Notte di Natale, il Papa: si cerca la visibilità ma Dio sceglie gli invisibili

Nella Messa nella Basilica di San Pietro, l’appello di Francesco: basta morti sul lavoro. Pensando ai pastori del presepe, sottolinea che Dio non cavalca la grandezza ma sceglie la piccolezza per raggiungerci, mentre “noi cerchiamo la grandezza secondo il mondo, magari persino in nome suo”. Poi, con lo sguardo rivolto ai Magi, l’invito a semplici e dotti a impegnarsi nel cammino sinodale

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Oggi tutto si ribalta”, dice Papa Francesco nell’omelia della Messa della Notte di Natale nella Basilica di San Pietro, preceduta dal canto della Kalenda: “Dio non ricerca forza e potere, domanda tenerezza e piccolezza interiore”.

Dio non cavalca la grandezza, ma si cala nella piccolezza. La piccolezza è la via che ha scelto per raggiungerci, per toccarci il cuore, per salvarci e riportarci a quello che conta. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)

La sfida del Natale

“Dio si rivela, ma gli uomini non lo capiscono”, dice Francesco richiamando tutti a una riflessione profonda:

Gesù nasce per servire e noi passiamo gli anni a inseguire il successo. Lui si fa piccolo agli occhi del mondo e noi continuiamo a ricercare la grandezza secondo il mondo, magari persino in nome suo. Dio si abbassa e noi vogliamo salire sul piedistallo. L’Altissimo indica l’umiltà e noi pretendiamo di apparire. Dio va in cerca dei pastori, degli invisibili; noi cerchiamo visibilità.

Dio “viene al mondo piccolo”. “La sua grandezza si offre nella piccolezza”: è quello che il Papa definisce il “contrasto” sul quale “il Vangelo insiste”:

Colui che abbraccia l’universo ha bisogno di essere tenuto in braccio. Lui, che ha fatto il sole, deve essere scaldato. La tenerezza in persona ha bisogno di essere coccolata. L’amore infinito ha un cuore minuscolo, che emette lievi battiti. La Parola eterna è infante, cioè incapace di parlare. Il Pane della vita deve essere nutrito. Il creatore del mondo è senza dimora.

La grazia della piccolezza

Francesco parla della grazia della piccolezza, spiegando cosa significhi nel concreto:” credere che Dio vuole venire nelle piccole cose della nostra vita, vuole abitare le realtà quotidiane, i semplici gesti che compiamo a casa, in famiglia, a scuola, al lavoro”. Deve emergere una consapevolezza piena di speranza: è nel nostro vissuto ordinario che Dio vuole realizzare cose straordinarie. Dunque l’invito:

Lasciamoci allora alle spalle i rimpianti per la grandezza che non abbiamo. Rinunciamo alle lamentele e ai musi lunghi, all’avidità che lascia insoddisfatti!

C’è di più, dice il Papa: “Gesù non desidera venire solo nelle piccole cose della nostra vita, ma anche nella nostra piccolezza: nel nostro sentirci deboli, fragili, inadeguati, magari persino sbagliati”. E il Papa richiama al messaggio che in questa notte speciale Dio ci lascia:

La tua piccolezza non mi spaventa, le tue fragilità non mi inquietano.

A tutti Francesco dice:

Sorella, fratello, se, come a Betlemme, il buio della notte ti circonda, se avverti intorno una fredda indifferenza, se le ferite che ti porti dentro gridano: ‘Conti poco, non vali niente, non sarai mai amato come vuoi’, stanotte Dio risponde. Stanotte ti dice: ‘Ti amo così come sei’.

I pastori semplici lavoratori

Gesù alla nascita è circondato proprio dai piccoli, dai poveri, dai pastori che – ricorda il Papa – “stavano lì per lavorare, perché erano poveri e la loro vita non aveva orari, ma dipendeva dal gregge”.

Basta morti sul lavoro

Il pensiero preciso alla durezza del lavoro e il richiamo forte alla dignità dell’uomo e del lavoro:

Dio stanotte viene a colmare di dignità la durezza del lavoro. Ci ricorda quanto è importante dare dignità all’uomo con il lavoro, ma anche dare dignità al lavoro dell’uomo, perché l’uomo è signore e non schiavo del lavoro. Nel giorno della Vita ripetiamo: basta morti sul lavoro! E impegniamoci per questo.

La verità da non dimenticare

Gesù nasce lì, vicino a loro, vicino ai dimenticati delle periferie. Viene dove la dignità dell’uomo è messa alla prova. Viene a nobilitare gli esclusi e si rivela anzitutto a loro: non a personaggi colti e importanti, ma a gente povera che lavorava.

L’indifferenza

“Accogliere la piccolezza – aggiunge il Papa – significa ancora una cosa: abbracciare Gesù nei piccoli di oggi”.  Sono loro i più simili a Gesù, nato povero ed “è in loro che Lui vuole essere onorato”. Dunque il richiamo al giusto timore:

In questa notte di amore un unico timore ci assalga: ferire l’amore di Dio, ferirlo disprezzando i poveri con la nostra indifferenza. Sono i prediletti di Gesù, che ci accoglieranno un giorno in Cielo. Una poetessa ha scritto: «Chi non ha trovato il Cielo quaggiù lo mancherà lassù». Non perdiamo di vista il Cielo, prendiamoci cura di Gesù adesso, accarezzandolo nei bisognosi, perché in loro si è identificato.

Semplici e colti in cammino sinodale

Così come nel presepe di Gesù, anche oggi nel cammino sinodale sono chiamati semplici e dotti. Allargando lo sguardo dalla mangiatoia di Gesù, si intravedono i magi, in pellegrinaggio per adorare il Signore. “Attorno a Gesù – afferma Francesco – tutto si ricompone in unità: non ci sono solo gli ultimi, i pastori, ma anche i dotti e i ricchi, i magi”.

A Betlemme stanno insieme i poveri e i ricchi, chi adora come i magi e chi lavora come i poveri. Francesco spiega che “tutto si ricompone quando al centro c’è Gesù, ma poi precisa: “Non le nostre idee su Gesù, ma Lui, il Vivente”. Con lo sguardo ai magi, dunque, l’incoraggiamento del Papa a “tornare a Betlemme”:

Guardiamo i magi che peregrinano e come Chiesa sinodale, in cammino, andiamo a Betlemme, dove c’è Dio nell’uomo e l’uomo in Dio; dove il Signore è al primo posto e viene adorato; dove gli ultimi occupano il posto più vicino a Lui; dove pastori e magi stanno insieme in una fraternità più forte di ogni classificazione. Dio ci conceda di essere una Chiesa adoratrice, povera e fraterna. Questo è l’essenziale. Torniamo a Betlemme.

“La vita è un pellegrinaggio”, suggerisce Francesco:

Alziamoci, ridestiamoci perché stanotte una luce si è accesa. È una luce gentile e ci ricorda che nella nostra piccolezza siamo figli amati, figli della luce.

Nella Notte di Natale si accende la Luce che “nessuno spegnerà mai”.

Il mistero della venuta di Gesù

Papa Francesco cita il Vangelo di Luca: “Nella notte si accende una luce. Un angelo appare, la gloria del Signore avvolge i pastori e finalmente arriva l’annuncio atteso da secoli: «Oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11). E il Papa sottolinea che “sorprende, però, quello che l’angelo aggiunge”: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». Tutto qui: “un bambino nella cruda povertà di una mangiatoia. Non ci sono più luci, fulgore, cori di angeli. Solo un bimbo”. Il Papa ricorda che il Vangelo racconta la nascita di Gesù cominciando da Cesare Augusto, che fa il censimento di tutta la terra: mostra il primo imperatore nella sua grandezza. Ma, subito dopo, ci porta a Betlemme, dove di grande non c’è nulla: solo un povero bambino avvolto in fasce, con dei pastori attorno. Lì c’è Dio, nella piccolezza.” E’ il dono di Dio e il Papa dice: “Lasciamoci attraversare da questo scandaloso stupore”.

Momenti particolari della celebrazione

La celebrazione è stata seguita dai media di tutto il mondo. Dopo la processione alla quale hanno partecipato anche i cardinali e i vescovi, il Papa si è fermato a davanti alla Confessione e ha iniziato il canto della Kalenda. Dopo il canto, sono suonate  le campane della Basilica e si sono accese le luci. Papa Francesco ha svelato la statua di Gesù Bambino, l’ha incensata e i bambini, provenienti da tante parti del mondo, hanno offerto  l’omaggio floreale. Dopo la benedizione con l’Evangeliario, il diacono, accompagnato dal cerimoniere, l’ha portato davanti alla Confessione e l’ha posto sul tronetto.

Al termine della Santa Messa, il Papa ha preso il Bambinello e, circondato dai bambini con i fiori, si è avviato in processione fino al Presepe della Basilica. Il diacono ministrante ha deposto il Bambinello nella culla mentre i bambini hanno deposto i fiori al Presepe.  Davanti alla Pietà il Papa ha salutato i bambini.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-12/natale-notte-basilica-san-pietro-messa-lavoro-morti-appello.html

Una pagina nuova sul bilancio Ue: la presa di posizione di Draghi e Macron

Investimenti comuni, regole più adatte e coordinamento non solo durante le crisi: i leader di Italia e Francia aprono il dibattito per una revisione dei meccanismi di bilancio nell’Unione europea. Lo fanno con un editoriale firmato insieme sul Financial Times alla vigilia dell’avvio del semestre di presidenza francese dell’Ue. L’obiettivo è puntare a una riduzione dei livelli di indebitamento dei singoli Paesi senza mettere a repentaglio una ripresa che resta in grande parte da consolidare

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Le regole di bilancio dell’Ue devono essere riformate: ad affermarlo sono il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Mario Draghi, e il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, in un editoriale che firmano insieme sul Financial Times nel quale insistono sulla necessità di “una strategia di crescita dell’Ue per il prossimo decennio”. Le criticità sono chiaramente espresse: “Le regole sono troppo opache ed eccessivamente complesse: hanno limitato il campo d’azione dei Governi durante le crisi e sovraccaricato di responsabilità la politica monetaria”.

“La Commissione Ue – si legge in un passaggio dell’editoriale – ha lanciato una consultazione sul futuro delle regole di bilancio dell’Ue e sono state avanzate proposte interessanti”. Tra queste, i due leader chiedono “più spazio di manovra e margini di spesa sufficienti” per prepararsi al futuro e “per garantire piena sovranità”. Il debito per finanziare tali investimenti, che certamente gioveranno alle generazioni future e alla crescita di lungo termine, dovrà essere favorito dalle regole di bilancio, dato che questo tipo di spesa pubblica contribuisce alla sostenibilità di lungo termine del debito”.

Spesa sociale, debito e tasse: un equilibrio difficile e cruciale

Sostenere anche con il debito gli investimenti pubblici e la crescita senza aumentare le tasse e tagliare la spesa sociale, ma portando avanti riforme strutturali che consentano di ridurre la spesa. Questa, in sintesi, la ricetta proposta. Tema centrale dunque è quello del debito pubblico degli Stati, fortemente cresciuto in tempi di Covid. “Non c’è dubbio che dobbiamo abbassare i nostri livelli di indebitamento. Ma non possiamo aspettarci di farlo attraverso tasse più alte o tagli insostenibili alla spesa sociale, né possiamo soffocare la crescita attraverso aggiustamenti fiscali non praticabili”, scrivono Draghi e Macron nella lettera. “La nostra strategia è quella di mantenere sotto controllo la spesa pubblica ricorrente attraverso riforme strutturali ragionevoli. Così come non abbiamo permesso che le regole ostacolassero la nostra risposta alla pandemia, allo stesso modo non dovranno impedirci di intraprendere tutti gli investimenti necessari”.

L’esperienza del programma Next generation Eu

“Il programma Next Generation EU – osservano ancora i due leader – è stato un successo per i meccanismi che ha introdotto per la valutazione della qualità della spesa pubblica e per le sue modalità di finanziamento”. La convinzione dunque è che il programma offra  “un utile modello per il futuro”. In futuro – sottolineano Draghi e Macron – regole di questo tipo non dovranno impedire agli Stati di fare tutti gli investimenti necessari” in settori quali ricerca, infrastrutture, digitalizzazione e difesa.

Il dibattito è aperto possibilmente senza ideologie

Fonti dell’Eliseo chiariscono che “Draghi e Macron non hanno lavorato di nascosto” alla lettera, ma “hanno consultato diversi leader, in particolare il cancelliere tedesco Olaf Scholz”. Si è trattato – si spiega – soltanto di lanciare un dibattito al quale contribuiranno nelle prossime settimane di presidenza francese dell’Unione europea altri Stati membri”. Il testo di Draghi e Macron è stato condiviso con altri leader Ue ma a nessun altro è stato proposto di aggiungere la propria firma.

La presidenza di turno francese dell’Ue che inizierà il 1° gennaio ha tra le sue priorità proprio la riforma del cosiddetto Patto di stabilità che è stato eccezionalmente sospeso allo scoppio della pandemia. La parola passa ora agli altri partner europei per sviluppare una “discussione approfondita” – che Draghi e Macron auspicano non sia “offuscata da ideologie” – e arrivare ad un accordo sulla riforma della governance entro la fine del 2022. Si attende la presa di posizione degli altri leader europei, a cominciare dal cancelliere tedesco Scholz e dal primo ministro olandese Mark Rutte, finora alla guida del cosiddetto gruppo dei ‘frugali’ ma più aperto a modifiche al Patto per sostenere gli investimenti da quando è a capo di una nuova coalizione di governo.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-12/unione-europea-francia-italia-macron-draghi-regole.html

Clima e diseguaglianze: il “seme” di speranza a Svalbard

Speranza, creatività, ingiustizie: parole tornate in vari interventi alla cerimonia per la consegna del testo di Papa Francesco che arriverà nel cosiddetto bunker dei semi, in Norvegia. Una piccola edizione speciale, che contiene alcune meditazioni fatte nel momento più nero della pandemia, consegnata a Michael Haddad che lo porterà camminando grazie ad un esoscheletro. Il messaggio di fede e determinazione nelle dichiarazioni di monsignor Ruiz e dell’ambasciatore Sebastiani

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Perché hai paura, non hai fede?: è questo il titolo del libro, con le meditazioni di Papa Francesco offerte nei mesi più angoscianti della pandemia da Covid-19, che arriverà – con una spedizione a marzo prossimo – allo Svalbard Global Seed Vault, il deposito globale di semi che si trova in Norvegia e che ha la funzione di fornire una rete di sicurezza contro la perdita botanica accidentale del patrimonio genetico tradizionale delle sementi. Il libro, in una edizione speciale miniaturizzata realizzata dal Dicastero per la comunicazione,  simboleggia il seme della speranza per un’umanità che scommette sulla sopravvivenza di fronte alle sfide climatiche e all’infezione pandemica.

A recapitarlo un ambasciatore d’eccezione

Il testo sarà portato a destinazione da Michael Haddad, libanese, disabile e atleta di professione, che è diventato ambasciatore di buona volontà dell’Onu per le questioni climatiche. Haddad è stato scelto per la sua sensibilità riguardo le sfide ambientali e soprattutto per la sua fede e la sua determinazione. Camminerà per un lungo tratto in condizioni disagiate per la sua disabilità motoria, grazie ad un esoscheletro, e in condizioni aggravate dalle basse temperature e dunque con particolari presidi e assistenza medico-scientifica. “Non è solo un’avventura – ci  spiega  – ma anche un esperimento scientifico”. Haddad ricorda l’emozione provata ieri quando è stato ricevuto da Papa Francesco in un momento che definisce indimenticabile. Parla di scienza e fiducia, di spiritualità e fede, ma soprattutto del valore della speranza. Anche il Segretario generale dell’Onu a Glasgow – ribadisce Hadadd – ha dovuto ammettere che siamo già a un punto di non ritorno ma – aggiunge l’atleta ambasciatore di buona volontà – abbiamo il dovere di abbracciare quella speranza che al di là di tutto ci muove a cambiare rotta. Serve – sottolinea – la scienza ma anche la fede, che ci fa sentire che qualcosa cambierà.

Il piccolo libro è stato consegnato nelle mani di Haddad questa mattina, nel corso di una cerimonia nella sede dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, dal segretario del Dicastero per la comunicazione, monsignor Lucio Adriàn Ruiz, insieme con Michele Candotti del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite UNDP, e dall’Ambasciatore Pietro Sebastiani. Nelle riflessioni di Sebastiani, emergono l’orizzonte di nuovi rischi e sfide ma anche la questione urgente da sempre delle crescenti diseguaglianze sociali:

Sebastiani innanzitutto definisce lo Svalbard Global Seed Vault una cassaforte dell’umanità, spiegando che ogni Paese vi affida ciò che ha di più caro. Il clima pone interrogativi inquietanti all’umanità e ai suoi sistemi naturali che – spiega l’ambasciatore – non si declinano solo in termini di pericoli di inquinamento o annientamento, ma anche in termini di fragilità degli stessi sistemi sociali, compresi quelli democratici.

Il dramma delle diseguaglianze

Forte l’appello di Sebastiani a considerare l’urgenza di rivedere le profondissime discrepanze sociali che minano alla base gli interventi stessi perché compromettono l’unità di azioni. Se i problemi, come ad esempio quello del surriscaldamento climatico, sono gli stessi sul pianeta per tutti i popoli, non sono uguali gli effetti da considerare né le conseguenze di quella che invochiamo come transizione ecologica. Da qui il richiamo di Sebastiani a guardare ai più deboli, i più poveri o i più esposti alle crisi,  gli invisibili, perchè “o ci salveremo tutti o nessuno si salverà”. Il messaggio da recepire è molto chiaro: “Salvare il pianeta costruendo la giustizia”. Ma il punto è – sottolinea – rendersi conto di come le società che si vanno affermando siano sempre più incuranti di alcuni valori come la solidarietà e al contrario pregne della “cultura dello scarto”, come denuncia Papa Francesco.

La “banca dei semi”

Il centro è localizzato vicino alla cittadina di Longyearbye, nell’isola norvegese di Spitsbergen, nel remoto arcipelago artico delle isole Svalbard a circa 1200 km dal Polo Nord. Si compone di tre sale, di 27 metri di lunghezza, 10 di larghezza e 6 di altezza con  porte di acciaio di notevole spessore. E’ stato inaugurato nel 2008, costruito in modo da resistere ad una eventuale guerra nucleare o ad un incidente aereo.  Un consiglio consultivo internazionale è stato istituito per fornire indicazioni e consigli.

L’eccezionale “seme” di speranza

Il libro è composto da varie meditazioni di Papa a partire da quella in occasione di quel momento straordinario di preghiera che Francesco ha voluto, il 27 marzo 2020, in Piazza San Pietro, in uno dei periodi più drammatici e preoccupanti della pandemia. Quel venerdì pomeriggio il Papa ha chiesto al mondo di fermarsi, di riunirsi in preghiera per cercare, tutti insieme, nella parola del Signore, il significato di ciò che stava accadendo e per implorare il soccorso. Il titolo, Perché hai paura, non hai fede?, riassume il messaggio potente di speranza che il Papa ha consegnato al mondo, come sottolinea monsignor Lucio Adriàn Ruiz, segretario del Dicastero per la Comunicazione:

Monsignor Ruiz illustra, richiamando anche alcune parole di Papa Francesco, quella che sembra emergere come una corsa sconsiderata dell’umanità, incapace di reagire alla fretta o all’incuria. Parla della crisi sopraggiunta con la pandemia ricordando l’invito alla riflessione prezioso da parte di Francesco che, in quei drammatici giorni di paura, avvertiva il mondo: quando c’è una pesante crisi può accadere che si perda l’occasione di imparare da quella crisi. Sarebbe qualcosa di peggiore perfino della crisi stessa. Dunque, il richiamo estremamente significativo a “fare del tempo di prova un tempo di scelta” e l’incoraggiamento alla creatività e alla fratellanza, preziose alleate della fede “capace di assicurare solidità e sostegno alla speranza”.

Alla cerimonia hanno partecipato tra gli altri Karim Abdallah, Ind Communications Group, che ha speso parole sul ruolo dei media che troppo spesso “spettacolarizzano le sfide, drammatizzando e senza aprire orizzonti possibili di speranza”; Luis Liberman dell’Istituto Internazionale per il Dialogo e la Cultura dell’Incontro, che ha ricordato come tematiche come quella dell’acqua sono emblematiche per comprendere la gravità dei fenomeni in atto, distruttivi per il pianeta ma anche esemplari perchè possibili terreni di dialogo e di incontro tra culture; Daniel G. Groody, dell’Università Notre Dame, che ha ribadito come la prima di tutte le soluzioni possibile per l’umanità è “essere insieme”.

Intervista originale in inglese con Michael Haddad: 

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-12/papa-pandemia-libro-dicastero-comunicazione-ambasciatore-haddad.html

L’incontro con la prima famiglia afghana rifugiata in Italia

I primi dall’avvento dei talebani: due gruppi familiari fuggiti da Kabul hanno formalmente ricevuto il nulla osta per lasciare il centro di prima accoglienza in Puglia dove sono arrivati tre mesi fa: sono stati riconosciuti rifugiati politici e destinati a località riservata per una nuova vita in Italia. Nei volti e nelle parole del più anziano del gruppo e di sua nipote ventitreenne, che abbiamo potuto incontrare, si alternano gioia e tristezza

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Dopo il periodo iniziale al Centro di prima accoglienza, sono arrivati, proprio in questi giorni, in una località italiana che non citiamo per motivi di sicurezza: sono gruppi familiari fatti evacuare dall’Afghanistan con ponti aerei dopo la presa del potere ad agosto scorso da parte dei talebani. Gli uomini hanno lavorato negli anni passati con l’Ambasciata italiana e rischiano per questo pesanti ritorsioni o la vita stessa. E’ stata destinata loro una casa dove potranno vivere autonomamente.

La prima accoglienza

Abbiamo incontrato una delle due famiglie al momento di lasciare  Casa del Sole, il centro di prima accoglienza in provincia di Brindisi dove sono stati portati a settembre e che si distingue  in quanto è il primo in Italia che a dicembre ha già completato l’iter per il riconoscimento dello status di rifugiati politici per afghani accolti dopo il rivolgimento politico di metà agosto. Inoltre, in tre mesi, la Casa del Sole è riuscito ad ospitare i nuclei familiari, riuscendo ad organizzare la scuola per le due ragazze di 7 e 13 anni e assicurando lezioni di italiano.

Racconti intensi e voglia di una “vita normale”

Il nonno, un uomo di 75 anni, ha accettato di raccontarci la sua storia scrivendo su un foglio di carta il suo nome e cognome, che non riportiamo per evidenti motivi di opportunità. Dei suoi cinque figli, quattro si trovano in Italia da alcuni anni, uno solo – quello che ha lavorato con l’Ambasciata italiana – lo ha seguito in questa operazione di evacuazione. Gli altri sono rimasti con la moglie e i loro bambini a Kabul. L’uomo che ci troviamo davanti è di statura bassa e cammina con qualche difficoltà. Dietro alle sue iniziali, G. A. H., c’è una storia di lavoro, dolore, speranza, c’è la “ricerca di una vita normale”. Ce ne parla nell’intervista realizzata con il sussidio di un interprete:

Ascolta l’intervista con il rifugiato politico afghano di cui riveliamo solo le iniziali G.A.H.

Ci racconta di un incidente stradale che dopo 42 anni gli ha impedito di continuare a lavorare per l’Ambasciata italiana, sottolineando che suo figlio e suo nipote hanno preso il suo posto nei dieci anni appena trascorsi. Oltre 50 anni in cui – afferma – ha sempre sognato di venire in Italia. Nelle sue parole c’è la gioia di essere “al sicuro in un Paese che rispetta i diritti della persona”, ma anche la tristezza di “sapere l’angoscia e la fame che assediano l’Afghanistan”. Esprime la sorpresa che lo ha colto al momento del ritorno al potere dei talebani, che – dice – non hanno il senso del valore della vita e – aggiunge – hanno trovato molti appoggi nel vicino Pakistan. Spiega di non aver immaginato un cambiamento così grave nel suo Paese. Chiarisce di essere musulmano e racconta che ci sono talebani che hanno studiato il Corano ma tanti che ne ignorano il messaggio vero e che non hanno problemi a tagliare la gola delle persone per nulla. L’Islam – sottolinea – è un’altra cosa. Ci racconta di aver avuto in passato amici cristiani ma di aver assistito piano piano alla sparizione della loro presenza tra la popolazione afghana. Dice che sa che il Papa è il capo della cristianità. Spiega che non sapeva invece che il Papa attuale si chiama Francesco ma aggiunge di essere venuto a sapere che ” si adopera molto per i migranti” e, dunque, le sue parole sono colme di ringraziamento”.

In questi tre mesi di permanenza al Centro di prima accoglienza gli uomini del gruppo hanno accettato di seguire il corso di italiano che è stato organizzato. Le donne adulte, lo impareranno da loro, come è stato deciso in famiglia. Oltre alle bimbe, che si erano felicemente inserite nella scuola di Fasano e che con un velo di tristezza hanno salutato insegnanti e compagni di classe al momento del traferimento dalla Casa del sole alla destinazione assegnata, nel gruppo familiare ci sono la consorte di G.A.H. che ha circa 70 anni ed è invalida, e poi c’è Fatema, 23 anni e un marito sposato in giovanissima età. Nel centro di accoglienza ha scelto di dormire con le sorelle. Dopo essersi consultata con il padre e il nonno accetta di parlare con noi, ma ci chiede di non farle foto e solo parlando si scioglie in un dolcissimo sorriso:

Ascolta l’intervista con Fatema in lingua originale e traduzione

Fatema sa che le foto girano velocemente sui telefonini e su internet anche se – ci spiega – lei non ha e non ha mai avuto un telefono cellulare. Con una luce negli occhi, aggiunge che spera di averlo prestissimo, sottolineando però che il primo sogno è imparare l’italiano e trovare un lavoro. Ammette di non sapere chi sia Papa Francesco, poi  afferma che sa di non sapere tante cose. Pensando al suo futuro, dice che “in ogni caso” vuole che i suoi figli vivano in Italia. Al momento – confida – non desidera diventare mamma ma è sicura – spiega – che questo desiderio verrà e che vorrà per i suoi figli un Paese che rispetta i diritti di tutte le persone. Lo dice raccontando di aver seguito la scuola in Afghanistan per 13 anni e di essere molto addolorata per il fatto che ora con il nuovo governo le bambine potranno frequentare al massimo fino a sette anni di età. Guarda la finestra e ci dice di essersi sentita felice quando, appena arrivata in Italia, ha realizzato di poter uscire di casa da sola. Le facciamo presente che al centro di accoglienza poteva muoversi nell’ambito della struttura e del giardino al massimo, ma Fatema confermando ribadisce: “Infatti, mi sono sentita finalmente tanto libera di uscire dalla stanza e di muovermi in giardino”. Della nuova casa che le è stata assegnata, prima ancora di vederla, sottolinea con gioia che le permetterà di cucinare autonomamente, ammettendo con semplicità di non riuscire a gustare cibo italiano “così diverso” da quello speziato del suo Paese.

Ingresso del Centro SAI Casa del Sole
Ingresso del Centro SAI Casa del Sole

L’avventura al femminile della Casa del Sole

A dirigere il Centro Casa del Sole dalla sua nascita nel 2016 è l’avvocato e imprenditore Stefania Baldassarre. È una struttura sorta sul terreno della Diocesi di Brindisi Ostuni, con una grotta mariana nel giardino. Negli anni – precisa Baldassarre – questo tipo di Centri hanno preso nomi e sigle diversi: da Siproimi a Sprar fino all’attuale sigla di Sai, acronimo di Sistema Accoglienza Integrazione. Giuridicamente è un centro di assistenza straordinaria. In realtà, alla Casa del Sole l’accoglienza non è fuori dell’ordinario nel senso di emergenziale, ma lo è per gli standard di integrazione, tanto da meritare a giugno 2019 un encomio da parte della Prefettura di Brindisi. L’allora viceprefetto, Maria Rita Coluccia, a seguito di ispezioni ordinarie per questo tipo di centri, aveva segnalato particolare cura nella gestione e un numero altissimo di persone ospitate in grado di trovare un lavoro una volta lasciato il Centro grazie alla formazione ricevuta alla Casa del Sole. Arrivando oggi nella struttura, si trova forte intesa operativa tra il Prefetto di Brindisi Carolina Bellantoni e l’equipe gestita da Baldassarre, formata da due assistenti sociali donne e da una mediatrice culturale. Occasionalmente presta servizio uno psicologo e vari interpreti. In sostanza, appare un esempio di cura al femminile.

 

Sul sito di ANSA Ambiente Il senso della sete

ANSA Ambiente

Nel 2030 47% popolazione mondiale in zone a stress idrico

Se ne parla nel libro “Il senso della sete” di Fausta Speranza Redazione ANSA ROMA 

Solo lo 0,5 per cento dell’acqua sulla Terra è utilizzabile come acqua dolce, e il cambiamento climatico riduce l’accumulo di acqua terrestre di un centimetro ogni anno.

Sono dati dell’Agenzia dell’Onu per la meteorologia che avverte: nel 2050 cinque miliardi di persone avranno problemi di accesso a risorse idriche. Significa che, secondo le stime del Water Grabbing Observatory, nel 2030 il 47 per cento della popolazione mondiale vivrà in zone a elevato stress idrico, che si traduce in elevatissimo stress sociale.

Se ne parla nel libro della giornalista Fausta Speranza “Il senso della sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità” (Infinito Editore 2021). Il testo offre una disamina dei disastri ambientali e delle prospettive di una tecnologia green, ma anche un excursus nel patrimonio umanistico, religioso e artistico che dalle più antiche e remote civiltà gravita intorno alla più emblematica delle risorse. Il libro contiene la lettera di Papa Francesco all’autrice (giornalista di Radiuo Vaticana), la prefazione di Vandana Shiva, le introduzioni e postfazioni di Pasquale Ferrara, Leonardo Becchetti, Francesco Profumo, Stefano Ceccanti.

In piena pandemia, negli Stati Uniti la più essenziale delle risorse è stata quotata in Borsa, e in Europa si è alzata l’allerta sulle microplastiche e su altri inquinanti negli Oceani, mentre aumentano piogge torrenziali e siccità, due facce dello stesso fenomeno del surriscaldamento climatico.

Bisogna ripensare il legame tra sistemi naturali e sistemi sociali, sostiene Speranza, che ricorda la sacralità dell’acqua in tutte le espressioni di spiritualità, religiosità, arte, filosofie che il mondo ha conosciuto in tutti i tempi e in tutte le latitudini.

https://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/acqua/2021/12/15/nel-2030-47-popolazione-mondiale-in-zone-a-stress-idrico_2de692bc-b175-4fac-88bc-2104bf709588.html

Presentazione a Milano con Francesco Profumo

Presentato a Milano, presso Caritas ambrosiana

Il senso della sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità

Ha moderato Francesco Chiavarini

Sono intervenuti:

Francesco Profumo, già presidente CNR e presidente della Fondazione Compagnia San Paolo

Martino Diez, docente Università Cattolica e direttore scientifico Fondazione Internazionale Oasis

Elena Grandi, assessore dei Verdi all’Ambiente al Comune di Milano 

 

Il video del dibattito sarà ricaricato al più presto:

 

 

 

su Avvenire: politiche per il clima e Il senso della sete

AVVENIRE  14 dicembre 2021

Per affrontare la crisi climatica serve una critica al consumismo

di Giampaolo Rossi, giurista 

Si sono ormai acquietati i commenti ai risultati della Cop26, con una diffusa rilevazione della loro inadeguatezza. La realtà è complessa, ma in genere si è addossata la responsabilità del semi-fallimento ai Paesi in via di sviluppo, alla Cina, all’India e – in parte – agli Stati Uniti, e si è continuato a vivere come prima, con un ritmo frenetico alla ricerca del reddito necessario per consumare sempre di più. Questo approccio è sbagliato per due ragioni, che vengono in genere trattate separatamente, mentre la connessione fra loro è evidente.

La prima ragione sta nell’ingiustizia e, comunque, nella impraticabilità dell’appello che i Paesi sviluppati rivolgono a quelli in crescita a risparmiare nel consumo dei fossili senza compensare in qualche modo l’eventuale minore consumo. La questione resta la stessa che fu al centro dello scontro fra “ricchi” e “poveri” nella prima Conferenza mondiale sull’ambiente e lo sviluppo organizzata dall’Onu a Rio de Janeiro nel 1992. I Paesi poveri sottolineavano il fatto che l’80% dell’inquinamento globale era prodotto dal 20% degli Stati più ricchi. E si dichiaravano disponibili a contenere le emissioni e la deforestazione, ma chiedevano di ricevere in compenso l’1% del Pil dei Paesi ricchi entro una data fissata. Il compromesso si raggiunse con una formula, proposta dai Paesi ricchi, che prevedeva che tale contributo venisse versato «al più presto ». Così non se ne fece nulla e anzi i contributi diminuirono, tanto da essere riproposti nelle successive Conferenze che li hanno quantizzati in (solo) 100 miliardi di dollari. Non essendo stato raggiunto neppure questo obiettivo, esso è stato ribadito di nuovo a Glasgow, fissando la data al 2025.

Sempre a Glasgow, stabilito in via preliminare l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura in 1,5 gradi, si è poi dovuto trattare sugli strumenti necessari per conseguirlo, diminuendoli rispetto a quelli ipotizzati. È quindi ben difficile che l’obiettivo venga raggiunto. Sarebbe tuttavia sbagliato sottovalutare l’importanza degli sforzi che in Scozia, e ancor prima con il G20 di Roma, sono stati fatti per stimolare un approccio multilaterale al problema. Il tema ambientale sfugge a una dimensione solo nazionale: gli effetti degli inquinamenti si determinano anche in località diverse da quelle in cui sono prodotti. La diversità nelle condizioni dei singoli Paesi rende però difficile convenire sugli obiettivi, sulle misure da adottare e sulla tempistica.

La seconda e più importante ragione sta in una profonda inadeguatezza della impostazione di base della Conferenza: si sono individuati gli strumenti per rimuovere le cause immediate dell’inquinamento senza risalire alla causa prima, che determina quelle più immediate. Quello del carbone non è un consumo finale, non soddisfa direttamente un bisogno. Salvo che per una piccola percentuale destinata al riscaldamento, il carbone viene utilizzato per produrre energia destinata alle attività produttive di beni di consumo. È quindi la domanda globale dei beni di consumo, in continua crescita, che determina la necessità di utilizzare combustibili, come il carbone, strumentali alla loro produzione. L’orientamento della Conferenza non è stato rivolto a rimuovere questa causa, ma solo a ricercare strumenti di produzione che determinino un tasso minore di inquinamento e di distruzione di elementi naturali, con una impostazione volta a limitare i danni anziché a eliminarli.

È la domanda globale dei beni di consumo, in continua crescita, che determina la necessità di utilizzare combustibili, come il carbone, strumentali alla loro produzione

Non c’è dubbio che i rimedi che si stanno apportando siano di particolare importanza: l’economia circolare contribuisce alla riduzione degli scarti, l’agricoltura biologica riduce il consumo del suolo, la produzione di ener- gia con fonti rinnovabili consente la riduzione dell’uso dei fossili, l’utilizzazione di auto elettriche o ibride evita o diminuisce l’uso dei fossili per alimentare la trazione. Tutte queste misure che vedono impegnati anche i governi in politiche di incentivazione, contribuiscono a determinare un minore consumo dell’ambiente e una riduzione del tasso di inquinamento. Una cresciuta sensibilità ambientale nei consumatori e gli importanti investimenti nelle nuove tecnologie fanno sì che l’ambiente non sia più un freno allo sviluppo ma sia diventato, al contrario, il settore che più degli altri ne costituisce un volano. a anche questa nuova e importante impostazione è rivolta, in sostanza, solo a ridurre gli effetti negativi dell’aumento progressivo dei consumi. La stessa idea di “sostenibilità” dello sviluppo, che è di moda e appare come la chiave per risolvere i problemi dell’ambiente, è in realtà quanto meno equivoca perché assume lo sviluppo come valore primario da realizzare con il minore consumo possibile dell’ambiente.

Una diversa, necessariamente più radicale, impostazione che risale alla causa prima del deterioramento dell’ambiente si trova solo nelle indicazioni di valori diversi e fra queste in particolare nell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. Vi si osserva che «dal momento che il mercato tende a creare un meccanismo consumistico compulsivo per piazzare i suoi prodotti, le persone finiscono con l’essere travolte dal vortice degli acquisti e dalle spese superflue. Il consumismo ossessivo è il riflesso del paradigma tecnoeconomico». In effetti tutta l’economia e il suo sviluppo sono fondati sulla domanda crescente di beni di consumo. Una regressione o anche solo una stasi nella crescita della domanda sono considerate negative e pericolose. In questo periodo in Italia, ad esempio, pur in presenza di un aumento del Pil superiore al 6%, ci si lamenta che i consumi siano ancora ridotti di 35-40 miliardi rispetto al periodo pre-Covid.

Sono poche le ricerche che studiano gli effetti sull’ambiente del consumismo «che abbaglia e paralizza», come ha detto ancora papa Francesco, nell’omelia del 21 novembre scorso, ma poi anche nel viaggio a Cipro e in varie altre occasioni, eppure il fenomeno è di comune osservazione. Ogni famiglia ha in casa una piccola farmacia poco utilizzata, gli elettrodomestici vanno cambiati frequentemente perché sono costruiti con modalità che ne determinano una rapida obsolescenza e i lavori artigianali che si dedicavano alle riparazioni vanno scomparendo, il commercio informatico dà ulteriore stimolo agli acquisti, ogni persona ha un numero di scarpe e di vestiti ben superiore a quello che utilizza, gli scarti alimentari sono valutati in Europa in oltre mezzo chilo a settimana a persona e 1,4 chili negli Usa, l’uso individuale dell’automobile viene considerato una sorta di diritto soggettivo a partire dai 18 anni, nelle abitazioni si lasciano accese molte luci non necessarie, il riscaldamento viene fatto funzionare in una misura che consente di stare poco coperti, anche le festività sono destinate agli acquisti, la festa della povertà (il Natale) viene celebrata con un picco di consumi, il consumo dell’acqua è crescente e viene valutato in Italia in 220 litri al giorno (125 nella Ue). Come si osserva in un recente saggio (Fausta Speranza, “Il senso della sete”, Ed Infinito 2021) la quantità di acqua disponibile non è infinita e il suo consumo aumenta a ritmi incontrollati: è raddoppiato dal 1960 a oggi ed entro il 2025 si prevede che aumenterà del 50%.

L’orientamento prevalente è rivolto solo a ricercare strumenti di produzione che determinino un tasso minore di inquinamento

 

Le conclusioni da trarre sono evidenti: se si mantiene nelle politiche ambientali un approccio volto solo alla riduzione dei danni e non si affronta il problema del consumismo, gli esiti sono scontati e consistono in un deterioramento progressivo delle condizioni di vita e nella distruzione della natura a opera dell’uomo. Non è necessario teorizzare la decrescita per auspicare una vita più sobria. Il valore in gioco non sta nella quantità dei consumi, ma nella qualità della vita. Non ci si può però limitare agli auspici: è necessaria anzitutto quella rivoluzione morale e culturale che è indicata nella Laudato si’, i partiti devono smettere di cercare il consenso immediato con il metodo del “chi offre di più”, i governi devono assumere il problema come prioritario e mettere in atto le misure idonee a risolverlo.

Se non ci si vuole accontentare di diminuire il deterioramento ambientale, si deve anzitutto adottare il criterio della “rigenerazione”, ben diverso dalla semplice “sostenibilità”. Occorre incominciare a distinguere le misure che perseguono solo un minore deterioramento, come la produzione e l’uso di auto elettriche, l’economia circolare, alcune forme alternative di produzione di energia… dalle misure che invece innestano un fattore positivo, di rigenerazione, come l’energia prodotta da fonti totalmente rinnovabili, la riforestazione, la pulizia del mare e dei corsi d’acqua, il risanamento del territorio, la rigenerazione urbana. Occorre, ancora, differenziare il costo delle bollette e delle tasse sui rifiuti in termini di progressività. Come si vede, si tratta di iniziare un percorso ancora non ben delineato, individuando le politiche che traducano le grandi intuizioni in misure capaci di concretizzarle.

Giurista, professore emerito nell’Università di Roma Tre

https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/per-affrontare-la-crisi-climatica-serve-una-critica-al-consumismo

Mediterraneo crocevia del mondo

Un’area centro culturale ed economico e non solo frontiera: in questi termini si parla di Mare Nostrum alla conferenza Med Dialogues promossa a Roma. Nel suo messaggio ai partecipanti, il Papa chiede “risposte nuove e condivise”. Per le migrazioni si deve ragionare in termini non emergenziali, ma cercando soluzioni sistemiche, sottolinea la docente di Politica del Mediterraneo, Stefania Panebianco, parlando dei corridoi umanitari

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Mediterraneo luogo di frontiera e di incontro: così ne parla il Papa  nel messaggio alla VII Conferenza MED Dialogues, promossa in questi giorni dal ministero degli Esteri italiano e dall’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (2-4 dicembre a Roma). Dalla crisi climatica a quella pandemica, tutto ci ricorda – dice Francesco – che Stati e Continenti “non possono andare avanti ignorandosi l’un l’altro”. In particolare in tema di Mediterraneo, le migrazioni sono tra le importanti sfide da affrontare.

Per capire quale siano l’approccio e le modalità migliori per ragionare a proposito dell’area mediterranea abbiamo intervistato Stefania Panebianco, docente di Politica del Mediterraneo all’Università di Catania:

La professoressa Panebianco ragiona dell’area mediterranea, di cui sottolinea l’importanza geopolitica centrale, parlando innanzitutto della urgente questione delle migrazioni. Parla della soluzione politica dei corridoi umanitari spiegando che si tratta di una soluzione sistemica per un problema sistemico. Non si può più considerare la questione migratoria dal punto di vista emergenziale. Servono – sottolinea – soluzioni sistemiche a problematiche di tipo sistemico.

Risposte nuove 

Panebianco sottolinea l’importanza dell’invito del Papa – come si legge nel messaggio per la Conferenza Med Dialogues – a “ripensare l’approccio tradizionale all’area del Mediterraneo e cercare risposte nuove e condivise alle importanti sfide che essa pone”. Per poi ricordare che già anni fa l’Unione europea aveva tentato di lanciare, con la Conferenza EuroMed di Barcellona nel 1995, quello che resta valido come approccio migliore: quello del dialogo. Ma la studiosa specifica che il dialogo deve avere diverse caratteristiche: innanzitutto quella di più livelli, cioè si deve articolare in parallelo su diversi piani, da quello delle rappresentanze istituzionali a quello delle realtà della società civile. Ricorda che in passato è stata proprio questa l’idea lanciata, ma spiega che si trattava di molti meno Paesi coinvolti.

Oggi – mette in luce la professoressa Panebianco – si parla  di Mediterraneo allargato, cioè di una concezione che considera coinvolti sempre più Paesi intorno al cosiddetto Mare Nostrum. Sottolinea che anche alla Conferenza in corso a Roma se ne parla  in questi termini e ribadisce che serve ad allargare anche le necessarie potenzialità di condivisione. Non solo: Panebianco suggerisce di considerare “allargata” anche la stessa idea di sicurezza: c’è quella umana, legata alla questione delle migrazioni, ma c’è anche la sicurezza alimentare, climatica, ambientale etc. Tutto è interconnesso, avverte. E questa interconnessione – spiega – richiama anche al concetto di multilateralismo. Ribadisce che si tratta di concetti in realtà non precisamente nuovi, ma da rilanciare.

Nei lavori di Med Dialogues

Il presidente del Consiglio dei ministri italiano Mario Draghi, intervenendo oggi alla Conferenza Med Dialogues, ha sottolineato tra l’altro che “deve esserci una visione condivisa per il Mediterraneo. Non come confine meridionale dell’Europa, ma come centro culturale ed economico”. Draghi ha aggiunto che l’Italia sostiene con convinzione la nuova Agenda per il Mediterraneo dell’Unione Europea. I considerevoli impegni finanziari nella regione devono stimolare una ripresa equa e sostenibile. Le transizioni in corso – prime fra tutte quella digitale e quella ambientale – creano lo spazio per un percorso di stabilità e prosperità. Alla base di questi obiettivi – ha ribadito – deve esserci una visione condivisa per il Mediterraneo.

Il Mediterraneo centro culturale ed economico

Draghi ha chiarito l’approccio di fondo da non dimenticare: “Il Mediterraneo non è soltanto un mare o, come si diceva un tempo, un’espressione geografica. Oggi, come in passato, è un insieme di legami, sociali, economici, culturali. Grazie a mercanti e marinai, artisti e viaggiatori che, soprattutto nelle città portuali, hanno portato nuove conoscenze e preservato antiche usanze”, ha aggiunto. Si tratta – ha sottolineato – di idee e identità sopravvissute anche alle guerre e alle divisioni politiche.

Crocevia del mondo

Nelle parole del capo del governo italiano c’è anche un esempio concreto: “Pensate a quanto accaduto lo scorso marzo, quando la nave portacontainer Ever Given ha ostruito il Canale di Suez”, ha detto aggiungendo: “In sei giorni, il blocco ha fatto quasi raddoppiare le tariffe globali di spedizione per i prodotti petroliferi. La chiusura di un accesso da e per il Mediterraneo ha avuto conseguenze ovunque”.

Dal suo canto, il  ministro degli Esteri Luigi Di Maio, nell’intervento di apertura dei Rome Med Dialogues 2021, ha sottolineato come l’Italia, promotrice dell’iniziativa che ospita i rappresentanti di 120 Paesi e 50 ministri, abbia “l’ambizione di incoraggiare la transizione da uno schema di sicurezza regionale ‘a somma zero’ a un nuovo paradigma, un nuovo sistema fondato su dialogo, disponibilità al compromesso e fiducia reciproca”. Si tratta – ha spiegato – di “favorire la definizione di ordini di sicurezza regionali, inclusivi e multilaterali, ad esempio nel Golfo e nel Mediterraneo Orientale”.