Il Conclave tra storia, fede ed equilibri di potere

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Conclave al via: l’elezione del nuovo Papa tra storia, fede ed equilibri di potere

Tra urgenze spirituali, sociali e geopolitiche, il Conclave - al via il 7 maggio - pone la Chiesa di fronte a decisioni cruciali: dal riequilibrio tra carisma e governance ai processi di riforma aperti

di Fausta Speranza

6 Maggio 2025 https://www.nationalgeographic.it/conclave-al-via-l-elezione-del-nuovo-papa-tra-storia-fede-ed-equilibri-di-potere

Come in una partita a scacchi di livello. Un buon giocatore non resta concentrato sull’assetto del gioco in svolgimento ma elabora strategie in anticipo per mosse e contromosse successive. Così la Chiesa, diversa da qualunque altra istituzione e lontana da logiche di partito, si muove con una visione a lunga “gittata”, finora libera da vincoli come il consenso a stretto giro.

Se e quando la Santa Sede fa strategie e si muove sui percorsi della geopolitica per sua stessa costituzione difficilmente lascia spazio a interpretazioni troppo personalistiche: il mandato è per il bene comune e la centralità della persona, e il tracciato è segnato. E infatti su questo le differenze tra papi, almeno dal Novecento, sono trascurabili e dovute alla contingenza storica, che conta più del “consenso”. È vero però che negli ultimi cinquant’anni, con Giovanni Paolo II e Francesco, si è avvertita la tendenza a uno sbilanciamento tra carisma e munus gubernandi, a favore del carisma.

Fare i conti con le spinte sociali e la situazione internazionaleDunque, piuttosto che chiederci se vincerà un “progressista” o un “conservatore”, forse dovremmo porci due interrogativi diversi. Il primo è quale sia la contingenza storica. Il secondo è se la scelta del nuovo pontefice sarà guidata dall’intenzione di ribilanciare la logica del carisma con quella dell’ufficio, oppure no. Si conferma complesso e scivoloso muoversi tra “tradizionalisti”, “progressisti”, più o meno “riformisti”.Per il Conclave del 7 maggio la contingenza sul piano universale è chiara: è urgente elaborare nuove strategie di rapporto con il mondo contemporaneo in cui vacillano le democrazie. E se l’extra omnes lascia soli i cardinali, ci sono questioni ad intra che non li abbandonano: tra queste, i tanti “cantieri” aperti ma non chiusi da Francesco.Francesco ha aperto processi confermando la Chiesa come popolo che cammina nella storia appoggiandosi sulla tradizione ma senza intenderla come un baluardo di “blocco” degli sviluppi di riforma. E questo dovrebbe essere un punto di non ritorno. Potremmo definirla la sua “mossa forzante”, sempre parafrasando il gioco di scacchi. Peraltro, dopo i papi Roncalli, Montini, Luciani e Wojtyła, che erano stati padri conciliari, e dopo Ratzinger, che aveva partecipato all’assise conciliare come perito, Francesco è stato il primo papa per davvero “figlio” del Concilio Vaticano II, in quanto negli anni della convocazione (1962-1965) era ancora in formazione come novizio.Insomma c’è stato un passaggio generazionale e il Concilio regge. In ogni caso, i processi di riforma avviati da Francesco e non conclusi sono tanti, sul piano teologico, normativo, morale. In alcuni casi, come ha detto il cardinale Pietro Parolin, già Segretario di Stato, a proposito della dichiarazione del Dicastero per la dottrina della fede Fiducia Supplicans pubblicata nel 2023, “ci vorranno ulteriori approfondimenti”.Anche in tema degli abusi commessi da religiosi nei confronti di minori e adulti vulnerabili, che ha segnato in modo drammatico negli ultimi decenni la vita della Chiesa, si sono fatti passi in avanti. Dopo le misure volute da Benedetto XVI, con Papa Francesco si è raggiunto un altro punto di non ritorno interpretando l’abuso come questione ecclesiale e connettendolo con la tentazione del clericalismo. Resta sempre molto da fare, considerati il mancato avvio di alcuni procedimenti giudiziari; l’attesa per il rispetto di alcune sanzioni; esempi di riabilitazione di preti pedofili a davvero poca distanza dalla condanna. Inoltre, nei casi di suore abusate sessualmente e psicologicamente, ci si deve occupare dei meccanismi che li hanno permessi.

Il Papa visto in prospettiva

Francesco è stato scelto nel 2013 quando cominciavano a delinearsi due scenari, almeno a osservatori accorti. Il primo riguardava le costituzioni liberali, che sono il frutto di valori prima di essere dati di fatto e che, se svuotate proprio dei valori fondanti, rischiano di rimanere gusci vuoti e di essere travolte al venir meno dell’ordine mondiale costituito dopo le guerre mondiali. Come aveva ben intuito e denunciato Benedetto XVI mettendo in guardia dal relativismo.

Il secondo scenario riguardava le scadenze date per gli Obiettivi del Millennio, adottati dalle Nazioni Unite nel 2000 per eliminare la povertà estrema e la fame nel mondo: era chiaro che non avrebbero portato a nulla, travolti dall’inversione di tendenza ad allargare sempre di più il divario tra i pochi ricchi, sempre più ricchi, e i tanti poveri, sempre più poveri e sempre più numerosi.

Sul primo punto, Papa Bergoglio ha parlato da subito di “terza guerra mondiale a pezzi” e ha speso parole a difesa del multilateralismo come i predecessori. E sul piano delle diseguaglianze, ha fatto di tutto per portare la questione della dilagante povertà al cospetto di tutti. Peraltro, già Leone XIII criticava la corsa agli armamenti sottolineando che “la pace non può essere garantita solo attraverso la forza militare ma richiede un ordine sociale e politico giusto e percepito come tale”. E Paolo VI, che si recò per primo in Paesi all’epoca poveri per antonomasia come Africa e India, sostenne la necessità di condonare i debiti di quei Paesi che non possono ripagarli, in particolare se questo impedisce lo sviluppo e la crescita dei loro popoli.

Si può dire che Papa Bergoglio ha sorpreso ma anche che ha risposto alle aspettative. Così era stato per Papa Wojtyła, adatto per lo scossone al baluardo comunista che lasciava poco respirare il polmone orientale d’Europa; o per Roncalli, scelto dopo i difficili anni della Questione romana e delle guerre, in cui la Chiesa si doveva “riposizionare” nei tempi moderni. Giovanni XXIII, infatti, con il suo carisma da Papa “buono” ha risposto al mandato indicendo niente di meno che il Concilio Vaticano II che ha chiamato a uno slancio nuovo per riposizionamenti peraltro ancora da completare. Se è vero infatti che lo sguardo è a lunga gittata, servono anche tempi lunghi per dare compimento a visioni di profondo spessore.

Come diceva Giovanni XXIII “non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”. Di fatto quando la Chiesa “cambia” sorprende sempre, perché lo fa imprimendo un’accelerazione alla sua storia che non ritrova uguali in altre istituzioni umane per incisività. Insomma, non cambia spesso ma quando “cambia” lo fa davvero. Ovviamente non mancano percorsi tortuosi. L’attuazione dei nuovi orientamenti è come acqua che scorre tra impedimenti e divergenze: prima di impregnare tutto il terreno, a volte percorre anche tratti all’indietro.

Romano Pontifici Eligendo

Viene in mente che prima di arrivare alla sinodalità auspicata dal Concilio e fortemente voluta da Francesco, peraltro messa in atto in questi anni in modo artigianale, sono passati i pontificati di Wojtyła e di Ratzinger, che si sono concentrati su altri aspetti. Ognuno di loro, come gli altri, è stato “incasellato” in una delle due categorie in cui il mondo ama racchiudere i Papi: quella dei conservatori e quella dei progressisti. Se l’operazione è lecita, non può mancare la consapevolezza che a livello mediatico spesso si evidenziano banalizzazioni, forzature o mancanze.

Solo alcuni esempi. Ratzinger è rimasto sempre nel racconto mediatico un Papa conservatore, anche quando ha difeso i documenti conciliari da interpretazioni che li consideravano una rottura con la tradizione; o quando ha ripristinato per il voto al Conclave una maggioranza ampia di due terzi indipendentemente dal numero di scrutini. Giovanni Paolo II aveva fatto scendere il quorum al 50 per cento al 34esimo scrutinio e in quel caso Ratzinger ha difeso la collegialità.

Sul tema del Conclave ricordiamo alcuni aspetti o curiosità che danno anche il senso di una storia che si compone

Paolo VI, che è il Papa che ha limitato l’esercizio del diritto di voto ai cardinali sotto gli ottanta anni di età, aveva ripreso una modifica introdotta da Pio XII e abrogata da Giovanni XXIII e aveva fissato la regola della maggioranza dei due terzi più uno, eliminando l’onere di verificare se l’eletto avesse votato per se stesso.

Porta la firma invece di Pio XII la Costituzione che prevede che alla morte del Papa gli unici a restare in carica siano il Camerlengo, il Penitenziere, il Vicario di Roma. Ricordiamo che a stabilire che per essere eletto Papa un candidato dovesse ricevere due terzi dei voti dei cardinali e che nessun cardinale potesse votare per se stesso fu Alessandro III nel 1179. Ma forse è curioso ricordare anche che fu Nicolò II nel 1059 con la bolla In nomine Domini a stabilire che solo i cardinali possano eleggere il Romano Pontefice.

La voce dei decani e alcuni favoriti

In attesa di conoscere il nome del prossimo Papa e dopo gli entusiasmi di piazza, ci sono alcune critiche, o raccomandazioni che dir si voglia, che emergono dall’interno. Il cardinale Camillo Ruini con i suoi 94 anni di cui 20 spesi come vicario del Papa per la diocesi di Roma e alla guida della Conferenza Episcopale Italiana, ha auspicato “un Papa buono anche a governare”; il cardinale tedesco Gerhard Ludwig Müller ha chiesto un Papa “lontano dai mass media o da diverse lobby”. Il cardinale statunitense Timothy Dolan ha detto che bisognerà affiancare al “cuore caldo di Francesco… più chiarezza nell’insegnamento, più raffinatezza della tradizione della Chiesa, più approfondimento dei tesori del passato”. Di questi Müller e Dolan prenderanno parte al Conclave. Ruini insieme con altri esclusi dalla Sistina per limite d’età, come il Decano del Collegio cardinalizio Giovanni Battista Re e il vice Leonardo Sandri, hanno preso parte alle Congregazioni pre Conclave.

In definitiva in tema di incasellamenti poco convincenti, tra conservatori e progressisti,  gli esempi sarebbero tanti, ma ne bastano pochi per mettere a fuoco la fragilità di schematizzazioni che in vista della scelta del prossimo Papa conteranno meno di quanto si pensi. Conterà di più l’urgenza di assicurare capacità diplomatiche all’altezza delle sfide internazionali e uno spessore culturale e spirituale all’altezza dei “cantieri” aperti.

A questo proposito non può sorprendere che venga citato il già Segretario di Stato Pietro Parolin, o che si facciano anche nomi come quelli del Patriarca di Gerusalemme dei Latini PierBattista Pizzaballa, del cardinale filippino Luis Antonio Tagle, del cardinale Robert Francis Prevost, prefetto del Dicastero per i vescovi e presidente della Pontificia commissione per l’America Latina. Ma, di altri, i cardinali potrebbero conoscere o intuire capacità al momento meno evidenti a livello mediatico.

Tutto pronto in Sistina

In ogni caso, l’attesa è vivissima. La mattina del 7 maggio nella Sistina è prevista la Missa pro eligendo Romano Pontifice e nel pomeriggio una sola votazione. Dal giorno seguente tutto è pronto per due votazioni al mattino e due al pomeriggio, con massimo due fumate previste al giorno, immaginabili alle 12 e alle 19. Il comignolo è pronto e gli occhi del mondo sono puntati su di esso.

Nella Sistina, come mai prima si è cercato di evitare qualunque “scherzo” tecnologico che ne violi l’impenetrabilità. Peraltro l’evoluzione della tecnologia dell’informazione rappresenta un altro fronte delle sfide internazionali citate. Preoccupa un “paradigma tecnocratico” che mette da parte la dignità umana, la fratellanza e la giustizia sociale in nome dell’efficienza, pensando alla profonda influenza che può esercitare sulle strutture economiche, sociali e di governance in tutto il mondo.

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Conclave al via il 7 maggio: attese e incognite nella elezione del nuovo Papa

Conclave al via il 7 maggio: attese e incognite nella elezione del nuovo Papa

29 Aprile 2025

Dopo i funerali di Papa Francesco, il 7 maggio inizia il Conclave per l’elezione del suo successore tra questioni aperte, messaggi di speranza e il ricordo del pontificato di Jorge Mario Bergoglio

di Fausta Speranza

su National Geographic

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Sarà presieduto dal cardinale Pietro Parolin, già Segretario di Stato, il Conclave per l’elezione del successore di papa Francesco che avrà inizio il 7 maggio prossimo. La prima votazione si terrà nel pomeriggio mentre al mattino è prevista la Missa pro eligendo Romano Pontifice e la processione dei cardinali elettori verso la Sistina. Non ci sarà il cardinale Giovanni Angelo Becciu, condannato in primo grado per peculato e truffa in Vaticano e mai inserito nella lista dei partecipanti al Conclave. Becciu ha fatto sapere di “obbedire” alla volontà’ di Francesco pur dichiarandosi “innocente”.

Per eleggere il Papa sarà necessaria una maggioranza qualificata di due terzi. In caso si arrivasse oltre le 32 votazioni, si passerebbe direttamente e obbligatoriamente al ballottaggio fra i due cardinali che avessero ricevuto il maggior numero di voti nell’ultima votazione. Anche in questo caso, però, sarebbe sempre necessaria una maggioranza dei due terzi. La Cappella Sistina è stata chiusa alle visite per poter essere allestita con i banchi per gli scrutini e la stufa dove saranno bruciate le schede delle votazioni.

L’omaggio a Francesco: dalle esequie alla sepoltura

Intanto continuano le file per andare a rendere omaggio alla tomba di Papa Francesco tumulata, con una cerimonia privata, nella basilica di Santa Maria Maggiore sabato scorso, dopo i funerali sul sagrato di piazza San Pietro alla presenza di quasi tutti i “grandi” della terra e 250.000 fedeli. Tra tante parole, colpiva l’appellativo di “Maestro y poeta” comparso su uno striscione in spagnolo dei ragazzi delle Scholas Occurrentes, l’organizzazione internazionale di diritto pontificio, senza scopo di lucro, creata da Papa Bergoglio nel 2013, con l’intento di promuovere una rete mondiale di possibilità in campo formativo. Studio ed educazione si traducono in crescita e sviluppo: parliamo del crinale su cui si gioca la variabile tra miseria e autonomia. Oggi Scholas Occurrentes conta 2,5 milioni di partecipanti in 70 Paesi di cinque continenti. Rappresenta un frutto tangibile e concreto dell’impegno pastorale di Francesco, e non deve sfuggire il valore simbolico della modalità scelta: fare rete.

La connessione tra persone così diverse ma unite dall’affetto per Papa Francesco si è sentita fortissima: in piazza e sul sagrato è stata vissuta in una cerimonia che nella sua Liturgia Francesco ha voluto invariata. Se ha chiesto di avere solo una delle tre tradizionali bare o di non essere posto su catafalco, in tema di Liturgia non ha alterato nulla. Ed è significativo. La connessione poi è stata intatta e viva lungo tutti i sei chilometri che dal Vaticano hanno portato il feretro in papamobile bianca all’ingresso della più piccola delle basiliche papali che conserva da secoli l’immagine Salus Populi Romani cara a Francesco. Una lapide bianca e la scritta Franciscus segnalano la tomba per una bara in cui è stato inserito il Rogito, il “riassunto” del Pontificato, che non poteva certamente riepilogare tutte le opere o tutti i documenti e le decisioni di Francesco ma che dispiace non citi la storica nomina di una donna prefetto, Suor Simona Brambilla, a capo di uno dei Dicasteri che formano la Curia.

E proprio quando il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio che ha presieduto la celebrazione dei funerali, ha espresso questa consapevolezza è scoppiato l’applauso più forte dalla parte della piazza occupata per lo più da giovanissimi. I ragazzi erano presenti e non soltanto per la concomitanza con il Giubileo dei giovani. Il loro applauso si è fatto sentire, insieme con quello di tanti altri, anche quando il cardinale Re ha ricordato come la voce di Francesco si sia levata con forza contro gli “orrori disumani” della guerra, definita “una dolorosa e tragica sconfitta per tutti”, e per chiedere “ragionevolezza” e “onesta trattativa”.

Non possiamo sapere cosa sia rimasto davvero nel cuore dei “grandi” presenti: 52 capi di Stato, 14 capi di Governo; 12 sovrani regnanti. E i rappresentanti ad altissimo livello dell’Onu, dell’Unione Europea e di tutti gli altri organismi internazionali. Tutti “schierati” sostanzialmente in ordine alfabetico ma francese, lingua della diplomazia. Tra tanti, è stata evidente l’assenza di esponenti di vertice della Cina. C’è da dire che da Pechino sono giunte in Vaticano condoglianze che in altri tempi sarebbero state difficilmente immaginabili. Restano tante immagini e quella foto: Trump e Zelensky seduti a dialogare dentro la basilica di San Pietro e le attese accese dalle dichiarazioni dei due leader seguite da aperture al negoziato che sembrano arrivare dal Cremlino. Tutte aspettano di essere declinate nei fatti.

Il Cardinale Pietro Parolin celebra

la Messa della Domenica della Divina Misericordia in suffragio di Papa Francesco in Piazza San Pietro, il 27 aprile 2025, nella Città del Vaticano

 I riti funebri per il defunto Papa Francesco si svolgono per nove giorni dopo la sua sepoltura, mentre i fedeli lo commemorano e lo celebrano. Durante questo periodo, il Vaticano si prepara al processo per eleggere un nuovo Papa, noto come Conclave, che deve iniziare entro 15-20 giorni dalla morte del Pontefice.

Il Giubileo dei giovani

È stato importante vedere che i giovani sono tornati in piazza San Pietro il giorno seguente ai funerali, domenica 27 aprile, quando non c’erano più i capi di Stato e di Governo. C’erano comunque di nuovo 200.000 persone alla Messa presieduta la mattina dal cardinale Pietro Parolin, già Segretario di Stato, nell’ambito dei Novendiali, i nove giorni di celebrazioni in suffragio del Papa defuntoche da lunedì 28 fino a domenica 4 maggio proseguono in San Pietro, ma alle ore 17:00.

Nel corso dell’omelia Parolin ha raccomandato: “Siamo chiamati all’impegno di vivere le nostre relazioni non più secondo i criteri del calcolo o accecati dall’egoismo, ma aprendoci al dialogo con l’altro”. La certezza è la stessa: “Solo la misericordia guarisce, solo la misericordia crea un mondo nuovo: questo è il grande insegnamento di Papa Francesco.” Il cardinale, capo della Segreteria di Stato da agosto 2013 e dunque in tutti gli anni di Pontificato di Francesco, ha parlato di “dolore”, “turbamento”, “sensazione di smarrimento” chiedendo che l’affetto per Francesco “non resti una semplice emozione del momento” quanto piuttosto che “la sua eredità diventi vita vissuta”.

Ai giovani, giunti da tutto il mondo, ha parlato delle tante sfide ricordando anche “quella della tecnologia e dell’intelligenza artificiale che caratterizza in modo particolare la nostra epoca”. Sempre ai giovani è dedicato il video registrato con smartphone l’8 gennaio scorso e diffuso nel giorno dei funerali. Francesco, seduto nella sua stanza di Santa Marta con un maglione bianco, dice: “Cari ragazzi e ragazze, una delle cose molto importanti nella vita è ascoltare, imparare ad ascoltare. Quando una persona ti parla, aspettare che finisca per capirla bene e, poi, se me la sento dire qualcosa. Ma l’importante è ascoltare”.

Un testamento spirituale

Prendersi cura delle relazioni è davvero il cuore di tutte le scelte pastorali di Papa Francesco. Nei suoi 12 anni di pontificato, ha chiesto di combattere la “cultura dello scarto” con la medicina della “cura” delle relazioni. Innanzitutto la relazione con Dio, che non ha affatto trascurato. Poi, in stretta correlazione, ha concepito la relazione con l’altro, visto come fratello nella famiglia umana. Inoltre ha parlato della relazione con l’ambiente, “casa comune” in cui – ha chiarito – non si possono più immaginare sistemi sociali slegati dai sistemi naturali e viceversa. Il messaggio centrale dell’Enciclica Laudato Sì del 2015 è che “tutto è in relazione” e “nessuno si salva da solo”.

Di Papa Francesco restano centinaia di appelli per la pace e quelle parole pronunciate per ultime: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo”, alla benedizione Urbi et Orbi di Pasqua. Francesco ha ribadito che “l’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo” e ha chiesto di “abbattere le barriere che creano divisioni e sono gravide di conseguenze politiche ed economiche”.

In poche parole nel messaggio di Pasqua dell’anno giubilare ha fotografato la drammatica evidenza: “Quanta volontà di morte vediamo ogni giorno nei tanti conflitti che interessano diverse parti del mondo! Quanta violenza vediamo spesso anche nelle famiglie, nei confronti delle donne o dei bambini! Quanto disprezzo si nutre a volte verso i più deboli, gli emarginati, i migranti!”. Con una consapevolezza fondamentale: “Nessuna pace è possibile laddove non c’è libertà religiosa o dove non c’è libertà di pensiero e di parola e il rispetto delle opinioni altrui”.

E questo è l’appello che, come ha sottolineato il cardinale Parolin, non deve solo emozionare in questi giorni: “Non venga mai meno il principio di umanità come cardine del nostro agire quotidiano”.

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