendere la sicurezza dei cittadini non pensando tanto alle frontiere quanto al bisogno di difendere democrazia e welfare, come sottolinea l’analista di Affari internazionali Giampiero Gramaglia

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Per il presidente del Parlamento Ue David Sassoli, scomparso nella notte tra lunedì e martedì,  camera ardente oggi al Campidoglio e funerali di Stato domani nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, celebrati dal cardinale e arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi alla presenza del capo dello Stato Sergio Mattarella e dei presidenti della Commisione e del Consiglio Ue Ursula von der Leyen e Charles Michel. Sul piano istituzionale, la riunione degli ambasciatori dei Paesi membri dell’Ue (Coreper) ha osservato un minuto di silenzio per ricordare Sassoli, mentre il Consiglio Ue lo ha omaggiato con una clip che racchiude i “momenti più belli” della sua presidenza. Da Washington, il dipartimento di Stato americano ha voluto sottolineare come Sassoli abbia rappresentato una “voce per la democrazia e i diritti umani”. La vicepresidente Usa, Kamala Harris, in un tweet lo ha ricordato come “un grande europeo impegnato per gli ideali della democrazia”. Intanto alle istituzioni e alla famiglia giungono molti messaggi da parte di giovani.

Il “cambiamento possibile e necessario per fare l’Europa più forte e moderna”

Dall’ultimo intervento di David Sassoli a capo dell’Assemblea di Strasburgo – il 16 dicembre scorso – emerge quello che ha definito il “triplice desiderio di Europa che sia unanimemente condiviso da tutti gli europei: quello di un’Europa che innova, di un’Europa che protegge e di un’Europa che sia faro”. “La pandemia non arretra, l’uscita dal tunnel continua ad allontanarsi e stiamo tardando a vedere i progressi di cui l’Unione ha bisogno, il progetto europeo di speranza che tutti i nostri concittadini europei stanno aspettando”. Con queste parole il presidente iniziava un discorso lucidamente programmatico in cui  indicava  gli obiettivi:  “il Green Deal, la transizione digitale, un’Europa più forte e democratica, una maggiore giustizia sociale”.  Ma – aggiungeva – “l’Europa ha anche e soprattutto bisogno di un nuovo progetto di speranza, un progetto che ci accomuni, un progetto che possa incarnare la nostra Unione, i nostri valori e la nostra civiltà, un progetto che sia ovvio per tutti gli europei e che ci permetta di unirci”. Ragionava intorno a tre assi forti: “Un triplice desiderio di Europa che sia unanimemente condiviso da tutti gli europei: quello di un’Europa che innova, di un’Europa che protegge e di un’Europa che sia faro”. Emerge un forte appello a innovare, e non solo sul piano della tecnologia, per difendere la democrazia, come sottolinea Giampiero Gramaglia, già direttore dell’Ansa e consigliere scientifico dello Istituto Affari Internazionali (Iai):

Gramaglia nota lo sguardo programmatico e preciso di questo discorso che riflette –  sottolinea – lo spirito profondamente europeista e pieno di convinzione e speranza di Sassoli che proprio perché voleva mettere in atto pientamente il progetto vedeva con chiarezza – aggiunge – i limiti dell’Ue. L’analista ricorda che Sassoli nel discorso del 16 dicembre di chiusura mandato chiedeva “un’innovazione in tutti i settori, un rinnovato senso di creatività, per le  istituzioni, per le  politiche, per i  modi di agire e anche per gli stili di vita”, ribadendo che è proprio quello che la transizione ecologica e i nuovi equilibri mondiali richiedono. E poi Gramaglia si sofferma sulla proposta molto concreta di Sassoli di superare quelle che definiva “giungle legislative”. Una definizione sulla quale Gramaglia concorda spiegando che l’espressione ben fotografa la serie di nuove normative o accordi intergovernativi che si sommano alla legislazione acquisita, frutto di una mancanza di coraggio per cambiare davvero. E questo comporta l’accumulo e il rischio di confusione legislativa.

Gli “scricchiolamenti della democrazia”

L’analista di politiche internazionali poi ricorda la fragilità in questa fase del concetto di democrazia nello scenario internazionale, affermando che ci sono “scricchiolamenti” anche all’interno di alcuni contesti europei. Ribadisce che Sassoli era molto lucido su questo e chiedeva decisioni forti e importanti proprio per blindare certi valori. Gramaglia ricorda quindi come l’Ue, davanti allo strapotere dei giganti della tecnologia, abbia portato avanti per prima nel mondo  la battaglia  per la protezione dei dati personali, sottolineando come dal discorso di Sassoli emerga l’urgenza di essere all’altezza della sfida dei mercati digitali, “per evitare – come diceva Sassoli –  che siano i giganti del web a legiferare al posto dei cittadini”.

Sicurezza europea e previsione delle crisi

Un altro punto forte che viene sottolineato da Gramaglia riguarda l’idea di un’Europa della sicurezza: si epnsa troppo spesso – afferma – ai confini esterni, mentre i rischi gravi vengono su altri piani e cita l’importanza di consolidare davvero l’idea di un’Europa della salute, lanciata dalla Von der Leyen e difesa caldamente da Sassoli.  Si deve – ricorda –  offrire una maggiore prevenzione, una maggiore protezione e una maggiore preparazione alle crisi. Sassoli – ricorda Gramaglia – citava la decisione dell’Assemblea mondiale della sanità di avviare i negoziati su uno strumento vincolante di lotta alle pandemie. Proteggere i cittadini europei significa disporre di una migliore preparazione per reagire alle crisi future, sanitarie, naturali, commerciali, diplomatiche o militari, ma anche – ribadisce Gramaglia citando Sassoli – significa “proteggere” il lavoro attraverso, per esempio, il progetto del salario minimo comune in Europa proposto dall’europarlamento.

Il termine per il mandato di presidenza dell’Assemblea parlamentare di Strasburgo di David Sassoli era fissato al 31 dicembre, dopo due anni e mezzo. Sarebbe rimasto in carica fino alle prossime elezioni che erano previste la settimana prossima. Al momento ha assunto l’interim, come da regolamento, il primo vicepresidente Roberta Metsola.

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Cortesia, determinazione, passione europea: un ricordo di Sassoli secondo Crociata

Il vicepresidente della Comece sottolinea l’importanza di persone come il presidente del Parlamento europeo appena scomparso che testimoniano i valori cristiani nel cuore delle istituzioni europee in una fase storica in cui è diventato difficile parlarne. Parole di stima e riconoscimento da Costa, Pittella e Tajani

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Dolore profondo per il popolo italiano ed europeo”: con queste parole il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella ha commentato la scomparsa del presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, la notte scorsa all’età di 65 anni. In Italia commemorazioni sono state organizzate nel pomeriggio alla Camera e al Senato, con la partecipazione del capo del governo Mario Draghi che lo ha definito “un simbolo di equilibrio e generosità”. Politici dei più diversi schieramenti hanno espresso il loro cordoglio per un professionista che è stato per tutti un giornalista e un politico colto. I vertici dell’Ue hanno sottolineato che non si è risparmiato mai e che fino all’ultimo ha predisposto tutto perché l’europarlamento potesse continuare a operare in regime di efficienza. “Un campione di democrazia” e “un combattente d’Europa”, viene ricordato dagli eurodeputati.

Della personalità e dell’impegno di David Sassoli abbiamo parlato con monsignor Mariano Crociata, vicepresidente della Comece, la Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea:

Monsignor Crociata ricorda lo stile di cortesia e attenzione alle persone che aveva David Sassoli ma anche la sua grande determinazione a proposito di obiettivi e valori da perseguire. In particolare – afferma – negli ultimi anni aveva accentuato il senso di responsabilità nel suo ruolo ai vertici dell’Europa. Crociata sottolinea come esprimesse un grande senso di responsabilità anche attraverso la sua attitudine a non perdersi in aspetti secondari.

L’adesione vissuta ai valori cristiani

“Sassoli teneva sempre alto il discorso e l’attenzione”, dice il vicepresidente di Comece, che fa riferimento al suo “tratto lieve e cortese che si abbinava a grande chiarezza di intenti e passione europea”, ma anche alla storia personale di fede di Sassoli, alla sua adesione ai valori cristiani del bene comune, ribaditi con forza da Papa Francesco con il suo impegno per la lotta alle povertà e alle diseguaglianze. Di tutto questo si è occupato Sassoli – ribadisce monsignor Crociata – dando testimonianza di come una persona di fede può incarnare i propri valori in un contesto come quello delle istituzioni europee dove si respira quasi un’atmosfera di fastidio per i riferimenti al Cristianesimo. Lo si è visto – ricorda – con la vicenda del documento interno della Commissione europea poi ritirato che cercava di difendere, bandendo la parola Natale, un presunto criterio di maggiore inclusione per tutti. Monsignor Crociata richiama la decisione, anni fa, di togliere il riferimento alle radici cristiane nella carta costituzionale Ue per poi ribadire che resta fondamentale che ci siano persone vive che testimonino, incarnino i valori cristiani, che si facciano radici vive del Cristianesimo nell’ambito della comunità di popoli europea.

La stima dei compagni di partito e dei diversi schieramenti politici

Nelle dichiarazioni di chi ha lavorato con David Sassoli all’interno del partito di appartenza o da altre posizione politiche emergono tanti ricordi segnati dal riconoscimento della sua professionalità e della sua cultura.

Silvia Costa, che si dice “incredula” per la scomparsa, ricorda un’amicizia di 40 anni “da quando era un ragazzino”. Commissario straordinario di Governo per il recupero dell’ex carcere borbonico sull’isolotto di Santo Stefano a Ventotene, è stata parlamentare europea per lo stesso partito di Sassoli, il Partito Democratico e, prima ancora, giornalista. Tutte esperienze che ha condiviso quasi in parallelo con Sassoli grazie a un legame profondo. In particolare, Costa ricorda Sassoli per il suo spessore umano e umanistico, per la “profonda spiritualità” la sua colta professionalità e il suo impegno sociale fin da giovane nel volontariato. Si è speso per “le cause nobili” con discrezione e determinazione, afferma l’europarlamentare: “In questi ultimi due anni e mezzo ha fatto un servizio straordinario al futuro dell’Europa, delle nuove generazioni, della difesa della giustizia sociale”.

È stato europarlamentare PD anche Gianni Pittella che di Sassoli richiama le “due grandi ansie”: “La prima, un’Europa che lottasse contro la povertà; la seconda, la creazione di ponti e la demolizione dei muri, quindi il tema della integrazione e accoglienza”. Sfide portate avanti “con tenacia, coerenza e con il sorriso. Un sorriso che convinceva”.

Di diverso schieramento politico, Forza Italia, è Antonio Tajani, già presidente del Parlamento europeo, che sottolinea l’incontro con Sassoli sul terreno di valori profondi. Soprattutto Tajani ricorda che al momento dell’elezione al Parlamento europeo David Sassoli ha ricevuto moltissimi voti anche da personalità politiche distanti dalle sue posizioni perchè, al di là della differenza di vedute sulle modalità di azione, era facile riconoscere in David Sassoli l’impegno costante a porre la persona umana al centro di qualunque ragionamento. Una scelta che apre al dialogo e che, sottolinea Tajani, è frutto della “formazione cristiana”.

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Buonomo: dal Covid alle armi, uno Stato non può fare da solo

Assicurare a tutti i vaccini senza infrangere le regole dei brevetti si può fare: esistono le regole che prevedono l’eccezionalità. E’ quanto sottolinea, tra l’altro, il rettore della Lateranense e ordinario di Diritto internazionale Vincenzo Buonomo, commentando il forte richiamo di Francesco alla comunità internazionale – nel discorso al Corpo diplomatico – perché le grandi sfide non ammettono disattenzioni

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Un’occasione propizia “per guardare insieme alle luci e alle ombre del nostro tempo”: così il Papa ha parlato dell’udienza al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede di questa mattina  – che ha definito “incontro di famiglia”.

La diplomazia tra conflittualità e diritto

Tante e significative le sollecitazioni di Francesco nell’ambito della diplomazia che ha lo scopo – ha ribadito – di “aiutare a mettere da parte i dissapori della convivenza umana, favorire la concordia e sperimentare come, quando superiamo le sabbie mobili della conflittualità, possiamo riscoprire il senso dell’unità profonda della realtà”. Tra le urgenze indicate dal Papa ci sono la pandemia; le proxy war, le armi, in particolare quelle nucleari; le migrazioni; le tematiche ambientali; l’educazione. Le ripercorre al nostro microfono il rettore dell’Università Lateranense Vincenzo Buonomo, esperto della Santa Sede alle riunioni del Consiglio dei Diritti dell’Uomo e del Comitato Consultivo sui diritti umani dell’ONU e al Comitato Direttivo dei Diritti dell’Uomo del Consiglio d’Europa:

Professore, in che modo il diritto internazionale viene chiamato in causa da questo discorso di Papa Francesco?

L’aspetto essenziale è quello di evitare che ci possano essere questioni disattese, delle disattenzioni da parte della comunità internazionale rispetto alle grandi sfide che in questo momento bisogna arginare, bisogna fronteggiare. Da un lato, il covid, dall’altro, la questione della sicurezza e dei conflitti, e dall’altro ancora la questione migranti, il problema legato allo spostamento di popolazioni.

Che dire delle sfide a livello giuridico cui accenna il Papa?

Sul piano della pandemia, credo che l’aspetto più interessante sia questa richiesta – formulata non ipoteticamente ma direttamente – all’Organizzazione Mondiale della Sanità e all’Organizzazione Mondiale per la Proprietà intellettuale, di garantire che ci possa essere una riproducibilità del vaccino e quindi abbattendo i monopoli attualmente tenuti dall’industria farmaceutica. Adesso ci stiamo accorgendo che vaccinando un miliardo e mezzo di persone non eliminiamo i problemi legati alla pandemia, perché gli altri sei miliardi e mezzo, rischiano di essere un ulteriore focolaio per i virus e le sue varianti. E la questione può essere tranquillamente affrontata utilizzando, appunto, le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio che prevedono, in caso di necessità, che ci possa essere una sospensione dei diritti derivanti dai brevetti.

E’ forte il richiamo al multilateralismo e anche ai rischi che attentano a questo tipo di approccio …

E certo, perché in questo caso il riferimento al multilateralismo significa portare direttamente nell’ambito di queste organizzazioni competenti una questione essenziale. Non può farlo il singolo Paese: necessariamente devono farlo le organizzazioni internazionali che sono preposte. Analogamente, dal punto di vista del tema “pace e sicurezza”, il Papa pone il problema degli accordi sulla riduzione e sul non-utilizzo di alcuni armamenti che, invece, in questo momento sono nella cosiddetta autonoma disponibilità degli Stati. Il Papa ritiene che questi armamenti, per i loro effetti, vadano necessariamente controllati da organi internazionali. Il multilateralismo in questo senso diventa un elemento inclusivo e non esclusivo e lo diventa non solo per gli Stati ma anche per i problemi.

Si apre anche a un discorso che va oltre, forse, il multilateralismo, toccando forme di governance globale, su alcune tematiche chiave …

Certo, soprattutto il tema dei conflitti perché in questo momento il Papa sottolinea, per esempio, tutta la questione delle cosiddette “guerre per procura” o conflitti per procura che in questo momento rappresentano l’effettivo problema di tanti conflitti interni a singoli Paesi e a singole aree. Ci si combatte all’interno ma per interessi esterni di attori che riescono ad avere, proprio all’interno di questi Paesi o di queste aree, un controllo, magari attraverso milizie locali e senza, cioè, riferimento agli eserciti regolari. Questo sta diventando un po’ un modo ulteriore per accrescere la mancanza di sicurezza a livello internazionale.

Forte anche il richiamo al 2022 come un anno per portare avanti il discorso sulla “casa comune”, sulle problematiche ambientali …

Il Papa riprende i temi di COP26 e li riprende in modo obbligante rispetto al prossimo appuntamento del COP27, che si terrà a novembre prossimo in Egitto: quindi, credo che anche questo imponga una riflessione sugli strumenti giuridici esistenti che possono essere utilizzati per poter garantire modalità diverse alla comunità internazionale. C’è poi il riferimento al tema dell’educazione a tutte queste realtà: cioè, se non c’è un’educazione e una formazione specifica, evidentemente tutti questi obiettivi non potranno essere non solo raggiunti, ma neanche percorsi. Quindi l’idea che nei contesti in cui è impedita una formazione, un’educazione, ci si interroghi e si torni a pensare all’elemento essenziale, cioè la persona che si forma e diventa competente per poter agire a vantaggio del bene comune.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-01/diritto-papa-discorso-corpo-diplomatico-rettore-armi-pandemia.html

Il Papa e il Kazakhstan: prego per le vittime e per il ritorno dell’armonia sociale

Dopo la preghiera mariana dell’Angelus, Francesco ricorda le vittime delle proteste di questi giorni in Kazakhstan, chiedendo che prevalga il dialogo nella ricerca della giustizia e del bene comune

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Papa Francesco dopo la recita dell’Angelus, sottolinea di aver appreso “con dolore” che vi sono state vittime durante le proteste scoppiate nei giorni scorsi in Kazakhstan La sua preghiera e il suo appello:

Prego per loro e per i familiari, e auspico che si ritrovi al più presto l’armonia sociale attraverso la ricerca del dialogo, della giustizia e del bene comune 

Francesco affida quindi il popolo kazako alla protezione della Madonna, Regina della Pace di Oziornoje. La Vergine è venerata con questo nome nel santuario mariano nazionale di Oziornoje, nel nord del Kazakhstan.

Un arresto eccellente

Per ‘alto tradimento’ è stato arrestato il capo dell’Intelligence, Karim Masimov. Resta difficile capire cosa sia veramente successo in questi giorni, e in particolare come le manifestazioni inizialmente pacifiche contro il forte aumento dei prezzi del Gpl abbiamo portato improvvisamente ad attacchi apparentemente ben organizzati contro i palazzi del potere ad Almaty. E come alla protesta iniziale di giovani e lavoratori per il caro prezzi possano essersi sovrapposte componenti mosse da altre motivazioni. Si parla di estremismo islamico o anche di ambiti dello Stato intenzionati ad eliminare quel che resta del potere di Nursultan Nazarbayev, presidente dall’indipendenza del Kazakhstan e per quasi 30 anni, che nel 2019 ha lasciato il posto a Tokayev rimanendo capo del Consiglio di sicurezza fino a mercoledì scorso, quando è stato destituito proprio da Tokayev. Nazarbayev, che oggi ha 81 anni e vive nella capitale Nur-Sultan, la ex Astana così rinominata in suo onore, non ha dato notizie di sé da quando sono cominciate le violenze. Il suo portavoce ha condannato queste indiscrezioni, definendole “false speculazioni”. L’ ex presidente, assicura, è “in contatto diretto” con il suo successore, attorno al quale invita tutti i kazaki a “stringersi”. Sempre mercoledì è stato rimosso da capo dell’Intelligence Masimov, considerato un fedelissimo di Nazarbayev, che 24 ore dopo è stato arrestato.

L’attesa del nuovo governo

La settimana prossima ci si aspetta che Tokayev annunci la formazione di un nuovo governo, dopo avere rimosso nei giorni scorsi quello guidato da Aksar Mamin. Tokayev ha annunciato per l’11 gennaio una giornata di lutto per le vittime degli scontri. Nel frattempo Washington ha autorizzato a lasciare il Paese i dipendenti del suo consolato ad Almaty la cui presenza non sia indispensabile. Intanto, un corrispondente dell’Afp ha constatato che si odono di tanto in tanto colpi d’arma da fuoco sparati in aria da agenti e militari per impedire alla gente di affluire alla piazza centrale dell’ex capitale Almaty.  Una trentina di supermercati ha riaperto i battenti, fanno sapere i media locali, consentendo alla popolazione di fare acquisti dopo giorni di tensione. Continua però il blocco di Internet e del servizio di sms, e l’aeroporto di Almaty dovrebbe rimanere chiuso almeno fino a lunedì ai voli civili.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-01/papa-francesco-angelus-appello-kazakhstan-vittime-violenza.html

L’Europa secondo Macron: in equilibrio nel confronto tra potenze e sovrana di fronte ai big tech

La presidenza francese di turno del Consiglio Ue è iniziata con l’impegno dichiarato di Macron di difendere strategie importanti, come quella di limitare lo strapotere delle grandi aziende hi tech, in un mondo in attesa di una nuova dimensione di rapporti tra Stati Uniti, Russia, Cina. Lo sottolinea lo storico Eugenio Capozzi, che vede lontano l’obiettivo per la difesa comune per la mancanza di coraggio sul piano delle spese fiscali e militari

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Un accordo sul salario minimo, la tassa sulla CO2 alle frontiere e la regolamentazione delle piattaforme digitali: sono tra gli obiettivi prioritari indicati dal capo di Stato francese Emmanuel Macron per la presidenza di turno dell’Unione Europea. Dal primo gennaio, infatti, fino al 30 giugno di quest’anno, Parigi guida il Consiglio Ue cercando di non deludere le aspettative dei cittadini sulla Conferenza sul futuro dell’Europa che proprio Parigi ha voluto. Sei mesi di presidenza di turno Ue che per Macron coincidono con i mesi della campagna elettorale per tentare di confermare il suo posto all’Eliseo. Dalla Commissione europea è arrivata la raccomandazione ad avviare la discussione sulla sicurezza e sulla difesa comune. “Abbiamo bisogno di un’Europa della difesa – ha detto la presidente Ursula von der Leyen – per prepararci alle nuove minacce e agli attacchi ibridi”.

La “sovranità” secondo Macron

Nelle parole del presidente francese le finalità di questo semestre si riassumono nel “promuovere la sovranità europea in tutti gli ambiti dalla difesa comune all’autonomia tecnologica”. Delle possibilità di azione di Macron abbiamo parlato con lo storico Eugenio Capozzi, professore ordinario presso l’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa:

Lo storico innanzitutto inquadra una situazione di incertezza internazionale spiegando che si ripercuote sull’Unione europea. Cita la situazione di tensione tra Stati Uniti, Russia, Cina che crea una certa instabilità che non aiuta la compattezza tra i Paesi Ue. Capozzi ricorda l’importanza del ruolo della Germania, considerata motore economico d’Europa, sottolineando però che è proprio Berlino a vivere, a causa del confronto tra Washington e Mosca, una sorta di sospensione nelle relazioni.

Le fragilità dei Paesi pilastro dell’Ue

Macron ha spiegato che la Francia moltiplicherà le iniziative con l’Italia, come il documento congiunto sulla riforma del Patto di stabilità, e moltiplicherà “ogni volta che sarà possibile” le iniziative a tre con la Germania. Si tratta, commenta Capozzi, di una fase particolare per tutti e tre i Paesi fondatori. La Francia è immersa nella campagna elettorale per l’Eliseo. La Germania ha un nuovo governo che deve ancora definire sul campo i suoi orientamenti. Per quanto riguarda l’Italia, il successo del maxi piano di aiuti Next Generation Eu da oltre 800 miliardi, raccolti emettendo debito comune, dipende in gran parte dalla capacità proprio del governo di Roma, primo beneficiario con quasi 200 miliardi di euro, di rispettare gli impegni presi con l’Ue.

Sullo sfondo il negoziato Usa-Russia e la Cina

Nel frattempo, si apre questa domenica a Ginevra il negoziato tra Stati Uniti e Russia. Il capo del Cremlino afferma che un ingresso dell’Ucraina nell’ Alleanza Atlantica completerebbe l’accerchiamento della Russia e renderebbe impossibile la sua difesa in caso di attacco missilistico. Secondo gli analisti, Putin vorrebbe ricreare una zona d’influenza russa in Europa dell’est, allontanandone la Nato. Da parte sua, il presidente statunitense Biden ha ribadito finora che gli ucraini devono essere liberi di decidere e ha minacciato altre sanzioni economiche e finanziarie per Mosca. Si tratta di cercare un compromesso che eviti l’escalation di tensione tra le due potenze nucleari. Capozzi sottolinea l’importanza di tornare ad un impegno serio di dialogo tra Washington e Mosca e aggiunge che non si può dimenticare Pechino: anche la Cina è tra i grandi interlocutori da considerare. Ribadendo che è sempre positivo l’impegno al dialogo, come quello assicurato dai colloqui formali che riprendono il via a Ginevra, lo storico ricorda che sono tanti gli spunti problematici dell’attualità, tra cui la situazione in Kazakhstan, ma che è particolarmente cruciale l’equilibrio da trovare per la questione dell’Ucraina e della Nato.

La difesa comune è lontana

Da storico Capozzi non ritiene sia possibile immaginare a breve passi significativi nel cammino verso la difesa comune europea. Troppe variabili minano la compattezza nell’Ue necessaria per una decisione che, spiega lo storico, implicherebbe  scelte comuni coraggiose in tema di politiche fiscali e di spese militari. Non si può immaginare uno slancio in avanti di Parigi e Berlino, afferma Capozzi, perché non si può ipotizzare che sia solo una sorta di brigata franco-tedesca.

L’importante partita sul piano tecnologico

Dalle parole di Capozzi emerge l’importanza e l’urgenza di un impegno concreto da parte europea per contrastare monopoli di grandi aziende hi tech che minacciano, afferma, non solo le altre aziende ma anche i bilanci stessi degli Stati per il peso enorme che hanno assunto. Lo storico evidenzia la difficoltà di un’impresa del genere citando alcune proposte che Macron ha proposto e che effettivamente potrebbero rappresentare passi avanti concreti, come quella di finanziare maggiormente i centri di ricerca tecnologica e imprenditoriale europei. Questi centri appaiono piccoli ma da lì si può partire per elaborare strategie di contenimento dello strapotere di alcune big tech company che sono uscite più ricche dal periodo di pandemia finora trascorso. Secondo Capozzi, è in questo impegno che l’Europa si gioca molto del ruolo che saprà ritagliarsi nel futuro.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-01/francia-presidenza-unione-europea-relazioni-stati-uniti-russia.html

I rischi del caporalato digitale

Una app e un algoritmo come datore di lavoro: un fenomeno che tocca nuovi ambiti di impiego in tutto il mondo. In molti casi si deve parlare di “nuova precarietà digitale”, come spiega l’esperto di gestione e governance aziendali Giorgio Banchieri, sottolineando che l’emergenza della pandemia mette troppo in ombra il necessario dibattito sui rischi di una tecnologia che dimentica la centralità della persona

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Vengono chiamati platform worker, sono i nuovi lavoratori che nel mondo e in Europa fanno capo in sostanza a una piattaforma on line. In Italia, secondo un’indagine dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, se ne contano oltre 570 mila. Per l’80,3 per cento dei casi si tratta di una fonte di sostegno importante o addirittura essenziale, mentre per circa la metà – 48,1 per cento – è il lavoro principale.

Non solo rider

Lo studio ha messo in evidenza che i rider e i fattorini rappresentano solo la metà di questo nuovo universo, con una quota rispettivamente del 36,2 per cento e del 14 per cento. Il resto dei platform worker  svolge incarichi online che vanno dalle traduzioni, alla stesura di testi, fino alla programmazione di software, alla realizzazione di siti web e così via. Oltre il 31 per cento di questi nuovi lavoratori non ha un contratto scritto e solo l’11 per cento ha un contratto di lavoro dipendente.

Si tratta, dunque, di un lavoro povero, fragile, che non permette ai giovani di costruire un futuro stabile, sottolinea Giorgio Banchieri, docente di Scienze Sociali ed Economiche alle Università Sapienza e Luiss:

L’app spersonalizza, sottolinea Banchieri: è difficile capire chi sia la controparte e quindi anche comprendere come gestire le esigenze o le conflittualità all’interno del lavoro. “La tecnologia non è equa e solidale, come a volte si vorrebbe far pensare”, avverte lo studioso. Banchieri sottolinea il rischio di “caporalato digitale”, spiegando che si aspetta la presentazione della proposta di direttiva della Commissione europea per il miglioramento delle condizioni di lavoro nelle piattaforme. I miti della sharing economy non reggono più: le piattaforme digitali richiamano sempre più forme di lavoro rigidamente controllate nei tempi e nei modi, pagate spesso a cottimo (50,4 per cento dei casi) e il cui guadagno risulta fondamentale per chi lo esercita. Dovrebbero essere riclassificati come lavoratori subordinati, usufruendo così di alcuni diritti fondamentali (tra cui salario minimo, orario di lavoro, sicurezza e salute sul lavoro, forme di assicurazione e protezione sociale) finora non contemplati. Queste garanzie – spiega Banchieri – consentirebbero non solo di bilanciare in maniera più equa l’interesse dei fruitori di tali servizi con il diritto a condizioni di lavoro dignitose, ma anche di assicurare condizioni concorrenziali più sane nei diversi mercati e una maggiore trasparenza fiscale.

Non c’è lavoro senza ripresa economica e riforme

L’Italia non deve perdere il treno del Recovery Fund e delle riforme, avverte Banchieri, sottolineando però che l’attenzione è importante in tutta Europa. Ricorda poi che l’inflazione è salita bruscamente in molte economie e l’aumento è stato maggiore e più duraturo di quanto ci si aspettasse. I costi alimentari ed energetici sono cresciuti notevolmente, con gli impatti maggiori sulle famiglie a basso reddito. Si può sperare – spiega – che gran parte delle pressioni inflazionistiche siano sorte a causa di persistenti strozzature nell’approvvigionamento, innescate da carenze di manodopera, chiusure intermittenti di impianti e ritardi nelle spedizioni, nonché da interruzioni sui mercati dell’energia. Con il miglioramento della situazione sanitaria, la stabilizzazione della domanda e il ritorno delle persone alla forza lavoro, queste strozzature potrebbero venir meno e le pressioni inflazionistiche si potrebbero allentare nel corso del 2022-23.

Salvare l’ambiente con le tecnologie, ma combattendo le diseguaglianze

L’esperto di scienze sociali ed economiche sottolinea l’improrogabilità delle politiche di transizione ecologica per ribadire però che bisogna guardare alle diseguaglianze tra Paesi e all’interno delle società: altrimenti – avverte – non si può pensare di procedere e far procedere tutti secondo la stessa road map e questo potrebbe significare far saltare la road map stessa dei necessari cambiamenti dall’uso di idrocarburi alle risorse rinnovabili. In tutto questo le tecnologie sono una grande opportunità, ma rischiano di essere esclusive per alcuni. Da studioso Banchieri raccomanda che  il sostegno politico sia flessibile, adeguato all’evoluzione della situazione sanitaria ed economica, ma soprattutto raccomanda che in tutte le politiche e le riforme si ponga al centro la persona. La pandemia ha portato alla ribalta alcune debolezze nelle catene globali del valore: troppa concentrazione delle fonti di input e non sufficiente diversificazione, spiega. Sarà importante rivederli – raccomanda – per garantire una maggiore resilienza nelle catene globali del valore e garantire condizioni di parità a livello generale. In sostanza – spiega Banchieri – bisogna anche pensare di assicurare le tecnologie necessarie per “sopravvivere” alle transizioni a Paesi e fette di popolazione che ne rimarrebbero fuori.

La centralità della persona

Banchieri ci tiene a sottolineare che tutto questo non si può fare dimenticando la centralità della persona umana: le tecnologie energetiche o nuove tecniche produttive non possono essere perseguite e sostenute solo l’obiettivo del profitto. Banchieri non cita solo Paesi in difficoltà, ma anche situazioni di degrado post industriale o di nuovo impoverimento in Europa. E torna a ribadire che, senza una gestione politica accorta, le nuove tecnologie cambiano i contenuti del lavoro, rivoluzionando tutto a partire dai luoghi di produzione e creando forti tensioni sociali. Bisogna – avverte Banchieri – accompagnare i cambiamenti con riforme profonde, ad esempio della pubblica amministrazione, del diritto, per dare certezze a chi lavora, alle nuove generazioni che – ribadisce – sono oggi fortemente penalizzate. Non si tratta solo di gestire le novità di una app per datore di lavoro, si tratta anche – ricorda – di far fronte alla tendenza delle grandi aziende di recuperare profitti, riducendo ancora i “costi del lavoro umano”. Banchieri cita alcuni think thank stranieri che affrontano queste tematiche, per poi ammettere che purtroppo però nell’urgenza della pandemia non si avverte, a parte alcune nicchie appunto di riflessione, un dibattito all’altezza dei tempi.

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L’euro 20 anni dopo: una scommessa da portare a compimento

Il 1º gennaio 2002, 12 Paesi dell’Ue mettevano in atto il più importante cambio di valuta di tutti i tempi. Oggi sono 19 i membri Ue che hanno adottato l’euro ma sono circa 60 i Paesi nel mondo che all’euro legano la propria valuta. Senza la moneta unica saremmo tutti più poveri e più litigiosi, ma restano incompiuti importanti passi politici, secondo l’accademico e politico Pier Carlo Padoan

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Per passare all’euro, il 1 gennaio di 20 anni fa 12 Paesi dell’Unione europea congedavano le proprie banconote e monete nazionali. L’euro oggi è la moneta utilizzata da più di 300 milioni di europei ed è stata adottata in 19 dei 27 Paesi dell’Unione europea aderenti all’Unione economica e monetaria dell’Unione europea, Uem. Si tratta della seconda valuta internazionale più importante ed usata al mondo, dopo il dollaro.

Un simbolo

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha dichiarato: “Sono ormai 20 anni che noi europei ci portiamo l’Europa in tasca. L’euro non è solo una delle valute più solide al mondo, è soprattutto un simbolo dell’unità europea”. La presidente ha sottolineato che le banconote raffigurano da un lato dei ponti e dall’altro una porta, “proprio quello che l’euro simboleggia”. L’euro rispecchia i valori europei: è “la valuta globale degli investimenti sostenibili”. Inoltre, la presidente von der Leyen ha affermato che l’euro è la valuta del futuro, e che “nei prossimi anni diventerà anche una moneta digitale”.

Della situazione economica che si vive in questo anniversario, dei limiti e delle criticità legate all’euro, parla Pier Carlo Padoan, già ministro dell’Economia e delle Finanze e direttore esecutivo per l’Italia del Fondo Monetario Internazionale:

Padoan parla innanzitutto di inflazione spiegando che, in generale, un livello di poco sopra al 2 per cento è ancora accettabile anche perché permette un equilibrio possibile con il debito, ma aggiunge che il problema vero è l’inflazione settoriale, cioè quella che colpisce ad esempio il settore energetico e che comporta costi alti per i prezzi di alcuni servizi. “Servono aggiustamenti”, afferma. E poi a proposito della situazione attuale, a 20 anni dall’adozione dell’euro, Padoan invita a parlare di crescita per spiegare che la situazione attualmente non è negativa in Europa a patto che si punti davvero a una crescita qualitativa oltre che quantitativa. Significa innanzitutto fare quelle riforme che servono per spendere i miliardi dell’Ue, contenere i livelli di inflazione entro i parametri di sane dinamiche economiche, per assicurare sostenibilità sul piano ambientale, ma soprattutto significa assicurare un avvenire alle nuove generazioni con posti di lavoro e – sottolinea – posti di lavoro dignitoso. A questo proposito un altro elemento chiave citato dall’economista è quello del ruolo delle donne: motivo di squilibri sono le discriminazioni di impiego e salariali per il mondo femminile e il malfunzionamento delle politiche sociali che interessano in primis le donne.

Mancano pilastri sul piano politico

In questi due decenni – riconosce Padoan – l’euro ha agevolato le attività commerciali in tutta Europa e oltre. Offre molti vantaggi ai cittadini tra cui la stabilità dei prezzi, una loro più facile comparazione che stimola la concorrenza tra imprese, una maggiore stabilità e crescita economica, una maggiore influenza sull’economia globale e maggiore integrazione tra i mercati finanziari. Di certo, prima dell’euro, la necessità di scambiare valute comportava una serie di costi aggiuntivi della cui assenza ha giovato l’attività imprenditoriale e di investimento nell’euro zona. Il punto è – sostiene – che si tratta di un processo ancora non portato a compimento: mancano passaggi dell’unione monetaria da fare, mancano politiche fiscali. In generale – afferma Padoan – mancano pezzi della costruzione politica dell’Ue, che resta una realtà di integrazione sbilanciata sul piano dell’economia.

Di fronte alla domanda su cosa sarebbe l’Europa se 20 anni fa non si fosse affermata la moneta unica, Padoan non ha dubbi: sarebbe stato – commenta – un destino di disintegrazione, di divergenza, frammentazione a anche di conflitto. Per il futuro l’economista intravede un rafforzamento dell’euro, ma raccomanda passi avanti citando anche l’unione bancaria, per assicurare canali per creare ricchezza nell’ambito dell’economia reale.

Un percorso di 40 anni

Si può dire che la data della nascita della moneta unica europea è il 1 gennaio 1999, mentre la sua circolazione risale al 1 gennaio del 2002. In realtà è nel giugno del 1988 che il Consiglio europeo assegnò il compito di elaborare un progetto per la progressiva realizzazione dell’Unione economica e monetaria ad un comitato composto dai governatori delle Banche centrali nazionali della allora Comunità europea. Tale comitato, presieduto dal francese  Jacques Delors, elaborò il noto “Rapporto Delors” nel quale si proponeva l’attuazione dell’Uem in tre distinte fasi: la prima, a partire dal 1 luglio 1990, prevedeva la libera circolazione dei flussi di capitale tra gli Stati membri, mentre la seconda fase, successiva al Trattato di Maastricht del 1992, prevedeva la creazione dell’Istituto monetario europeo, Ime, teso a rafforzare la cooperazione tra le diverse banche centrali nazionali in modo da giungere ad una politica monetaria unica. La terza fase, invece, ebbe iniziò una volta fissati i tassi di cambio delle valute nazionali dei primi 12 Stati membri aderenti all’Unione monetaria e si realizzò con il progressivo passaggio alla moneta unica.
I tassi di cambio vennero stabiliti dal Consiglio europeo in base al valore delle monete nazionali sul mercato al 31 dicembre 1988, in modo che un Ecu, l’unità di valuta europea, fosse pari a un euro. Dal 1 gennaio 1999, dunque, iniziò il periodo di transizione in cui l’euro, pur non essendo ancora ufficialmente in circolazione, poteva comunque essere adottato come ‘moneta scritturale’. Dal 1 gennaio 2002, invece, l’euro è entrato ufficialmente in circolazione anche se, fino al 28 febbraio, affiancava le monete nazionali che vennero definitivamente sostituite solo il 1 marzo dello stesso anno.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-01/unione-europea-euro-moneta-unica-venti-anni-anniversario.html

Si accende nell’Est asiatico un grande motore economico

Con l’inizio del nuovo anno è entrato in vigore il Regional Comprehensive Economic Partnership, l’accordo che fa capo alla Cina e mette d’accordo l’Asia orientale, quella del Sud-Est e il Pacifico. Oltre alle potenzialità sul piano dell’economia del blocco commerciale e di investimenti più grande al mondo, ci sono le implicazioni politiche. Lo spiega l’economista Carlo Altomonte sottolineando anche che segna un cambiamento di passo nei processi di globalizzazione

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Un’area di cooperazione economica di 2,2 miliardi di persone che producono il 30 per cento del Pil e il 27,4 per cento del commercio globali: è entrato in vigore dal primo gennaio 2022 il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), l’accordo economico-commerciale tra i 10 Paesi dell’ASEAN più Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, firmato il 15 novembre scorso, dopo oltre otto anni di negoziati. L’accordo segna l’avvio del blocco commerciale e di investimento più grande al mondo, dunque nuove prospettive per lo sviluppo economico della regione, di cui promuove l’integrazione. Pechino suggeriva da tempo questa direzione confermata anche dalla crescita senza sosta, nonostante la pandemia, del commercio tra Cina e Paesi ASEAN: ad agosto 2020 ha raggiunto i 430 miliardi di dollari, in crescita del 7 per cento rispetto all’anno precedente. L’ASEAN ha così sorpassato l’UE come primo partner commerciale di Pechino.

Vantaggi immediati

Si tratta di un accordo che sfrutta la complementarietà produttiva tra i Paesi membri e in questo senso  amplia le opportunità per tutti. Stati come Giappone e Corea riusciranno a costruire più facilmente catene del valore regionali e i membri ASEAN  diventeranno sempre più  destinatari degli investimenti sudcoreani e nipponici. Delle implicazioni e degli effetti ma anche dei distinguo da fare rispetto al concetto di mercato unico europeo, abbiamo parlato con Carlo Altomonte, docente di Politica economica europea all’Università Bocconi:

Implicazioni geopolitiche

Il professor Altomonte mette in luce innanzitutto un dato: Paesi come il Giappone, la Corea e la Cina che storicamente si sono ritrovati contrapposti su vari piani ora si ritrovano in un processo significativo di integrazione. Da questo punto di vista è un successo per le logiche del dialogo. L’accordo si presenta in grado di rivoluzionare la geopolitica della regione e i rapporti tra gli Stati dell’Est asiatico. La maggiore influenza commerciale, finanziaria e di investimenti della Cina nella regione attraverso l’accordo potrebbe incrementare il peso politico di Pechino nell’area e di conseguenza come commentano alcuni analisti, segnare una perdita di peso strategico nell’area degli Stati Uniti. In particolare, per quanto riguarda Pechino si parla di tecnologie d’avanguardia, tra cui la telefonia mobile, l’intelligenza artificiale,  e i sistemi di sorveglianza, il sistema di posizionamento globale e di navigazione Beidou, lanciato di recente come concorrente del GPS statunitense. Il blocco potrebbe divenire ancora più importante qualora l’India, ritiratasi dalle negoziazioni nel 2019, decidesse di aderirvi in futuro.

Settori strategici

Il gruppo dei Paesi membri copre il 50 per cento della produzione manifatturiera globale, il 50 per cento della produzione automobilistica e il 70 per cento di quella elettronica. Sono questi dunque – ricorda Altomonte – i settori maggiormente interessati. Proprio la preminenza di Pechino in questo accordo potrebbe ulteriormente favorire i progetti infrastrutturali, energetici, di trasporto, digitali nella regione finanziati dalla Cina anche prima. Il RCEP eliminerà tra l’85 e il 90 per cento delle tariffe al commercio interne alla nuova area; tuttavia, l’agricoltura resta assente dall’intesa, così come un’inclusione limitata spetta al settore dei servizi.

Non è un mercato unico all’europea

Altomonte chiarisce che l’accordo introduce il libero scambio di beni ma non prevede quello di persone o capitali e anche in tema di  servizi si pongono molti limiti. Sta proprio qui la prima grande differenza rispetto al Mercato unico europeo.  Per quanto riguarda i beni, però, si parla – sottolinea Altomonte – di cifre considerevoli. L’area attualmente attrae il 24 per cento degli investimenti diretti esteri ed è la più dinamica a livello internazionale. Si stima che l’accordo possa incrementare il Pil mondiale di 209 miliardi di dollari al 2030 e il commercio internazionale di 500 miliardi entro la stessa data. Nella regione l’impatto stimato secondo l’UNCTAD è una crescita del Pil dello 0,2 per cento al 2030 e una crescita delle esportazioni del 10 per cento entro il 2025.

Più regole che standard comuni

Pochi i passi avanti – spiega ancora Altomonte – nella definizione di standard comuni per i prodotti e nessun progresso registrato sulla tutela del lavoro, dell’ambiente, e sulla regolamentazione delle imprese. La ragione è da ricercare soprattutto nella grande diversificazione delle economie dei Paesi che sono parte dell’accordo, attualmente in fasi differenti del proprio sviluppo. Il RCEP creerà regole comuni sull’origine dei prodotti nell’area, in modo tale che i certificati d’origine emessi in un Paese membro siano validi in tutta la regione, riducendo in tal modo i costi di spedizione e transazione interni. L’importanza del RCEP deriva inoltre dal riunire in un unico strumento questioni prima sovrapposte e trattate in tanti differenti accordi tra i Paesi dell’area.

La globalizzazione si fa regionale

L’economista Altomonte mette in luce infine una tendenza importante: il RCEP – sottolinea – è un primo passo verso quella regionalizzazione degli scambi che era già entrata nei dibattiti internazionali. L’Asia, più di altre aree del mondo, ha un ricco tessuto di organizzazioni regionali su cui appoggiarsi, che facilita uno spostamento in questa direzione, ma in ogni caso il trend sembra globale. Non a caso, è stato all’interno del summit autunnale dell’ASEAN che l’accordo ha trovato la sua risoluzione, confermando l’importanza strategica di questa organizzazione regionale e la crescente rilevanza economica dell’area.  Altomonte da studioso intravede a questo punto il delinearsi di tre grandi aree macroregionali, tra Asia, Americhe, Europa.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-01/asean-cina-australia-nuova-zeland-accordo-commerciale-digitale.html