Senza diritti: l’impegno della chiesa per i migranti “invisibili” in Europa

Dall’Europa orientale all’Europa occidentale per lavorare: se ne è parlato ad una conferenza nell’ambito del progetto CRISIS 2020/21 voluto per promuovere una nuova solidarietà sociale nei confronti di tutti i lavoratori che fanno parte della vita economica quotidiana del vecchio continente, ma che non hanno alcuna tutela giuridica. Servono strategie precise per difendere la dignità umana, sottolinea padre Fabio Baggio

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Dall’Europa orientale all’Europa occidentale ma anche tra Stati terzi rispetto l’Unione e Stati dell’Ue: i lavoratori migranti fanno parte della vita economica quotidiana dell’Europa. Braccianti agricoli ucraini si trovano in Spagna, lavoratori rumeni sono impiegati in fabbriche di carne in Germania, infermiere geriatriche slovacche, ceche e ungheresi assistono famiglie austriache. Sono solo alcuni esempi di persone che risultano “invisibili”, che significa concretamente che molti di loro sono sfruttati sia socialmente che economicamente. Diritti come orari o pause di lavoro sono ignorati. Ma durante questo periodo di crisi per la pandemia in qualche modo questi lavoratori migranti invisibili sono diventati “visibili”. In ogni caso, al di là dell’allerta sanitaria, va difesa la dignità della persona umana con condizioni rispettose per i lavoratori migranti.

L’impegno della Chiesa

Nel webinar che si è tenuto questa mattina, nell’ambito del progetto CRISIS 2020/21, si è discusso delle possibili modalità di intervento dal momento che risulta essenziale promuovere proposte concrete per migliorare la situazione nel senso di una nuova solidarietà sociale in Europa. Tra i partecipanti, dirigenti della Chiesa; comunità e istituzioni; persone con ruoli di responsabilità all’interno delle istituzioni europee; sindacati e datori di lavoro. Abbiamo intervistato padre Fabio Baggio, sottosegretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale:

Padre Baggio spiega che innanzitutto si devono valutare e passare al vaglio critico le condizioni legali o illegali esistenti. In sostanza – sottolinea padre Baggio – bisogna far emergere dal sommerso dell’invisibilità le situazioni. Poi, raccomanda, è essenziale sensibilizzare l’opinione pubblica sul destino dei lavoratori migranti. Dunque, l’impegno della Chiesa è quello – chiarisce – di un primo intervento dal basso: assistenza a queste persone, senza discriminazioni sul credo religioso professato. Poi padre Baggio individua un secondo livello: quello delle politiche locali e nazionali e per questo afferma che le chiese locali possono far sentire la loro voce che è la voce di chi conosce le questioni da vicino. Padre Baggio sottolinea, inoltre, l’importanza di un terzo livello di azione che definisce di “governance globale del lavoro”. Si tratta del piano della comunità internazionale che presenta maggiori difficoltà ma che resta essenziale. E per ottenere risultati concreti su questo piano spiega che è essenziale che si tenga alta l’attenzione su quanto accade in termini di diritti non rispettati e che cambi la narrativa corrente. Ricorda infatti che troppo spesso si mette l’accento sugli aspetti negativi delle migrazioni e si trascurano gli aspetti positivi che invece – sottolinea – emergono da tanti studi scientifici, economici, che mettono in luce, anche se non se ne parla quasi mai, il contributo preciso all’economia dei Paesi ospitanti.

Una precisa metodologia di ricerca

Gli esperti che sono stati coinvolti nel seminario di oggi, e più in generale nello studio di questi fenomeni, hanno spiegato che l’esame della situazione dei lavoratori migranti “invisibili” in Europa non viene fatta nel senso di un’indagine quantitativa. Piuttosto, vengono presentati come esemplari alcuni casi individuali accessibili al pubblico, via Internet, notiziari, racconti che fanno “letteratura”.

Dunque, l’impegno a lungo termine promosso da istituzioni e persone ecclesiastiche viene presentato con un’intenzione paradigmatica.

In quella che gli esperti hanno definito la terza fase, i testi della Dottrina sociale della Chiesa vengono presi in considerazione ed esaminati per rilevanza rispetto al problema dei lavoratori migranti “invisibili”. Questo tipo di impegno viene assunto nella convinzione dichiarata di voler promuovere una pratica di solidarietà tra Europa orientale e occidentale che sia nuova perché impostata in una prospettiva teologica-sistematica. Si individua poi una quarta fase dell’indagine nel momento in cui la ricerca andrà a tracciare soluzioni socio-eticamente valide per una convivenza europea tra Oriente e Occidente che non sfrutti i lavoratori migranti.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-05/migranti-lavoratori-europa-governance-globale-chiesa.html

Presentazione del libro a Largo Venue

Acqua e salute globale:dibattito il 19/5 a Roma su “Il senso della sete”,  in vista del G20 Global Health

Sempre più urgenti le sfide al centro del Vertice mondiale sulla salute a Roma il 21 maggio, su iniziativa dell’Italia, presidente di turno del G20 e della Commissione europea. Ne discutono

Giampiero Gramaglia e Paolo Guerrieri

all’incontro di presentazione del libro

Il senso della sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità

di Fausta Speranza

modera Marco Massoni

19 maggio Largo Venue

(all’aperto, presente l’autrice)

Via Biordo Michelotti 2, Roma

Il legame profondo tra l’acqua e il diritto alla salute è una tra le questioni sociali e geopolitiche più urgenti inerenti alla più essenziale delle risorse.In piena pandemia, negli Stati Uniti l’acqua è stata quotata in Borsa e in Europa si è alzatal’allerta sulle microplastiche e altri inquinanti negli Oceani, mentre oltre una persona su tre – circa 2,2 miliardi– non ha accesso a fonti d’acqua sicure.

L’acqua è l’emblema di quell’equilibrio naturale che gli esseri umani non possono continuare ad alterare senza annientare se stessi.

Il libro:
Titolo: Il senso della sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità
Autrice: Fausta Speranza
(Infinito Edizioni € 17,00 – pag. 256)
L’Autrice
Fausta Speranza
è giornalista inviata dei media vaticani:dal 1992 al Radiogiornale internazionale di Radio Vaticana e dal 2016 prima donna a occuparsi di politica internazionale a L’Osservatore Romano. Collabora o ha collaborato con Famiglia cristiana, Limes,RadioRai (rubrica Inviato speciale),ilCorriere dellaSera (in prima pagina),Il Riformista. Vincitrice di numerosi premi (sezioni Radio, Tv e Libri), ha pubblicato con Infinito edizioni Messico in bilico (2018), con cui ha vinto il Premio Giustolisi al Giornalismo d’inchiesta 2018, e Fortezza Libano (2020).E’ coautrice di diversi volumi, tra cuiAl mio paese. Sette vizi. Una sola Italia (2012), Europa, il futuro di una tradizione (2019) e testi dedicati ai temi della comunicazione.

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Infinito edizioni: 059/573079 – 331/2182322

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dal “Faro di Roma” quotidiano di informazione

“Il senso della sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità”, nel nuovo libro di Fausta Speranza

Il legame profondo tra l’acqua e il diritto alla salute è una tra le questioni sociali e geopolitiche più urgenti inerenti alla più essenziale delle risorse. In piena pandemia, negli Stati Uniti l’acqua è stata quotata in Borsa e in Europa si è alzata l’allerta sulle microplastiche e altri inquinanti negli Oceani, mentre oltre una persona su tre – circa 2,2 miliardi – non ha accesso a fonti d’acqua sicure.
L’acqua è l’emblema di quell’equilibrio naturale che gli esseri umani non possono continuare ad alterare senza annientare se stessi.

Fausta Speranza è giornalista inviata dei media vaticani: dal 1992 al Radiogiornale internazionale di Radio Vaticana e dal 2016 prima donna a occuparsi di politica internazionale a L’Osservatore Romano. Collabora o ha collaborato con Famiglia cristiana, Limes, RadioRai (rubrica Inviato speciale), il Corriere della Sera (in prima pagina), Il Riformista. Vincitrice di numerosi premi (sezioni Radio, Tv e Libri), ha pubblicato con Infinito edizioni Messico in bilico (2018), con cui ha vinto il Premio Giustolisi al Giornalismo d’inchiesta 2018, e Fortezza Libano (2020). E’ coautrice di diversi volumi, tra cui “Al mio paese. Sette vizi. Una sola Italia” (2012), “Europa, il futuro di una tradizione” (2019) e testi dedicati ai temi della comunicazione.

dal Faro di Roma il 17 maggio 2021

Ad Alipress: per parlare di cyber bio security con Massimo Amorosi

Nella rubrica A cuore aperto di Alipress, il 13 Maggio 2021, con Massimo Amorosi, esperto di minacce biologiche che  collabora con il Centro innovazione difesa dello Stato Maggiore della Difesa.

Abbiamo affrontato le nuove prospettive e  i possibili scenari nell’universo biologico. In particolare,  abbiamo parlato delle più urgenti questioni legate al proliferare di laboratori che si occupano di agenti biologici pericolosi;  del fenomeno della “convergenza tecnologica” e della “democratizzazione delle scienze”; dei rischi che promanano da talune partnership internazionali, in una fase di crisi dei tradizionali regimi internazionali di controllo degli armamenti, in primis della Convenzione sulle Armi Biologiche, e di nuovi rapporti di potere.  Il video:

https://youtu.be/QL31b3SKg0o

 

 

L’Oceania e la necessità di un’ecologia integrale

Abitabilità e identità dei popoli: nelle questioni ambientali più urgenti per il Continente è fondamentale l’approccio dell’ecologia integrale auspicata da Papa Francesco e promossa sul terreno dalla Caritas. A sottolinearlo è l’ambasciatore di Australia presso la Santa Sede, Chiara Porro

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Le questioni ecologiche in Oceania”, è stato questo il tema del webinar organizzato oggi da Caritas Internationalis e dall’Ambasciata d’Australia presso la Santa Sede. Ha aperto i lavori il cardinale Soane Patita Paini Mafi, vescovo di Tonga, sottolineando l’importanza dell’impegno della Caritas a promuovere un dibattito che offre grandi opportunità di riflessione perché tiene conto degli insegnamenti di Papa Francesco contenuti nella Enciclica Laudato si’, come è immediatamente immaginabile, ma anche degli insegnamenti contenuti nell’altra Enciclica Fratelli tutti. Entrambi i documenti infatti offrono gli elementi chiave per un approccio integrale alle questioni ecologiche. L’ambasciatore australiano presso la Santa Sede, Chiara Porro, ha parlato dei rapporti tra Caritas e Stati, che permettono di creare sinergia per rilevare e affrontare i problemi:

L’ambasciatore Porro ricorda che le più urgenti questioni ambientali in Oceania sono rappresentate soprattutto dall’emergenza per le piccole isole minacciate da uragani anomali dovuti ai cambiamenti climatici e al sollevamento del livello degli oceani legato proprio al surriscaldamento globale, con tutte le implicazioni anche per la fauna marina. E dunque l’ambasciatore sottolinea l’importanza di guardare a queste questioni considerando che ad essere davvero minacciata è l’abitabilità di alcune isole ma che non è solo un problema di disponibilità di territorio: si tratta – spiega – di qualcosa che va a toccare, ferire, compromettere l’identità di popoli che da sempre è fortemente legata a quel preciso habitat naturale, quasi in simbiosi con l’Oceano. È per questo – sottolinea l’smbasciatore Porro – che risulta prezioso il contributo della Chiesa e della Caritas che incarnano un approccio alla persona globale, in grado di tenere conto dei tanti necessari aspetti da considerare.

La collaborazione tra Caritas e Stati

In particolare, Chiara Porro fa riferimento all’esperienza del suo Paese, sottolineando come le istituzioni dell’Australia lavorano a diversi livelli con la Caritas e con le realtà ecclesiali sul territorio, riscontrando cura per uno sviluppo integrale della persona e profonda conoscenza dei territori e delle tradizioni. L’ambasciatore ricorda come l’Australia sia Paese leader per l’attenzione all’ambiente e alle questioni dello sviluppo spiegando che il 40 per cento delle risorse messe in campo è diretto all’Oceania. Tra i diversi aspetti affrontati l’ambasciatore si sofferma sulla rilevante collaborazione con la Caritas nei casi di risposta ai disastri ambientali citando anche purtroppo la risposta all’emergenza pandemia. Poi rileva l’importanza di un’azione educativa e a questo proposito racconta di progetti del governo australiano che contano sulla collaborazione della Caritas per creare percorsi curriculari in grado di affrontare al meglio le sfide ambientali, ma anche progetti per assicurare aggiornamento agli insegnanti attuali.

Tra gli altri interventi

Il segretario generale di Caritas Internationalis, Aloysius John, ha messo in luce l’importanza di concepire un’ecologia integrale che sappia assicurare un approccio ai problemi e alle sfide attuali guardando alle relazioni profonde tra esseri umani e natura e tra esseri umani e altri esseri umani. Monsignor Peter Loy Chong, arcivescovo di Suva, ha ricordato quali siano le preoccupazioni in tema di questioni ambientali nella regione Oceania: “C’è la più nota questione delle barriere coralline ma c’è anche l’urgenza dell’inquinamento dovuto ai pesticidi che, in particolare nelle zone agricole, rischia di compromettere non solo la flora e la fauna, ma anche l’accesso all’acqua potabile da parte degli esseri umani”. Kirsty Robertson, direttore esecutivo di Caritas Australia, è stato invitato a illustrare a grandi linee il lavoro della Chiesa, delle Caritas e delle organizzazioni della società civile nella regione Oceania.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2021-05/caritas-oceania-australia-papa-francesco-laudato-si.html

Bioinsicurezza, nuove sfide per l’umanità

Con la moltiplicazione nel mondo di laboratori che manipolano virus e agenti patogeni potenzialmente letali per l’uomo, cresce la necessità di un maggiore controllo di questi centri insieme con l’esigenza del rafforzamento della cooperazione internazionale in questo delicato settore. Intervista con Massimo Amorosi, esperto di minacce biologiche

Fausta Speranza – Città del Vaticano

La proliferazione di laboratori che si occupano di agenti biologici pericolosi è solo uno dei fattori che fanno pensare che si debba parlare di bioinsicurezza. Al di là della natura e dell’origine dell’infezione da coronavirus scoppiata tra fine 2019 e inizio 2020, è doveroso cercare di capire qualcosa delle nuove prospettive e dei possibili scenari nell’universo biologico. Si parla di Bio-Safety Levels (BSL), cioè  livelli di Bio-sicurezza che vengono utilizzati per identificare e standardizzare tutte le misure di protezione necessarie in un laboratorio. Normalmente si usa la sigla BSL con un numero che identifica proprio il livello più o meno alto di necessaria protezione da assicurare a un determinato laboratorio.

Per capire di quali altri aspetti sia necessario innanzitutto tenere conto, abbiamo intervistato Massimo Amorosi, esperto di minacce biologiche che lavora presso l’azienda Rait88 e collabora con il Centro innovazione difesa dello Stato Maggiore della Difesa:

Amorosi ricorda che globalmente sono operativi o in fase di realizzazione più di cinquanta laboratori BSL-4 fra Asia, Africa, Europa, Russia e Stati Uniti, citando un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2017. Sottolinea che oltre al proliferare di laboratori di tipo BSL-3 e BSL-4 si devono prendere in considerazione il fenomeno della convergenza tecnologica e i rischi che promanano da talune partnership internazionali, nonché la crisi dei tradizionali regimi internazionali di controllo degli armamenti, in primis della Convenzione sulle Armi Biologiche. Tutti questi fattori considerati insieme – spiega – confermano un’urgente necessità di consolidare gli strumenti di biosicurezza, ridurre i rischi biologici posti dai progressi tecnologici, creare nuovi approcci per migliorare la sorveglianza delle malattie infettive, nonché identificare e colmare i gap per rafforzare le capacità di sicurezza sanitaria globale. Secondo Amorosi, il punto è che nonostante le menzionate sfide, la biosicurezza rimane una priorità di sicurezza ancora troppo sottostimata e sottofinanziata in gran parte dei Paesi avanzati. L’esperto mette in luce un punto centrale: la recente pandemia ha dimostrato che non vi è alcuna differenza nell’attivazione dei meccanismi di preparazione e risposta ad una minaccia biologica emergente, a prescindere dalla sua origine naturale, accidentale, o deliberata.

L’evoluzione dei rischi biologici emergenti

Massimo Amorosi parla di “scala globale” e di fattori antropici come la digitalizzazione e quella che definisce la “democratizzazione delle scienze biologiche”. Spiega che una significativa area di convergenza è quella delle tecnologie genomiche con l’intelligenza artificiale (AI), l’automazione, la robotica, e il cloud computing, cioè quel sistema di archiviazione di dati esterno ai supporti personali che identifichiamo come “nuvola”. Amorosi parla di machine learning e di deep learning, che stanno ad indicare  rispettivamente un apprendimento automatico  per raggiungere l’intelligenza artificiale  un apprendimento approfondito inteso come uno dei molteplici approcci relativi all’apprendimento automatico.

E dunque afferma che gli sviluppi nelle tecnologie genomiche e in altre tecnologie emergenti, in particolare proprio in tema di machine learning e di deep learning, sollevano qualche timore nella misura in cui l’accesso ad un’ingente disponibilità di genomi umani, spesso con dati clinici direttamente associati, può implicare la possibilità che dei bioinformatici possano iniziare a mappare la suscettibilità alle infezioni in popolazioni specifiche, come ha sottolineato un rapporto dell’Istituto dell’ONU per la ricerca sul disarmo. Più in generale – sintetizza Amorosi– si può parlare di  convergenza tecnologica ma bisogna soffermarsi su una prospettiva concreta: il trasferimento, in virtù di alcune partnership internazionali, di tecnologie e know-how verso Paesi che non dispongono di adeguati protocolli di biosicurezza espone a seri rischi, così la crisi dei tradizionali regimi internazionali di controllo degli armamenti, in primo luogo della Convenzione sulle Armi Biologiche, rappresenta un altro motivo di preoccupazione.

L’importanza della supervisione

La supervisione governativa – ribadisce Amorosi – appare fondamentale per la sicurezza del tipo di laboratori citati, anche se il fulcro resta costituito dal personale che vi opera, dilatando in tal modo il rischio del cosiddetto “insider threat”, termine sempre inglese utilizzato per identificare una minaccia interna.  In ogni caso, Amorosi ricorda che in un numero crescente di questo tipo di strutture si effettuano manipolazioni ad alto rischio di microrganismi, anche a fronte di batteri o virus nuovi, ossia con differenze genetiche rispetto ai microrganismi originari, oppure emergenti, cioè contro i quali non sono disponibili appositi farmaci e vaccini. E questo accade – avverte – nel contesto attuale di una più accentuata competizione internazionale tra le grandi potenze, in un momento di crisi e  tensioni legate ai cambiamenti climatici e agli interventi distorsivi da parte dell’uomo sull’ambiente.

L’ipotesi da evitare – spiega Amorosi – è che sostenitori di istanze radicali facciano ricorso ad agenti biologici. L’esperto ricorda che il 75 per cento delle malattie emergenti sono di origine animale, mentre l’80 per cento degli agenti patogeni classificabili per un potenziale uso bioterroristico sono zoonosi, ossia malattie trasmissibili dall’animale all’uomo. E poi spiega che i sistemi contemporanei di sorveglianza di patogeni pericolosi per la salute pubblica rimangono però separati per esseri umani e animali. È evidente dunque la necessità – sottolinea – di approfondire la comprensione dell’interfaccia o trasmissione di agenti patogeni tra l’ambiente, la fauna selvatica, gli animali e l’uomo come parte di un complesso sistema socio-ecologico. In una parola – dice – è necessario fare prevenzione a diversi livelli.

L’appello della Nato

Il Segretario Generale della NATO Stoltenberg – ricorda Amorosi –   ha sottolineato che “il compito principale dell’Alleanza è fornire deterrenza e difesa e assicurarsi che questa crisi sanitaria non si trasformi in una crisi di sicurezza”. Ciò è tanto più vero – mette in luce Amorosi – in quanto la partita tecnologica internazionale si sostanzierà in una sfida geopolitica senza precedenti: la crescente convergenza tra tecnologie emergenti innescherà dinamiche di iper-competizione con l’affacciarsi di nuovi rischi in termini di sicurezza, anche militare, con effetti in qualche modo simili a quelli riscontrati con l’avvio dell’era nucleare.

Non solo infezioni

Lo studio dell’Onu – riporta Amorosi – chiarisce non solo che tali informazioni possono essere usate per lo sviluppo di armi “mirate”, ma anche che il machine learning applicato all’ingegneria proteica può avere profonde implicazioni nell’identificare possibili bioregolatori e tossine impiegabili per finalità ostili. Amorosi spiega che, con l’espansione del processo di digitalizzazione della biologia, la biotecnologia sta uscendo da tradizionali settori: l’ingegnerizzazione deliberata della biologia sta aprendo opportunità senza precedenti per l’uso di biomateriali e biocombustibili, sia per l’agricoltura che per la filiera agro-alimentare, oltre che ad esempio per l’ambito energetico.  Oltre ad un potenziale impatto che mette in pericolo la salute pubblica, l’ambiente, l’economia e la sicurezza nazionale, – chiarisce Amorosi – la gamma di rischi e minacce che ne deriva può includere il furto di informazioni per scopi militari e di proprietà intellettuale nel contesto di scenari di guerra economica.

Amorosi fa un esempio parlando di malware, termine che  deriva dall’abbreviazione dell’inglese malicious software, che significa letteralmente “software malevolo”, quello che definiamo comunemente un virus informatico. Spiega che malware  di intelligenza artificiale potrebbero essere utilizzati per automatizzare una manipolazione di dati con l’intento di falsificare o sottrarre informazioni all’interno di vaste raccolte di dati genomici. Si deve seriamente parlare – avverte Amorosi – di cyber-biosicurezza collegandola a vulnerabilità informatiche associate ai sistemi di dati in rete, alle apparecchiature di laboratorio e alla sicurezza delle strutture, grazie ad una accorta pianificazione strategica.

La necessaria collaborazione tra privato e pubblico

Considerando le ingenti risorse indirizzate ai settori cyber, biologico e all’ambito emergente che promana dalla loro convergenza, ma anche le non sufficienti capacità delle imprese di proteggersi dall’ampia gamma di rischi alla sicurezza, Amorosi sottolinea che i governi nazionali dovrebbero collaborare con i rispettivi settori privati per definire standard volontari per la cyber-biosicurezza.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-05/salute-pandemia-difesa-minacce-biologiche-armi-potenze-nato.html

Covid-19: gli Usa pronti a sospendere i brevetti sui vaccini

L’annuncio del presidente Biden fa sperare che vengano cancellate le royalties nel mondo mentre nei Paesi poveri la pandemia miete vittime. Le case farmaceutiche sono chiamate a rinunciare a introiti significativi ma bisogna ricordare che sono state ampiamente sovvenzionate da fondi pubblici, come spiega l’esperto del Cnr Diego Breviario

Francesca Sabatinelli e Fausta Speranza – Città del Vaticano

Davvero una svolta epocale, necessaria perché la lotta al Covid possa avere un’accelerazione. L’amministrazione Biden appoggerà ogni sforzo per rinunciare ai brevetti per i vaccini pur continuando a credere fortemente nella protezione della proprietà intellettuale. Ma per porre fine alla pandemia, hanno spiegato fonti governative, se ne sosterrà la revoca.

Voci discordi

L’Organizzazione Mondiale della Sanità appoggia gli Stati Uniti parlando di esempio di potente leadership per affrontare le sfide sanitarie globali. Voci discordi, invece, dal mondo dell’industria farmaceutica, secondo il quale la produzione dei vaccini non potrà essere incrementata allentando i brevetti. L’annuncio statunitense è giunto mentre all’Organizzazione Mondiale del Commercio, sono in corso discussioni sulla revoca temporanea dei brevetti per i vaccini contro il Covid-19 e altri strumenti, che Sudafrica e India, Paese quest’ultimo devastato dalla pandemia, hanno proposto per la prima volta a ottobre. Da allora oltre 100 Paesi si sono fatti avanti a sostegno della proposta, dopo la presa di posizione degli Stati Uniti, è da vedere come risponderanno quei Paesi europei con importanti industrie farmaceutiche che hanno già visto i loro titoli crollare in Borsa.

Europa, farmacia del mondo

Intervenendo allo Stato dell’Unione, la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha espresso disponibilità a discutere della proposta degli Stati Uniti per contrastare la pandemia a livello globale. “Intanto nel breve periodo – ha aggiunto – chiediamo ai Paesi che producono vaccini di permettere l’export ed evitare misure che mettono in crisi la catena di produzione”. Poi la Von der Leyen ha ribadito che “l’Europa è il principale esportatore di vaccini a livello mondiale, più di 200 milioni di dosi prodotte in Europa sono state spedite nel resto del mondo”. Nel suo discorso ha citato don Lorenzo Milani e l’esperienza di Barbiana, con il motto “I care”. “Durante e oltre la pandemia” queste due parole “devono diventare il motto dell’Europa”, ha sottolineato. “‘I care’ significa prendersi responsabilita’ e quest’anno milioni di europei hanno detto ‘I care’ con le loro azioni” di “volontariato o semplicemente proteggendo le persone che gli stavano attorno”. “I care, we care:- ha aggiunto – credo che sia la piu’ importante lezione che possiamo imparare da questa crisi”.

Intanto la Banca Centrale europea nel Bollettino economico ha affermato che i progressi delle campagne vaccinali in Europa “dovrebbero porre le basi per un recupero dell’attività economica nell’arco del 2021, sebbene per una completa ripresa sarà necessario attendere ancora qualche tempo”, in un contesto che resta di “elevata incertezza”.

Le case farmaceutiche sono state sovvenzionate

Sono innegabili le difficoltà di produzione in tempi brevi e in larga scala del vaccino, la complessità di un piano che deve interessare buona parte della popolazione terrestre, con la complicazione delle continue modifiche del virus che lo rafforzano. Ed è innegabile l’importanza di tutelare con un brevetto la proprietà intellettuale, ma bisogna ricordare l’eccezionalità della situazione attuale che stiamo vivendo e alcuni aspetti legati ai finanziamenti, come spiega l’esperto del Cnr Diego Breviario:

Il dottor Breviario sottolinea l’importanza del pronunciamento da parte dell’amministrazione di un Paese che resta una grande potenza in grado di influenzarne altre. Ricorda che ci si dovrà però pronunciare  anche a livello di Organizzazione mondiale del commercio (Wto). E’ immaginabile che ci siano forze che remano contro – ammette  – ed è pensabile che la decisione non sarà facile. Il punto è – sostiene – che bisogna parlare di finanziamenti per ricordare che nel caso del vaccino contro il coronavirus sono stati messi in campo, assicurati alle case farmaceutiche, ingenti somme di denaro pubblico. Pur riconoscendo dunque il valore della proprietà intellettuale e difendendo il principio da pagare per le royalties, Breviario sottolinea come in questo caso le case farmaceutiche non possano rivendicare profitti. Di fronte alla pandemia e alla morte di così tante persone ovunque e in particolare nei Paesi poveri risulterebbe inaccettabile ma soprattutto non possono rivodendicare soldi per “privati” per una produzione che è stata ampiamente sostenuta da una ricerca sovvenzionata da fondi pubblici.

https://nemo.vaticannews.va/editor.html/content/vaticannews/it/mondo/news/2021-05/coronavirus-vaccini-brevetti-stati-uniti.html

Al G7 ministri in presenza per parlare di unità dell’Occidente

In vista del vertice dei leader a giugno, a Londra si confrontano i ministri degli Esteri del G7. Si prepara il terreno per una presa di posizione comune di fronte a sfide già note, aggravate dal peso delle conseguenze della pandemia, ma gli equilibri internazionali sono mutati, come spiega l’internazionalista Alessandro Colombo

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Far fronte comune “fra società aperte e democratiche” e “dimostrare unità in un tempo nel quale è necessario contrastare le sfide che condividiamo, le minacce che si moltiplicano”. E’ l’invito rivolto dalla presidenza britannica del G7 all’apertura della prima sessione della riunione dei ministri degli Esteri dei 7 Paesi considerati più industrializzati e del capo della diplomazia Ue. L’incontro avviene un mese prima del vertice dei leader in Cornovaglia. Ad esprimerlo è stato il ministro degli Esteri britannico, Dominic Raab, nel suo messaggio di benvenuto alla Lancaster House di Londra.

Il vertice, in corso sino al 5 maggio prossimo, vede riuniti – di persona, non da remoto – i rappresentanti di Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti, con l’Unione Europea presente in qualità di osservatore. Come Paese ospitante, Londra ha invitato altri ospiti all’incontro: Australia, India, Sud Africa, Repubblica di Corea e Brunei in qualità di presidente dell’ASEAN.

Delle tematiche da affrontare dopo un anno di emergenza pandemia abbiamo parlato con Alessandro Colombo, docente di Relazioni internazionali all’Università degli Studi di Milano:

Colombo ricorda che la pandemia ha concentrato l’attenzione di tutti e che ora nel primo vertice in presenza si cerca di recuperare praticamente sul tavolo il quadro delle questioni rimaste in sospeso. Il punto – spiega l’esperto di relazioni internazionali – è che il mondo non è affatto lo stesso, sono mutati alcuni equilibri determinanti e le società sono anche terribilmente appesantite dalle conseguenze della pandemia. Colombo cita questioni come la situazione in Siria e in Libia come alcuni degli scenari internazionali, che chiedono considerazione, ma sottolinea anche che difficilmente ci si potrà pronunciare andando oltre un confronto verbale. Si capisce – fa notare Colombo –  che c’è la tendenza a compattare il fronte dei Paesi democratici, che non significa esattamente e automaticamente parlare di multilateralismo.

In vista del vertice dei capi di Stato e di governo

Colombo parla di quanto sottolineato ieri dal segretario di Stato americano: “E’ necessario cercare di forgiare un’alleanza globale di Paesi amanti della libertà, non per tenere a freno la Cina, ma per assicurarsi che rispetti le regole”. Sottolinea che questo spiega l’approccio dell’attuale presidenza statunitense in tema di multilateralismo, inteso non solo come comunità internazionale, ma anche e soprattutto come alleanza tra democrazie. Il segretario di Stato americano, Tony Blinken, partecipa alla riunione dei ministri degli Esteri e dello sviluppo del G7 per gettare le basi in vista del vertice dei leader del G7 che si terrà a giugno in Cornovaglia, dove il presidente Usa, Joe Biden, ha annunciato l’intenzione di recarsi nel suo primo viaggio all’estero. Blinken ha detto che gli Stati Uniti non hanno “nessun alleato più stretto” e “nessun partner più stretto” del Regno Unito. Colombo ricorda che proprio l’alleanza con Washington era uno dei primi obiettivi del nuovo corso britannico fuori dall’Ue.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-05/londra-g7-stati-uniti-ministri-esteri-multilateralismo.html

Cento anni fa nasceva l’Irlanda del Nord

Nel 1921 si formava come entità politica lo Stato libero d’Irlanda, che ha visto poi sei contee settentrionali scegliere di rimanere sotto il Regno Unito. Un territorio che risente di vecchie e nuove difficoltà sociali, come sottolinea la giornalista Francesca Lozito, e che vive il processo ancora in parte in fieri della Brexit, come spiega Bepi Pezzulli esperto di giurisdizione commerciale

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il 3 maggio si ricordano i 100 anni dalla fondazione dell’Irlanda del Nord, territorio rimasto legato al Regno Unito al momento della nascita a sud dell’isola di una Repubblica indipendente. Prima di quell’anno, la storia dell’Irlanda del Nord coincide di volta in volta con quella delle varie tribù irlandesi e poi con quella del Regno Unito. È composta da sei contee delle nove che formano la regione dell’Ulster. La colonizzazione inglese in questa regione ha portato alla diffusione dell’anglicanesimo, mentre l’isola era stata – ed è rimasta nella Repubblica d’Irlanda – a grande maggioranza cattolica.

L’appello di Elisabetta II a difendere la riconciliazione

Un appello a difendere la pace, frutto “del coraggio e della visione di leader” lungimiranti, ma soprattutto “merito del popolo nordirlandese e precondizione di un futuro migliore”. Sono parole della regina Elisabetta II nell’anniversario della nascita dell’Irlanda del Nord. Un territorio “ricco d’identità, di retroterra e di aspirazioni”, ha detto la sovrana, riconoscendo le diversità, spesso conflittuali, di una realtà dove le tensioni sono tornate a impennarsi negli ultimi mesi. Sono alimentate dalle prospettive dei contraccolpi della Brexit e dalle difficoltà della pandemia. La regina ha elogiato sia quei leader ai quali sono stati “giustamente attribuiti la visione e il coraggio” che nel 1998, con gli storici accordi di pace del Venerdì Santo, permisero di “mettere la riconciliazione davanti alle divisioni”, sia la popolazione in generale. “Il mantenimento della pace è prima di tutto un merito del popolo (nordirlandese), sulle cui spalle il futuro riposa”, ha detto infatti Elisabetta II, invitando a cogliere l’occasione del 100esimo anniversario per “riflettere su una storia complessa” alla luce delle ragioni del “nostro stare insieme nella diversità” e rievocando in spirito di “amicizia” la visita compiuta a suo tempo assieme al principe consorte Filippo, scomparso di recente, per suggellare la pace del ’98.

La crisi dopo la Prima Guerra Mondiale

Nel 1918, al termine del primo conflitto mondiale, si acuirono le tensioni tra Irlanda e Regno Unito. Alle elezioni per il rinnovo del Parlamento, il nuovo partito irlandese ottenne 23 dei 30 seggi destinati ai rappresentanti dell’isola. Ma questi si rifiutarono di entrare nel Parlamento inglese di Westminster e ne formarono uno ritenuto da Londra fuorilegge, il Dàil Eireann. Questo proclamò l’indipendenza, che però non fu riconosciuta da nessun Paese. Iniziò la guerra d’indipendenza irlandese. Dopo anni di scontri, nel 1921 i rappresentanti del governo britannico ed i rappresentanti del parlamento ‘fuorilegge’ irlandese negoziarono la pace. In ambito internazionale fu riconosciuto uno Stato irlandese con il nome di Stato Libero d’Irlanda (in gaelico Saorstát Éireann, in inglese “Irish Free State”). Il nuovo Stato libero avrebbe dovuto coprire in teoria l’intera isola, ma le due parti concordarono che l’Irlanda del Nord, che era già diventata un’entità autonoma, potesse scegliere se rimanere sotto il Regno Unito: fu proprio questa la decisione di Belfast. Il Dáil Éireann approvò il trattato di pace.

I “troubles”

E’ scoppiata una guerra civile lunga trent’anni e nella quale sono morte 3.700 persone. L’Irlanda del Nord è stata al centro del drammatico confronto tra cosiddetti unionisti e lealisti passato alla storia delle cronache britanniche come “troubles”, concluso appunto con l’Accordo del venerdì Santo, il 10 aprile del 1998. Da allora si sono vissuti 23 anni di pace, mnetre dall’8 maggio 2007 si è insediato il nuovo Parlamento di Stormont.

Manifestazioni e proteste nel post Brexit

Dal 2 aprile per le strade di Belfast si sono registrati subbugli e e scontri tra folle violente di giovani. Si protesta per il disagio sociale. C’è tensione anche in vista dell’applicazione della Brexit. Il governo britannico viene accusato da alcuni di aver violato i suoi impegni con l’Irlanda del Nord. A gennaio un accordo sulla pesca è entrato in vigore provvisoriamente insieme al resto dell’accordo commerciale, prima del controllo da parte del Parlamento europeo e del loro consenso formale. Il governo britannico ha deciso di estendere i periodi di grazia sui controlli alla frontiera sulle merci in movimento tra il Regno Unito e l’Irlanda del Nord, una mossa criticata dalla Commissione Ue in quanto violazione dell’accordo di recesso e diritto internazionale. In tutto questo, ci sono le difficoltà per la pandemia e c’è in vista il voto. C’è molto malcontento come spiega la giornalista Francesca Lozito che da anni segue le vicende nordirlandesi:

Lozito innanzitutto sottolinea i problemi legati alla carenza di posti di lavoro e anche a un livello non alto di scolarizzazione di molti giovani. E poi ricorda che molti si sentono traditi da Londra. Secondo Lozito, infatti, la gente ha pensato che non ci sarebbero stati controlli doganali, “niente scartoffie”, ma poi di fatto le possibilità di lavoro hanno risentito di condizioni di incertezze. Lozito cita scioperi di aziende del settore navale. Ai fini pratici l’Irlanda del Nord è ancora nell’Ue, con un confine doganale tra di essa e il resto del Regno Unito. I lealisti soprattutto si sentono abbandonati. Un altro elemento di scontentezza al momento attuale – afferma Lozito – è dato dal ritardo nelle vaccinazioni in Irlanda del Nord rispetto al Regno Unito.

Un’economia segnata dalla Brexit e dalla pandemia

L’Irlanda del Nord è stata la regione più ricca dell’isola e Belfast ha rappresentato un porto privilegiato per i traffici con Scozia ed Inghilterra. Oggi vive la fase di transizione in seguito alla Brexit, come spiega Bepi Pezzulli, esperto di giurisdizione commerciale:

Ascolta l’intervista con Bepi Pezzulli:

Pezzulli ricorda che al momento della Brexit stabilire i nuovi controlli sulle merci e sull’immigrazione nel posto più ovvio, al confine tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda, avrebbe fatto naufragare l’accordo del Venerdì Santo. Quindi il premier di Londra, Boris Johnson, ha trovato una soluzione: si è fissato il nuovo confine nel mare d’Irlanda tra la Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord. Sembra solo una questione formale, ma per alcuni aspetti l’Irlanda del Nord è ancora nell’Ue, con un confine doganale tra di essa e il resto del Regno Unito. Questo rappresenta una situazione che in qualche modo è in evoluzione, in via di una più precisa definizione. Ma di fatto – afferma Bepi Pezzulli – la Brexit, che sembrava impossibile da realizzare, è diventata una realtà e ha portato con sé riscontri positivi nei dati macroeconomici.

da Vatican NEWS del 3 maggio 2021