Giorgio Zanchini conduce Radioanch’io e, per ricordare Sergio Zavoli, intervista Enrico Meduni, Fausta Speranza e Daniela Spataro.
Segue l’ascolto della trasmissione
Giorgio Zanchini conduce Radioanch’io e, per ricordare Sergio Zavoli, intervista Enrico Meduni, Fausta Speranza e Daniela Spataro.
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Fausta Speranza – Città del Vaticano
Il presidente tunisino Kais Saied ha annunciato, ieri nella tarda serata della giornata in cui si festeggiava la repubblica, la sospensione del parlamento e il licenziamento del primo ministro Hichem Mechichi. Nove i provvedimenti ufficializzati dal presidente di fronte a migliaia di persone scese in strada per contestare al governo la gestione della crisi e quella dell’emergenza sanitaria. Saied ha invocato l’articolo 80 della Costituzione che prevede misure d’emergenza in caso di “pericolo grave e malfunzionamento delle istituzioni”. Ha deciso l’allontanamento del primo ministro e il congelamento del parlamento per un mese. Dopo poche ore, l’esercito, inviato a garantire la sicurezza della sede del Parlamento, ha vietato l’accesso al presidente dell’Assemblea, Ghannouchi, anche leader del partito islamico Ennhadha, alla vicepresidente Chaouachi e ad altri deputati di Ennahdha e della coalizione islamista Al Karama. Le cronache della Tv di Stato si sono chiuse con il presidente tra la folla in festa nel centro di Tunisi.
Tra le misure d’emergenza, che gli oppositori hanno definito un “colpo di Stato”, c’e’ la sospensione di tutte le immunità dei parlamentari. Saied ha comunicato che designerà un nuovo primo ministro, tutti i membri del governo e presiederà il Consiglio dei ministri, ma non ha parlato di sospensione della Costituzione. “Abbiamo preso questa decisione – ha spiegato Saied, parlando alla televisione – fino a quando non tornerà la calma e non metteremo lo Stato in sicurezza”. Tutta la zona attorno agli edifici governativi è attualmente blindata e protetta dalle forze di sicurezza. “Chiunque pensa di fare ricorso alle armi – ha dichiarato Saied – e chiunque sparerà anche un solo colpo, sappia che le forze armate risponderanno sparando”. Lo speaker dell’assemblea, Ghannouchi, ha parlato espressamente di “colpo di Stato contro la rivoluzione e la costituzione” e ha chiamato il popolo a “difendere la rivoluzione”. Dieci anni fa, la protesta di massa in Tunisia aveva innescato la cosiddetta Primavera Araba e la rivolta di migliaia di persone in tutta la regione.
Non è chiaro quanto sia politica la connotazione delle proteste popolari, afferma la professoressa Francesca Maria Corrao, docente di Lingua e cultura araba alla Luiss:
La studiosa ricorda che nel centro del Paese dove più si annida la povertà da circa un anno è riesploso il malcontento. Si tratta della parte di popolazione che più subisce da sempre le diseguaglianze e che più soffre la crisi economica che – afferma Corrao – si riassume in un dato: l’indice di sviluppo del Paese è passato dal 3 all’1 per cento. In questi dieci anni dalla cosiddetta Primavera araba non c’è stato un vero rinnovamento a livello sociale anche a causa di mali endemici come la corruzione, sottolinea Corrao.
Non è chiaro che cosa accada al resto dei componenti del governo dopo il licenziamento del primo ministro o cosa avverrà delle attuali rappresentanze in parlamento dopo il mese di sospenzione. Corrao ricorda che effettivamente l’articolo 80 invocato da Saied prevede interventi di questo tipo in caso di emergenza ma spiega che ad essere messa in discussione al momento è proprio la definizione di situazione di emergenza denunciata dal presidente. Corrao in ogni caso ricorda che l’attuale presidente è stato votato a grande maggioranza con il manifestato mandato di arginare le forze politiche che avevano il potere e dunque spiega che questo può significare che davvero avrà il sostegno di una parte della popolazione. Nello stesso tempo la studiosa sottolinea che in piazza è evidente anche l’espressione di quanti in realtà restano legati ad altre forze politiche. In sostanza – ricorda – si continua ad assistere ad una polarizzazione di fondo tra forze laiciste e non, ma a determinare lo scontento popolare non sono questo tipo di dinamiche ma quelle economiche in cui si accentuano le diseguaglianze. E – aggiunge la studiosa – al momento c’è anche un blocco di fondi da parte del Fondo Momentario Internazionale e preoccupano anche gli alti costi di tanti prodotti che vengono importati.
Nell’ambito dell’Elba Book Festival, assegnata a Il senso della sete la Menzione Speciale del Premio Letterario Demetra
La cerimonia si è svolta il 21 luglio 2021 a Rio d’Elba. A proclamare i vincitori – tra 38 opere candidate, proposte da 25 editori indipendenti – è stata la giuria, composta da Ermete Realacci, presidente Fondazione Symbola; Sabrina Giannini, giornalista e scrittrice; Ilaria Catastini, editrice; Duccio Bianchi, responsabile scientifico; Giorgio Rizzoni, direzione Elba Book. I giurati hanno spiegato di aver premiato quelle che sono state ritenute le migliori pubblicazioni a tema ambientale di carattere saggistico e di inchiesta in lingua originale italiana da editori indipendenti nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2018 e il 15 maggio 2021.
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Ospite della trasmissione In vivavoce di RadioRAi 1, intervistata dalla conduttrice Elonora Belviso per parlare di Il senso della sete :
ore 16,20 del 16 Luglio 2021:
Fausta Speranza – Città del Vaticano
E’ stato presentato alla stampa all’Ara Pacis, oggi venerdì 16 luglio, il cippo dell’epoca dell’imperatore Claudio riportato alla luce circa un mese e mezzo fa nel corso degli scavi per la realizzazione del progetto di riqualificazione di piazza Augusto Imperatore a Roma. Presente il sindaco Virginia Raggi che ha sottolineato che nel corso del tempo, sono stati rinvenuti solo altri dieci cippi relativi all’epoca di Claudio e il più recente, fino ad oggi, è stato ritrovato nel 1909, dunque oltre 100 anni fa. Il cippo è da oggi visitabile in uno degli spazi dell’Ara Pacis ma al momento del completamento dei lavori sarà collocato all’interno del Mausoleo di Augusto.
ll pomerio era il limite sacro che separava la città in senso stretto (urbs) dal territorio esterno (ager): uno spazio di terreno, lungo le mura, consacrato e delimitato con cippi di pietra, dove era vietato arare, abitare o erigere costruzioni e che era proibito attraversare in armi. Proprio per la sua importanza e per i suoi significati, veniva modificato molto raramente. Seneca, parlando dell’ampliamento effettuato da Claudio, menziona Silla come unico precedente. Tacito cita anche Giulio Cesare. Altre fonti ricordano ampliamenti di Augusto, Nerone,Traiano e Aureliano.
L’impaginazione e la disposizione del testo conservato ricalcano quelle degli altri esemplari noti. Non si conserva il numerale seriale, che in tre casi compare sul fianco sinistro del cippo, e la parola pomerium, in due casi riscontrata sulla sommità. L’intervento sul pomerio effettuato da Claudio è l’unico attestato sia a livello epigrafico sia a livello letterario. Non solo. È l’unico menzionato nella lex de imperio Vespasiani, come precedente, nonché quello che apre il dibattito sui nomi degli autori di eventuali ampliamenti del pomerio. I rinvenimenti epigrafici, poi, testimoniano due interventi condotti da Vespasiano e Tito, nel 75 d.C., e da Adriano nel 121 d.C., che però sono completamente ignorati dalle fonti letterarie.
Il cippo di travertino rappresenta un tesoro archeologico di rilievo anche perché è stato ritrovato ancora infisso nel terreno, testimonianza precisa dello sviluppo dell’Urbe e del suo ampliamento. Grazie all’iscrizione, può essere ricondotto con assoluta certezza all’imperatore Claudio e, dunque, all’ampliamento del pomerio da questi effettuato nel 49 d.C., stabilendo il nuovo “limite” considerato all’epoca sacro, civile e militare della città. L’eccezionalità del ritrovamento di questo cippo offre nuovi spunti di riflessione sul pomerio e anche sull’esistenza o meno dello ius proferendi pomerii, sulle valenze che allo “spazio” attribuivano i romani.
L’iscrizione non è completa ma a mancare sono solo le prime delle nove righe: si tratta proprio di quelle che invece risultano leggibili nei frammenti degli altri cippi ritrovati. Dunque, è importante proprio che siano le altre righe ad essere visibili. La serialità del testo ufficiale inciso sui cippi permette di ricostruire la parte mancante. Claudio, secondo la formula di rito, viene ricordato con i suoi titoli e le sue cariche e rivendica l’ampliamento del pomerio, non menzionando territori conquistati, ma sottolineando l’allargamento dei confini del popolo romano. Ciò significa quindi allargamento del confine fisico, ma può indicare anche l’ingrandimento del corpo civico, con l’estensione della cittadinanza romana alle élites (primores) della Gallia. L’espressione è volutamente ambigua. In ogni caso, l’ampliamento del pomerio indica un allargamento della visione dell’Urbe. Claudio interviene sullo spazio della città attraverso un’azione che ha una forte valenza religiosa, politica e simbolica.
L’autore dei cambiamenti si pone come “nuovo fondatore” della città. Ed è proprio questo che, con l’andamento segnato dai suoi cippi, fa Claudio, dopo la conquista della Britannia: rivendica l’ampliamento dei confini del popolo romano, in una visione articolata, che pur segnando il territorio non guarda solo ad esso, ma consente di comprendere sguardi politici, filosofia, strategia, perfino ambizioni, come spiega il direttore dei Musei Capitolini, Claudio Parisi Presicce:
Parisi Presicce ricorda che l’imperatore scrittore, storico e linguista, Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, così come definito anche in questa iscrizione, è stato il quarto imperatore romano appartenente alla dinastia Giulio-Claudia e il primo a nascere fuori dal territorio che corrisponderebbe oggi alla penisola italiana. È passato alla storia – spiega – come un abile amministratore, un grande patrono dell’edilizia pubblica, e un imperatore espansionista in politica estera: sotto il suo comando Roma ha conquistato la Britannia. Proprio l’espansione della cittadinanza romana – afferma – è stato uno dei motivi di critica e di forte dibattito all’interno del senato. Il cippo ritrovato e presentato è proprio un reperto del cosiddetto pomerio, il confine che Claudio ha voluto ampliare con risvolti non solo di tipo territoriale ma anche sociale: delimitava infatti gli ambiti della vita pubblica di Roma, della ritualità religiosa, dell’esercizio della magistratura, del potere militare.
Il direttore dei Musei Capitolini spiega ancora che il cippo, ritrovato in occasione di un approfondimento per la messa in opera del nuovo sistema fognario della piazza, da oggi si può ammirare nella Sala Paladino del Museo dell’Ara Pacis, dove si trova il calco della statua dell’imperatore Claudio, assicurando così la conservazione e consentendo al contempo la fruizione da parte del pubblico. La collocazione definitiva sarà – afferma – negli spazi museali del Mausoleo di Augusto non prima di un anno e mezzo.
Fausta Speranza – Città del Vaticano
Sintonia tra Bruxelles e Washington nel segno del multilateralismo: al mattino di ieri 12 luglio, il G20 – che comprende i Paesi che rappresentano oltre il 90 per cento del Pil mondiale – si è chiuso con la raggiunta intesa per una tassa minima che le multinazionali dovranno pagare e una ripartizione degli utili fra i Paesi dove operano. Si parla di risultato storico anche perché in tutto, oltre a quelli del G20, sono 131 i Paesi che si dicono d’accordo. Washington è tra questi. Dei 7 Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo (Ocse) che non hanno firmato l’intesa solo tre sono dell’Ue: Ungheria, Estonia e Irlanda e si lavora per convincerli. In Irlanda la tassazione è fissa al 12,5 per cento, si dovrebbe arrivare a una minimum tax del 15 per cento.
Strategie congiunte tra Ue e Usa
Intanto, nell’ambito dell’Eurogruppo, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e la presidente della Bce, Christine Lagarde, hanno incontrato sempre ieri, a pranzo, la segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen. Yellen rappresenta l’amministrazione Biden che è in linea con Bruxelles, ma ci sono resistenze al Congresso e dunque la von der Leyen ha spiegato che per procedere uniti si rimanda all’autunno la proposta di prelievo sul digitale. Sospesa, dunque, l’introduzione della tassa digitale ai colossi del web: la resistenza era dovuta al timore di un doppio prelievo con la tassazione minima globale, anche se l’Ue aveva pensato a un meccanismo per evitarla. La segretaria Usa al Tesoro dunque, è riuscita a ottenere il congelamento della Digital Tax alla quale stava lavorando la Commissione europea. Atteso per il 20 luglio, il piano è stato rinviato al prossimo autunno per evitare di intralciare la finalizzazione dell’accordo a livello globale. Si tratta di un rinvio ma a Bruxelles non si vuole abbandonare definitivamente lo strumento, nella convinzione che non ci sia alcun rischio di sovrapposizione con la global tax che ha ottenuto il via libera del G20 e dell’Ocse. Anche perché i proventi dovrebbero servire per finanziare una parte del debito comune contratto con il Next Generation EU. Le pressioni Usa si sono fatte sentire anche sui governi che hanno già introdotto una Digital Tax a livello nazionale, come l’Italia e la Francia. Ma i rispettivi governi non hanno alcuna intenzione di cancellarla, almeno fino a quando non sarà in vigore l’imposta globale.
Deiana: una questione molto complessa
Ma al di là dei tempi e delle priorità del contesto europeo e di quello globale, la questione è molto complessa, come spiega Angelo Deiana, presidente di Confassociazioni, la più importante Confederazione di associazioni dei servizi all’impresa e delle professioni innovative:
Deiana sottolinea, innanzitutto, l’importanza di aver avviato un processo che costituisce la base per stabilire misure fiscali su misura per le multinazionali che sfuggono a normative del passato. Mette in luce la complessità di tutto l’orizzonte tematico ricordando che le multinazionali non possono avere doppia imposizione di tasse e, dunque, bisogna comprendere dove fanno più utili e in quale Paese vanno tassati, per poi spiegare che in realtà la questione va ben oltre: si tratta di forme di business nuove che chiedono forme di pensiero nuove. L’idea di una minimum tax – che in Europa è stata definita Digital tax perché si tratta di aziende che viaggiano soprattutto nel digitale – teoricamente dovrebbe semplificare. Ma Deiana sottolinea che non è facile stabilire il tetto: si parla di aziende che fatturano oltre i 20 miliardi di euro o dollari ma è impensabile che chi fatturi 19 miliardi resti completamente esente. Inoltre, aggiunge, nel momento in cui si stabiisce una tassa minima bisogna rendersi conto che l’adeguamento sarà molto più facile per Paesi che prevedono tasse basse, mentre per chi viaggia con tassazioni più elevate potrebbe avere serie ripercussioni.
Urgente una legislazione all’altezza delle innovazioni
Deiana ribadisce come lo sforzo dell’Ue e dell’Ocse sia impegnativo e importante perché la sfida è davvero cruciale. Si tratta infatti di ragionare su prospettive nuove con regole nuove. Non si può pensare di affrontare l’orizzonte digitale, in cui la territorialità ha un peso completamente diverso dal passato, con regole antiquate. Deiana, dunque, mette in luce proprio l’urgenza di mettere in campo uno sforzo innovativo: bisogna capire, ribadisce, come tassare utili che sfuggono sostanzialmente ai criteri di territorialità ma che nello stesso tempo potrebbero poi rientrare – per contesti legislativi ancora in vigore – in meccanismi di incentivi fiscali che finirebbero per ridimensionare tante cose. Deiana tra l’altro chiarisce un punto significativo: alcune delle multinazionali in realtà non producono precisamente un livello alto di utili, piuttosto mettono in atto meccanismi di investimenti in strutture e logistica che creano di fatto “imperi” che attirano investitori in Borsa. E dunque è lì che creano “fatturati”. Anche per questo è difficile capire come assicurare forme di tassazione adeguate.
La minimum tax deve essere davvero globale
Il presidente di Confassociazioni ricorda l’impegno dell’Unione europea che da tempo studia una cosiddetta web tax o digital tax, ma poi chiarisce che l’impegno di Bruxelles è importante in quanto forma di stimolo, di pressione, per gli altri Paesi, perché si potrà davvero arrivare a concepire nuovi sistemi di fiscalizzazione solo a livello di Ocse. Anche lo stesso G20, secondo Deiana, può avere più un ruolo politico propulsivo che fattivo. E spiega che non solo l’ambito Ocse è importante perché coinvolge direttamente i suoi 38 Paesi membri e i 70 Paesi che non ne fanno parte ma che intrattengono con l’Ocse stretti rapporti, ma anche perché l’Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa ha già avviato un processo importante in tema di trasparenza fiscale, anche se non è certo un processo compiuto: restano ancora alcuni cosiddetti paradisi fiscali. Dunque, è convinzione di Deiana, l’Ocse è la sede migliore per far maturare questo processo.
di Fausta Speranza
Il mondo del diritto batte un colpo per il popolo birmano. E’ stata ufficialmente annunciata la costituzione di un team di avvocati internazionali, tra i più stimati, per il monitoraggio del processo in corso nei confronti dei leader politici arrestati.
Informare il mondo di quello che accade a livello procedurale è già un passo in difesa di quella democrazia che il Paese del Sud est asiatico vede sfuggire ogni volta che sembra più a portata di mano.
Sono i principi del Foro a livello mondiale ma non percepiscono stipendio. Il caso è particolare: si tratta di monitorare, alla Corte Suprema di Naypyidaw, il processo al Consigliere di Stato Aung San Suu Kyi e al Presidente della Repubblica U Win Myint. Dopo decenni di lotta non violenta, il loro partito ha ottenuto un clamoroso successo elettorale, ma è stato accusato di brogli dall’esercito e i leader sono stati arrestati. La democrazia è caduta sotto il giogo dell’esercito. E’ scattata qualche sanzione internazionale ma di fatto il mondo della politica è in attesa.
Intanto, è arrivata l’iniziativa dell’International Bar Association e si è costituito il pool di avvocati per cercare di monitorare al meglio lo svolgimento del processo. L’iniziativa è partita da un avvocato di Londra anglo-birmano a lungo consulente per gli affari giuridici di Aung San Suu Kyi e dalla già parlamentare italiana Albertina Soliani. E’ stata accolta dall’IBAHRI, l’Istituto per i diritti umani dell’Associazione Internazionale degli Avvocati (Iba) e il team si è costituito. Hanno aderito innanzitutto diversi partecipanti del Regno Unito: Mark Ellis, Direttore esecutivo della International Bar Association; Sir Jeffrey Jowell QC, professore emerito di Diritto pubblico dello University College di Londra, ex Direttore del Bingham Centre for the Rule of Law e rappresentante del Regno Unito nella Commissione di Venezia; Baroness Helena Kennedy QC, uno dei più illustri avvocati britannici, direttore dell’IBAHRI, membro della Camera dei Lord.
Dall’India ha assicurato la sua adesione Harish Salve QC, già Solicitor General del Paese, Blackstone Chambers.
Per l’Italia si è unita Paola Severino, già ministro della Giustizia e Professore ordinario di diritto penale nonché vicepresidente dell’Università Luiss Guido Carli.
Compare il Canada con il nome d Larry Taman, Professore di diritto, già vice Procuratore generale dell’Ontario, già Consigliere Internazionale senior dell’UNDP in Myanmar;
Rappresenta la Corea Jung-Hoon Lee, decano e Professore di relazioni internazionali, alla Yonsei University, già Ambasciatore per i diritti umani della Corea del Nord.
Il sogno della democrazia risale alla rivolta degli studenti nel 1920, come rivendicazione del diritto all’indipendenza dal dominio coloniale inglese che praticamente si sovrappone alla vita del giovane Aung San, artefice dell’indipendenza nel 1947, poco prima di essere assassinato a 32 anni. La rivendicazione rinasce nell’agosto del 1988 nelle stanze della casa di Aung San Suu Kyi a Rangoon, per essere poi acclamata negli stessi giorni nella grande piazza della pagoda Shwedagon. I giovani studenti sono i protagonisti di un’onda che penetra nelle città e nei villaggi di tutta la ex Birmania, ma la grande manifestazione dell’8/8/1988 costa la vita di almeno tremila persone. In ogni caso, il sogno è entrato nel profondo collettivo e nel 2007 rialza la testa, assumendo il colore dello zafferano: migliaia di monaci per le strade sfilano abbracciando l’iniziativa della Lega Nazionale per la Democrazia (Nld).
Tremano i palazzi del potere politico di Naypyidaw nel secondo decennio del nuovo secolo: l’immagine millenaria del pavone combattente che punta la stella ha ormai assunto il significato della democrazia. Il resto è storia del Tatmadaw, l’esercito da sempre avversario della democrazia in Myanmar. Al potere dal 1962 al 2010, l’esercito svolge un ruolo politico oltre che militare, permea ogni piega dell’amministrazione dello Stato, controlla ogni ambito economico, è in rapporti privilegiati con capitali stranieri. Nel 2008 risponde alle istanze di democrazia con una Costituzione non democratica.
Dal 2011 si avvia una transizione verso la democrazia, pacifica e non violenta. La road map prevedeva di raggiungere l’unità nazionale tra gli Stati etnici – sette i principali – e tra le etnie, 135 quelle riconosciute. Sull’unità si doveva costruire il federalismo, passando per la riconciliazione e la pace. Tappe importanti sono state le elezioni: del 1990, del 2012, del 2015, del 2020. La voce più gentile ma estremamente decisa è sempre quella di Aung San Suu Kyi, la figlia di Aung San. Insignita nel 1991 del Premio Nobel per la Pace, mentre era agli arresti. Parlare di diritti umani, di democrazia in Myanmar ed è tornato ad essere un grave reato. Un puntello costituzionale – i figli di nazionalità straniera – le hanno impedito di diventare presidente ma è diventata Consigliere dello Stato. In questo ruolo ha dovuto rispondere di fronte al mondo delle persecuzioni avvenute nei confronti dell’etnia rohingya al confine con il Bangladesh. Una storia da chiarire.
Il cammino verso la democrazia si è interrotto con il colpo di Stato del 1° febbraio scorso, quando un nome si è imposto sul voto popolare: quello del capo delle forze armate Min Aung Hlaing. Quel giorno doveva insediarsi il parlamento eletto con il ballottaggio del 21 gennaio, dopo il primo turno a fine 2020: la Lega di San Suu Kyi aveva stravinto rispetto al il Partito dell’Unione della Solidarietà e dello Sviluppo, vicino all’esercito, che aveva conquistato solo poche decine di seggi. Ma l’esercito ha arrestato gli esponenti di governo – San Suu Kyi e il presidente – e poi a maggio ha sciolto la Lega.
I cittadini fanno risuonare come possono le pentole e i coperchi, il suono del pot and pan. Dal giorno del golpe, l’eco cerca di arrivare in tutte le piazze del mondo globale, attraverso la rete, i social. Non è facile intervenire per la comunità internazionale. A parte immaginabili immobilismi, c’è il vicino gigante cinese al quale Tatmadaw si raccomanda. E c’è la Russia dove Min Aung Hlaing, sempre coperto di medaglie, è andato dichiaratamente ad acquistare armi, anche se a Mosca il capo del golpe è stato ricevuto con un basso profilo, come capo dell’esercito non come capo di Stato.
Non sappiamo se risponderà.
Aung San Suu Kyi è stata messa al corrente della cosa dai suoi avvocati. Era piuttosto impressionata, ci dicono. E a dirvi la verità anch’io. L’iniziativa, non senza rischi, è importante. Tutela la dignità delle persone, difende il diritto, sotto tutti i cieli, tiene accesa l’attenzione del mondo sul Myanmar e su Aung San Suu Kyi. I militari non possono sempre agire impunemente.
Come vedete, si possono fare cose, assumere iniziative, oltre l’immobilismo della politica internazionale.
Lei, nell’ultimo incontro con i suoi avvocati ha detto al popolo di essere unito, e di proteggersi dal Covid 19.Della pandemia i militari non si occupano di certo. Mi domando se dice qualcosa l’Organizzazione Mondiale della Sanità, di un golpe in piena pandemia.
Circola una foto recente di lei alla finestra di un edificio militare a Naypyidaw, saluta con la mano. Vale quell’immagine a rinfrancare un popolo.
Anche Mosca resta prudente. Noi possiamo resistere alle dittature. Dico noi cittadini, anche come professionisti, come società civile. In nome di un’etica che vuole il rispetto della natura di ogni cosa, direbbe Simone Weil. La dittatura è immorale, travolge il diritto, non rispetta le libere elezioni,
è menzognera, distrugge la vita di un intero popolo, degli anziani e dei giovani. Come non vedere? Come non reagire?
L’altra sera a Casa Cervi il fotografo Stefano Anzola, per iniziativa del Comune di Gattatico, ha proiettato sul muro della Casa foto bellissime di un viaggio in Birmania, anni fa. Un angolo del mappamondo dei fratelli Cervi, che oggi resiste, come loro. E’ la stessa cosa, la stessa scelta.
L’Istituto Cervi sostiene la resistenza del popolo birmano in difesa della democrazia. Il 12 luglio, in collaborazione con il Parlamento Europeo, abbiamo organizzato una videoconferenza tra parlamentari del Myanmar, che sono alla macchia, in luoghi sicuri, e parlamentari dell’Unione Europea. Sarà resa pubblica.
E’ cominciato il mese di luglio. Un mese di anniversari, ha scritto in una bella pagina Aung San Suu Kyi: “Luglio è un mese che non sembra ispirare afflati poetici. Forse è la sua banalità di mese di mezzo, collocato tra la dolcezza di giugno e l’esuberante rigoglio di agosto, a non stimolare l’immaginazione”. “Eppure, l’anonimo luglio, mese di mezzo, è gravido di anniversari importantissimi”. Ricorda quello della presa della Bastiglia, il 14 luglio, quello dell’indipendenza americana, il 4, e della cospirazione contro Hitler, il 20.
Il 19 luglio, in Birmania, veniva assassinato suo Padre, Aung San, a 32 anni. Lei ne aveva due. Quest’anno non parteciperà alla cerimonia al Mausoleo dei Martiri a Yangon. Ci saranno solo i militari. Ma sono certa che il popolo si farà sentire.
Fausta Speranza – Città del Vaticano
“Abbiamo portato la Madre a casa sua”: con questo spirito monsignor Remo Chiavarini, amministratore delegato dell’Opera romana pellegrinaggi (Orp), ha espresso la gioia di aver deposto nella grotta dell’Annunciazione a Nazareth la statua della Madonna di Loreto. E’ avvenuto ieri nell’ambito del pellegrinaggio in Terra Santa del gruppo guidato dal cardinale Enrico Feroci. Ad accoglierla a Nazareth è stato fra Bruno Varriano, guardiano della Custodia di Terra Santa a Nazareth. La statua della Madonna di Loreto, patrona dell’aviazione, è tornata così dunque a viaggiare nell’anno giubilare lauretano che Papa Francesco ha prorogato, 2020-2021, per via del fermo imposto dalla pandemia. Dei significati di questa cerimonia abbiamo parlato con Don Savino Lombardi, assistente spirituale dell’Opera romana pellegrinaggi (Orp):
Don Savino spiega che oggi la statua viene riportata a Roma a conclusione di questo primo pellegrinaggio in Terra Santa dopo i lockdown, per poi continuare a sostare negli aeroporti in quanto patrona dell’aviazione. Sottolinea l’importanza di vedere la statua della Madonna di Loreto in giro per il mondo, ma soprattutto si sofferma sull’immagine particolare e – dice – molto toccante di vederla poggiata nella grotta della Basilica dell’Annunciazione a Nazareth. Inoltre, ricorda che, mentre di solito la statua viaggia con la compagnia aerea Alitalia, in questo caso, viste le difficoltà dei voli, è stata la compagnia aerea israeliana El Al ad accettare di portare a bordo la scatola di legno contenente la statua.
La celebrazione a Nazareth
Don Savino spiega poi che la celebrazione – alla quale hanno partecipato i fedeli, sacerdoti e giornalisti del gruppo dell’Orp, oltre ai frati della Custodia di Terra Santa – è stata particolarmente toccante. Si è svolta infatti in una Basilica non frequentata come di consueto per via della situazione sanitaria globale. Don Savino ricorda il legame tra Loreto e Nazareth, spiegando che la tradizione suggerisce che un lato della casa originaria di Maria, con la grotta, è a Nazareth e gli altri tre lati a Loreto. Non vuol dire – sottolinea – che la Madonna abbia due case, ma significa che Maria è “di casa” a Loreto come a Nazareth. Don Savino poi si sofferma a commentare la scelta di celebrare nella chiesa all’interno del complesso della Basilica dedicata a San Giuseppe: stiamo vivendo l’anno giubilare dedicato allo sposo di Maria e dunque – spiega – è stato significativo porre l’accento anche sulla figura di San Giuseppe che – aggiunge – è l’uomo del silenzio ricco di speciali scelte di amore che si accompagnano a quelle di Maria.
Ripartire per rincontrare le pietre vive di Terra Santa
Tra le altre riflessioni di questo pellegrinaggio, il cardinale Feroci ha suggerito l’idea che riprendere una certa normalità dopo la fase emergenziale del Covid 19 non significa tornare a fare quello che si faceva prima, ma partire nuovamente, cioè in modo nuovo, con delle novità. Con questo pellegrinaggio – ha sottolineato – si è voluto “mettere al centro non i luoghi, ma il Signore Risorto, e rinsaldare quel legame tra la Chiesa Madre, che è Gerusalemme, e la Chiesa Capo, quella di Roma. Il Covid ci ha separato: non solo le famiglie, ma anche le Chiese, eppure noi vogliamo superare questa separazione e tornare alla comunione originaria”. Riaprire i flussi dei pellegrinaggi – ha spiegato inoltre il porporato – vuol dire ribadire la nostra vicinanza, perché la nostra fede non deve poggiare solo su un discorso teologico, ma anche esperienziale. Questo significa non solo vedere i luoghi santi, ma incontrare la Chiesa che vive e opera lì oggi.
Fausta Speranza – Città del Vaticano
“Betlemme è la città che più ha sofferto il Covid in Terra Santa: il 90 per cento delle famiglie lavora nel turismo religioso”. Sono parole di padre Ibrahim Faltas, francescano della Custodia di Terra Santa, responsabile delle scuole ma anche della struttura di accoglienza dei francescani “Casanova” a Gerusalemme:
Padre Faltas spiega che la maggior parte delle famiglie di Betlemme non ha potuto pagare la retta in quest’ultimo anno e che i bisogni sono stati tanti. Racconta che i francescani hanno provveduto a sostenere più persone possibili, dai pacchi alimentari agli aiuti per le spese della casa. All’inizio infatti le persone hanno dato fondo ai risparmi, poi – sottolinea – sono arrivati alcuni aiuti, ma ora – avverte – l’unico modo per dare speranza a questa terra è la ripresa del turismo religioso. Per questo l’arrivo del primo gruppo di italiani, accompagnati dall’Opera Romana Pellegrinaggi della Diocesi di Roma è stato per padre Ibrahim “un segnale di speranza per una popolazione che la sta perdendo”. Il francescano non nasconde che al problema del Covid si sono aggiunte anche le nuove tensioni tra israeliani e palestinesi.
Una risorsa dai più fragili
Nella tradizione della città dove è nato Gesù c’è tanto artigianato locale, soprattutto presepi e bambinelli di legno d’ulivo. In pandemia nessuno è passato a comprare nelle botteghe di Betlemme. Ma da qualche tempo i francescani, su inziativa alla vigilia del 2000 di padre Michele Piccirillo, francescano e archeologo, avevano rispolverato anche un’altra tradizione antica: quella della lavorazione della madreperla, accanto a quella del legno di olivo e della ceramica. A padre Piccirillo, scomparso prima dell’inaugurazione, è dedicato il particolare laboratorio nato per riproporre quest’arte antica: il Piccirillo Handcraft Center. È un laboratorio artigianale dove si fa soprattutto formazione ma che dà anche una chance di lavoro a chi non ne avrebbe, disabili e persone che vivono ai margini della società. Ne abbiamo parlato con Samer Barboun attuale direttore del Piccirillo Handcraft Center:
Barboun ci racconta che non si fa vendita nei negozi di Betlemme per non interferire con le famiglie di piccoli commercianti locali che da sempre vivono di questo. Si fanno invece lavori su commissione. E questo, sottolinea, ha signfiicato che durante il lockdown il lavoro non si è fermato. Dai rosari ai calici per la Messa, dalle decorazioni per l’albero di Natale alle croci di ogni forma e dimensione: sono i prodotti realizzati in due piani del convento dei francescani a Betlemme che sono stati adibiti ad ospitare macchinari e materiali, insieme con tanti giovani che mettono in comune diverse disabilità ma anche tanta precisione e tanto impegno. Ogni anno – racconta Samer Barboun, che ha 40 anni – maestri artigiani formano decine di persone che possono poi mettere a frutto le loro competenze. Il laboratorio dà lavoro a circa 25 famiglie in maniera stabile e ad un’altra quarantina che fa piccole parti della lavorazione dalla propria casa. Attualmente, afferma, ci sono 100 persone impegnate. Passare dall’assistenza al lavoro è la sfida che si gioca a Betlemme.
Ospite in collegamento da remoto della trasmissione televisiva della Rai UNOMATTINA, ore 9.18 di giovedì 8 Luglio 2021: