Dal vertice Ue buoni propositi contro i rincari energetici

I capi di Stato e di governo dell’Ue hanno approvato una serie di raccomandazioni per evitare che i rincari delle risorse energetiche ricadano sulle bollette dei consumatori. Spetta a ogni Stato membro considerarle. L’economista Marzio Galeotti sottolinea l’importanza di una roadmap di emergenza che però non impatti negativamente sulla svolta green e l’analista di Studi strategici Germano Dottori avverte che le dinamiche di mercato sono difficili da invertire in tempi brevi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Gli Stati membri e la Commissione sono invitati a seguire alcune indicazioni per “alleviare nel breve termine l’impatto dei rincari sui consumatori più vulnerabili e per sostenere le imprese europee, tenendo conto della diversità e specificità di ciascuna situazione nazionale”. E’ quanto si legge nelle conclusioni approvate dai capi di Stato e di governo al Consiglio europeo, che si conclude oggi, sul tema della risposta da dare ai rincari dei prezzi dell’energia.

Le misure possibili

Il Consiglio europeo considera come “misure utili” quelle che la Commissione ha proposto con il suo “toolbox”, ovvero la lista di provvedimenti che possono essere presi dagli Stati membri nel breve termine, per mitigare gli effetti dei rincari su imprese e famiglie vulnerabili, e misure a livello europeo prospettate per il medio-lungo termine. La Commissione è invitata “a studiare il funzionamento dei mercati del gas e dell’elettricità, così come il mercato Ets (la borsa europea dei permessi di emissioni di CO2, ndr) con l’aiuto dell’Esma”, l’Autorità europea per i mercati e i prodotti finanziari. In seguito, la Commissione “valuterà se il comportamento di alcuni operatori di mercato richieda un’ulteriore azione regolatoria”. Questo punto risponde, in particolare, alle preoccupazioni di alcuni Stati membri secondo cui l’impennata dei prezzi potrebbe essere causata da speculazioni degli operatori di mercato.

Marzio Galeotti, docente della Luiss, economista esperto di questioni ambientali e energetiche, a Vatican News fa una valutazione delle misure prese in considerazione.

Tutte le misure di emergenza possono avere effetti positivi nell’immediato ma poi devono essere valutate alla lunga, spiega Galeotti, sottolineando che sempre le misure di prima risposta non vanno bene in una seconda fase dei processi. Cita il testo proposto dalla Commissione per evitare che i cittadini paghino costi eccessivi, ricordando che l’impennata dei prezzi dell’energia cui stiamo assistendo richiede una risposta rapida e coordinata e sottolienando che il quadro giuridico vigente permette all’Ue e agli Stati membri di intervenire per porre rimedio all’impatto immediato sui consumatori e sulle imprese.  Galeotti ribadisce, così come si legge nel testo della Commissione, che la priorità va accordata a misure mirate, in grado di attenuare rapidamente l’effetto degli aumenti sui consumatori vulnerabili e sulle piccole imprese. In concreto, tra le misure immediate Galeotti cita le più importanti:  offrire un sostegno di emergenza al reddito dei consumatori in condizioni di povertà energetica, ad esempio attraverso buoni o pagamenti parziali delle bollette, che possono essere finanziati con i proventi del sistema Ue di scambio di quote di emissioni; autorizzare proroghe temporanee per il pagamento delle bollette; predisporre misure di salvaguardia per evitare la sconnessione delle utenze dalla rete; introdurre temporaneamente riduzioni mirate dell’aliquota d’imposta per le famiglie vulnerabili; fornire aiuti alle imprese e alle industrie, in linea con le norme Ue sugli aiuti di Stato; indagare su potenziali comportamenti anticoncorrenziali nel mercato dell’energia; agevolare l’accesso ad accordi di compravendita di energia elettrica da fonti rinnovabili e predisporre misure di accompagnamento.

Misure di emergenza e prospettive sostenibili

Queste misure – sottolinea Galeotti – devono poter essere ricalibrate con facilità in primavera, quando si prevede che la situazione si stabilizzi, e non devono ostacolare la transizione a lungo termine e gli investimenti in fonti di energia più pulite. Dunque, dopo aver ribadito la necessità di misure di emergenza che possano evitare costi eccessivi per i cittadini e dunque contrastare anche la ripresa, Galeotti però ricorda che deve trattarsi di misure temporanee che devono poi tornare a lasciare il passo alla tendenza a superare la carbonizzazione e a puntare sulle energie rinnovabili. Altrimenti si rischia che il risultato finale sia un freno alle importanti svolte in campo di energia e sostenibilità che siamo chiamati a fare per tutelare il pianeta.

Dietro le dinamiche del mercato

Secondo quanto sottoscritto al Consiglio europeo, che si conclude oggi, la Commissione e il Consiglio Ue sono sollecitati “a considerare misure di medio e lungo termine che contribuirebbero a determinare un prezzo accessibile dell’energia per le famiglie e le imprese, che aumenti la resilienza del sistema energetico dell’Ue e del suo mercato interno dell’energia, che fornisca sicurezza degli approvvigionamenti e sostenga la transizione verso la neutralità climatica”, e questo sempre “tenendo conto della diversità e specificità della situazione in ciascuno Stato membro”.

Germano Dottori, docente di Studi strategici alla Luiss spiega a Vatican News quali siano le dinamiche di mercato da valutare.

La principale motivazione dei rincari, spiega Dottori, è l’aumento delle quotazioni delle materie prime energetiche e soprattutto del gas naturale per cui l’Europa dipende dall’estero. La crescita economica globale – spiega – ha spinto la domanda di energia, mentre la produzione e il trasporto faticano a stare dietro i nuovi ordini europei. Si tratta – sottolinea Dottori – di un meccanismo di mercato già noto e che mai in precedenza ha visto invertire la rotta in tempi brevi. Si tratta di una sorta di onda lunga in concomitanza con la ripresa economica dopo il forte stop durante il periodo acuto di pandemia. Le raccomandazioni emerse dal Consiglio europeo, secondo Dottori, confermano che nessuno dei leader europei ha intenzione di frenare la ripresa appesantendo troppo i costi e dunque minando la ripresa dei consumi.

In secondo luogo, secondo gli esperti contribuiscono al rincaro anche gli alti prezzi dei permessi di emissione di CO2. L’assolvimento degli obblighi del mercato Ets delle quote dei gas inquinanti è un elemento di costo nei mercati energetici, che influisce sui prezzi all’ingrosso e, quindi, su quelli finali: le aziende che producono anidride carbonica devono pagare per questo, comprando quote di emissioni nel sistema europeo Ets. Il prezzo di queste quote viene aumentato gradualmente, per spingere le aziende a decarbonizzare. L’aumento fa sì che i consumatori del carbone si spostino verso il gas, e quindi delle tariffe in bolletta. Inoltre, la maggior parte delle centrali in cui si produce corrente sono centrali termoelettriche. Vuol dire che per produrre energia elettrica si brucia soprattutto gas. Per questo ad aumentare sono anche i costi nella bolletta della luce.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-10/consiglio-europeo-costi-energia-prezzi-cittadini-consumatori.html

Le questioni giuridiche sullo sfondo del vertice Ue dedicato a Covid e prezzi energetici

“Dobbiamo trovare modi e possibilità per raggiungere un terreno comune”. E’ l’auspicio espresso da Angela Merkel al suo ultimo vertice da cancelliera in cui pesa, tra gli altri temi, il dibattito sul diritto comunitario sollevato dalla Polonia. La questione va affrontata in un quadro giuridico ampio e possibilmente non politicizzato, sottolinea Francesco Tufarelli, mentre Fulco Lanchester ricorda i limiti dei Trattati europei rispetto alla mancata Costituzione

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Sono tanti gli argomenti al centro della riunione del Consiglio europeo ieri e oggi a Bruxelles. E’ l’ultimo vertice cui partecipa  Angela Merkel come cancelliera della Germania, il 107esimo della sua carriera. All’ordine del giorno compaiono tutti temi per i quali si cercano strategie comuni o maggiore coordinamento: pandemia, crisi dei prezzi energetici, dossier migranti,  commercio e transizione digitale. E c’è poi il dibattito aperto in tema di diritto comunitario.

Sullo sfondo del vertice il caso Polonia

I media presentano un’Unione europea spaccata sulla vicenda che riguarda la Polonia, cioè i vari ricorsi presentati dal 2018 dalla Commissione europea alla Corte Ue a proposito della riforma della magistratura decisa da Varsavia. L’ultimo, presentato nella scorsa primavera, è nei confronti della Corte costituzionale di Varsavia, che, dopo aver confermato in questi anni la legittimità delle misure del governo nell’ambito della giustizia e della magistratura, a inizio ottobre ha decretato che alcuni articoli dei Trattati europei sono “incompatibili” con la Costituzione dello Stato polacco, aggiungendo che le istituzioni comunitarie “agiscono oltre l’ambito delle loro competenze”. Ieri, mentre si riuniva il Consiglio dei capi di Stato e di governo, l’Europarlamento in seduta plenaria ha approvato con 502 voti favorevoli, 153 contrari e 16 astensioni, una risoluzione in cui si “deplora profondamente” il pronunciamento della Corte costituzionale polacca del 7 ottobre 2021, “in quanto attacco alla comunità europea di valori e leggi nel suo complesso”, e si afferma che il Tribunale è stato trasformato “in uno strumento per legalizzare le attività illegali delle autorità”.  Mercoledì scorso, di fronte agli eurodeputati sono intervenuti la  presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro di Varsavia, Mateusz Morawiecki. La presidente della Commissione europea ha sottolineato che in discussione c’è il primato del diritto comunitario, ma che in ballo c’è lo stato di diritto. Secondo la von der Leyen, si intravede una sfida diretta all’unità dell’ordinamento giuridico e ad un “pilastro essenziale” dell’Ue, che “mette a rischio la democrazia europea”. Di ricatto e di sovranità rivendicata ha parlato Morawiecki.

L’appello all’unità

“Una valanga di cause legali alla Corte di giustizia europea non è la soluzione al problema dello stato di diritto” nell’Unione europea. E’ quanto ha dichiarato la cancelliera tedesca, Angela Merkel, riferendosi al confronto in atto tra Bruxelles e la Polonia prima dell’inizio del vertice dei leader Ue a Bruxelles. La questione – ha osservato Merkel – è “come i singoli Stati membri immaginano che sia l’Unione europea, un’Unione sempre più integrata” oppure fatta da “più Stati nazionali”, e “questo non è certamente solo un problema tra la Polonia e la Ue”. Secondo la cancelliera, la Conferenza sul futuro dell’Europa è “un buon luogo” per discuterne. Si tratta della piattaforma di confronto anche con i cittadini che sarebbe dovuta iniziare il 9 maggio 2020, ma che, a causa della pandemia di COVID-19, ha preso il via il 9 maggio 2021,  71 anni dopo la dichiarazione di Schuman.

Le questioni giuridiche

Di punti nevralgici delicati di una costruzione europea sempre in fieri, che toccano la questione della Polonia e non solo, abbiamo parlato con Francesco Tufarelli, docente di Scienza dell’Amministrazione all’Università Guglielmo Marconi e presidente del network di studi Europolitica:

La prima “debolezza” – spiega Tufarelli – è che il diritto europeo non copre tutto lo scibile dei Paesi e questo accade perché in Europa al momento di unirsi i Paesi avevano già una significativa storia moderna alle spalle e forti Costituzioni nazionali. Non si può parlare di federazione, come nel caso degli Stati Uniti, per vari motivi e essenzialmente anche proprio perché gli Stati Uniti nascono in sostanza nel momento in cui si fondono realtà recenti e non organizzate come invece gli Stati europei. E’ una caratteristica che presenta debolezze, ma è anche la ricchezza dell’Ue che ha al suo interno Paesi che non hanno scelto la federazione, ma un’unione nella diversità. Si tratta di accordi tra Paesi che hanno ognuno una legislazione con una storia importante che nessuno ha voluto o vuole cancellare. Non può che trattarsi, dunque, di un lento processo di confronto e armonizzazione del diritto in una situazione in cui pesa il fatto che da una parte ci sono Costituzioni nazionali e dall’altra Trattati. E Tufarelli ricorda altri casi di confronto, per esempio quello con la Corte costituzionale tedesca anni fa. Il rischio – mette in luce lo studioso – è che il dibattito, che deve essere portato avanti sul piano giuridico più proprio, balzi alle cronache come caso politicizzato, e dunque esasperato nei toni e nelle possibili conseguenze. In ogni caso, la problematica esiste – ammette Tufarelli – e va affrontata cercando di costruire piani di incontro oltre che di confronto e ricordando che la costruzione europea non può essere un percorso continuo solo sul piano economico, ma appunto deve esserlo anche sul piano giuridico, affrontando – afferma – materia per materia, come alcune questioni legate allo stato di diritto. Anche se – ribadisce Tufarelli – i valori fondanti sono chiari, come quelli democratici, rimangono spazi di interpretazione da affrontare.

Una questione che affonda le radici nella mancata adozione di una Costituzione europea sostituita piuttosto da Trattati, come sottolinea il costituzionalista Fulco Lanchester:

Il costituzionalista spiega che agli inizi del 2000 ci si è fermati a un trattato rinunciando alla Costituzione, che avrebbe significato superare l’elemento del diritto internazionale pubblico, cioè avrebbe comportato quel salto di qualità in grado di regolare davvero i rapporti tra  sovranità nazionali e struttura comunitaria,  tra centro e periferia. Secondo Lanchester sarebbe il momento di porsi l’obiettivo di questo salto di qualità, importante per evitare altre discussioni e altre eventuali ipotesi di uscita di altri Stati membri, come quella avvenuta con la Brexit.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-10/unione-europea-polonia-trattati-costituzione-democrazia-vertice.html

Il Papa: episcopato è il nome di un servizio non di un onore

Vicinanza a Dio, agli altri vescovi, ai sacerdoti e al gregge: la chiede il Papa all’ordinazione episcopale di monsignor Guido Marini e di monsignor Andrés Gabriel Ferrada Moreira. Francesco, nella celebrazione in San Pietro, parla di “alta responsabilità ecclesiale” sottolineando che “al vescovo compete più il servire che il dominare”

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Chi è il più grande tra voi, diventi come il più piccolo. E chi governa, come colui che serve”. Questo è l’insegnamento di Gesù, come ricorda Papa Francesco alla celebrazione di questa mattina nella Basilica di San Pietro dell’ordinazione episcopale di monsignor Guido Marini, nominato vescovo di Tortona, e di monsignor Andrés Gabriel Ferrada Moreira, dal 1 ottobre Segretario della Congregazione per il Clero.  In loro, nuovi vescovi è “presente lo stesso Signore nostro Gesù Cristo, sommo sacerdote in eterno”, spiega Francesco nell’omelia:  “Cristo, che continua a predicare il Vangelo di salvezza e a santificare i credenti” e nella “paternità del vescovo accresce di nuove membra il suo corpo, che è la Chiesa”. “È Cristo che nella sapienza e prudenza del vescovo guida il popolo di Dio nel pellegrinaggio terreno fino alla felicità eterna”.

L’alta responsabilità del servizio

Francesco parla di “alta responsabilità ecclesiale” alla quale vengono chiamati i nuovi vescovi, ricordando che “Gesù Cristo inviato dal Padre a redimere gli uomini mandò a sua volta nel mondo i dodici apostoli, perché pieni della potenza dello Spirito Santo annunziassero il Vangelo a tutti i popoli e riunendoli sotto un unico pastore, li santificassero e li guidassero alla salvezza”. L’invito è a riflettere:

Siete stati scelti fra gli uomini e per gli uomini, siete stati costituiti – non per voi, per gli altri – nelle cose che riguardano Dio. “Episcopato” infatti è il nome di un servizio – non è vero episcopato senza servizio -, non di un onore, come volevano i discepoli, uno alla destra, uno alla sinistra, poiché al vescovo compete più il servire che il dominare, secondo il comandamento del Maestro: “Chi è il più grande tra voi, diventi come il più piccolo. E chi governa, come colui che serve”. Servire. E con questo servizio voi custodirete la vostra vocazione e sarete autentici pastori nel servire, non negli onori, nella potestà, nella potenza… No, servire, sempre servire.

Annuncio e studio

Guardando poi al ruolo dei nuovi vescovi nella comunità dei credenti Francesco rimarca le priorità a cominciare dall’annuncio della Parola “in ogni occasione: opportuna e non opportuna. “Ammonite, rimproverate, esortate con magnanimità e dottrina”. E poi l’invito: “Continuate a studiare”. Francesco indica una via precisa: “Mediante l’orazione e l’offerta del sacrificio per il vostro popolo, attingete dalla pienezza della santità di Cristo la multiforme ricchezza della divina grazia”.

Il valore della vicinanza “traccia di Dio”

“Voi sarete i custodi della fede, del servizio, della carità nella Chiesa”, dice il Papa agli ordinandi e sottolinea che per questo bisogna essere capaci di vicinanza.  “Pensate – afferma – che la vicinanza è la traccia più tipica di Dio”. E cita il Deuteronomio: “Quale popolo ha i suoi dei così vicini come tu hai me?”. Dunque invita a cogliere i tanti livelli della vicinanza richiesta. Innanzitutto chiede “una vicinanza che è compassione e tenerezza” spiegando: “Il vescovo è un uomo vicino a Dio nella preghiera”.  Ricorda la raccomandazione di Pietro: “La preghiera e l’annuncio della Parola”.

Il primo compito del vescovo è pregare e non come un pappagallo, no! Pregare con il cuore, pregare. “Non ho tempo”. No! Togli tutte le altre cose ma pregare, è il primo compito del vescovo. Vicinanza a Dio nella preghiera.

Poi la seconda vicinanza raccomandata da Francesco è quella agli altri vescovi. Ricorda che a volte si sente dire: “No,  quelli sono di quel partito, io sono di questo partito…” e ammonisce:

Siate vescovi, ci saranno discussioni fra voi, ma come fratelli ma vicino. Mai sparlare dei fratelli vescovi, mai. Vicinanza ai vescovi. Seconda vicinanza, al corpo episcopale.

Terzo livello di vicinanza, quella ai sacerdoti: “Per favore, non dimenticatevi che i sacerdoti sono i prossimi più prossimi di voi”, dice, rammaricandosi di quando i vescovi hanno l’agenda piena e rimandano un incontro con un sacerdote:

Se tu vieni a sapere che ti ha chiamato un sacerdote, chiamalo lo stesso giorno o il giorno dopo. Lui con questo, saprà che ha un padre. Vicinanza ai sacerdoti, e se non vengono va a trovarli: vicino.

E “quarta vicinanza, vicinanza al santo popolo fedele di Dio”. Il Papa ricorda le parole di Paolo a Timoteo: “Ricordati di tua mamma, tua nonna…”, per poi aggiungere: “Non dimenticare che sei stato tolto dal gregge, non da una élite che ha studiato, ha tanti titoli e tocca essere vescovo. No: dal gregge.” Quindi l’invocazione finale:

Che il Signore vi faccia crescere su questa strada della vicinanza, così imiterete meglio il Signore perché Lui è stato sempre vicino e sta sempre vicino a noi e con la sua vicinanza che è una vicinanza compassionevole e tenera ci porta avanti. E che la Madonna vi custodisca.

Il saluto e il grazie dei nuovi vescovi

Prendendo la parola al termine della celebrazione monsignor Guido Marini manifesta a nome anche di monsignor Ferrada Moreira il “grazie” personale innanzitutto al Papa per la fiducia e i tanti segni di amore espressi nel tempo. “Grazie” una parola breve, dice, ma colma di sentimenti, pensieri e desideri.  Siamo piccolissimi, ma scelti, amati e inviati”. Quindi il ringraziamento a tutta la comunità per le preghiere e l’affetto manifestati, un pensiero speciale e commosso alle famiglie di origine.

Monsignor Guido Marini è  stato nominato vescovo di Tortona e farà il suo ingresso nella  diocesi tortonese domenica 7 novembre, prendendo possesso della cattedra di san Marziano come successore di monsignor Vittorio Francesco Viola, nominato nel maggio scorso segretario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Monsignor Marini era stato nominato il 1° ottobre del 2007 da Papa Benedetto XVI Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie e Prelato d’Onore di Sua Santità, poi confermato in questo incarico nel 2013  da Papa Francesco. E’ nato a Genova il 31 gennaio 1965 ed è stato ordinato sacerdote il 4 febbraio 1989 dal cardinale Giovanni Canestri di cui è stato anche segretario.

Monsignor Andrés Gabriel Ferrada Moreira è stato nominato dal 1 ottobre segretario della Congregazione per il Clero e gli è stata assegnata la Sede titolare Arcivescovile di Tiburnia.   E’ nato a Santiago de Chile il 10 giugno 1969. È stato ordinato sacerdote per l’arcidiocesi metropolitana di Santiago del Cile il 3 luglio 1999. Ha conseguito il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana nel 2006. Ha svolto diversi incarichi pastorali in diocesi, tra cui quello di direttore degli studi e prefetto di teologia del Seminario Pontificio Mayor de los Santos Ángeles Custodios, a  Santiago del Cile. Dal 2018 fino al 1 ottobre scorso è stato officiale della Congregazione per il Clero.

A presentare durante la celebrazione gli eletti è stato il cardinale Marc Armand Ouellet, Prefetto della Congregazione per i vescovi e presidente della Pontificia commissione per l’America Latina.

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Mai più fame: appello ai leader mondiali in vista del G20

In occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione il 16 ottobre e in vista del summit finale del G20 a fine mese, Azione contro la fame presenta il manifesto firmato da decine di volti noti del giornalismo, della cultura, dello sport. Ci sarebbe cibo per tutti se non ci fossero guerre, diseguaglianze, cambiamenti climatici, ricorda il direttore generale dell’organizzazione umanitaria Simone Garroni

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Si intitola “Mai più Fame”, il manifesto voluto dall’organizzazione umanitaria Azione contro la fame e presentato ieri,  in vista della  Giornata mondiale dell’Alimentazione, il 16 ottobre, e dei prossimi appuntamenti internazionali, a cominciare dal summit finale del G20, il 30-31 ottobre, sotto la presidenza italiana. Molti i personaggi del mondo dello spettacolo, della cultura, del giornalismo e del cinema che lo hanno sottoscritto.

Evitare la strage per fame nel mondo si può: i leader mondiali devono dimostrare la volontà politica di contrastare le cause strutturali, sottolinea il direttore generale di Azione contro la fame, Simone Garroni:

Il  manifesto – sottolinea Garroni –  parte dall’assunto che è inaccettabile che ci siano  811 milioni di persone che soffrono la fame e oltre 2 milioni di bambini che muoiono ogni anno a causa della malnutrizione. Dobbiamo ricordarci – raccomanda – che il pianeta è in grado di produrre cibo a sufficienza per tutti, cure contro la malnutrizione infantile da tempo disponibili, efficaci e a basso costo, progetti di cooperazione in grado di realizzare l’autosufficienza delle comunità vulnerabili. Il punto è – ribadisce –  che siamo la prima generazione della storia che può eliminare la fameEppure, negli ultimi cinque anni, la fame è tornata a crescere affermandosi, in Italia e nel mondo, come piaga contemporanea: è inaccettabile! La fame è creata dall’uomo e i nostri leader devono avere più coraggio e dimostrare la volontà politica di combatterne le ragioni di base: conflitti, diseguaglianze e cambiamenti climatici.

L’obiettivo per tutti

Il manifesto-appello, ha un duplice obiettivo: mobilitare la società civile sulla piaga contemporanea dell’insicurezza alimentare e spingere i leader nazionali ed internazionali, a partire dal prossimo G20 a guida italiana, ad interventi concreti e coraggiosi che vadano ad intaccare le cause strutturali della fame. Garroni ricorda che una persona affamata non è una persona libera e che la fame tradisce gli intenti della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, per la quale “tutti gli essere umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti”. Ad accompagnare il manifesto c’è un filmato in collaborazione con il regista, sceneggiatore e produttore cinematografico Armando Trivellini, che alterna testimonianze dal campo con alcuni celebri discorsi tenuti da Martin Luther King, Ghandi e Greta Thunberg.

Alcuni dati

Se pensiamo all’obiettivo ‘zero hunger’ tracciato dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile – prosegue Simone Garroni – capiamo che ci vuole evidentemente un cambio di passo. L’ultimo Rapporto sull’insicurezza alimentare mondiale diffuso dalla FAO (SOFI 2021, The State of Food Security and Nutrition), testimonia che, nell’ultimo anno, sono aumentate di 161 milioni le persone che soffrono la fame. Il Global report on Food Crisis 2021 evidenzia il drammatico ruolo delle guerre: sei persone su 10 tra quelle che soffrono la fame vivono in aree di conflitto. E fa riferimento agli effetti dei cambiamenti climatici: per 15 milioni di persone che vivono di agricoltura e allevamento rappresentano il primo fattore di insicurezza alimentare. E poi denuncia le diseguaglianze economiche, sociali e di genere che rendono i più deboli particolarmente vulnerabili agli shock e alle crisi economiche: sono responsabili del 26 per cento delle situazioni di insicurezza alimentare globale.

I compiti della politica

Garroni spiega che con “Mai più Fame”, Azione contro la Fame – che nel 2020 ha aiutato oltre 25 milioni di persone in quasi 50 Paesi del mondo – intende ribadire che per liberare il mondo da questa piaga è necessario il massimo coinvolgimento della politica al fine di: riconoscere la lotta alla fame e alla malnutrizione come priorità nazionale ed internazionale di ogni governo; fermare l’utilizzo della fame come arma di guerra; contrastare le disuguaglianze e promuovere il ruolo delle donne; fermare il cambiamento climatico e trasformare i sistemi alimentari per renderli più equi e sostenibili. “La fame – afferma Garroni – è un problema complesso e richiede un intervento multisettoriale e a vari livelli, con il coinvolgimento di cittadini, imprese ed istituzioni. Ma è una questione fondamentale di civiltà e di diritti, oggi più centrale che mai, e noi non ci arrenderemo fino a che non verrà garantito ad ogni persona, oggi e domani, in Italia e nel mondo, il diritto al cibo, all’acqua e ai mezzi necessari per garantire la salute e il benessere proprio e della propria famiglia”.

L’opportunità del G20

Il gruppo dei 20 Paesi che rientrano tra le principali economie del mondo – rappresentano più del 80 per cento del PIL mondiale, il 75 per cento del commercio globale e il 60 per cento della popolazione del pianeta – si ritrovano nel summit di fine ottobre ancora sotto la presidenza italiana intorno al tema  “Persone, Pianeta, Prosperità”. Un’importante occasione per rilanciare la centralità dell’accesso al cibo e alla sana alimentazione. L’Italia, ospite delle sedi di FAO, WFP e IFAD,  che ha recentemente ospitato i prevertici del Food System Summit e della COP26, è chiamata, secondo Azione contro la fame, ad avere la vocazione ad un ruolo chiave nella lotta alla fame nel mondo. Il Manifesto, insieme con un video realizzato da studenti, grazie all’iniziativa nelle scuole di Azione contro la fame, viene presentato al presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi. Emergono raccomandazioni precise: prevedere per il 2022 un fondo di solidarietà alimentare e sostegno alle famiglie in Italia adeguato ai bisogni delle fasce deboli della popolazione; impegnarsi in un ambizioso piano di sostegno finanziario al prossimo Nutrition For Growth summit di Tokyo a dicembre 2021 e aumentare progressivamente l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo per la cooperazione internazionale fino a raggiungere lo 0,7 per cento del PIL entro il 2030; adoperarsi per la piena implementazione della “Risoluzione 2417” che sanziona l’uso della fame come arma di guerra; dare nuovo impulso agli Accordi di Parigi del 2015 per contenere il surriscaldamento globale entro +1,5°C; promuovere lo sviluppo prioritario dell’agroecologia come strumento per assicurare sicurezza alimentare alle popolazioni più vulnerabili.

Tra gli scenari più urgenti

In particolare, con la campagna “Mai più fame”, nei prossimi cinque anni Azione contro la fame punta a raccogliere fondi per finanziare quattro progetti che agiscono anch’essi sulle cause strutturali della fame: nella secca regione del Sahel, per guidare gli allevatori verso i pascoli migliori grazie alle immagini satellitari; in Libano, per sostenere le popolazioni vittime del conflitto della vicina Siria; in India, realizzando orti giardino che migliorino il reddito, la sicurezza alimentare e il ruolo sociale delle donne; in Italia, dove con un sostegno alla spesa, un’educazione alimentare per una dieta sana e un’attività di formazione personale e professionale Azione contro la Fame consentirà alle famiglie vulnerabili della periferia milanese di passare dall’emergenza all’autonomia.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-10/fame-ambiente-poverta-guerra-clima-leader-g20.html

Dalla millenaria chiesa di St. Moritz un messaggio di modernità

L’aspirazione alla fraternità espressa in una chiesa molto antica che sceglie uno stile al passo dei tempi: accade ad Augsburg, in Germania, dove la parrocchia di St. Moritz, che risale al 1020, è stata appena restituita al culto dopo il restauro. Nella cura dell’antico c’è il messaggio della chiesa proiettata al futuro dettato dalla enciclica Fratelli tutti, come spiega il parroco don Helmut Hang

Fausta Speranza – Città del Vaticano

In Germania le celebrazioni del millennio della chiesa di St. Moritz ad Augsburg sono cadute nel 2020 in piena pandemia. La parrocchia dunque torna pienamente al  culto dei fedeli solo ora, dopo un impegnativo restauro. Completata nel 1020 è stata per secoli un punto di riferimento importante nella cittadina bavarese fondata con il nome di Augusta dai romani. Oltre a cambiamenti e incendi nei secoli, ha subito devastanti bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. In occasione del prezioso millenario anniversario, è stata dunque oggetto di particolari cure.

Un impegnativo restauro

A seguire i lavori è stato lo studio dell’architetto britannico John Pawson, noto per lo stile minimalista. Il risultato sono pareti bianche in una struttura altissima e allungata, con solo alcune preziosità, statue o stele, della struttura precedente incastonate nei muri. Si è voluto ‘risintonizzare’ l’architettura esistente attraverso prospettive estetiche, funzionali e liturgiche, mantenendo l’atmosfera sacra sempre al centro del progetto. La costruzione è stata riportata alle sue componenti essenziali. I reperti importanti sono stati puliti e trasferiti, stabilendo campi visivi  chiari e diretti e dando ampio spazio alla luce naturale. Ma si avverte anche il piacevole effetto di materiali e metodi di illuminazione moderni.

Il segno dell’accoglienza e il richiamo alla Fratelli tutti

Una grande statua è stata voluta dietro l’altare: è Cristo rappresentato in movimento. Tutto lo spazio volutamente recuperato è per avere al centro di tutto Cristo che viene ad incontrare ognuno a braccia aperte, spiega, don Helmut Hang, alla guida della millenaria chiesa.

Ascolta l’intervista integrale a don Helmut Hang in lingua inglese:

L’obiettivo del restyling – afferma il parroco di St. Moritz con entusiasmo – è  restituire lo spirito dei tempi della costruzione antica suggerendo che Cristo è per il futuro. E nel futuro delle nostre vite – sottolinea don Helmut – deve trovare spazio l’aspirazione mondiale alla fraternità e all’amicizia sociale, contenuta nell’enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco, pubblicata a ottobre dell’anno scorso. Chi si avvicina – sottolinea il parroco  – deve sentire che come Cristo, c’è una comunità pronta ad accogliere a braccia aperte. La sfida vera – afferma il parroco di St. Moritz – è ristrutturare non solo i muri ma le comunità. Don Helmut ricorda la ferita gravissima e il dolore profondo per gli scandali legati agli abusi per sottolineare che dobbiamo ripartire dalle fondamenta, dalla consapevolezza della presenza di Dio e del fatto che siamo tutti fratelli perché figli di un unico Creatore, bisognosi di prendere coscienza che in un mondo globalizzato e interconnesso ci si può salvare solo insieme. E questo – aggiunge don Helmut – è quanto dobbiamo sentire nel cuore quando nelle chiese entrano credenti o magari non credenti che cercano risposte o silenzi, perché avvertono – dice – quel bisogno di Dio riposto nel cuore di ognuno. O anche quando si incontrano fedeli di altre confessioni religiose. Don Helmut ricorda ancora che Papa Francesco sottolinea che un mondo più giusto si raggiunge promuovendo la pace, che non è soltanto assenza di guerra, ma una vera e propria opera “artigianale” che coinvolge tutti. E che può iniziare – dice il parroco  – con il riscoprire Cristo che ci viene incontro a braccia aperte.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2021-10/chiesa-millennio-baviera-germania-st-moritz-fratelli-tutti.html

Il Nobel per l’economia a studi empirici sul lavoro

Il canadese David Card e gli statunitensi Joshua D. Angrist e Guido W. Imbens sono i vincitori del Premio Nobel per l’economia 2021. Hanno fornito nuove informazioni sul mercato del lavoro e hanno studiato i difficili margini di analisi sulle relazioni causa-effetto che si possono avere in una disciplina sociale e non naturale come quella economica, spiega lo studioso Paolo Guerrieri

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il Premio Nobel per l’economia 2021 è stato assegnato oggi al canadese David Card, e agli statunitensi Joshua D. Angrist e Guido W. Imbens. I vincitori – spiega l’accademia – “hanno fornito nuove informazioni sul mercato del lavoro e hanno mostrato quali conclusioni su causa ed effetto si possono trarre dagli esperimenti naturali. Il loro approccio si è diffuso in altri campi e ha rivoluzionato la ricerca empirica”.  Card,  “ha analizzato gli effetti sul mercato del lavoro di salari minimi, immigrazione e istruzione”. Joshua D. Angrist e Guido W. Imbens hanno offerto “contributi metodologici all’analisi delle relazioni causali”.

L’economista Paolo Guerrieri, docente in diversi atenei internazionali,  spiega come si tratti di studi di tipo empirico:

Guerrieri sottolinea che si tratta di un Nobel assegnato non in base a canoni di studio per così dire “astratti” ma piuttosto empirici, che si avvicinano ai principi di esperimenti naturali.  David Card – spiega –  ha analizzato gli effetti sul mercato del lavoro di salari minimi, immigrazione e istruzione. I suoi studi dei primi anni “90 hanno sfidato le nozioni convenzionali, portando a nuove analisi e ulteriori intuizioni. I risultati hanno mostrato, tra l’altro, che l’aumento del salario minimo non porta necessariamente a un minor numero di posti di lavoro. Oppure sono stati analizzati ad esempio i redditi delle persone nate in un Paese e quelli delle persone immigrate in precedenza. Guerrieri mette in guardia da facile determinismo tra causa ed effetto: in economia – sottolinea – non è possibile fare le verifiche in laboratorio e le contro verifiche, che è possibile fare nelle scienze naturali.  Ma è importante – aggiunge – spingersi sul terreno delle ipotesi e degli studi anche con questo tipo di approccio. Ed è quanto hanno fatto i tre studiosi che – afferma Guerrieri – hanno lavorato a volte insieme anche se in particolare gli studi premiati sono studi sostanzialmente paralleli. Dunque si capisce secondo Guerrieri la motivazione: “Molte delle grandi domande nelle scienze sociali riguardano causa ed effetto”, ha spiegato la Royal Swedish Academy of Sciences aggiungendo che “i vincitori di quest’anno hanno dimostrato che è possibile rispondere a queste e ad altre domande simili utilizzando esperimenti naturali. La chiave secondo gli esaminatori, “sta nell’usare situazioni in cui eventi casuali o cambiamenti politici hanno come risultato che ci siano gruppi di persone trattati in modo diverso, in un modo che assomiglia ai trial clinici in medicina”. Sullo sfondo di questo Premio – commenta Guerrieri – rimangono le sfide globali sul lavoro. Resta tanto da fare e ci vuole molta volontà politica per contrastare il fenomeno della disoccupazione che colpisce anche se in modo diverso la maggior parte delle  aree del mondo. Questo Premio Nobel in fondo ricorda – afferma Guerrieri – che servono attenzione e studi fattuali. Certamente torna evidente – aggiunge l’economista – il primato delle università statunitensi quando si tratta di verificare da dove provengono gli studi più avanzati in tema di economia.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-10/nobel-svezia-academy-economia-canada-stati-uniti.html

Premio Nobel per la Pace a due giornalisti

La libertà di espressione contribuisce alla costruzione di società di pace: è il messaggio che emerge dalla scelta di assegnare a due reporter il Premio Nobel per la Pace 2021. Il buon giornalismo può aiutare a comprendere le ragioni dell’altro e ad essere meno ostili, sottolinea l’editorialista Giampiero Gramaglia

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il Premio Nobel per la Pace è andato a Maria Ressa e Dmitry Muratov, entrambi impegnati nella tutela della libertà di espressione. Ressa, filippina, co-fondatrice di Rappler, sito di giornalismo investigativo, “usa la libertà di espressione per esporre l’abuso di potere, l’uso della violenza e il crescente autoritarismo”. Secondo la commissione di Oslo, Ressa si è dimostrata una “paladina senza paura della libertà di espressione”. Il russo Muratov, direttore di Novaya Gazeta è stato nel 1993 proprio tra i fondatori della testata “il cui giornalismo basato sui fatti e l’integrità professionale ne hanno fatto una fonte importante di informazione su aspetti censurabili della società russa, raramente menzionati su altri media”. “Da quando è stato aperto, sei dei suoi giornalisti sono stati uccisi”, ha ricordato la Commissione. Muratov è il terzo russo a ricevere il Nobel per la Pace dopo Andrey Sakharov e Mikhail Gorbaciov.

Del significato della scelta di assegnare il Nobel per la Pace a reporter, parla a Vatican News Giampiero Gramaglia. Secondo il consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali, già direttore dell’Ansa, la libertà di informazione contribuisce alla pace perché migliora la consapevolezza delle popolazioni su quanto accade, e aiuta a valutare e affrontare i problemi in modo più consapevole e non in base a pulsioni o a istinti.

La libertà di espressione – sottolinea Gramaglia che prima di diventare direttore dell’Ansa è stato per anni corrispondente dell’agenzia di stampa da Bruxelles, Parigi e Washington – è una precondizione per cercare di avere buona informazione, che significa anche contribuire a una migliore comprensione della realtà. In concreto, solo con una buona informazione si possono mettere le persone in grado di capire le ragioni degli altri, che significa essere anche meno ostili. In questo senso il buon giornalismo contribuisce alla pace. E’ difficile – sottolinea Gramaglia – comprendere l’altro quando si resta intrappolati nel proprio mondo, nelle proprie condizioni.

Un riconoscimento che fa riflettere tutti

Gramaglia mette in luce inoltre un aspetto in particolare: al di là dei nomi dei giornalisti e del valore che va riconosciuto al loro lavoro, questo Premio Nobel ha una doppia valenza. Secondo l’editorialista, da un lato è un riconoscimento che ribadisce l’importanza dell’impegno di quanti difendono la libera informazione in contesti dove la democrazia è incompiuta, ma dall’altro ricorda anche che bisogna valorizzare e difendere il lavoro del corretto reporter anche in contesti di democrazia acquisita dove c’è sempre il rischio che essa sia compromessa nei valori. A proposito del fenomeno delle fake news, Gramaglia spiega che si deve parlare non tanto di evoluzione politica quanto di evoluzione dell’industra dell’informazione. Il problema di fondo è quello di una percezione, che sembra diffusa, della notizia come di un prodotto senza valore, per il quale non si debba spendere. E invece non può essere uguale un’informazione passata al vaglio da professionisti competenti e una proposta sui social da improvvisati divulgatori. Certamente la libertà di espressione è da tutelare, ma è cosa diversa difendere la differenza tra notizie verificate e notizie non verificate.  Gramaglia ricorda che non esiste un contesto esente da rischi o un’età dell’oro del giornalismo da rimpiangere perché – sottolinea – sempre c’è stato e sempre ci sarà il rischio di avere giornalisti assoggettati al potere. L’importante è difendere il principio che il giornalismo sia come un “cane da guardia” di qualunque potere o meccanismo di potere, un campanello di allarme per qualunque, sempre possibile, deviazione di un rapporto corretto e equilibrato. L’obiettivo – torna a sottolineare ribadendo il significato del premio – è quello di avere persone, comunità, società bene informate e dunque per questo meno prevenute e meno ostili all’altro.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-10/premio-nobel-pace-giornalista-filippine-russia-fake-news.html

In Sierra Leone il riscatto degli ex bambini soldato

Formare e seguire i giovani in Sierra Leone a quasi venti anni dalla conclusione del conflitto civile: è l’obiettivo oggi dei salesiani, presenti da tempo nel piccolo Paese dell’Africa occidentale. Fratel Riccardo Racca parla delle conseguenze su una generazione e su tutta la società delle violenze e del fenomeno dei bambini soldato e denuncia la piaga ancora viva della prostituzione minorile

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il dramma dei bambini soldato, la guerra dei diamanti, ebola: sono i drammatici temi per i quali, per alcuni anni, si è parlato di  Sierra Leone, piccolo Paese nell’Africa occidentale che in passato è stato anche terra di tratta di esseri umani.  Nonostante le ingenti somme ricevute dalla comunità internazionale, rimane uno dei Paesi più poveri del mondo.

Il decennio di guerra civile

Nel 1991 è scoppiato il conflitto  fra i ribelli del Fronte Unito Rivoluzionario, sostenuti dalle forze speciali del NPFL e le forze governative comandate da Joseph Saidu Momoh. Dopo  undici anni di scontri, che hanno causato oltre 50 000 vittime, nel 2002 hanno prevalso le forze governative.

L’impegno dei salesiani

Da 20 anni sono presenti i salesiani e da 10 mesi alla piccola comunità nel distretto di Bo, nella provincia del sud, il più popoloso dopo quello della capitale Freetown, si è aggiunto fratel Riccardo Racca:

Non ci sono più casi di bambino soldato, assicura fratel Riccardo spiegando però che purtroppo è lunga l’onda delle conseguenze in termini di traumi di fenomeni così drammatici. Sono colpiti in primis i giovani ma anche tutto il tessuto sociale. Spiega che i salesiani sono arrivati in Sierra Leone proprio per affrontare questo fenomeno che si lega a tutte le atrocità di una guerra civile che – afferma – non si può dire sia stata frutto della volontà del popolo. La cosiddetta guerra dei diamanti infatti è al centro di interessi e dinamiche ben più ampie.

Le emergenze oggi

C’è l’assistenza spirituale nelle carceri, ma anche il tentativo di prestare aiuto per le cure mediche spesso precarie soprattutto nei villaggi, dice fratel Riccardo parlando poi anche di un dramma ancora tutto attuale: quello della prostituzione minorile che tragicamente riguarda – assicura – fasce di età davvero basse. E c’è poi lo specifico del suo impegno: cercare di formare giovani al lavoro, insegnando loro un mestiere, assicurando una formazione in grado di renderli propositivi, pronti. Fratel Riccardo, che è arrivato in Sierra Leone dopo anni in Ghana e in Nigeria, ricorda che il Paese è piccolo e che gli abitanti sono otto milioni di persone: dovrebbero bastare le risorse naturali e inoltre in questa fase post conflitto sono arrivati e arrivano molti aiuti dall’esterno, ma c’è tanto bisogno – spiega – di riconciliazione e di riorganizzare il tessuto sociale. Ci sono tanti giovani nelle carceri da seguire. La prigione di Pademba, a Freetown, è stata costruita nel 1937 per ospitare 300 prigionieri. Da allora non è cambiato nulla nelle strutture, tranne il fatto che è arrivata ad ospitare 2.000 detenuti stipati in celle non igieniche. I salesiani sono l’unica istituzione che lavora con i detenuti, anche attualmente, quando la paura per Covid-19 ha portato a rivolte, con episodi di disordini costati la vita ad alcuni detenuti, incendi. E poi ci sono da seguire i tanti giovani e giovanissimi che devono imparare un mestiere quando escono dalle carceri o semplicemente perché le famiglie non se ne possono occupare.

Il riconoscimento un anno fa

Nel 2020 la Rete di Azione per la Gioventù e i Bambini (AYCN), un’organizzazione per la difesa dei diritti dei giovani e dei bambini, ha assegnato all’opera salesiana “Don Bosco Fambul” il riconoscimento come migliore organizzazione umanitaria della Sierra Leone. Gli interventi di “Don Bosco Fambul” per sviluppare e cambiare la vita dei giovani in Sierra Leone sono esemplari, specialmente per le  vittime di violenza sessuale, tratta, abbandono e altre forme di violenza domestica.

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Onu: in Libia non solo abusi ma probabili crimini di guerra

La commissione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite denuncia, nel suo primo rapporto dopo un anno di lavoro, gravi violazioni dei diritti umani dal 2016 ad oggi da parte di attori libici e stranieri, statali e non statali. Le vittime: persone intercettate al largo delle coste libiche o nelle carceri

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Probabili crimini di guerra e crimini contro l’umanità sono stati commessi in Libia: è quanto emerge dal primo documento pubblicato oggi a Ginevra dalla Commissione di inchiesta indipendente voluta a giugno 2020 dal Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite (Unhcr). “Vi sono fondati motivi per ritenere che in Libia siano stati commessi crimini di guerra e che le violenze perpetrate nelle carceri e contro i migranti possono costituire crimini contro l’umanità”, si legge nel comunicato odierno.

Violazioni del diritto internazionale

“Le nostre indagini hanno stabilito che tutte le parti in conflitto, compresi Stati terzi, combattenti stranieri e mercenari, hanno violato il diritto internazionale umanitario”, afferma Mohamed Auajjar, presidente della missione conoscitiva. “Alcune hanno anche commesso crimini di guerra”, ha aggiunto. La Commissione ha quindi identificato individui e gruppi – sia libici che attori stranieri – che potrebbero essere responsabili delle violazioni, degli abusi e dei crimini commessi nel Paese nordafricano dal 2016 ed ha elaborato un elenco “confidenziale” che rimarrà tale fino a quando non si “presenterà la necessità della sua pubblicazione o condivisione con altri meccanismi pertinenti”, ha spiegato l’Onu.

Abusi “organizzati” in mare e nelle carceri

La Commissione di Fact Finding stabilita dal Consiglio Onu sui Diritti umani aveva il mandato di documentare presunte violazioni e abusi dall’inizio del 2016. La missione tra l’altro ha esaminato la situazione di migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Sono vittime di “abusi in mare, nei centri di detenzione e per mano dei trafficanti”, denuncia Chaloka Beyani, membro della Commissione, che parla di “violazioni su vasta scala commesse da attori statali e non statali, con un alto livello di organizzazione, il che suggerisce crimini contro l’umanità”.

L’appello al Governo

Alla denuncia si unisce nel rapporto anche un appello. Con il recente insediamento del Governo di unità nazionale, infatti, la Libia è entrata in una fase di dialogo nazionale e di unificazione delle istituzioni statali. Il rapporto dunque contiene anche un’esortazione alla politica ad intensificare gli sforzi per chiedere conto ai responsabili delle violazioni. Intanto continua il flusso di chi cerca di lasciare la Libia per ricostruirsi un futuro. Circa 500 persone sono state fatte sbarcare in una raffineria di Azzawiya, dopo essere state intercettate in mare questa mattina dalla Guardia costiera libica su un’imbarcazione di legno. È quanto riferisce su Twitter l’Agenzia dell’Onu per i Rifugiati (Unhcr) in Libia, precisando che “del gruppo fanno parte persone provenienti da Somalia, Sudan, Bangladesh, Siria” cui si è già fornita assistenza.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-10/libia-rapporto-onu-commissione-diritti-umani-crimini-umanita.html

L’Onu rilancia l’allarme migranti in Libia

Dalle Nazioni Unite arriva l’appello a non dimenticare quanto accade in Libia a migranti e profughi, mentre arriva la notizia di nuovi morti in mare. In Italia, nel giorno in cui si ricorda la strage del 3 ottobre 2013, sbarcano centinaia di persone in poche ore

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Almeno due migranti sono morti e 40 risultano dispersi al largo delle coste libiche dopo il naufragio di due imbarcazioni. Secondo quanto riferito dall’Unhcr, 91 persone erano a bordo di una delle due imbarcazioni, 89 delle quali sono state salvate e portate sulla costa. Altre 40 persone partite a bordo di un altro gommone risultano disperse, ha aggiunto l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, senza fornire ulteriori dettagli. In precedenza Alarm Phone aveva denunciato che “una barca con 70 persone a bordo è dispersa da 4 giorni”. Dopo la partenza da Khoms, in Libia, ha contattato l’organizzazione “molte volte”. “Abbiamo perso i contatti quando erano in Sar maltese, 11 miglia dalle acque italiane. Non c’e’ conferma del loro soccorso o arrivo. Le autorità tacciono”, ha proseguito.

La preoccupazione dell’Onu per il campo di Gargaresh in Libia

L’Onu è estremamente preoccupata per le notizie di uccisioni e uso eccessivo della forza contro migranti e richiedenti asilo a Gargaresh, oggetto di un raid da parte delle forze di polizia del governo libico che ha portato all’arresto di almeno 4000 persone. “Un migrante è stato ucciso e almeno altri 15 feriti, 6 in modo grave, quando le autorità di sicurezza libiche hanno compiuto raid contro case e rifugi temporanei di fortuna a Gargaresh, una zona di Tripoli densamente popolata da migranti e richiedenti asilo”, scrive in una nota l’assistente del segretario generale residente dell’Onu e coordinatore umanitario per la Libia, Georgette Gagnon. “Pur rispettando pienamente la sovranità dello Stato e sostenendo il suo dovere di  mantenere la legge e l’ordine e di proteggere la sicurezza della loro popolazione, l’ONU invita le autorità statali a rispettare in ogni momento i diritti umani e la dignità di tutte le persone,  compresi i migranti e richiedenti asilo”, si legge ancora. Secondo i rapporti di funzionari della Direzione per la lotta alla migrazione illegale, almeno 4.000 persone, tra cui donne e bambini, sono state arrestate durante l’operazione di sicurezza. Migranti disarmati sono stati molestati nelle loro case, picchiati e fucilati. Le Nazioni Unite hanno ricevuto segnalazioni di un giovane migrante ucciso da colpi di arma da fuoco. Altri cinque migranti hanno riportato ferite da arma da fuoco; due di loro sono in gravi condizioni in terapia intensiva. Ha inoltre ricevuto segnalazioni secondo cui le comunicazioni erano state interrotte con individui incapaci di comunicare, accedere alle informazioni e chiedere assistenza. La maggior parte di queste persone arrestate sono ora detenute arbitrariamente, anche in strutture di detenzione gestite dalla Direzione per la lotta alla migrazione illegale, sotto il ministero dell’Interno”.

“Le Nazioni Unite ribadiscono che l’uso  eccessivo e ingiustificato della forza letale da parte delle forze di sicurezza e di polizia durante le operazioni di contrasto costituisce una violazione del diritto nazionale e internazionale”. Chiediamo alle autorità libiche di indagare sui rapporti sull’uso letale ed eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza contro i migranti nelle operazioni di ieri”. Le Nazioni Unite hanno ripetutamente condannato le condizioni disumane nei centri di detenzione della Libia in cui migranti e rifugiati sono detenuti in strutture gravemente sovraffollate con limitazioni all’accesso all’assistenza umanitaria salvavita”. “In linea con le pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e le conclusioni di Berlino, ribadiamo il nostro appello alle autorità libiche affinché pongano fine e prevengano arresti e detenzioni arbitrarie e rilascino immediatamente le persone più vulnerabili, in particolare donne e bambini”. In questo contesto, sollecitiamo nuovamente il governo a consentire immediatamente la ripresa dell’evacuazione umanitaria volontaria operata dall’Oim e dell’UNHCR e dei voli di ritorno e delle partenze di migliaia di migranti e richiedenti asilo in Libia verso destinazioni al di fuori del paese”. “Le Nazioni Unite sono pienamente pronte a collaborare con il governo libico e le autorità competenti per rafforzare la governance della migrazione, garantendo nel contempo il pieno rispetto dei diritti umani internazionali, del diritto umanitario e dei rifugiati”.

Intanto si moltiplicano gli sbarchi a Lampedusa

Sono circa 400 i migranti arrivati fra stanotte e l’alba a Lampedusa con 14 barchini, alcuni dei quali sono riusciti ad approdare direttamente sulla terraferma. Quindici tunisini, fra cui una donna e 4 minori, sono stati bloccati dai finanzieri a molo Madonnina. Gli ultimi, in ordine di tempo, a sbarcare a molo Favarolo sono stati 82 provenienti da Bangladesh, Sudan ed Egitto. Il gruppo – partito due giorni fa da Zuwara, in Libia – è stato rintracciato e soccorso dalla motovedetta Cp 319 della Guardia costiera.

Otto anni fa la strage

Lampedusa ricorda oggi la tragedia del 3 ottobre 2013, il ribaltamento del barcone in cui persero la vita almeno 368 migranti. Le vittime della sciagura, diventata il simbolo del dramma dell’immigrazione, sono ricordate in occasione della messa domenicale e con un lancio di fiori in mare. In quella circostanza ci sarebbero stati almeno altri 20 dispersi e 155 superstiti, alcuni dei quali ogni anno, il 3 ottobre, tornano a Lampedusa per ricordare questa data.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-10/migranti-onu-lampedusa-profughi-strage.html