Chi è Papa Leone XIV (e cosa possiamo aspettarci dal suo pontificato)

Chi è Papa Leone XIV (e cosa possiamo aspettarci dal suo pontificato)

National  Geographic

9 Maggio 2025

“Figlio della globalità” dalla “coinvolgente umanità”, il primo Papa statunitense intreccia radici culturali diverse e una visione ampia che lo rendono un interlocutore significativo per il mondo

di Fausta Speranza

https://www.nationalgeographic.it/chi-e-papa-leone-xiv-e-cosa-possiamo-aspettarci-dal-suo-pontificato

Missionario e canonista, bergogliano e matematico, agostiniano e curiale, statunitense e latino. Con la sua ricca personalità e la piena padronanza di cinque lingue suggerisce un’impressione precisa: Papa Prevost sarà un interlocutore significativo per il mondo.

Il primo Papa statunitense, il secondo americano dopo Bergoglio, Leone XIV, eletto 267esimo Papa l’8 maggio alla quarta votazione del Conclave, si presenta dalla Loggia parlando di pace e di una “chiesa sinodale e missionaria”.

Si è scelto il nome di un predecessore che si è appena affacciato sul Novecento, ma sembra parlare con chiarezza e incisività il linguaggio dell’attualità. E nella sua prima Omelia, alla messa il 9 maggio in Cappella Sistina, parla di vocazione autentica del successore di Pietro con un richiamo a seguire Cristo e testimoniare Cristo fino ad essere “divorato dalle belve nel circo”.

Delinea il profilo della Chiesa “arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo” e avverte: nella fede cristiana non c’è un “super uomo” ma “un impegno irrinunciabile”, una testimonianza di fede che può essere derisa ma non perde la forza evangelica di fotografare “contesti in cui si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere”. Parla senza mezzi termini di “istanze di onestà” e di “esigenze morali”.

Robert Francis Prevost, nato a Chicago, nell’Illinois, il 14 settembre 1955, è di doppia cittadinanza, statunitense e peruviana, ha origini francesi e italiane per parte di padre e spagnole per parte di madre. È un figlio della globalità che alla coinvolgente umanità, che ha messo in campo non nascondendo grande emozione al momento del primo affaccio, accompagna tratti di precisione e chiarezza. Ha fatto il suo saluto leggendo inizialmente un testo scritto e ha dato un nome e un cognome alla prima urgenza globale che il mondo intero si trova ormai di fronte invocando “una pace disarmata e disarmante”.

Ed è stato subito chiaro che non c’è pace senza giustizia, perché ha scelto di richiamarsi a Leone XIII, il Papa che a fine Ottocento ha firmato la Lettera Enciclica Rerum Novarum, da cui prende avvio la dottrina sociale della Chiesa dei tempi moderni. È un innegabile riferimento agli uomini e alle donne, al loro lavoro, anche in tempi di Intelligenza Artificiale di cui sappiamo che si è parlato nelle Congregazioni che hanno anticipato il voto nella Sistina.

Grande vicinanza alla gente e profonda cultura

Peraltro sul piano culturale si presenta con una laurea in matematica che si aggiunge agli studi di filosofia e teologia. Segni particolari: grande vicinanza alla gente, autentica umiltà, ma anche capacità di gestione. Si deve considerare infatti i vari incarichi ricoperti all’interno dell’Ordine agostiniano fino ad essere nominato, e confermato per due mandati, Priore generale, ma anche le responsabilità curiali: dal 2020 ha dato un contributo in qualità di capo del Dicastero per i vescovi ed è stato presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina. Sembra sia stato anche vicino al Segretario di Stato Parolin nella gestione dei difficili dossier cinesi. Sono attributi importanti per costruire, come ha fatto intendere, “ponti di dialogo e incontro” per affrontare le sfide di quest’epoca.

Sembra evidente la conferma di un’attenzione ai poveri e agli ultimi che appare più che mai inserita nella prospettiva di un pastore internazionale che in tempi di guerra, violenza e profonda polarizzazione presenta un curriculum di misericordia, sinodalità e speranza ma anche un messaggio di inizio pontificato preciso, scandito con energico vigore: “Il male non prevarrà”. E il pensiero a questo punto va anche al Leone di San Marco, in cui il leone simboleggia la forza della parola dell’Evangelista, le ali l’elevazione spirituale e l’aureola è il tradizionale simbolo cristiano della santità.

Sul versante “interno” la sua presentazione è altrettanto chiaramente di spessore. Papa Prevost è stato tra l’altro professore di Diritto Canonico, Patristica e Morale nel Seminario maggiore “San Carlos e San Marcelo” mentre gli era affidata la cura pastorale di Nostra Signora Madre della Chiesa, eretta successivamente parrocchia con il titolo di Santa Rita, ed è stato amministratore parrocchiale del famoso santuario di Nostra Signora di Monserrat. Peraltro a Maria ha dedicato la preghiera scelta al momento del primo saluto, rendendo omaggio e significato alla devozione mariana così fortemente popolare.

L’idea di Chiesa

Nella prima omelia emerge l’idea della Chiesa che ama: una Chiesa che sia “faro” che illumina, “non tanto grazie alla magnificenza delle sue strutture o per la grandiosità delle sue costruzioni – come i monumenti in cui ci troviamo – quanto attraverso la santità dei suoi membri”. Parla della sua “missione di vescovo della Chiesa che è in Roma” ribadendo la raccomandazione di Papa Francesco: “La chiesa di Roma è chiamata a presiedere nella carità la Chiesa universale”.

Tra tante possibili, cita l’espressione di S. Ignazio di Antiochia: in catene verso Roma dove troverà il martirio, scrive ai cristiani che vi si trovavano: “Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo”. E Papa Prevost commenta così: “Si riferiva all’essere divorato dalle belve nel circo – e così avvenne – ma le sue parole richiamano in senso più generale un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo”Sembra suggerire che il suo non sarà un pontificato di protagonismi ma di autentico servizio e in quell’autenticità che il brano di San Paolo racconta c’è la promessa di non risparmiarsi.

Missionarietà e dottrina sociale

A proposito della dottrina sociale della Chiesa richiamata dal nome scelto, va ricordato che non è una ideologia ma ovviamente ciò non significa che non possa esprimere valutazioni sulle ideologie con cui l’uomo storico e concreto si deve misurare e, quindi, se in passato ha significato pronunciarsi su marxismo, capitalismo, liberalismo, oggi siamo di fronte alla crisi dei sistemi liberali stessi, al vacillare del multilateralismo e soffocati da un’economia rapace. Gli elementi basilari della dottrina della Chiesa restano il primato della persona, il carattere sacro della vita, la subordinazione dell’azione politica ed economica alle esigenze della morale che riconosce dignità ad ogni persona umana. La Bibbia non è un insieme di indicazioni sociali e non vuole proporre ricette risolutive dei problemi della società, ma è, prima di tutto, annuncio della salvezza realizzata in Gesù. E questo Papa Prevost lo ha ricordato con forza dottrinale parlando di missionarietà e di evangelizzazione nei suoi primi due interventi, e sottolineando molto il rapporto con Dio: “Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, cioè – afferma – l’unico Salvatore e il rivelatore del volto del Padre”.

Possibili ponti

Il punto è che da qui per i credenti deriva quel diritto naturale che orienta la morale e che rappresenta anche il possibile punto di incontro tra cristiani e non cristiani sui problemi etici. Uno dei ponti cui ha accennato da subito. Il presupposto fondamentale è che gli uomini partecipino a un’unica e comune natura umana. Proprio perché fa riferimento a tale comune natura umana, la Chiesa può rivolgersi a tutti gli uomini, chiedere il loro ascolto, difendere i diritti umani. E c’è da credere che Leone XIV abbia intenzione di farlo.

“Il male non prevarrà”

“Sono un agostiniano”, così si è presentato il Papa e non mancano i significati. Per comprendere il pensiero di Agostino non si può prescindere dal suo vissuto esistenziale: il vescovo di Ippona cercò sempre di conciliare l’atteggiamento contemplativo con le esigenze della vita pratica e attiva. Vivendo il conflitto tra i due estremi, ha offerto un pensiero che cerca di tenere uniti la ragione e il sentimento, lo spirito e la carne, il pensiero pagano e la fede cristiana. Si tratta di un gigante del pensiero cristiano che ha affrontato tra tanti la questione del male e infatti di “male che non prevarrà” non ha mancato di parlare nel suo primo intervento. Ed è su questo piano che Papa Prevost fa capire di non sottrarsi.

“Istanze di onestà” e “esigenze morali”

All’omelia richiama l’attenzione alla domanda su chi sia Gesù, che torna nei Vangeli, per poi citare “la bellissima cittadina di Cesarea di Filippo, ricca di palazzi lussuosi, incastonata in uno scenario naturale incantevole, alle falde dell’Hermon” per definirla “anche sede di circoli di potere crudeli e teatro di tradimenti e di infedeltà”. Avverte che questa immagine ci parla di un mondo che considera Gesù “una persona totalmente priva d’importanza, al massimo un personaggio curioso, che può suscitare meraviglia con il suo modo insolito di parlare e di agire”. E precisa: “Così, quando la sua presenza diventerà fastidiosa per le istanze di onestà e le esigenze morali che richiama, questo ‘mondo’ non esiterà a respingerlo e a eliminarlo”. C’è poi l’altra possibile risposta alla domanda di Gesù: “quella della gente comune”. “Per loro il Nazareno non è un ‘ciarlatano’: è un uomo retto, uno che ha coraggio, che parla bene e che dice cose giuste, come altri grandi profeti della storia di Israele”. Lo seguono – chiarisce Leone XIV “almeno finché possono farlo senza troppi rischi e inconvenienti”. Lo considerano “solo un uomo, e perciò, nel momento del pericolo, durante la Passione, anch’essi lo abbandonano e se ne vanno, delusi”. Afferma con chiarezza: “Colpisce, di questi due atteggiamenti, la loro attualità. Essi incarnano infatti idee che potremmo ritrovare facilmente – magari espresse con un linguaggio diverso, ma identiche nella sostanza – sulla bocca di molti uomini e donne del nostro tempo. Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere.” E sembra parlare di difficoltà estremamente concrete oltre che attuali: “Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito. Eppure, proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione, perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco.”

Nessuna riduzione a super uomo

Papa Prevost offre un’immagine estremamente eloquente del mondo in cui è evidentemente consapevole di muoversi: “Anche oggi non mancano poi i contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomoQuesto sembra il messaggio al mondo: Gesù e tantomeno il vicario non sarà un super uomo ma annuncerà una parola forte in tema di “perdita del senso della vita”, “oblio della misericordia, violazione della dignità della persona”, “crisi della famiglia”. Peraltro con una parola chiara anche ai credenti: “Molti battezzati finiscono col vivere in un ateismo di fatto”. A questo proposito una consapevolezza richiama in causa direttamente Papa Francesco: “Questo è il mondo che ci è affidato, nel quale, come tante volte ci ha insegnato Papa Francesco, siamo chiamati a testimoniare la fede gioiosa in Gesù Salvatore” e non solo fino a quando “non ci sono rischi o inconvenienti”.

L’Ue guarda a Leone XIV

All’appello sembra rispondere l’Unione europea: la Presidente von der Leyen e il Presidente Costa sottoscrivono un messaggio di felicitazioni per l’elezione affermando che “ogni giorno milioni di europei traggono ispirazione dal persistente impegno della Chiesa a favore della pace, della dignità umana e della comprensione reciproca tra le nazioni” e dicendosi “fiduciosi che Papa Leone XIV utilizzerà la sua voce sulla scena mondiale per promuovere questi valori condivisi e incoraggiare l’unità nel perseguimento di un mondo più giusto e compassionevole”. Con l’auspicio che “il nuovo pontificato sia accompagnato da saggezza e forza, mentre Papa Leone XIV guida la comunità cattolica e ispira il mondo attraverso il suo impegno a favore della pace e del dialogo”, arriva una dichiarazione di intenti da parte di un pezzo di Occidente: “L’Unione europea è pronta a collaborare strettamente con la Santa Sede per affrontare le sfide globali e promuovere uno spirito di solidarietà, rispetto e gentilezza”. In attesa di conferma concreta delle dichiarazioni fatte e di conoscere altre dichiarazioni a livello mondiale, la figura di Leone XIV sembra molto limpida nel declinare la speranza come virtù cristiana e come diritto umano.

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Il Conclave tra storia, fede ed equilibri di potere

Su National Geographic

Conclave al via: l’elezione del nuovo Papa tra storia, fede ed equilibri di potere

Tra urgenze spirituali, sociali e geopolitiche, il Conclave - al via il 7 maggio - pone la Chiesa di fronte a decisioni cruciali: dal riequilibrio tra carisma e governance ai processi di riforma aperti

di Fausta Speranza

6 Maggio 2025 https://www.nationalgeographic.it/conclave-al-via-l-elezione-del-nuovo-papa-tra-storia-fede-ed-equilibri-di-potere

Come in una partita a scacchi di livello. Un buon giocatore non resta concentrato sull’assetto del gioco in svolgimento ma elabora strategie in anticipo per mosse e contromosse successive. Così la Chiesa, diversa da qualunque altra istituzione e lontana da logiche di partito, si muove con una visione a lunga “gittata”, finora libera da vincoli come il consenso a stretto giro.

Se e quando la Santa Sede fa strategie e si muove sui percorsi della geopolitica per sua stessa costituzione difficilmente lascia spazio a interpretazioni troppo personalistiche: il mandato è per il bene comune e la centralità della persona, e il tracciato è segnato. E infatti su questo le differenze tra papi, almeno dal Novecento, sono trascurabili e dovute alla contingenza storica, che conta più del “consenso”. È vero però che negli ultimi cinquant’anni, con Giovanni Paolo II e Francesco, si è avvertita la tendenza a uno sbilanciamento tra carisma e munus gubernandi, a favore del carisma.

Fare i conti con le spinte sociali e la situazione internazionaleDunque, piuttosto che chiederci se vincerà un “progressista” o un “conservatore”, forse dovremmo porci due interrogativi diversi. Il primo è quale sia la contingenza storica. Il secondo è se la scelta del nuovo pontefice sarà guidata dall’intenzione di ribilanciare la logica del carisma con quella dell’ufficio, oppure no. Si conferma complesso e scivoloso muoversi tra “tradizionalisti”, “progressisti”, più o meno “riformisti”.Per il Conclave del 7 maggio la contingenza sul piano universale è chiara: è urgente elaborare nuove strategie di rapporto con il mondo contemporaneo in cui vacillano le democrazie. E se l’extra omnes lascia soli i cardinali, ci sono questioni ad intra che non li abbandonano: tra queste, i tanti “cantieri” aperti ma non chiusi da Francesco.Francesco ha aperto processi confermando la Chiesa come popolo che cammina nella storia appoggiandosi sulla tradizione ma senza intenderla come un baluardo di “blocco” degli sviluppi di riforma. E questo dovrebbe essere un punto di non ritorno. Potremmo definirla la sua “mossa forzante”, sempre parafrasando il gioco di scacchi. Peraltro, dopo i papi Roncalli, Montini, Luciani e Wojtyła, che erano stati padri conciliari, e dopo Ratzinger, che aveva partecipato all’assise conciliare come perito, Francesco è stato il primo papa per davvero “figlio” del Concilio Vaticano II, in quanto negli anni della convocazione (1962-1965) era ancora in formazione come novizio.Insomma c’è stato un passaggio generazionale e il Concilio regge. In ogni caso, i processi di riforma avviati da Francesco e non conclusi sono tanti, sul piano teologico, normativo, morale. In alcuni casi, come ha detto il cardinale Pietro Parolin, già Segretario di Stato, a proposito della dichiarazione del Dicastero per la dottrina della fede Fiducia Supplicans pubblicata nel 2023, “ci vorranno ulteriori approfondimenti”.Anche in tema degli abusi commessi da religiosi nei confronti di minori e adulti vulnerabili, che ha segnato in modo drammatico negli ultimi decenni la vita della Chiesa, si sono fatti passi in avanti. Dopo le misure volute da Benedetto XVI, con Papa Francesco si è raggiunto un altro punto di non ritorno interpretando l’abuso come questione ecclesiale e connettendolo con la tentazione del clericalismo. Resta sempre molto da fare, considerati il mancato avvio di alcuni procedimenti giudiziari; l’attesa per il rispetto di alcune sanzioni; esempi di riabilitazione di preti pedofili a davvero poca distanza dalla condanna. Inoltre, nei casi di suore abusate sessualmente e psicologicamente, ci si deve occupare dei meccanismi che li hanno permessi.

Il Papa visto in prospettiva

Francesco è stato scelto nel 2013 quando cominciavano a delinearsi due scenari, almeno a osservatori accorti. Il primo riguardava le costituzioni liberali, che sono il frutto di valori prima di essere dati di fatto e che, se svuotate proprio dei valori fondanti, rischiano di rimanere gusci vuoti e di essere travolte al venir meno dell’ordine mondiale costituito dopo le guerre mondiali. Come aveva ben intuito e denunciato Benedetto XVI mettendo in guardia dal relativismo.

Il secondo scenario riguardava le scadenze date per gli Obiettivi del Millennio, adottati dalle Nazioni Unite nel 2000 per eliminare la povertà estrema e la fame nel mondo: era chiaro che non avrebbero portato a nulla, travolti dall’inversione di tendenza ad allargare sempre di più il divario tra i pochi ricchi, sempre più ricchi, e i tanti poveri, sempre più poveri e sempre più numerosi.

Sul primo punto, Papa Bergoglio ha parlato da subito di “terza guerra mondiale a pezzi” e ha speso parole a difesa del multilateralismo come i predecessori. E sul piano delle diseguaglianze, ha fatto di tutto per portare la questione della dilagante povertà al cospetto di tutti. Peraltro, già Leone XIII criticava la corsa agli armamenti sottolineando che “la pace non può essere garantita solo attraverso la forza militare ma richiede un ordine sociale e politico giusto e percepito come tale”. E Paolo VI, che si recò per primo in Paesi all’epoca poveri per antonomasia come Africa e India, sostenne la necessità di condonare i debiti di quei Paesi che non possono ripagarli, in particolare se questo impedisce lo sviluppo e la crescita dei loro popoli.

Si può dire che Papa Bergoglio ha sorpreso ma anche che ha risposto alle aspettative. Così era stato per Papa Wojtyła, adatto per lo scossone al baluardo comunista che lasciava poco respirare il polmone orientale d’Europa; o per Roncalli, scelto dopo i difficili anni della Questione romana e delle guerre, in cui la Chiesa si doveva “riposizionare” nei tempi moderni. Giovanni XXIII, infatti, con il suo carisma da Papa “buono” ha risposto al mandato indicendo niente di meno che il Concilio Vaticano II che ha chiamato a uno slancio nuovo per riposizionamenti peraltro ancora da completare. Se è vero infatti che lo sguardo è a lunga gittata, servono anche tempi lunghi per dare compimento a visioni di profondo spessore.

Come diceva Giovanni XXIII “non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”. Di fatto quando la Chiesa “cambia” sorprende sempre, perché lo fa imprimendo un’accelerazione alla sua storia che non ritrova uguali in altre istituzioni umane per incisività. Insomma, non cambia spesso ma quando “cambia” lo fa davvero. Ovviamente non mancano percorsi tortuosi. L’attuazione dei nuovi orientamenti è come acqua che scorre tra impedimenti e divergenze: prima di impregnare tutto il terreno, a volte percorre anche tratti all’indietro.

Romano Pontifici Eligendo

Viene in mente che prima di arrivare alla sinodalità auspicata dal Concilio e fortemente voluta da Francesco, peraltro messa in atto in questi anni in modo artigianale, sono passati i pontificati di Wojtyła e di Ratzinger, che si sono concentrati su altri aspetti. Ognuno di loro, come gli altri, è stato “incasellato” in una delle due categorie in cui il mondo ama racchiudere i Papi: quella dei conservatori e quella dei progressisti. Se l’operazione è lecita, non può mancare la consapevolezza che a livello mediatico spesso si evidenziano banalizzazioni, forzature o mancanze.

Solo alcuni esempi. Ratzinger è rimasto sempre nel racconto mediatico un Papa conservatore, anche quando ha difeso i documenti conciliari da interpretazioni che li consideravano una rottura con la tradizione; o quando ha ripristinato per il voto al Conclave una maggioranza ampia di due terzi indipendentemente dal numero di scrutini. Giovanni Paolo II aveva fatto scendere il quorum al 50 per cento al 34esimo scrutinio e in quel caso Ratzinger ha difeso la collegialità.

Sul tema del Conclave ricordiamo alcuni aspetti o curiosità che danno anche il senso di una storia che si compone

Paolo VI, che è il Papa che ha limitato l’esercizio del diritto di voto ai cardinali sotto gli ottanta anni di età, aveva ripreso una modifica introdotta da Pio XII e abrogata da Giovanni XXIII e aveva fissato la regola della maggioranza dei due terzi più uno, eliminando l’onere di verificare se l’eletto avesse votato per se stesso.

Porta la firma invece di Pio XII la Costituzione che prevede che alla morte del Papa gli unici a restare in carica siano il Camerlengo, il Penitenziere, il Vicario di Roma. Ricordiamo che a stabilire che per essere eletto Papa un candidato dovesse ricevere due terzi dei voti dei cardinali e che nessun cardinale potesse votare per se stesso fu Alessandro III nel 1179. Ma forse è curioso ricordare anche che fu Nicolò II nel 1059 con la bolla In nomine Domini a stabilire che solo i cardinali possano eleggere il Romano Pontefice.

La voce dei decani e alcuni favoriti

In attesa di conoscere il nome del prossimo Papa e dopo gli entusiasmi di piazza, ci sono alcune critiche, o raccomandazioni che dir si voglia, che emergono dall’interno. Il cardinale Camillo Ruini con i suoi 94 anni di cui 20 spesi come vicario del Papa per la diocesi di Roma e alla guida della Conferenza Episcopale Italiana, ha auspicato “un Papa buono anche a governare”; il cardinale tedesco Gerhard Ludwig Müller ha chiesto un Papa “lontano dai mass media o da diverse lobby”. Il cardinale statunitense Timothy Dolan ha detto che bisognerà affiancare al “cuore caldo di Francesco… più chiarezza nell’insegnamento, più raffinatezza della tradizione della Chiesa, più approfondimento dei tesori del passato”. Di questi Müller e Dolan prenderanno parte al Conclave. Ruini insieme con altri esclusi dalla Sistina per limite d’età, come il Decano del Collegio cardinalizio Giovanni Battista Re e il vice Leonardo Sandri, hanno preso parte alle Congregazioni pre Conclave.

In definitiva in tema di incasellamenti poco convincenti, tra conservatori e progressisti,  gli esempi sarebbero tanti, ma ne bastano pochi per mettere a fuoco la fragilità di schematizzazioni che in vista della scelta del prossimo Papa conteranno meno di quanto si pensi. Conterà di più l’urgenza di assicurare capacità diplomatiche all’altezza delle sfide internazionali e uno spessore culturale e spirituale all’altezza dei “cantieri” aperti.

A questo proposito non può sorprendere che venga citato il già Segretario di Stato Pietro Parolin, o che si facciano anche nomi come quelli del Patriarca di Gerusalemme dei Latini PierBattista Pizzaballa, del cardinale filippino Luis Antonio Tagle, del cardinale Robert Francis Prevost, prefetto del Dicastero per i vescovi e presidente della Pontificia commissione per l’America Latina. Ma, di altri, i cardinali potrebbero conoscere o intuire capacità al momento meno evidenti a livello mediatico.

Tutto pronto in Sistina

In ogni caso, l’attesa è vivissima. La mattina del 7 maggio nella Sistina è prevista la Missa pro eligendo Romano Pontifice e nel pomeriggio una sola votazione. Dal giorno seguente tutto è pronto per due votazioni al mattino e due al pomeriggio, con massimo due fumate previste al giorno, immaginabili alle 12 e alle 19. Il comignolo è pronto e gli occhi del mondo sono puntati su di esso.

Nella Sistina, come mai prima si è cercato di evitare qualunque “scherzo” tecnologico che ne violi l’impenetrabilità. Peraltro l’evoluzione della tecnologia dell’informazione rappresenta un altro fronte delle sfide internazionali citate. Preoccupa un “paradigma tecnocratico” che mette da parte la dignità umana, la fratellanza e la giustizia sociale in nome dell’efficienza, pensando alla profonda influenza che può esercitare sulle strutture economiche, sociali e di governance in tutto il mondo.

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Conclave al via il 7 maggio: attese e incognite nella elezione del nuovo Papa

Conclave al via il 7 maggio: attese e incognite nella elezione del nuovo Papa

29 Aprile 2025

Dopo i funerali di Papa Francesco, il 7 maggio inizia il Conclave per l’elezione del suo successore tra questioni aperte, messaggi di speranza e il ricordo del pontificato di Jorge Mario Bergoglio

di Fausta Speranza

su National Geographic

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Sarà presieduto dal cardinale Pietro Parolin, già Segretario di Stato, il Conclave per l’elezione del successore di papa Francesco che avrà inizio il 7 maggio prossimo. La prima votazione si terrà nel pomeriggio mentre al mattino è prevista la Missa pro eligendo Romano Pontifice e la processione dei cardinali elettori verso la Sistina. Non ci sarà il cardinale Giovanni Angelo Becciu, condannato in primo grado per peculato e truffa in Vaticano e mai inserito nella lista dei partecipanti al Conclave. Becciu ha fatto sapere di “obbedire” alla volontà’ di Francesco pur dichiarandosi “innocente”.

Per eleggere il Papa sarà necessaria una maggioranza qualificata di due terzi. In caso si arrivasse oltre le 32 votazioni, si passerebbe direttamente e obbligatoriamente al ballottaggio fra i due cardinali che avessero ricevuto il maggior numero di voti nell’ultima votazione. Anche in questo caso, però, sarebbe sempre necessaria una maggioranza dei due terzi. La Cappella Sistina è stata chiusa alle visite per poter essere allestita con i banchi per gli scrutini e la stufa dove saranno bruciate le schede delle votazioni.

L’omaggio a Francesco: dalle esequie alla sepoltura

Intanto continuano le file per andare a rendere omaggio alla tomba di Papa Francesco tumulata, con una cerimonia privata, nella basilica di Santa Maria Maggiore sabato scorso, dopo i funerali sul sagrato di piazza San Pietro alla presenza di quasi tutti i “grandi” della terra e 250.000 fedeli. Tra tante parole, colpiva l’appellativo di “Maestro y poeta” comparso su uno striscione in spagnolo dei ragazzi delle Scholas Occurrentes, l’organizzazione internazionale di diritto pontificio, senza scopo di lucro, creata da Papa Bergoglio nel 2013, con l’intento di promuovere una rete mondiale di possibilità in campo formativo. Studio ed educazione si traducono in crescita e sviluppo: parliamo del crinale su cui si gioca la variabile tra miseria e autonomia. Oggi Scholas Occurrentes conta 2,5 milioni di partecipanti in 70 Paesi di cinque continenti. Rappresenta un frutto tangibile e concreto dell’impegno pastorale di Francesco, e non deve sfuggire il valore simbolico della modalità scelta: fare rete.

La connessione tra persone così diverse ma unite dall’affetto per Papa Francesco si è sentita fortissima: in piazza e sul sagrato è stata vissuta in una cerimonia che nella sua Liturgia Francesco ha voluto invariata. Se ha chiesto di avere solo una delle tre tradizionali bare o di non essere posto su catafalco, in tema di Liturgia non ha alterato nulla. Ed è significativo. La connessione poi è stata intatta e viva lungo tutti i sei chilometri che dal Vaticano hanno portato il feretro in papamobile bianca all’ingresso della più piccola delle basiliche papali che conserva da secoli l’immagine Salus Populi Romani cara a Francesco. Una lapide bianca e la scritta Franciscus segnalano la tomba per una bara in cui è stato inserito il Rogito, il “riassunto” del Pontificato, che non poteva certamente riepilogare tutte le opere o tutti i documenti e le decisioni di Francesco ma che dispiace non citi la storica nomina di una donna prefetto, Suor Simona Brambilla, a capo di uno dei Dicasteri che formano la Curia.

E proprio quando il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio che ha presieduto la celebrazione dei funerali, ha espresso questa consapevolezza è scoppiato l’applauso più forte dalla parte della piazza occupata per lo più da giovanissimi. I ragazzi erano presenti e non soltanto per la concomitanza con il Giubileo dei giovani. Il loro applauso si è fatto sentire, insieme con quello di tanti altri, anche quando il cardinale Re ha ricordato come la voce di Francesco si sia levata con forza contro gli “orrori disumani” della guerra, definita “una dolorosa e tragica sconfitta per tutti”, e per chiedere “ragionevolezza” e “onesta trattativa”.

Non possiamo sapere cosa sia rimasto davvero nel cuore dei “grandi” presenti: 52 capi di Stato, 14 capi di Governo; 12 sovrani regnanti. E i rappresentanti ad altissimo livello dell’Onu, dell’Unione Europea e di tutti gli altri organismi internazionali. Tutti “schierati” sostanzialmente in ordine alfabetico ma francese, lingua della diplomazia. Tra tanti, è stata evidente l’assenza di esponenti di vertice della Cina. C’è da dire che da Pechino sono giunte in Vaticano condoglianze che in altri tempi sarebbero state difficilmente immaginabili. Restano tante immagini e quella foto: Trump e Zelensky seduti a dialogare dentro la basilica di San Pietro e le attese accese dalle dichiarazioni dei due leader seguite da aperture al negoziato che sembrano arrivare dal Cremlino. Tutte aspettano di essere declinate nei fatti.

Il Cardinale Pietro Parolin celebra

la Messa della Domenica della Divina Misericordia in suffragio di Papa Francesco in Piazza San Pietro, il 27 aprile 2025, nella Città del Vaticano

 I riti funebri per il defunto Papa Francesco si svolgono per nove giorni dopo la sua sepoltura, mentre i fedeli lo commemorano e lo celebrano. Durante questo periodo, il Vaticano si prepara al processo per eleggere un nuovo Papa, noto come Conclave, che deve iniziare entro 15-20 giorni dalla morte del Pontefice.

Il Giubileo dei giovani

È stato importante vedere che i giovani sono tornati in piazza San Pietro il giorno seguente ai funerali, domenica 27 aprile, quando non c’erano più i capi di Stato e di Governo. C’erano comunque di nuovo 200.000 persone alla Messa presieduta la mattina dal cardinale Pietro Parolin, già Segretario di Stato, nell’ambito dei Novendiali, i nove giorni di celebrazioni in suffragio del Papa defuntoche da lunedì 28 fino a domenica 4 maggio proseguono in San Pietro, ma alle ore 17:00.

Nel corso dell’omelia Parolin ha raccomandato: “Siamo chiamati all’impegno di vivere le nostre relazioni non più secondo i criteri del calcolo o accecati dall’egoismo, ma aprendoci al dialogo con l’altro”. La certezza è la stessa: “Solo la misericordia guarisce, solo la misericordia crea un mondo nuovo: questo è il grande insegnamento di Papa Francesco.” Il cardinale, capo della Segreteria di Stato da agosto 2013 e dunque in tutti gli anni di Pontificato di Francesco, ha parlato di “dolore”, “turbamento”, “sensazione di smarrimento” chiedendo che l’affetto per Francesco “non resti una semplice emozione del momento” quanto piuttosto che “la sua eredità diventi vita vissuta”.

Ai giovani, giunti da tutto il mondo, ha parlato delle tante sfide ricordando anche “quella della tecnologia e dell’intelligenza artificiale che caratterizza in modo particolare la nostra epoca”. Sempre ai giovani è dedicato il video registrato con smartphone l’8 gennaio scorso e diffuso nel giorno dei funerali. Francesco, seduto nella sua stanza di Santa Marta con un maglione bianco, dice: “Cari ragazzi e ragazze, una delle cose molto importanti nella vita è ascoltare, imparare ad ascoltare. Quando una persona ti parla, aspettare che finisca per capirla bene e, poi, se me la sento dire qualcosa. Ma l’importante è ascoltare”.

Un testamento spirituale

Prendersi cura delle relazioni è davvero il cuore di tutte le scelte pastorali di Papa Francesco. Nei suoi 12 anni di pontificato, ha chiesto di combattere la “cultura dello scarto” con la medicina della “cura” delle relazioni. Innanzitutto la relazione con Dio, che non ha affatto trascurato. Poi, in stretta correlazione, ha concepito la relazione con l’altro, visto come fratello nella famiglia umana. Inoltre ha parlato della relazione con l’ambiente, “casa comune” in cui – ha chiarito – non si possono più immaginare sistemi sociali slegati dai sistemi naturali e viceversa. Il messaggio centrale dell’Enciclica Laudato Sì del 2015 è che “tutto è in relazione” e “nessuno si salva da solo”.

Di Papa Francesco restano centinaia di appelli per la pace e quelle parole pronunciate per ultime: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo”, alla benedizione Urbi et Orbi di Pasqua. Francesco ha ribadito che “l’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo” e ha chiesto di “abbattere le barriere che creano divisioni e sono gravide di conseguenze politiche ed economiche”.

In poche parole nel messaggio di Pasqua dell’anno giubilare ha fotografato la drammatica evidenza: “Quanta volontà di morte vediamo ogni giorno nei tanti conflitti che interessano diverse parti del mondo! Quanta violenza vediamo spesso anche nelle famiglie, nei confronti delle donne o dei bambini! Quanto disprezzo si nutre a volte verso i più deboli, gli emarginati, i migranti!”. Con una consapevolezza fondamentale: “Nessuna pace è possibile laddove non c’è libertà religiosa o dove non c’è libertà di pensiero e di parola e il rispetto delle opinioni altrui”.

E questo è l’appello che, come ha sottolineato il cardinale Parolin, non deve solo emozionare in questi giorni: “Non venga mai meno il principio di umanità come cardine del nostro agire quotidiano”.

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su National Geographic le ultime volontà di Francesco

24 Aprile 2025

  National Geographic

di Fausta Speranza

Le ultime volontà di Papa Francesco: semplicità, fede e umanità

https://www.nationalgeographic.it/le-ultime-volonta-di-papa-francesco-semplicita-fede-e-umanita

In attesa della Messa esequiale di Papa Francesco – che si terrà sabato 26 aprile alle ore 10.00 sul sagrato della Basilica di San Pietro – migliaia di fedeli sono accorsi per rendergli omaggio. Ripercorriamo le ultime volontà del Papa della Gente che evocano il suo credo di umiltà.

“Solamente per quanto riguarda il luogo della mia sepoltura”: con queste parole Papa Francesco ha chiarito al mondo di non avere altre disposizioni testamentarie se non in relazione alle sue spoglie mortali. A colpire tutti è stata la scelta di essenzialità: “Il sepolcro deve essere nella terra; semplice, senza particolare decoro e con l’unica iscrizione Franciscus”.

È la semplicità alla quale il Papa morto il 21 aprile 2025 ci aveva abituato da subito: il 13 marzo 2013 era apparso dalla Loggia di San Pietro augurando “buonasera” e chiedendo “pregate per me”. Lo ha chiesto fino all’ultimo respiro ed è certo che alle esequie, il 26 aprile, nella celebrazione presieduta dal cardinale decano Giovanni Battista Re, saranno in tanti a farlo, in presenza o da lontano. Ma è una semplicità da comprendere appieno, ricordando che il Papa che ha scelto il nome del Santo di Assisi era un colto gesuita. La semplicità non è soltanto spontaneità.

Il testamento

Non manca lo spirito di concretezza di Papa Francesco nel testamento redatto, e in parte reso noto, tre anni prima della morte: “Chiedo che la mia tomba sia preparata nel loculo della navata laterale tra la Cappella Paolina (la Cappella della Salus Populi Romani) e la Cappella Sforza della suddetta Basilica Papale…”. E ci sono anche le risorse previste: “Le spese per la preparazione della mia sepoltura saranno coperte con la somma del benefattore che ho disposto”. L’auspicio: “Il Signore dia la meritata ricompensa a coloro che mi hanno voluto bene continueranno a pregare per me”. E c’è poi la sofferenza “offerta per la pace nel mondo e la fratellanza tra i popoli”.

Perché la sepoltura in Santa Maria Maggiore

C’è una preferenza precisa: “Chiedo che le mie spoglie mortali riposino aspettando il giorno della risurrezione nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore”, dove si recava in preghiera all’inizio e al termine di ogni viaggio apostolico. Si tratta di una Basilica Papale ma non è quella dove ci eravamo abituati a pensare i sepolcri dei papi. Si può essere semplici e controcorrente. Ma non nel senso in cui a volte ci è sembrato di sentire raccontare Francesco: quasi una sorta di “Giamburrasca” del Vaticano. Dietro alle scelte, piuttosto, c’è un bagaglio di comprensione da non sottovalutare.

Oltre la dichiarata personale devozione per la Madre di Dio e Madre della Chiesa, c’è quella lettera che Papa Francesco ha scritto cinque anni fa al presidente della Pontificia Accademia Mariana Internazionale (PAMI), padre Stefano Cecchin, firmata il 15 agosto 2020. Francesco ha chiesto di liberare Maria dall’immagine di una donna sottomessa che tanto è utile alle logiche familistiche e impenetrabili delle mafie, e di tutti gli apparati di potere.

Si comprende l’importanza e l’urgenza di riscoprire l’umiltà di Maria che non è sottomissione o sudditanza. È la scelta libera di una donna forte di aderire totalmente al Mistero della Salvezza. Peraltro, già l’esortazione apostolica Marialis Cultus di Paolo VI nel 1974 chiariva che “Maria non è donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante, ma donna che non dubitò di proclamare che Dio è vindice degli umili e degli oppressi e rovescia dai loro troni i potenti del mondo”. Francesco ha inoltre nominato suor Raffaella Petrini Presidente del Governatorato e suor Simona Brambilla primo Prefetto donna. Sono gesti concreti che suonano come promesse di un cambio di passo al quale solo il futuro potrà dare compimento. Nel linguaggio e nei fatti.

Il papato di Francesco e il consesso internazionale

A livello di equilibri internazionali sembrano di nuovo sdoganate le logiche di potenza, con l’emergere di poteri forti vecchi e nuovi, strutture, condizionamenti che non rispondono a criteri evangelici e neanche a principi del diritto internazionale. A questo proposito, Papa Francesco si è inserito nella tradizione curiale che risale a Paolo VI, chiedendo il rispetto del diritto internazionale e il coinvolgimento dell’ONU, un organismo che però risulta bloccato nel fuoco incrociato di veti.

Da Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin ha parlato di una organizzazione caduta nella “apatia” e nella “irresponsabilità” e per giunta “passiva dinanzi alle ostilità subite da popolazioni indifese”. Da qui alcune mediazioni. Pensiamo ai buoni uffici posti dalla Santa Sede nel processo di normalizzazione delle relazioni bilaterali cubano-statunitensi, rotte dopo la rivoluzione castrista, giunto ad un accordo nel 2014. Inoltre, Francesco ha coinvolto altri personaggi, nei casi conosciuti alcuni cardinali, come Ortega per Cuba e Zuppi per l’Ucraina, per attivare una diplomazia più “personalizzata”. Peraltro si sa di altri contesti come nel Sud Sudan e in Repubblica Democratica del Congo. In ogni caso, sono canali ricondotti sotto il lavoro della Segreteria di Stato, confermando “creatività” e tradizione. Un binomio in cui restano centrali i valori.

Tra guerre vecchio stampo e ripensamenti dell’ordine mondiale, tra antiche diseguaglianze e moderne forme di rapacità economica, è urgente infatti ricordare – e Papa Francesco come altri Papi ha cercato di chiarirlo – che le istituzioni occidentali vanno ricongiunte alle loro radici di civiltà più profonde: quelle che dal nomos greco, dallo ius romano, dalla Legge ebraica conducono all’affermazione netta della centralità assoluta della persona umana, e della sua superiorità rispetto a ogni potenza terrena, asserita dall’umanesimo cristiano. Anche l’obiettivo è urgente: frenare la consunzione delle barriere contro l’abuso del potere, alla quale stiamo assistendo. E sulla centralità della persona c’è tutta la fermezza della Chiesa.

Le ultime volontà di Papa Francesco

ROMA, ITALIA – 8 DICEMBRE: Papa Francesco celebra la Festa dell’Immacolata Concezione donando tre Rose d’Oro all’antica icona romana “Maria Salus Populi Romani” nella Basilica di Santa Maria Maggiore, l’8 dicembre 2023 a Roma, Italia. FOTOGRAFIA DI Vatican Media

Le esequie

Tornando al commiato, ci sono poi le nuove regole volute da Francesco per le esequie. In questo caso, non ha disposto per sé ma in generale per i Pontefici. Tra le novità c’è stata la constatazione della morte non più nella camera del defunto ma nella cappella dell’abitazione Domus Sanctae Marthae; la deposizione immediata dentro la bara; l’eliminazione delle tradizionali tre bare di cipresso, piombo e rovere a favore di una di legno e zinco. La bara di Papa Francesco, esposta nei giorni 23, 24 e 25 aprile nella Basilica vaticana, è stata deposta davanti all’Altare della Confessione su una piccola pedana leggermente inclinata, posta su un tappeto a terra, e non sul catafalco come è sempre avvenuto nel passato.

La salma è rivestita delle vesti liturgiche rosse, con mitra e pallio, e il rosario tra le mani. Manca il pastorale papale. Francesco si è presentato da vescovo di Roma. D’altra parte, ha diffuso di sé l’immagine del “parroco del mondo”, vicino alla gente, lontano dalle aristocrazie. Un’immagine alla quale hanno dimostrato di essere affezionati i fedeli che nel primo giorno di esposizione a san Pietro sono arrivati in 20.000. Un modo di fare che ha conquistato molti ma che ha rischiato di essere assimilato al vento di populismo che ha contagiato la nostra epoca.

Ma il punto importante non è soltanto come abbia presentato al mondo il vicario di Cristo ma anche cosa abbia disposto per vescovi e cardinali: nel 2021 con Motu proprio ha stabilito che i cardinali e i vescovi, quando sono accusati di reati penali comuni (non religiosi), siano processati nel Tribunale vaticano, come tutti gli altri cittadini, secondo i tre gradi di giudizio. Ha eliminato il privilegio di un pronunciamento da parte di una commissione per gli alti prelati. È una decisione destinata a rimanere, salvo un intervento diretto ed esplicito del prossimo Papa, più di un’immagine.

I Novendiali

Nessuna variazione per l’antica consuetudine dei Novendiali: per nove giorni consecutivi si svolgono particolari celebrazioni dell’Eucaristia, a partire dalla Messa esequiale il 26 aprile alle ore 10.00 sul sagrato della Basilica di San Pietro. I Novendiali sono celebrazioni aperte che in realtà prevedono, ogni giorno, la partecipazione di un “gruppo” diverso, in base all’Ordo Exsequiarum Romani Pontificis. Interessante notare chi celebri in questo caso. Domenica 27 aprile, ore 10.30, presiede il cardinale Pietro Parolin per i dipendenti del Vaticano. Si tratta del “già” Segretario di Stato perché tutte le cariche risultano automaticamente decadute alla morte di un Papa.

Il richiamo è all’art. 6 della Costituzione apostolica Pastor Bonus di Giovanni Paolo II abrogata dalla Praedicate Evangelium di Francesco ma non per tale articolo. Tutti i Capi dei Dicasteri della Curia Romana, sia il Segretario di Stato sia i Prefetti sia i Presidenti Arcivescovi, come anche i Membri dei medesimi Dicasteri cessano dall’esercizio del loro ufficio. Fanno eccezione il Camerlengo di Santa Romana Chiesa e il Penitenziere Maggiore, che continuano a svolgere gli affari ordinari, facendo riferimento al Collegio dei cardinali. Allo stesso modo, in base alla Costituzione apostolica Vicariae potestatis, il Cardinale Vicario per la diocesi di Roma non cessa dal suo ufficio e non cessa, per la sua giurisdizione, l’Arciprete della Basilica e Vicario Generale per la Città del Vaticano.

La Sede vacante verso il conclave

Ci si augura che la Salus Populi Romani, l’icona così tanto venerata da Papa Francesco, vegli sulle sue spoglie mortali, sui suoi propositi migliori e sulla Chiesa che si presenta all’appuntamento del prossimo Conclave. I cardinali hanno giurato di osservare fedelmente le norme della Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis circa la vacanza della Sede Apostolica e l’elezione del Romano Pontefice promulgata da Giovanni Paolo II nel 1996. Una costituzione che, come mille altre, introduceva cambiamenti. A conferma di un cammino della Chiesa che ci ricorda la definizione della Chiesa secondo il Concilio Vaticano II: “Un popolo di Dio in cammino”. Un’espressione, usata da Francesco in quel primo affaccio dalla Loggia, che presuppone passi concreti senza immobilismi ma che va letta nel suo insieme: soffermarsi troppo sulle specificità di un tratto finirebbe per far passare per nuovo anche ciò che non lo è.

Papa Bergoglio non è stato un “intruso” nella storia della Chiesa, come sembrerebbe da analisi protese a sottolinearne la novità, ma un figlio di questa storia, fatta dalle gerarchie e dal popolo di Dio. Nessuno si avverta esente da responsabilità. Una storia che prosegue e che ci interroga sul futuro di una Chiesa, al di là degli entusiasmi, missionaria anche in Paesi un tempo cattolici.