Educare alla democrazia: atenei di tutto il mondo a confronto

Rappresentanti di 20 Paesi ed esperti di 14 Università: sono i numeri del convegno organizzato dalla Fondazione “Gravissimum Educationis” per riscoprire il valore della formazione alla democrazia sotto diversi profili, da quello economico a quello spirituale, come spiega monsignor Guy-Real Thivierge, segretario generale della stessa Fondazione

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Educare alla democrazia in un mondo frammentato”: è il titolo del convegno, che prende il via domani 17 marzo presso la Lumsa (Libera Università Maria Santissima Assunta) per concludersi sabato 19, organizzato dalla Fondazione “Gravissimum Educationis”, nata nel 2015 con l’obiettivo di mettere in atto quanto previsto dal documento del Concilio Vaticano II. Alla presentazione in Sala Stampa vaticana ha preso parte monsignor Guy-Real Thivierge, segretario generale della stessa Fondazione:

Monsignor Thivierge conferma che al convegno a Roma partecipano rappresentanti di oltre 20 Paesi: tra questi ci sono docenti di 14 università di 13 Paesi del mondo. L’obiettivo è quello di comprendere le problematiche locali sotto tutti i profili, da quello accademico intellettuale a quello economico o spirituale. E poi si vorrebbe arrivare  – precisa – a identificare dei modelli educativi da considerare. Ogni progetto parte dall’esperienza locale – sottolinea – e ha un campo preciso di analisi per poi aprirsi al confronto.

L’urgenza di ragionare di democrazia

“Le nostre democrazie sono in pericolo”, afferma monsignor Thivierge che, pur senza entrare nello specifico del contesto che si vive in Europa in questi giorni, ricorda che tutti avvertiamo la drammaticità del momento, i rischi cui stiamo andando incontro ma anche come vacillino alcuni punti fermi.  Ribadisce che l’educazione è un fattore di integrazione, di coesione sociale e di sviluppo. Mette in luce come questa serva per formare le persone, in particolare le giovani generazioni, alla democrazia e allo spirito della democrazia. Monsignor Thivierge sottolinea che è molto importante sviscerare e comprendere i vari livelli del dibattito da affrontare: da quello più teorico, intellettuale o spirituale, a quello concreto della realtà dei fatti e delle varie esperienze sotto diverse latitudini.  E dunque spiega che il convegno promosso dalla Fondazione “Gravissimum Educationis” è organizzato con una logica precisa: mettere insieme non solo teorici, filosofi, ma anche esponenti del mondo della politica. Partecipano infatti ex capi di governo o ministri per assicurare – dice – un vero dialogo  tra “teorici” e “pratici” .

Il “potere” dell’educazione

Alla presentazione è intervenuta la professoressa Annie Tohme Tabet dell’Université Saint-Joseph di Beyrut in Libano. Il suo intervento in lingua originale:

La professoressa Tabet fa riferimento alla difficile situazione in Libano, tra crisi economica e impasse politica, per sottolineare quanto possa essere decisivo il ruolo dell’educazione alla democrazia nel caso di una società, come quella libanese, che vive emergenze gravi ma cerca di difendere il suo modello di convivenza pacifica. I giovani – dice – purtroppo cercano in massa di lasciare il Paese mentre la società avrebbe bisogno proprio della sua generazione più promettente. Secondo Tabet, tutti i delicati aspetti del difficilissimo equilibrio politico che si vive attualmente in Libano richiedono proprio momenti di confronto. Serve – aggiunge – anche creatività per difendere la parte migliore del sistema libanese assicurando giuste riforme per combattere clientelismi e corruzione. E questa esperienza particolare può arricchirsi nel confronto con altre.

Ha spiegato in inglese il suo punto di vista anche il professor Allan De Guzman, della Pontifical University of Santo Tomas nelle Filippine. Il suo intervento in lingua originale:

Il professor Allan De Guzman mette in luce innanzitutto un aspetto tra tanti da considerare quando si parla del valore dell’educazione: quello del potere dell’educazione, del potenziale immenso in termini di promozione sociale. E lo fa invitando a orientare lo sguardo quando si tratta di guardare alle controversie, che scoppiano a livello più locale più regionale o più globale.  L’obiettivo dunque deve essere – sostiene – quello di stabilire punti fermi in tema di educazione in modo da difendere e sviluppare proprio questo potenziale di pace a fronte delle minacce e dei contesti di conflittualità.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-03/educazione-formazione-democrazia-universita-cattoliche.html

Emergenza fame in Siria a 11 anni dallo scoppio del conflitto

Il 15 marzo 2011 scoppiava la guerra in Siria: oggi si registra il livello più grave di insicurezza alimentare dell’ultimo decennio e già si avvertono conseguenze sui prezzi di beni di necessità a causa del conflitto in Ucraina. È urgente il ripristino delle infrastrutture e la garanzia dell’accesso ai servizi di base per aiutare oltre 12 milioni di persone a rischio, come spiega Orazio Ragusa di Azione contro la fame

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Almeno 12,4 milioni di persone rischiano la fame in Siria. È quanto denuncia “Azione contro la Fame”, organizzazione umanitaria internazionale specializzata nella lotta contro la fame e la malnutrizione infantile, in occasione dell’undicesimo anniversario dello scoppio della guerra in Siria, il 15 marzo del 2011. Il numero di siriani considerati a rischio insicurezza alimentare è al livello più alto dell’ultimo decennio. Il costo medio del cibo, all’interno del Paese, è stato negli ultimi mesi il più alto mai registrato, come racconta Orazio Ragusa portavoce di Azione contro la fame:

Ad oggi – riferisce Ragusa – i bisogni in Siria superano, di gran lunga, la capacità delle famiglie di far fronte all’alta inflazione e ad una economia sempre più in difficoltà. Il Paese – sottolinea – sta affrontando una crisi multipla e interconnessa. L’iperinflazione fa sì che, ogni giorno, i siriani possano permettersi meno del necessario per sopravvivere. Il loro potere d’acquisto si sta erodendo di giorno in giorno. I beni necessari – acqua, cibo, carburante ed elettricità – sono fuori dalla portata delle famiglie che spendono, in media, il 50 per cento in più del loro reddito. La popolazione non può più permettersi l’acquisto di carburante per far funzionare i generatori che alimentano case, trasporti o infrastrutture idriche. Molti siriani dispongono, oggi, di meno di 4 ore di elettricità pubblica al giorno. I contadini, inoltre, hanno minori risorse per pianificare le piantagioni nei loro campi e, allo stesso tempo, i costi di irrigazione delle loro colture e di trasporto al mercato sono più alti. Secondo i rapporti delle Nazioni Unite, il conflitto in Ucraina potrebbe portare ad una carenza di forniture di grano nella regione, con un impatto sui prezzi dei prodotti alimentari di base come il pane e la farina. Azione contro la Fame lavora in Siria dal 2008 con l’obiettivo di ridurre la fame e i rischi per la salute tra le comunità più vulnerabili, sia con interventi di emergenza che con un sostegno sostenibile, a lungo termine, per costruire la resilienza. L’anno scorso – riferisce Ragusa – l’organizzazione ha aiutato 1,3 milioni di persone sul versante dell’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici, migliorando le strutture sanitarie e l’accesso al cibo. Quest’anno, in un momento in cui l’attenzione globale e i finanziamenti stanno diminuendo, 14,6 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria per soddisfare le loro esigenze di base.

Il peso dei cambiamenti climatici

Ragusa ricorda che anche gli shock ambientali, come le scarse precipitazioni, contribuiscono a generare insicurezza alimentare. Quest’anno la Siria ha affrontato la peggiore siccità degli ultimi 70 anni: un evento che, di fatto, ha paralizzato i raccolti previsti. Secondo quanto verifica sul campo l’associazione Azione contro la fame, la produzione di grano nel 2021 è stata di poco più di un milione di tonnellate, in calo rispetto ai 2,8 milioni di tonnellate del 2020, e corrispondente solo ad un quarto della media di prima della crisi, cioè di oltre 4 milioni di tonnellate all’anno nel periodo 2002-2011.

La necessità di interventi a lungo termine

Con l’aumento dei bisogni – chiarisce Ragusa – sono necessarie soluzioni a lungo termine per ridare speranza, dignità e autosufficienza alla popolazione. I finanziamenti a lungo termine, pluriennali e flessibili possono permettere agli attori umanitari di rispondere ai bisogni di emergenza e porre le basi per soluzioni sostenibili. È urgente includere il ripristino delle infrastrutture e la garanzia dell’accesso ai civili ai servizi di base come le reti idriche, le reti di irrigazione, l’istruzione e la sanità pubblica.

L’eco del conflitto in Ucraina

Ragusa ricorda che il conflitto in Ucraina provoca effetti su larga scala.  Influenza i prezzi delle commodity, cioè dei beni indifferenziati, le rotte migratorie e le relazioni di fiducia nei vari mercati. Danni disastrosi che oggi è impossibile quantificare – sottolinea Ragusa –  ma che avranno  effetti anche sul lungo periodo. Salgono i prezzi delle materie energetiche, ma anche del cibo, che riguardano sia quelli direttamente importati da Ucraina e Russia, sia quelli che arrivano da altri Paesi. Un tempo definiti granaio d’Europa – spiega Ragusa –  i due Stati non riforniscono più una grossa percentuale di grano al Continente europeo, ma forniscono diversi Paesi del Terzo Mondo. Con lo stop delle esportazioni, l’aumento della domanda sta già causando scarsità nelle forniture e facendo lievitare i prezzi.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-03/siria-fame-guerra-prezzi-conflitto-ucraina-grano-energia.html

Nuovi attori per la diplomazia, corridoi umanitari verso la Russia e la Bielorussia

Terzo round di negoziati tra ucraini e russi mentre entrano in scena come mediatori Israele e Turchia e si offre la Cina. Nell’Ue si discute di sanzioni già varate da applicare pienamente, di possibili nuove misure e soprattutto della questione dell’indipendenza energetica da Mosca

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Mentre si continua a combattere su vari fronti in Ucraina, oggi ucraini e russi tornano a sedersi al tavolo dei negoziati per il terzo round di colloqui.

Delusione per i corridoi umanitari

In queste ore c’è delusione sul fronte dei corridoi umanitari. Il ministero della Difesa russo aveva annunciato che l’esercito di Mosca avrebbe cessato il fuoco dalle 10:00 ora di Mosca (le 8:00 in Italia) da Kiev, Mariupol, Kharkiv e Sumy. Ma non aveva specificato quello che poi è stato verificato da fonti di stampa sul posto: i corridoi umanitari funzionano solo per chi volesse recarsi in Russia o in Bielorussia.

Diplomazia al lavoro

A chiedere la ripresa di corridoi umanitari era stato il capo di Stato francese Macron, presidente di turno dell’Ue, che ieri per un’ora è tornato a parlare con Putin. Stamani l’Eliseo ha chiarito che la richiesta non era verso la Russia. E due nuovi attori internazionali sono entrati nella partita diplomatica: Israele e Turchia. Ieri, neanche 24 ore dopo il lungo colloquio tra il premier israeliano Bennett e Putin a Mosca, i due si sono risentiti telefonicamente. Nel frattempo Bennett aveva parlato con Macron, con il cancelliere tedesco Scholz e con il presidente ucraino Zelensky, mentre il suo ministro degli Esteri, Lapid, volava a Riga per incontrare il segretario di Stato americano Anthony Blinken. Il segretario di Stato Usa ha fatto tappa in Moldavia e in Estonia e  ieri ha brevemente attraversato la frontiera ucraina dopo aver incontrato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba. I due si erano incontrati alla frontiera con la Polonia per confrontarsi sugli sforzi occidentali a sostegno dell’Ucraina. Blinken ha confermato la notizia, anticipata da media statunitensi, di un piano per far arrivare all’Ucraina vecchi Mig-29 dalla Polonia, che riceverebbe nuovi caccia dagli Usa.

La voce di Pechino

Oggi è intervenuto il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha parlato di “amicizia duratura” con la Russia, un’amicizia che è “solida come una roccia”, affermando che i due Paesi contribuiscono a portare “pace e stabilità” nel mondo”. Parlando in una conferenza stampa a margine dei lavori annuali del Parlamento, Wang ha aggiunto che i due Paesi “manterranno il focus strategico e continueranno ad approfondire il partenariato strategico globale di coordinamento per una nuova era”. E poi ha detto che la Cina è disposta a “fare le necessarie mediazioni” e a partecipare alla “mediazione internazionale” sulla crisi in Ucraina. Ha aggiunto che Pechino è pronta a continuare a svolgere “un ruolo costruttivo per facilitare il dialogo e per la pace, lavorando a fianco della comunità internazionale per svolgere la necessaria mediazione”. La Cina “è disposta a continuare a svolgere un ruolo costruttivo nella promozione dei colloqui tra Russia e Ucraina”, ha assicurato Wang, secondo cui “bisogna prevenire una crisi umanitarie su larga scala”.

L’appello dell’Australia

Il primo ministro australiano Morrison aveva chiamato in causa ieri Pechino esortando la Cina a fare pressione sull’alleato russo e a dimostrare che è impegnata per la pace mondiale e il principio di sovranità e dichiarando che la Cina sta affrontando “l’ora delle scelte” di fronte all’invasione russa dell’Ucraina. “Nessun Paese avrebbe un impatto maggiore della Cina in questo momento sulla violenta aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina”, aveva detto Morrison al Lowy Institute, un think tank di politica estera con sede in Ucraina.  Morrison ha anche accusato Pechino di aver gettato una “ancora di salvezza economica” alla Russia allentando le restrizioni commerciali sulle importazioni di grano russo.  “L’attuale crisi in Europa” pone la Cina “nell’ora delle scelte”, ha aggiunto.

Il confronto nell’Ue

Sanzioni e provvedimenti per l’energia. Sono questi i temi in discussione in queste ore all’interno dell’Ue. Alle 11:00 l’incontro a Bruxelles del presidente del Consiglio italiano Mario Draghi con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che in queste ore ha riconosciuto, in un’intervista alla Cnn,  che il popolo ucraino “appartiene alla famiglia europea” ma ha aggiunto che il dibattito sull’ingresso nella Ue “richiederà tempo”. Lunedi’ scorso il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva firmato una richiesta simbolica di adesione all’Unione europea, chiedendo per il suo Paese un iter rapido. Anche Georgia e Moldavia hanno fatto analoga richiesta. Quanto all’eventuale bando dell’import di energia da Mosca, Von der Leyen si è limitata a dire che “dobbiamo disfarci della dipendenza dai combustibili fossili della Russia”. Si parla di nuove sanzioni ma, come ha sottolineato ieri il ministro degli Esteri italiano Di Maio, è importante anche l’applicazione di quelle già previste. Da parte sua, il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock e il suo collega alle Finanze, Christian Lindner, si sono detti contrari a un divieto delle importazioni di gas, petrolio e carbone dalla Russia nell’ambito di nuove sanzioni legate all’invasione dell’Ucraina.

La Danimarca interpella la popolazione

La Danimarca terrà un referendum il 1 giugno per unirsi alla cooperazione Ue in materia di difesa. Lo ha annunciato la premier danese Mette Frederiksen, aggiungendo di sostenere “fortemente” la revoca dell’opt-out, la clausola che vede la Danimarca astenersi dalla partecipazione alle operazioni militari e di difesa dell’Ue. Frederiksen ha anche indicato l’intenzione di aumentare il budget della difesa danese al 2% del Pil nei prossimi anni.

Il dibattito all’Interpol

Intanto diversi Paesi occidentali – Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda – hanno chiesto all’Interpol di sospendere la Russia dai ranghi dell’organizzazione internazionale per la cooperazione di polizia: lo ha affermato il ministro dell’Interno britannico Patel. “Le azioni della Russia rappresentano una minaccia diretta per la sicurezza delle persone e la cooperazione internazionale delle forze dell’ordine”, ha aggiunto. La mossa giunge mentre gli alleati occidentali cercano di isolare diplomaticamente ed economicamente Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina.

Tra le voci dei popoli

Oltre alle manifestazioni contro la guerra che si sono svolte nei giorni scorsi in diverse capitali dell’Ue, ieri sono scesi in piazza contro la guerra e in appoggio all’Ucraina  nel tardo pomeriggio anche molte persone nel centro di Belgrado. Dopo un raduno sulla Knez Mihajlova, l’arteria dello shopping della capitale serba, i dimostranti, alcuni dei quali con bandiere giallo-blu dell’Ucraina, si sono recati in corteo verso Piazza Slavija. “Stop alla guerra”, “Stop a Putin” le scritte sui loro cartelli. La protesta era stata annunciata sui social, con un appello a dimostrare  l’appoggio ai popoli ucraino, russo e bielorusso, nella lotta “contro la guerra, l’occupazione e la dittatura”.  Le autorità del Paese balcanico, principale alleato della Russia nella regione, hanno condannato la violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina, ma si rifiutano di aderire alle sanzioni occidentali contro Mosca invocando gli interessi nazionali della Serbia.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-03/ucraina-russia-pace-guerra-mediatori-negoziati-energia.html

Sapere e pace: i giovani chiedono l’incontro tra popoli

Interagire con la diversità contro le logiche della guerra: è il messaggio che arriva dai giovani che sognano la pace e ragionano da “cittadini del mondo”. L’iniziativa di un corso comune a tre Università di Italia, Stati Uniti e Cina è lo spunto per dare voce alla voglia di futuro di tantissimi studenti che guardano con curiosità a culture diverse e cercano l’incontro e lo scambio, come conferma Raffaele Marchetti, prorettore per l’internalizzazione della Luiss

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Oltre a tutti gli organismi delle chiese locali, d’Europa e del mondo, per il popolo ucraino si sono mossi in tantissimi: associazioni del Terzo settore, collettivi di volontari, organizzazioni locali, nazionali e internazionali, scuole e atenei. E proprio dalle Università arriva, insieme con gesti di solidarietà, un messaggio che incarna la voglia di vita e di pace dei giovani, che vorrebbero zittire le armi, superare i muri e tornare a un mondo di scambi e di interconnessioni culturali.

Tra tanti esempi di gemellaggi culturali, c’è il significativo e innovativo progetto di una stessa Laurea per tre Università d’Italia, Stati Uniti e Cina. Si tratta di un corso presentato nei giorni scorsi che prenderà il via a settembre prossimo. E’ il frutto della partnership tra l’Università Luiss, la George Washington University di Washington D.C. e la Renmin di Pechino. Ne abbiamo parlato con Raffaele Marchetti, prorettore per l’internalizzazione della Luiss:

La conoscenza reciproca come scommessa di dialogo: Marchetti parla in questi termini del valore dell’incontro e dell’interazione a livello culturale. In un tempo in cui purtroppo non solo si ereggono muri – ricorda – ma si torna drammaticamente a dare la parola alle armi, è quanto più essenziale formare “cittadini del mondo”, ragazzi che fanno dell’incontro una cifra del percorso di studio.

Il valore di interagire con la diversità

Si tratta della faccia buona della globalizzazione, commenta parlando della capacità dei giovani di sfruttare tutte le possibilità per interagire a livello globale. Si creano – sottolinea – catene di connessione che creano sviluppo e sentimenti di vicinanza. La formazione dei giovani, l’incontro e lo scambio tra giovani – assicura – è l’investimento più significativo a lungo termine per la pace. La mobilità dei giovani – aggiunge – è una scommessa fortissima per la pace.

I giovani sognano futuro e pace

Vivendo quotidianamente nell’ambiente universitario, Marchetti in questi drammatici giorni di cronache di guerra dall’Ucraina sottolinea quanto sia forte la voglia di vivere, di costruirsi un futuro, di conoscere e incontrare altri popoli tra i giovani. Purtroppo – commenta – dobbiamo ascoltare logiche di potenza e di guerra, mentre vorremmo dare voce ai desideri sani dei giovani di tutto il mondo che sognano sviluppo e pace, a partire – ma sono solo un esempio – dagli studenti che stanno scegliendo un corso che abbraccia in un certo senso Italia, Stati Uniti e Cina.

La particolarità del corso

Marchetti spiega che si tratta di un corso quadriennale che prende il nome di ACE, acronimo che sta per America, China & Europe. Una tripla laurea in “Business Administration”, che verrà riconosciuta in Italia  e in tutta Europa, negli Stati Uniti e in Cina.  Marchetti parla di forte innovazione chiarendo che darà la possibilità a studentesse e studenti di conseguire tre titoli di laurea, uno per ogni università, validi e riconosciuti negli Stati Uniti, in Cina e in Europa. L’obiettivo – afferma – è preparare giovani per incarichi in multinazionali ed istituzioni globali. Gli iscritti trascorreranno il primo anno nei loro rispettivi atenei per acquisire i fondamentali dell’economia e del management. Frequenteranno, poi, congiuntamente il II°, III° e IV° anno nelle tre capitali, partendo dalla Luiss a Roma, per spostarsi alla Renmin University a Pechino e infine negli States, alla George Washington University. Certamente si tratta di corsi privati con la sola eccezione di alcune borse di studio, ma si tratta di quote di iscrizione e frequenza in linea con i contributi universitari dei rispettivi atenei di provenienza per l’intera durata del percorso.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-03/universita-giovani-pace-guerra-corso-laurea-globalizzazione.html

Farrell: dopo il decreto sui Movimenti, maggiore creatività e comunione

Una riscoperta dello spirito di servizio tra i principali frutti della scelta di limitare il mandato dei leader di Movimenti ecclesiali. È quanto emerso alla presentazione del volume con gli atti del convegno di settembre “Decreto Generale. Le Associazioni Internazionali dei Fedeli” (Lev). Il cardinale Farrell e Margaret Karram, presidente dei Focolari, parlano di rinnovamento, formazione e azione comune orientata alla pace dinanzi alla guerra in Ucraina

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Decreto Generale. Le Associazioni Internazionali dei Fedeli” è il titolo del volume presentato dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita oggi pomeriggio, con la collaborazione della Libreria Editrice Vaticana (Lev). Si tratta degli atti del congresso che si è svolto il 16 settembre scorso, dopo la pubblicazione, l’11 giugno, del Decreto che regola l’esercizio del governo nelle associazioni internazionali di fedeli, private e pubbliche, e negli altri enti con personalità giuridica, soggetti alla vigilanza diretta del Dicastero. Alla presentazione di oggi, presso la sede del Dicastero per la comunicazione, sono intervenuti il prefetto, il cardinale Kevin Farrell, e il sotto-segretario, la dottoressa Linda Ghisoni; con loro anche la presidente del Movimento dei Focolari, Margaret Karram. Ha moderato Lorenzo Fazzini, responsabile editoriale della Lev.

L’importanza del volume

La pubblicazione degli atti del congresso offre la riflessione che è nata a partire dal Decreto, che non è un punto di arrivo ma un punto di partenza, come spiega il cardinale Kevin Farrel, prefetto del Dicastero per Laici, Famiglia e Vita. Il porporato, con il pensiero a quanto accade in Ucraina, ha anche  sottolineato la specifica missione del Dicastero: la cura di quanto riguarda i laici e la famiglia e la vita stessa. Proprio questo, chiarisce, caratterizza la preghiera di tutte le persone del Dicastero che si uniscono alla preghiera della Chiesa intera.

Quanto all’incontro di settembre, il cardinale ricorda che ad esso ha partecipato a sorpresa anche Papa Francesco e cita alcuni punti fermi del messaggio del Papa in quella giornata: “Il Pontefice – sottolinea il Prefetto – ci ha invitato una costante conversione personale che chiama a misurarsi con le sfide concrete delle persone che ci vivono accanto”. Da qui il chiarimento: si richiede grande docilità e umiltà per capire i propri limiti e i cambiamenti necessari. Dunque, Farrell parla di governo ricordando che Papa Francesco ha messo in guardia dal rischio di onnipresenza, dal rischio di sentirsi unici depositari di un carisma, dal rischio di un mancato confronto nel caso di un mandato a vita del fondatori.

Sinodalità e formazione

Proprio il mandato a vita – ha spiegato alla presentazione Linda Ghisoni – potrebbe incidere in termini di formazione di una sorta di mito, in termini di autorefenzialità. Potrebbe significare la perdita di profezia, l’obbedienza ceca, che significherebbe mancanza di quel discernimento che assicura la comunione ecclesiale. Poi la sotto-segretaria ha parlato di un altro fattore di cui si parla molto nel volume: la formazione che, ha detto, non può essere pensata solo per i vertici ma per tutti i componenti del Movimento.

Una visione di servizio

Attualmente “la società tende a cambiare le regole per protrarre il mandato di leader a livello internazionale”, ha ricordato ancora Ghisoni, ma “questo, che è sotto gli occhi di tutti, non porta buoni frutti”. Proprio perché i laici sono “una presenza profetica all’interno della Chiesa”, si deve assicurare quello sguardo capace di cambiamento, di ricambio, perché il servizio sia sempre nuovo. E questo comporta un investimento alla formazione. C’è poi un altro aspetto, ha chiarito la dottoressa: “Il decreto non nasce dall’esigenza di combattere gli abusi ma certamente l’impegno a mettere un freno all’abuso di potere può essere utile a contrastare qualsiasi tipo di altri abusi”.

Nessuna richiesta di eccezione

È stato poi ricordato che si prevede l’eccezione per i fondatori viventi, come nel caso di Kiko Argüello, iniziatore del Cammino Neocatecumenale. Inoltre è stato ricordato che il decreto prevede una sorta di eccezioni sul mandato in caso di richieste che giungono dal complesso degli organi di governo di un Movimento. Finora, è stato reso noto, non è giunta al Dicastero nessuna richiesta in tal senso. Il cardinale Farrell ha raccontato che piuttosto ci sono state richieste di aiuto per un confronto sugli Statuti. Al momento, ha chiarito, non si è pensato a cosa debba succedere nel caso in cui un movimento non si adegui nei tempi previsti anche perché si avverte un forte senso di responsabilità da parte di tutti.

Tanti doni all’interno del discorso giuridico

Di prezioso contributo a riscoprire  una collaborazione di pace – con il pensiero a quanto purtroppo accade in Ucraina e in tanti altri luoghi del mondo – ha parlato la presidente del Movimento dei Focolari, Margaret Karram, sottolineando come il decreto apra spazio di confronto e dialogo all’interno dei Movimenti, come pure tra Movimenti e altre realtà ecclesiali, e tra i Movimenti e il Dicastero per Laici, Famiglia e Vita:

Karram ha sottolineato la ricchezza delle parole del Papa, il quale ha richiamato l’importanza di pensare alla diversità delle realtà di associazioni e Movimenti. La presidente dei Focolari ha evidenziato pure come il Papa ha reso tutti più consapevoli della missione ecclesiale: la responsabilità di costruire il futuro di fronte alle povertà materiali e spirituali del mondo che ci circorda.

Una norma che accoglie

Secondo Karram, i Movimenti si sono sentiti profondamente accolti dal Dicastero: il rapporto è “cresciuto”, dice, riferendo di aver raccolto la stessa senzazione da parte degli altri Movimenti: “È stato molto più forte  il valore profondo del rinnovamento. Il Decreto è un’ulteriore prova del valore dei Movimenti agli occhi della Chiesa che proprio perché coglie i frutti dei Movimenti cerca di orientarli a non frenare lo slancio carismatico e la forza rinnovatrice”. Il Decreto aiuta, quindi, a ben finalizzare il tutto. “Cerchiamo di accogliere con amore e grande serietà. Stiamo studiando la conformità anche giuridica tra il Decreto e gli Statuti del Movimento dei Focolari”, afferma Karram. Nel caso del Movimento fondato da Chiara Lubich già si prevedeva un limite: ora si è passati da sei a cinque anni. “È impegnativo essere al governo di una realtà ecclesiale”, dice Karra, “è benedetta la possibilità del ricambio”.

Governare al meglio per servire la pace

Con un riferimento alla drammatica situazione in Ucraina, la presidente sottolinea come sia importante la riscoperta della comunione, la riscoperta di quella “novità” che viene dal soffio dello Spirito di cui parla il Papa. “Tutto questo può dare spessore all’agire e alla preghiera, può aiutare ad essere all’altezza della preghiera necessaria per la pace, alla fraternità a tanti livelli che può aiutare la costruzione della pace. La riscoperta della comunione all’interno dei Movimenti e tra i Movimenti, la riscoperta del governo come servizio è qualcosa che può contribuire a cambiare le persone a livello personale e a livello dei popoli”. “Si tratta di quella fraternità – ricorda Karram – alla quale ci sprona Papa Francesco”.

Il Decreto

Era stato presentato a giugno il Decreto generale sull’esercizio del governo nelle associazioni internazionali di fedeli, private e pubbliche, e negli altri enti con personalità giuridica soggetti alla vigilanza diretta del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita. I primi punti del documento prevedono che i mandati nell’organo centrale di governo a livello internazionale possono avere la durata massima di cinque anni ciascuno. Inoltre la stessa persona può ricoprire un incarico nell’organo centrale di governo a livello internazionale per un periodo massimo di dieci anni consecutivi. Trascorso il limite massimo di dieci anni, la rielezione è possibile solo dopo una vacanza di un mandato.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-03/decreto-movimenti-ecclesiali-durata-mandato-pace-comunione.html

Il dramma dei femminicidi: nasce il progetto “Respiro”

Non lasciare soli i minori ai quali l’estrema violenza sottrae la madre: è l’obiettivo del progetto presentato in Italia, dove ogni anno si contano 250 cosiddetti “orfani speciali”, bambini che perdono la mamma per mano del padre che va in carcere o a volte si suicida. Nasce una rete di organizzazioni che cerca di lavorare con le istituzioni per assicurare adeguata cura e per fare prevenzione, come spiega Federica Giannetta di Terres des Hommes

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Una rete sociale per occuparsi di “Orfani di femminicidio e diritto all’infanzia” e per fare prevenzione: è l’obiettivo del progetto “Respiro” presentato questa mattina a Roma. Si tratta di un’iniziativa dell’organizzazione senza scopo di lucro “Con i Bambini”, interamente partecipata dalla Fondazione Con Il Sud, con la collaborazione di Save the children e di Terres des Hommes. È stata resa possibile nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile nato da un’intesa tra le Fondazioni di origine bancaria rappresentate da Acri, Forum Nazionale del Terzo Settore e governo italiano. A dare vita al primo intervento quadriennale è una rete di tredici partner attivi su tutto il territorio nazionale e in particolare in Campania, Calabria, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna. La questione è delicata: tocca la condizione dei cosiddetti orfani speciali, bambini e bambine rimasti senza mamma a seguito di un femminicidio. Della complessità della questione e degli obiettivi abbiamo parlato con Federica Giannetta della Ong Terres des hommes:

Giannetta ricorda che la violenza assistita per i bambini è spesso un male invisibile che purtroppo provoca gravi effetti sulla loro salute psicofisica a breve e lungo termine. E chiarisce che si calcola che in Italia ogni anno siano circa 250 i figli e le figlie che vengono resi orfani a causa del femminicidio delle loro madri, accompagnato a volte dal suicidio dei loro padri, autori del delitto. Migliaia sono invece i figli e le figlie che assistono agli abusi e alle violenze in famiglia. Nell’affrontare la violenza contro le donne, sottolinea Giannetta, dobbiamo sempre necessariamente tenere conto anche di loro. Ricorda che in Italia nel 2018 il Parlamento ha approvato la legge n. 4, due anni dopo sono arrivati i regolamenti attuativi, ma che tantissimi di questi “orfani speciali” – come li aveva chiamati Anna Costanza Baldry, la studiosa che per prima ha acceso i riflettori sulla loro condizione – non riescono ancora ad accedere al supporto previsto. Istituzioni e società civile devono, dunque, lavorare insieme.

La complessità nelle testimonianze

Sono strazianti le testimonianze di quanto sia devastante l’impatto psicologico del trauma subito da questi bambini e queste bambine che sono orfani due volte: spesso hanno perso la mamma e il papà finito in carcere. “Un dolore pazzesco che non passa, il vuoto ti divora, ti manca la terra sotto i piedi”, ha affermato Giuseppe Delmonte, che ha perso la mamma per mano del padre nel 1997 quando aveva 18 anni. Nelle sue parole anche un appello concreto: ”Non ho avuto nessun sostegno psicologico al tempo”. Vera Squadrito, madre di una vittima di femminicidio e nonna-caregiver della nipotina ha spiegato: “Nella tragedia devastante di quei giorni il sentimento prevalente è l’invisibilità. Molti professionisti vengono a cercarti per questioni legali e burocratiche ma nessuno ti sostiene come persona”.

Sostegno, cura, protezione

Federica Giannetta illustra il progetto “Respiro” spiegando che intende promuovere un modello di intervento e di cura che possa garantire una risposta efficace per la protezione di bambini e bambine quando si verifica un femminicidio, affinché i più piccoli e i loro familiari non siano più soli, ma vengano accompagnati in un percorso di sostegno.

Investire nella prevenzione

Il progetto – sottolinea ancora la rappresentante di Terres des hommes – vuole favorire un cambiamento culturale, costruendo insieme con i media e i comunicatori un’alleanza per diffondere un nuovo approccio alla prevenzione della violenza domestica. Un passo importante sarà, secondo Giannetta, la formazione di un Osservatorio che dovrebbe permettere di mettere insieme dati e esperienze del lavoro dedicato a ragazzi e ragazze così drammaticamente colpiti. Il punto è che dovrebbe servire da stimolo per le istituzioni e per la società per capire come agire per evitare, con interventi a tanti livelli, accadimenti di questo genere. Bisogna costruire le opportune sinergie – raccomanda – tra quanti, operatori pubblici e del privato sociale, sono impegnati su questo fronte, in una logica di sussidiarietà orizzontale e verticale.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-02/minori-vittime-femminicidio-genitore-societa-civile.html

L’acqua al centro della disputa tra Etiopia, Egitto e Sudan

E’ stata avviata la produzione di energia elettrica della grande diga costruita da Addis Abeba sul Nilo Azzurro a partire dal 2011. Il Cairo e Khartoum lamentano la sottrazione di preziose risorse idriche. Una crisi da non sottovalutare, come avverte l’esperto di relazioni internazionali Daniele De Luca

Fausta Speranza – Città del Vaticano

L’Etiopia ha iniziato, domenica 20 febbraio, a produrre energia elettrica dalla maxi-diga sul Nilo che ha costruito a partire dal 2011 e che riduce la portata d’acqua a disposizione di Sudan ed Egitto. L’Etiopia la ritiene essenziale per la propria elettrificazione e sviluppo economico. La diga, chiamata Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd), cioè diga del grande rinascimento etiope, è il più grande impianto idroelettrico mai costruito in Africa. Le opere principali dell’impianto idroelettrico lungo il Nilo Azzurro – a circa 700 chilometri a nord-ovest della capitale Addis Abeba nella località di Guba – comprendono la realizzazione di una diga in calcestruzzo rullato compattato (Rcc), una diga ausiliaria di sella e due centrali idroelettriche posizionate sulle due rive opposte del fiume a valle della diga principale. Il bacino idrico ha una superficie di 1.875 chilometri quadrati e un volume di 74 miliardi di metri cubici.

Il punto di vista di Addis Abeba

Il primo ministro etiope, Abiy Ahmed Ali, ha avviato la prima turbina della diga Gerd, spiegando che l’impianto supporterà il Paese nel suo percorso di sviluppo economico e di avvicinamento all’obiettivo sostenibile di diventare carbon neutral entro il 2025 grazie ad una produzione massiccia di energia da fonti rinnovabili. Secondo Addis Abeba, una volta ultimato, porterà alla nascita di un vero e proprio polo energetico per la regione, che ha bisogno di energia, permettendo al Paese di generare ed esportare energia pulita e rinnovabile, evitando l’emissione di oltre 2 milioni di tonnellate di CO2 l’anno.

Dei punti di vista e dell’importanza della questione abbiamo parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:

Con uno sguardo al passato, De Luca richiama alla mente il ruolo fondamentale che ha sempre avuto il Nilo. I corsi d’acqua sono sempre fondamentali per lo sviluppo di una civiltà e l’importanza del Nilo è proverbiale proprio anche sul piano geopolitico, sottolinea. Inoltre, De Luca mette l’accento sul fatto che l’acqua da sempre è cruciale in tema di energia. Dunque, una diga come questa rafforza i rapporti tra Paesi oppure mette in crisi i rapporti. Il professore ricorda che dall’inizio della costruzione della diga, e sempre di più con l’avanzamento dei lavori, sono stati evidenti i piani etiopi per il riempimento, a partire dal 2020, del bacino creato dalla struttura, che significa molta acqua.

La preoccupazione dell’Egitto

La preoccupazione dell’Egitto – spiega De Luca – è che la raccolta d’acqua nel bacino possa compromettere le risorse idriche egiziane per qualche anno. Negli ultimi anni, i governi dei due Paesi si sono accusati reciprocamente di non rispettare le norme internazionali sulla gestione e lo sfruttamento dell’acqua del Nilo.

La complicazione per il Sudan

Dal novembre del 2020 i rapporti con il Sudan, a sua volta preoccupato per l’approvvigionamento d’acqua, si sono poi ulteriormente complicati – afferma il docente – perché il conflitto civile in corso nella regione del Tigray, nel nord dell’Etiopia, ha portato decine di migliaia di persone a rifugiarsi in Sudan, già alle prese con numerosi problemi interni, politici ed economici dal colpo di Stato dell’ottobre 2021. Tra Sudan ed Etiopia c’è inoltre una disputa territoriale a proposito della regione di Fashaqa, coltivata da agricoltori etiopi ma rivendicata dal governo sudanese.

Non c’è intesa sugli accordi

L’Egitto ha sostenuto che un progetto come la diga non potesse essere realizzato senza il suo consenso, a causa di due accordi internazionali con il Sudan, uno risalente al 1929, durante l’età coloniale, e l’altro al 1959: il primo dà all’Egitto il potere di veto sulla costruzione di infrastrutture lungo il corso del Nilo; il secondo stabilisce che all’Egitto spetti circa il 66 per cento delle acque del Nilo, e il 22 per cento al Sudan. Il governo etiope ha replicato di non riconoscere gli accordi, dato che furono firmati senza coinvolgere l’Etiopia, e di avere quindi il diritto di sviluppare il proprio progetto. Nel 2010 si era accordato con gli altri Paesi in cui è diviso il bacino del Nilo – Egitto e Sudan esclusi – per realizzare progetti lungo il fiume anche senza il consenso egiziano. Inoltre l’Etiopia ha sempre sostenuto che la nuova diga non avrà nessun impatto sulla quantità d’acqua che arriva all’Egitto, contrariamente a quanto temuto dagli egiziani. L’Unione Africana, l’organizzazione intergovernativa dei Paesi del continente africano, aveva cercato di mediare tra Etiopia, Egitto e Sudan affinché si trovasse una soluzione di compromesso sulle tempistiche di riempimento del bacino della diga, ma non ha avuto successo, anche perché l’Etiopia non ha accettato di concordare con gli altri Paesi quantità minime di acqua da far passare attraverso la diga.

Sullo sfondo altre questioni

Daniele De Luca ricorda che una situazione come questa è anche una cartina tornasole che lascia emergere altre conflittualità latenti o altri motivi di confronto e di tensione tra Stati. Si tratta, evidenzia, di rapporti complicati anche perché, ad esempio, un Paese come il Sudan è cambiato: è cambiata la percezione da parte dell’Occidente che prima lo considerava uno “stato canaglia” per il terrorismo. In definitiva, De Luca avverte che situazioni come questa disputa intorno all’acqua non possono essere trascurate dalla comunità internazionale che, invece, in questo momento è estremamente concentrata sulla crisi ucraina.

I numeri dell’impianto

Al momento la costruzione è completa per l’84 per cento. Secondo i media statali etiopi, domenica le turbine dell’impianto hanno cominciato a produrre 375 megawatt. L’inaugurazione è avvenuta in presenza del primo ministro Abiy Ahmed. Era presente Pietro Salini, amministratore delegato di WeBuild, la multinazionale di costruzioni italiana che ha realizzato l’impresa e che fino al 2020 si chiamava Salini Impregilo. Proprio la società WeBuilt con un comunicato ha confermato l’avvio della prima turbina e ha sottolineato che l’impianto avrà una capacità installata complessiva di 5.150MW e che potrà garantire una produzione media stimata di 15.700 Gwh/anno. Il progetto Gerd ha un valore complessivo di 3,48 miliardi. Per la realizzazione sono state coinvolte mediamente ogni anno circa 10 mila persone.

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Cambiamenti climatici e precarietà rurale: l’appello dell’Ifad

I contadini dei Paesi poveri producono un terzo del cibo del mondo ma ricevono solo sei centesimi per ogni dollaro di prodotto che generano. Lo denuncia l’Ifad chiedendo soluzioni innovative e finanziamenti urgenti, come sottolinea Romina Cavatassi, esperta di sviluppo e risorse naturali dell’organismo stesso dell’Onu ribadendo che il cuore del problema è l’iniquità

Fausta Speranza – Città del Vaticano

I leader mondiali chiedono investimenti urgenti e innovativi per aiutare le comunità rurali dei Paesi più poveri del mondo ad adattarsi ai cambiamenti climatici. E’ quanto emerso dalla riunione annuale del Consiglio dei Governatori cui hanno partecipato, in settimana, 177 Stati membri del Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (Ifad) delle Nazioni Unite. Non può passare inosservata la vulnerabilità dei piccoli agricoltori ai gravi eventi meteorologici, come le tempeste che hanno devastato il Madagascar nelle ultime settimane uccidendo almeno 121 persone e distruggendo più di 176.000 ettari di terreno.

Finanziamenti irrisori

I piccoli produttori sono colpiti duramente da una crisi che non hanno creato, eppure attualmente ricevono solo l’1,7 per cento dei finanziamenti per il clima. Lo ha denunciato il presidente dell’Ifad, Gilbert F. Houngbo, sottolineando che “il cuore del problema è l’iniquità”. Sulle conseguenze della pandemia e degli effetti dei cambiamenti climatici si sofferma Romina Cavatassi, esperta di sviluppo e risorse naturali dell’Ifad:

La pandemia e il cambiamento climatico hanno messo a nudo la vulnerabilità dei piccoli produttori, afferma Cavatassi, sottolineando la situazione di iniquità per cui le persone che producono un terzo del cibo del mondo ricevono solo sei centesimi per ogni dollaro di prodotto che generano. Non c’è sostenibilità o resilienza – sostiene – senza una maggiore equità. L’agricoltura impiega due terzi delle popolazioni dell’Africa sub-sahariana e rappresenta quasi un terzo del PIL. Eppure i piccoli produttori rurali sono sistematicamente sotto finanziati e – ricorda Cavatassi – lo sono ancora di più dopo la pandemia. L’esperta spiega che la vulnerabilità degli agricoltori di fronte a situazioni climatiche estreme non si può trascurare, aggiungendo che sradicare la povertà rurale richiede un approccio radicalmente nuovo per costruire resilienza rurale. Il punto è che, essendo alcune delle nazioni più vulnerabili del mondo, i piccoli Stati richiedono un’attenzione speciale, un rapido accesso alle risorse e soluzioni su misura. Molte di queste soluzioni – avverte Cavatassi – richiedono l’accesso alla finanza che dovrebbe essere inclusiva. Nel 2020, la fame nel mondo è aumentata – ricorda – in gran parte a causa del cambiamento climatico, della povertà oltre all’impatto della pandemia da Covid-19. Una persona su 10 nel mondo oggi soffre la fame. Oltre alle doverose considerazioni sul piano umanitario, questo – sottolinea l’esperta Ifad – non può non avere conseguenze in termini di squilibri a livello globale.

L’impegno dell’Italia

In risposta alla minaccia che il cambiamento climatico rappresenta per le popolazioni rurali, il ministro dell’Economia e delle Finanze italiano, Daniele Franco, ha detto che quest’anno l’Italia aumenterà il suo impegno finanziario internazionale per far fronte ai cambiamenti climatici di tre volte, raggiungendo circa 1,5 miliardi di dollari all’anno fino al 2026.  “Il cambiamento climatico, il degrado ambientale e la perdita di biodiversità rappresentano una minaccia immediata per le risorse naturali, così come per la vita e i mezzi di sussistenza delle popolazioni rurali”, ha detto. E ha aggiunto: “I sistemi alimentari risentono fortemente degli shock climatici in rapido aumento. I loro effetti sono più gravi per le comunità rurali povere ed emarginate che pur essendo le più colpite, sono quelle che contribuiscono meno a tali fenomeni. Invertire queste tendenze richiede soluzioni innovative. Dobbiamo evitare che i progressi fatti all’interno dell’Agenda 2030 siano resi vani, a tal fine il Fondo svolge un ruolo chiave”.

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Ue-Africa: si riparte dal summit rimandato per pandemia

La Francia, gli alleati europei e il Canada hanno annunciato il “ritiro coordinato” delle forze militari in Mali. Lo ha reso noto l’Eliseo in una nota diramata la mattina dopo la cena di lavoro sul Sahel organizzata a Parigi dal presidente francese Emmanuel Macron e nel giorno in cui prende avvio a Bruxelles il summit Ue-Ua

Fausta Speranza – Città del Vaticano

In Mali “non c’erano più le condizioni politiche, operative e giuridiche” per mantenere sul posto la presenza militare francese ed internazionale: è quanto si legge in una nota diffusa dall’Eliseo dopo la cena di lavoro di ieri sera sulla presenza militare nel Sahel a cui ha partecipato anche il presidente del Consiglio dei ministri italiano Mario Draghi. La Francia, i partner europei e il Canada hanno annunciato questa mattina il ritiro dal Mali delle operazioni antiterrorismo Barkhane e Takuba, lamentando il peggioramento delle relazioni con l’attuale giunta al potere a Bamako dopo il colpo di Stato dello scorso anno. La Francia ha circa 4.300 soldati dispiegati nella regione, circa 2.400 nel solo Mali.

Un impegno per il Sahel da reinventare

I Paesi partner esprimono comunque la “volontà di restare impegnati nella regione” del Sahel. Non solo. “Per contenere la potenziale estensione geografica delle azioni dei gruppi armati terroristici in direzione del sud e dell’ovest della regione – si legge nella nota congiunta – i partner internazionali indicano la loro volontà di considerare attivamente l’estensione del loro sostegno ai Paesi vicini del Golfo di Guinea e dell’Africa Occidentale, sulla base delle loro richieste”.

Summit e rapporti Ue-Ua

Intanto, ha preso il via oggi a Bruxelles il summit inizialmente previsto a dicembre 2020 tra Unione europea e Unione africana. I vertici Ue-Ua si svolgono tradizionalmente ogni tre anni, in alternanza tra Africa ed Europa. Un appuntamento importante per discutere fino a domani una serie di questioni che vanno dall’economia e il commercio, all’ambiente, il clima e l’agricoltura, dal digitale e le infrastrutture alla pace e la sicurezza. Il filo conduttore delle discussioni è la ripresa post-pandemica e il rafforzamento della resilienza di fronte alle attuali e future forme d’instabilità politica che hanno investito il continente africano tra colpi di Stato militari e vecchie e nuove crisi. I partecipanti dovrebbero adottare una dichiarazione congiunta su una visione comune per il 2030. Per lungo tempo i rapporti tra Europa e Africa hanno ruotato intorno ad accordi a termine (Convenzioni di Yaoundé e di Lomé, e poi Accordo di Cotonou) che hanno definito i termini dei rapporti tra donatori e beneficiari degli aiuti allo sviluppo e delle relazioni commerciali. Dagli anni Novanta, si è gradualmente aggiunto anche un dialogo su tematiche più politiche, incluse migrazioni e riforme democratiche. Dopo un lungo processo negoziale, l’anno scorso si è arrivati alla stipula di un nuovo accordo post Cotonou.

Un intervento concreto in tema di pandemia

La Banca europea per gli investimenti metterà a disposizione 500 milioni di euro per sostenere il rafforzamento dei sistemi sanitari nei Paesi dell’Africa subsahariana nel quadro del partenariato con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, in collaborazione con la Commissione Europea. La partnership – si legge in una nota congiunta della Bei e dell’Oms – è “volta a mobilitare un miliardo di euro di investimenti per sostenere i Paesi nel colmare il divario di finanziamenti sanitari, costruendo sistemi sanitari resilienti basati su solide basi di assistenza sanitaria primaria, per aiutarli a raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile relativi alla salute”. L’obiettivo è “ripristinare, ampliare e sostenere l’accesso ai servizi sanitari essenziali e aumentare la protezione dai rischi finanziari; migliorare l’accesso a vaccini, medicinali, strumenti diagnostici, dispositivi e altri prodotti sanitari”. “La pandemia di Covid-19 è una potente dimostrazione che quando la salute è a rischio, tutto è a rischio. Investire nella salute in tutta l’Africa è quindi essenziale non solo per promuovere e proteggere la salute, ma anche come base per far uscire le persone dalla povertà e guidare una crescita economica inclusiva”, ha commentato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms. “La partnership tra la Bei e l’Oms è fondamentale per la nostra risposta alla pandemia al di fuori dell’Ue, come parte del Team Europe – ha affermato Werner Hoyer, presidente della Bei -. Dall’inizio della pandemia, la Banca dell’Unione europea ha intensificato il sostegno agli investimenti sanitari, alla produzione di vaccini e alla resilienza economica in tutta l’Africa e nel mondo”.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-02/africa-unione-europea-sahel-mali-summit-canada-colpo-di-stato.html

Brindisi, porta d’Oriente e città della Pace

Un ponte nel Mediterraneo per unire culture e promuovere dialogo: lo ha gettato l’università del Salento con il nuovo corso in Scienze per la Cooperazione Internazionale, che va oltre il percorso accademico promuovendo sviluppo, in collaborazione con la Chiesa locale. Si fa a Brindisi, città della Puglia che ospita basi dell’Onu e che è da sempre “porta d’Oriente”. Obiettivi e sfide nelle parole del rettore Fabio Pollice e dell’arcivescovo Domenico Caliandro

Fausta Speranza – Città del Vaticano

E’ entrato nel vivo il nuovo corso di Laurea magistrale in Scienze per la Cooperazione internazionale dell’Università del Salento, inaugurato a settembre scorso. Conta su un rapporto di collaborazione privilegiato con le basi delle Nazioni Unite a Brindisi, United Nations Global Service Centre (UNGSC) e United Nations Humanitarian Response Depot (UNHRD). Tra le varie città della Puglia, l’Università, che ha la sede principale a Lecce, ha scelto infatti Brindisi proprio per la presenza delle basi dell’Onu tra le più importanti al mondo per lo smistamento di aiuti nelle aree colpite da calamità, guerre e crisi umanitarie, come sottolinea il Rettore dell’Università del Salento Fabio Pollice:

Il rettore Pollice spiega che l’obiettivo del corso, che si svolge presso palazzo Nervegna, è quello di arricchire l’offerta formativa di secondo livello nel sistema regionale pugliese grazie a un progetto calibrato sui temi della cooperazione internazionale e dei processi di peace-building e peace-support. Due i curricula: “Sviluppo e Cooperazione internazionale” e “Supporto umanitario e Peace-Building”.

Formazione trasversale

Il taglio del corso – sottolinea il rettore – è interdisciplinare e pensato per la formazione di specialisti della cooperazione allo sviluppo con competenze in tema di diritti umani, sostenibilità e processi di peace-building e peace-support. Gli studenti acquisiscono conoscenze avanzate in ambito economico, giuridico, storico-politico, politologico e sociologico, attraverso un insieme organico di insegnamenti con taglio internazionalistico e legati dal trait d’union dell’interesse verso i processi di sviluppo umano e sostenibile e di supporto ai processi di pace e di risoluzione dei conflitti. Ma soprattutto – sottolinea il rettore – fanno esperienza di iniziative interistituzionali.

Sguardo privilegiato sul Mediterraneo

La finalità è insegnare ad analizzare ed interpretare le specifiche forme sociali, economiche ed istituzionali che caratterizzano le economie di tutti i Paesi dell’area Euro-mediterranea, con una visione che Pollice, citando Don Tonino Bello e Papa Francesco, sintetizza così: aiutare l’altro è il momento più alto di umanità.

Focus sulle metodologie di organismi internazionali

E’ particolare l’attenzione alle realtà in via di sviluppo, per le quali sono promosse specifiche competenze per poter gestire i processi di cooperazione internazionale. Si intende sviluppare specifiche competenze nell’applicazione delle diverse metodologie usate dagli organismi di cooperazione multi e bilaterale per l’elaborazione di programmi e progetti di aiuto allo sviluppo e alle missioni di pace.

Mano tesa all’Africa

Si è partiti con corsi in italiano, aprendo però poi la facoltà alla comunità internazionale con corsi in lingua inglese. Inoltre, si stanno organizzando master, summer e winter school, con progetti di ricerca per studenti da tutto il mondo e in particolare dall’Africa. Il progetto è preciso – spiega Pollice – arrivare a sostenere gli studi per giovani che provengono da aree disagiate dell’Africa, con l’ottica di formarli in modo che possano tornare nei loro territori e promuovere sviluppo.

Largo ai giovani

A proposito della risposta, Pollice sottolinea che è stata buona per un primo nuovo corso, ma soprattutto racconta che, nella sua esperienza di rettore, vede moltissimi ragazzi che dimostrano una fortissima sensibilità sui temi del dialogo e dello scambio tra culture, con una attenzione decisamente rinnovata e potenziata per quanto riguarda le priorità della pace. Non si può dire – avverte – che manchino di senso etico o di valori o che siano più superficiali rispetto alle generazioni precedenti, anzi.

L’appoggio della Chiesa locale

Per la sua vocazione universale alla pace, è stata chiamata in causa la Chiesa locale che, come spiega l’arcivescovo di Brindisi-Ostuni monsignor Domenico Caliandro, ha risposto prontamente e in modo concreto:

Monsignor Caliandro riferisce dell’incontro in questi giorni con il rettore Fabio Pollice e con il presidente del corso di Laurea Daniele De Luca, sottolineando di aver ascoltato importantissime parole a favore della promozione della pace e del dialogo. Un progetto che ha convinto monsignor Caliandro, che ha risposto “con entusiasmo”. E’ decisivo – spiega il presule – cercare il dialogo nell’urgenza delle situazioni di tensione, ma è fondamentale – aggiunge – costruire  processi di pace attraverso educazione e formazione, con l’impegno ad investire nelle nuove generazioni. In particolare, di fronte all’ipotesi di coinvolgere studenti da parti del mondo come l’Africa, dove difficilmente le famiglie possono assicurare il supporto economico per la durata del percorso di studi, monsignor Caliandro racconta di aver garantito il contributo dell’arcidiocesi. L’Università, in casi di studenti meno abbienti, copre le spese della retta e l’arcidiocesi assicurerà vitto e alloggio.

Nel solco della Fratelli tutti

L’enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti torna nelle parole di monsignor Caliandro, che spiega come sia normale che la Chiesa risponda prontamente e concretamente quando si tratta di “coltivare” orizzonti di pace, ma torna anche nelle argomentazioni del rettore Pollice, come un invito fondamentale a riscoprire una dimensione di fraternità per un’umanità che non si è ancora liberata della logica distruttiva di guerre e conflitti.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-02/universita-cooperazione-internazionale-onu-arcidiocesi-brindisi.html