Sulla piattaforma Alipress, nella rubrica A cuore aperto. Per parlare di disagio giovanile con il “prete di strada” don Giovanni Carpentieri e Maria Francesca Tiraterra autrice di Mio fratello ha sempre freddo (Libri per tutte le tasche, 2020)
“IL SENSO DELLA SETE”: IL LIBRO DI FAUSTA SPERANZA PRESENTATO IERI ALLA CAMERA
ROMA\ aise\ – Multilateralismo e governance di beni essenziali come le risorse idriche: ne hanno parlato ieri nella Sala stampa di Montecitorio il deputato Pd Stefano Ceccanti, capogruppo in Commissione Affari Costituzionali, l’Ambasciatore inviato speciale per la Libia, Pasquale Ferrara e Padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze storiche in occasione della presentazione del volume “Il senso della sete” (Infinito Edizioni) della giornalista Fausta Speranza, che contiene anche una lettera all’autrice di Papa Francesco. I cambiamenti climatici producono il paradosso di crescenti aree di siccità mentre si moltiplicano anche le inaspettate e pesanti alluvioni. Si pone il problema di come evitare l’utilizzo sregolato di beni comuni come l’acqua. “Questo volume ci ricorda anzitutto che il livello di regolazione deve essere superiore allo Stato nazionale, vale la logica del principio di sussidiarietà verso l’alto: senza accordi internazionali che diano standard comuni non c’è una reale efficacia”, ha affermato Ceccanti prima di ribadire che “il multilateralismo è una risorsa decisiva e che i venti cambiati dagli Stati Uniti aiutano molto”.
Il secondo punto toccato dal deputato costituzionalista ha riguardato la “regolazione più puntuale che ne consegue ai livelli inferiori, da quello dell’Unione europea fino agli enti locali, deve essere rigorosa per evitare sprechi e favorire un’equa distribuzione, qualsiasi sia il gestore concreto. Si tratta – ha osservato – di combinare il rigore sulla regolazione col pragmatismo sulla scelta dei gestori. I due livelli vanno adeguatamente distinti per dar vita a una governance efficace”. L’Ambasciatore Ferrara ha fatto un excursus sulle aree critiche nel mondo in tema di risorse idriche – citando in particolare il lago Ciad, che negli ultimi 50 anni si è ridotto del 90% – per soffermarsi poi sulle gravi diseguaglianze che pesano negli equilibri generali. Ferrara ha spiegato che l’acqua è sicuramente un fronte delle relazioni internazionali nel XXI secolo, sottolineando però che non si deve ragionare solo in chiave di possibili conflitti: può anche essere occasione di distensione e condivisione di intenti, come ad esempio il progetto del “canale della pace” tra il mar Rosso e il mar Morto”. Secondo il diplomatico “l’impostazione multi-dimensionale di questo volume di Fausta Speranza riflette bene l’interconnessione, i rimandi, le diramazioni di questa tematica, tra politica ed ecologia, tra etica ed estetica, tra storia e profezia, tra archetipi e testimonianze e rappresenta un contributo di riflessione che aiuta a dipanare l’intreccio di vicende e di approcci da sempre connessi alla tematizzazione simbolica e pragmatica dell’acqua”.
Sulla relazione profonda tra uomini di ogni latitudine e del genere umano con la natura si è soffermato padre Ardura, ricordando come l’Enciclica di Papa Francesco dedicato all’ambiente, Laudato Sì, debba essere letta insieme con quella dedicata alla fratellanza umana, per capire che tutto rientra nell’attenzione della Chiesa al bene comune. La scommessa alla quale il Papa sollecita – ha ricordato padre Ardura – è un futuro più sostenibile e inclusivo: alla base di tutto c’è il valore proprio di ogni creatura che implica il senso umano dell’ecologia. Basti pensare – ha detto – alla “differenza abissale di disponibilità di acqua nel mondo: c’è una fetta larghissima della popolazione per la quale la raccomandazione di lavarsi le mani spesso contro il coronavirus impatta sulla mancanza di servizi igienici”. La prospettiva, dunque “è quella olistica, globale, ampia, di un creato inteso come ‘casa comune’, ambiente di vita e non semplice ‘oggetto’ da utilizzare. E le domande di fondo sono quelle sul senso della vita e del nostro abitare la Terra”. Fausta Speranza, dal canto suo, ha ricordato come “in un’epoca segnata dalla pandemia, dai disastri ambientali legati ai cambiamenti climatici, dal fenomeno del Earth Overshoot Day, l’acqua è emblema dell’equilibrio naturale del pianeta che gli esseri umani non possono distruggere senza annientare se stessi”. Ha spiegato poi che cercando un approccio costruttivo e propositivo ha dedicato una seconda parte del libro alle nuove tecnologie in grado di difendere l’ambiente. Mentre la terza parte del volume è dedicata all’analisi della dimensione spirituale, culturale e artistica con cui l’uomo ha guardato all’elemento naturale fonte di vita per eccellenza perché “il grido degli scienziati aspetta di essere rilanciato da un potente sussulto di consapevolezza etica”. (aise)
La creatività di 60 giovani artisti di 24 città del mondo vince i lockdown: hanno organizzato il Nextus Festival, iniziativa on line che li vede suonare insieme nei fine settimana fino al 9 maggio in concerti che sono qualcosa di più di semplici dirette streaming. Un motivo di rinnovata fiducia in tempi difficili, come spiega il soprano Danae Eleni
Fausta Speranza – Città del Vaticano
60 artisti, 28 nazionalità, 24 città di diversi continenti: sono i numeri del Nextus Festival, che, dal 17 aprile al 9 maggio 2021, offre in ogni weekend musica on line. Un’iniziativa diversa da tante altre perché non si tratta di concerti registrati riproposti in streaming ma di un evento realizzato insieme.
La musica scommessa di speranza
In contatto da San Francisco a Istanbul, da Varsavia a Trieste, giovani musicisti durante il blocco causato dalla pandemia hanno deciso di creare qualcosa di unico: una sinergia internazionale che supera le differenze di lingua e cultura per offrire qualcosa dell’universalità della musica. Il prezzo dei biglietti varia a seconda del numero di eventi che si vuole seguire. E’ un prezzo basso e simbolico che può aiutare giovani musicisti in un momento difficilissimo in cui sono state chiuse le sale di concerti così come i teatri. Abbiamo intervistato una delle concertiste il soprano Danae Eleni, che vive a Varsavia e parla diverse lingue tra cui l’italiano:
Innanzitutto Danae sottolinea il significato del nome scelto: Nextus Festival significa in italiano Il Festival vicino a noi. Danae, che è di nazionalità inglese, di origine greca, nata in Bahrein e che attualmente vive in Polonia, sottolinea il valore del carattere internazionale dell’iniziativa, spiegando che a parte alcune differenze tutti i giovani musicisti del mondo si sono ritrovati ad attraversare le stesse difficoltà per le chusure imposte dalla lotta al coronavirus. Il soprano afferma subito con semplicità che questa esperienza le ha dato speranza. In un tempo di difficoltà lavorative per tutto il comparto artistico – sottolinea – riuscire a realizzare questa proposta attraverso la bellezza della musica assicura un piccolo introito agli artisti ma soprattutto dà l’opportunità di non stare fermi davvero. E in particolare – spiega – emerge tutto il valore universale della musica: non c’è problema di comprensione ma solo tanta bellezza che contagia portando speranza.
Un progetto da far sopravvivere oltre la pandemia
Danae spiega lo spessore assolutamente internazionale dell’iniziativa sottolineando come rappresenti anche una porta aperta, una eccezionale occasione di contatto, di scoperta di giovani colleghi in varie parti del mondo. E in questo senso spiega che la speranza è anche quella di vedere frutti di questi incontri anche dopo che l’emergenza pandemia sarà passata. Un frutto di bene tra tanto dolore e difficoltà per tutti. Nell’impossibilità di citare tutti gli artisti, ricorda alcuni di loro che sono anche impegnati personalmente a curare l’ufficio stampa e l’organizzazione del Festival: Olga Rodon dalla Spagna, Benjamin Hewat-Craw dalla Germania, Susanne Hehenberger dall’Austria, Myroslava Khomik dagli Stati Uniti. Gli stessi artisti infatti hanno ideato e curano tutto lo svolgimento degli eventi.
Ambiente, il disastro hymalaiano del 7 febbraio scorso e la riflessione di Vandana Shiva sull’avidità e il clima che cambia
I soccorsi dopo il crollo del ghiacciaio in India
“Il senso della sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità”, il libro sdi Fausta Speranza (Infinito Edizioni). La 51° Giornata Mondiale della Terra del 22 aprile
ROMA – Il 7 febbraio scorso l’India ha subìto un disastro assai simile a quello del Vayont: un ghiacciaio nello Stato dell’Uttarakhand ha ceduto e la massa d’acqua ha travolto ogni cosa. A differenza del cataclismo che ci fu la sera del 9 ottobre 1963 nel bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont, che provocò la morte di 2.018 persone, il bilancio delle vittime in India è stato per fortuna assai meno tragico: 9 morti e almeno 150 dispersi. Il crollo è stato provocato molto probabilmente dal riscaldamento globale, ed ha causato un’alluvione che ha danneggiato una diga. Dodici persone intrappolate in un tunnel coperto di fango sono state salvate dai soccorritori, che hanno scavato nella melma.
L’avidità per l’ultima goccia di petrolio e l’ultimo chilowatt di energia. “I disastri himalayani, compresa la tragedia del 7 febbraio 2021 – scrive Vandana Shiva nella prefazione al volume di Fausta Speranza dal titolo Il senso della sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità (Infinito Edizioni) – sono una conseguenza dell’ignoranza e dell’avidità, l’avidità di estrarre l’ultima goccia di petrolio e gas dal sottosuolo, l’ultimo chilowatt di energia dall’ultimo fiume, compresa la nostra sacra madre Gange e i suoi affluenti, l’ultimo soldo, l’ultima rupia della natura e dei lavoratori”. La riflessione di Vandana Shiva, che viene riportata a ridosso della 51° Giornata Mondiale della Terra (il 22 aprile) si addice perfettamente al libro Il senso della sete, dove si evidenzia come il legame tra l’acqua e il diritto alla salute sia una tra le questioni sociali e geopolitiche più urgenti inerenti alla più essenziale delle risorse.
La lettera di Papa Francesco all’autrice, Fausta Speranza in un’epoca segnata dai disastri ambientali legati ai cambiamenti climatici e dal consumo umano eccessivo delle risorse del Pianeta, l’acqua è l’emblema di quell’equilibrio naturale che evidentemente gli esseri umani non possono continuare ad alterare senza annientare se stessi. “Coltivare e custodire il Creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia (cfr Gen 2.15), ma a ciascuno di noi, per far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un luogo abitabile per tutti”, scrive Papa Francesco in un’originale lettera a Fausta Speranza, contenuta integralmente all’interno del suo libro.
L’Autrice. Fausta Speranza è giornalista inviata dei media vaticani, al Radiogiornale internazionale di Radio Vaticana dal 1992 e nella redazione esteri de L’Osservatore Romano dal 2016 (prima donna a occuparsi di politica internazionale nel quotidiano della Santa Sede). Collabora o ha collaborato con Famiglia cristiana, Limes, RadioRai, il Corriere della Sera e Il Riformista. Vincitrice di molti premi (nelle sezioni Radio, Tv e Libri), è coautrice di diversi volumi.
All’indomani della disastrosa seconda guerra mondiale, leader illuminati del vecchio continente firmavano il trattato che vincolava tra loro sei Paesi in tema di produzione di materie prime essenziali all’industria bellica: per escludere altre guerre nasceva la Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Non è stato solo un accordo economico ma l’atto fondativo di una struttura istituzionale, come sottolinea l’economista Paolo Guerrieri
Fausta Speranza – Città del Vaticano
Il 18 aprile 1951 si firmava il Trattato di Parigi che istituiva la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca) su iniziativa dei politici francesi Jean Monnet e Robert Schuman, del cancelliere tedesco Konrad Adenauer e del primo ministro italiano Alcide De Gasperi. Lo scopo dichiarato era di mettere in comune le produzioni di due materie prime importanti in un’Europa di sei Paesi: Belgio, Francia, Germania ovest, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. Dopo la storica Dichiarazione di intenti unitari di Robert Schuman nel 1950, la nascita della Ceca veniva avviata come il passo iniziale di un processo federale europeo. Si è trattato di un passo decisivo e coraggioso come spiega l’economista, docente in diversi atenei internazionali, Paolo Guerrieri:
Si apriva l’orizzonte di integrazione europea
Guerrieri ricorda che la proposta della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, ideata da Jean Monnet e annunciata da Robert Schuman, allora ministro degli Esteri francese, fu rapidamente accettata da tutti i Paesi che ratificarono il Trattato in meno di un anno. Entrò in vigore il 23 luglio 1952. Di fatto, la Ceca è stata l’istituzione che ha precorso la strada del Trattato di Roma del 1957, con il quale è stata costituita la Comunità economica europea, divenuta Unione europea nel 1992. Ma soprattutto Guerrieri sottolinea che, proprio in occasione della firma della Ceca nel 1951, tra gli Stati membri, vennero sottoscritti anche una serie di protocolli collaterali sui privilegi e le immunità della Comunità che si stava creando, sullo statuto della Corte di Giustizia e del Consiglio d’Europa. Si è trattato -afferma Guerrieri – di dar vita in nuce a forme istituzionali fondamentali per quella che sarebbe divenuta l’attuale Unione europea.
Una scelta economica come strategia politica
La scelta del settore carbo-siderurgico – afferma Guerrieri – era giustificata da molti fattori: innanzitutto la posizione dei principali giacimenti delle risorse, situati in una zona di confine piuttosto ampia tra Francia e Germania, (bacino della Ruhr, Alsazia e Lorena) zona tra l’altro oggetto di numerosi e sanguinosi conflitti in passato e di lunga contesa. Inoltre l’oggetto dell’accordo era una risorsa fondamentale per la produzione di armamenti e materiale bellico, che impediva un riarmo segreto quindi a entrambe le nazioni coinvolte. Dietro l’aspetto puramente economico, dunque, – ribadisce l’economista – si nascondeva la volontà di riunire i vecchi nemici ancora sconvolti dagli orrori della seconda guerra mondiale, controllando la produzione del carbone e dell’acciaio che erano le materie prime dell’industria bellica. In sostanza, avveniva quello che fino ad allora sarebbe stato impensabile: il rinvio della politica specifica di ciascuno stato alla comunità nascente, con una parziale abdicazione della propria sovranità in quel limitato settore. E Guerrieri mette in luce proprio questo fattore estremamente signficativo: da tale specificità nasce la struttura della comunità come organismo sovranazionale.
Le adesioni e i vincoli
Il trattato instaurò un mercato comune del carbone e dell’acciaio – spiega Guerrieri – abolendo le barriere doganali e le restrizioni quantitative che frenavano la libera circolazione di queste merci; soppresse nello stesso modo furono tutte le misure discriminatorie, aiuti o sovvenzioni che erano accordati dai vari Stati alla propria produzione nazionale. Il principio di libera concorrenza permetteva il mantenimento dei prezzi più bassi possibili, pur garantendo agli Stati il controllo sugli approvvigionamenti. Il mercato venne aperto il 18 febbraio 1953 per il carbone ed il 1º maggio dello stesso anno per l’acciaio. Oltre a Francia e Germania, erano interessati pure gli Stati del Benelux, anch’essi produttori di carbone ed acciaio, oltre che Stati confinanti delle due nazioni principali e ovviamente interessati dalla risoluzione di conflitti franco-tedeschi. Secondo Gurrieri, è innegabile che in quella fase storica è stata la Germania che era uscita sconfitta dalla guerra e che aveva puntato moltissimo sull’industria siderurgica a fare il salto più coraggioso, anche se in realtà si trattava di una grande novità per tutti.
Il no del Regno Unito
Al momento dei colloqui preparatori e poi ancora un anno dopo, al momento dell’entrata in vigore, Londra oppose il proprio rifiuto di partecipare. Guerrieri si sofferma su quella scelta ricordando che poi nel 1973, dopo anni che definisce di “anticamera”, il Regno Unito entrò a far parte dell’avventura di integrazione europea, anche se mantenne sempre uno status sui generis. Poi già negli anni Ottanta – puntualizza Guerrieri – all’epoca del governo di Margareth Thatcher è cominciato un processo di revisione critica della decisione, che nel 2016 è sfociato nel referendum sulla Brexit.
L’obiettivo dell’Italia
L’economista Guerrieri prendendo in considerazione in particolare l’Italia, ricorda come il Paese non fosse particolarmente interessato alla produzione di due materie prime in cui non si distingueva affatto, e inoltre il Paese era assai distante dalla zona interessata dall’Accordo, confinando soltanto con uno degli Stati membri, la Francia, ma in una regione completamente differente. Ma – chiarisce Guerrieri – Alcide De Gasperi, riteneva la futura Ceca un ottimo sbocco per rinvigorire la disastrata economia italiana e reinserire il Paese nelle situazioni politiche ed economiche internazionali, distaccandosi totalmente da altri Stati, fra tutti il Regno Unito, che rifiutavano in toto il progetto non ritenendolo conforme agli interessi e alle aspettative nazionali. Ciò – prosegue – diversificò la struttura della nuova comunità e di quelle che nasceranno di lì a poco nel 1957 (Euratom e Cee): non precisamente comunità internazionali, ma comunità dotate di poteri propri e propria assemblea munita di poteri consultivi e di controllo politico, pur se nel settore particolare di ciascuna.
Celebrazioni all’insegna dell’impegno per il futuro
Oggi i ministri degli Esteri e i sottosegretari per gli Affari Europei dei sei Paesi fondatori dell’Ue hanno celebrato i 70 anni del Trattato Ceca, indicando anche le priorità sugli sforzi comuni per contrastare i cambiamenti climatici e mettere la transizione ecologica al centro dell’economia europea. Nella dichiarazione finale i sei Paesi hanno chiesto un green deal europeo ambizioso per il clima, equo e inclusivo per tutti gli Stati membri e che metta l’Europa al centro della diplomazia internazionale per il clima e l’energia pulita.
In questi giorni l’avvio della Conferenza sul futuro dell’Europa
Lunedì alle 13.00, in conferenza stampa da Bruxelles, i copresidenti del comitato esecutivo presenteranno la nuova piattaforma digitale della Conferenza sul futuro dell’Europa, avviata dalle istituzioni Ue il 10 marzo 2021 per progettare un’Europa all’altezza dei tempi. La piattaforma digitale è in sostanza uno spazio multilingue online per raccogliere i contributi dei cittadini che la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha assicurato che “saranno ascoltati per poi agire”.
Aumenta il numero di profughi nella Repubblica dell’Africa meridionale protagonista del famoso accordo di pace nel 1992. A destabilizzare è la violenza – quotidiana a parte gli episodi più gravi come l’attentato del 24 marzo – provocata da gruppi armati nel nord del Paese. Jihadismo e interessi per nuovi giacimenti di gas si intrecciano, come spiega Luca Mainoldi, dell’agenzia Fides
Fausta Speranza – Città del Vaticano
Migliaia di civili cercano rifugio a Nangade, Mueda, Montepuez, località a nord del Mozambico. L’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), impegnata a cercare di prestare assistenza, conferma che si tratta per la maggior parte di donne e bambini. Certamente l’ultima ondata di queste settimane risente dell’attacco nella città costiera di Palma che, il 24 marzo scorso, ha provocato almeno 12 vittime, tutte decapitate. Ha costretto alla fuga almeno 11.000 persone, con altre migliaia che sono rimaste intrappolate all’interno dell’area, secondo quanto dichiarato dal portavoce dell’Unhcr Babar Baloch. Da Palma si è cominciato a fuggire, ma di fronte al dilagare delle violenze è diventata anche una cittadina di accoglienza come altre della costa. Palma conta almeno 100.000 abitanti, di cui la metà sono profughi. Negli ultimi tre anni di terrore si sono registrati 700.000 sfollati e 2.500 morti. Nel 2019 il viaggio apostolico di Papa Francesco in Mozambico.
Protagonisti di violenze
Nell’ultimo rapporto di Amnesty International, il Mozambico compare accanto all’Etiopia, dove si combatte nella regione del Tigray, e la Nigeria dove da anni si registrano le efferate violenze del gruppo terroristico Boko Haram. A rivendicare gli attacchi e gli attentati in Mozambico sono gruppi che si rifanno agli Al Shabaab, tristemente noti in Somalia, ma anche al sedicente Stato islamico. Della matrice terroristica che opera nel nord del Mozambico e degli interessi economici legati alla scoperta di giacimenti di gas naturale e di traffici di stupefacenti ci parla Luca Mainoldi, giornalista dell’agenzia Fides:
Luca Mainoldi ricorda innanzitutto la condizione generale di povertà e malcontento, spiegando che dal 1975 è al governo lo stesso partito e che la popolazione denuncia stagnazione e corruzione. Il giornalista esperto di Africa sottolinea che al nord, in prevalenza musulmano, le condizioni sono di maggiore indigenza. In questo contesto hanno preso sempre più piede, da tre anni e in particolare negli ultimi dodici mesi, miliziani che rivendicano un’appartenenza al gruppo degli Al Shabaab e collegati con la rete del sedicente Stato islamico. Mainoldi spiega che può trattarsi anche di propaganda ma che in ogni caso l’ultimo attentato il 24 marzo a Palma ha dimostrato una sorta di salto di qualità nell’organizzazione.
Interessi e traffici oltre i confini
Il giornalista poi apre due orizzonti di comprensione delle forti tensioni: il primo è quello dei nuovi giacimenti di gas naturale e di petrolio che – spiega – sono stati ritrovati in mare al largo delle coste del nord; il secondo è quello dei traffici di stupefacenti che – afferma – vengono denunciati sia al sud che al nord. Spiega che al sud si tratta soprattutto di carichi di cocaina che dal Brasile transitano in Mozambico per dirigersi in Europa, mentre al nord si tratta per lo più di eroina che dal sudovest asiatico arriva sul territorio mozambicano per dirigersi sempre al Vecchio Continente. Si tratta di contesti in cui sembrano prendere sempre più potere gruppi criminali, al di là della matrice dichiarata.
La necessità di ulteriori finanziamenti ai progetti Unhcr
L’Unhcr denuncia anche che ad oltre 1.000 persone che, in fuga dal Mozambico, cercavano di entrare in Tanzanianon è stato permesso di attraversare il confine. L’Unhcr ha chiesto ai Paesi vicini al Mozambico di garantire accesso a coloro che fuggono dalla violenza e sta mettendo in atto misure per far fronte a nuovi arrivi. In questo contesto, “sono assolutamente necessarie più risorse poiché la mancanza di fondi sta ostacolando la nostra risposta umanitaria”, ha detto il portavoce. Poco meno del 40% dell’appello delle Nazioni Unite di 19,2 milioni di dollari per la crisi è finanziato.