Sostenere le transizioni: se ne parla a Med Dialogues

Non solo zona di crisi: l’area che si affaccia sul Mare Nostrum può essere una sorta di piattaforma materiale e ideale di connessione tra Europa, Africa e Asia. E’ la lettura che emerge a Mediterranean Dialogues, la conferenza annuale promossa dal ministero degli Esteri italiano e l’Ispi. Interessanti fasi di transizione si sono aperte in diversi Paesi tra forti speranze e dinamiche ostative, come sottolinea Valeria Talbot, esperta dell’Ispi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Dal Sahel ai Balcani, dal Nord Africa al Golfo Persico: è ampio l’orizzonte se si considera l’area del cosiddetto Mare Nostrum allargato, come si fa nell’ambito di Mediterranean Dialogues. Si tratta dell’iniziativa promossa a Roma dal 2 al 4 dicembre dal ministero degli Esteri italiano e della Cooperazione Internazionale e dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). Raccoglie  rappresentanti di 120 Paesi, tra cui 50 ministri e si snoda in 50 sessioni tematiche di dibattito. Dell’orizzonte di dibattito abbiamo parlato con Valeria Talbot esperta dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi):

Talbot fa riferimento subito alla specificità dell’edizione di quest’anno che si intitola Leveraging Transitions, nell’ottica di far leva sulle differenti transizioni che si stanno attraversando nell’area sul piano politico, sociale, economico, energetico e digitale. Si pensi alla transizione verde e a come essa accresca la centralità del Mediterraneo per la sicurezza energetica; o alla transizione digitale, catalizzatore di modernizzazione, integrazione e competitività su entrambe le sponde. Talbot ricorda che governare le transizioni in un mondo interdipendente richiede uno sforzo collettivo e un rafforzamento della cooperazione. Il Mediterraneo è storicamente uno spazio di dialogo e scambio. A margine dei Med Dialogues è organizzato un forum dedicato ai giovani, alla capacità di innovazione e di crescita.

Un’Agenda positiva

Talbot sottolinea che si intende promuovere una “Agenda positiva”, che guardi cioè al Mediterraneo non solo come un epicentro di crisi, ma come una sorta di piattaforma materiale e ideale di connessione tra Europa, Africa e Asia, unite in un unico macro-continente. Sono gli stessi temi al centro della “Nuova Agenda per il Mediterraneo” dell’Unione Europea. La Conferenza, dedicata a un’area di straordinaria rilevanza geopolitica, rappresenta – ricorda Talbot – il momento riassuntivo di un percorso di riflessione che dura tutto l’anno. Si tratta di affrontare le principali sfide che la regione fronteggia, nella consapevolezza che la complessità delle dinamiche in corso e l’elevato grado di reciproca interconnessione richiedono uno sforzo continuo di approfondimento e dialogo. Talbot cita alcuni contatti e accordi recenti che testimoniano nuove aperture di dialogo tra alcuni attori regionali.

Dinamiche di contrasto

Talbot riconosce che non mancano dinamiche in atto che remano contro gli sforzi di dialogo e cita le rivalità ideologiche, la competizione per il controllo delle risorse e l’emergere di nuove crisi che si sommano a quelle da tempo irrisolte.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-12/mediterraneo-ispi-ministero-esteri-conferenza-dialogo.html

Magister in cooperazione, il riconoscimento all’ambasciatore Sebastiani

Alla presenza del segretario di Stato vaticano, la Pontificia Università Lateranense ha proclamato questa mattina Pietro Sebastiani, ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, “Magister in Cooperazione Internazionale”. In diplomazia serve umiltà, afferma l’ambasciatore, parlando di un contesto internazionale “indebolito e sfrangiato”

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Nell’Aula Magna della Pontificia Università Lateranense si è svolta questa mattina la cerimonia del conferimento del titolo di “Magister in cooperazione internazionale” all’ambasciatore dell’Italia presso la Santa Sede Pietro Sebastiani, che è stato direttore generale della Cooperazione al Ministero degli Esteri italiano.

L’ars diplomatica nell’immagine del cardinale Parolin

La cerimonia è avvenuta alla presenza del cardinale Piero Parolin, segretario di Stato vaticano, che ha ricordato, tra l’altro, come si sia soliti definire l’attività diplomatica “un’arte e non una scienza” spiegando che non può essere che un processo in fieri – ha detto – dettato da professionalità e umanità. E il segretario di Stato ha offerto un esempio preciso: come un dipinto – ha detto – sul quale si possono aggiungere dettagli o ritocchi. Con una raccomandazione: comprendere nell’attività diplomatica quelle caratteristiche che, resistendo a tentazioni di rapporti troppo fluidi e diretti, possano rappresentare una cornice idonea a servire l’obiettivo del bene comune. Distinguere dunque tra mera formalità e un cerimoniale discreto e utile.

Il ruolo dell’umiltà in “un contesto indebolito e sfrangiato”

Sull’importanza dell’umiltà nell’impegno diplomatico si sofferma l’ambasciatore Pietro Sebastiani:

L’ambasciatore spiega quanto sia importante un atteggiamento umile per la costruzione di quel tessuto di relazioni e di dialogo che serve per arrivare a un qualche superamento delle divergenze o a qualunque tipo di accordo. Diversamente – sottolinea – diventa molto difficile il dialogo. E l’ambasciatore tra l’altro si sofferma sul momento attuale per mettere in luce la necessità di restaurare o rinnovare “l’architettura” dell’ordine internazionale, che si basa sostanzialmente su quella voluta dopo la Seconda guerra mondiale per assicurare la pace mentre il mondo è cambiato. Serve – dice – un nuovo sistema di regole, un nuovo patto internazionale per scongiurare le logiche di mera contrapposizione che nella storia dell’uomo hanno portato ai conflitti. Parla di nuove sfide e dell’importanza di comprendere che siamo tutti sullo stesso pianeta, con tante sfide in termini di risorse, diseguaglianze da affrontare. Cita la questione dei cambiamenti climatici auspicando un’ecologia umana e non solo ambientale.

Dall’impegno attivo alla formazione

Ricordando qualcosa dell’illustre curriculum dell’ambasciatore Sebastiani e l’approssimarsi della conclusione del mandato presso la Santa Sede, il rettore magnifico della Pontificia Università Lateranense Vincenzo Buonomo, ha sottolineato l’intenzione dell’ateneo di far si che la sua esperienza sia messa a frutto in termini di formazione:

Il rettore Buonomo conferma di voler chiedere all’ambasciatore Sebastiani di mettere a servizio degli studenti dell’ateneo e in particolare del master specifico in cooperazione internazionale la sua profonda esperienza. Al passato si guarda – spiega – con l’impegno ad aprire prospettive di futuro. E’ proprio questo – aggiunge – il mandato dell’Università che prepara le future generazioni.  Sebastiani è nato a Capannori (Lucca) nel 1957, entra in diplomazia nel 1984. Ha prestato servizio a Mosca, New York, Parigi e Bruxelles. E’ stato Rappresentante Permanente d’Italia presso le Organizzazioni delle Nazioni Unite in Italia e Ambasciatore d’Italia in Spagna tra il 2013 e il 2016. Ha fatto parte del Gabinetto dei Ministri degli Esteri Andreatta, Elia, Martino, Agnelli e Dini negli anni 1993-96. E’ stato Consigliere diplomatico del Presidente della Camera dei deputati nel corso della XIV legislatura e dal 2005 al 2008 Consigliere diplomatico del Presidente dell’Unione Inter Parlamentare a Ginevra.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-11/cooperazione-internazionale-ambasciatore-sebastiani-lateranense.html

Dietrofront dell’Europa sul Natale: «documento non maturo, da riscrivere»

FAMIGLIA CRISTIANA

30/11/2021 Saranno riscritte le linee guida sulla “comunicazione inclusiva” elaborate dalla Commissione Ue che censuravano, tra l’altro, anche i nomi cristiani. La commissaria Helena Dalli: «L’obiettivo era illustrare la diversità della cultura europea ma non abbiamo raggiunto lo scopo. Ora riscriveremo il documento».

 

Ritirato e riscritto: è quanto accade al documento interno sulla comunicazione interna ed esterna della Commissione europea che, tra le altre cose, invitava a evitare il termine “Natale” e i nomi cristiani. Dopo le polemiche sulle guidelines per public relation durante le festività, l’Esecutivo stesso dell’Unione Europea ha fatto sapere che il testo viene ritirato e sarà ripresentato in una nuova versione. In Europa da tempo si parla di pseudo neutralità del linguaggio sulle realtà religiose come scelta utile al rispetto e al dialogo. Nulla di più falso perché è solo il chiaro riconoscimento d’identità e valori che apre ad un confronto e ad un dialogo veri. Sembravano concetti acquisiti ma appare chiaro che all’interno dell’Ue persiste questa convinzione.  La notizia è che viene oggi rinnegata.

https://www.famigliacristiana.it/articolo/sul-natale-l-europa-fa-marcia-indietro-documento-ritirato-e-da-riscrivere.aspx

Il futuro dell’Afghanistan e le promesse del governo all’Ue

I talebani si sono “impegnati” per un’amnistia generale per gli afghani che hanno lavorato per due decenni dalla parte delle forze occidentali, fino al ritiro degli Stati Uniti ad agosto. Lo riferisce il servizio diplomatico dell’Ue. L’incontro non implica il riconoscimento del governo provvisorio, ma fa parte dell’impegno operativo dei Paesi europei, spiega lo studioso di questioni strategiche Pietro Batacchi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

I talebani hanno chiesto aiuto all’Unione europea per garantire il funzionamento degli aeroporti in Afghanistan. A renderlo noto è il Servizio di azione esterna della Ue (Eeas-Seae) in una nota, a conclusione dei due giorni di colloqui avvenuti nel fine settimana a Doha. L’appuntamento rientra nei tentativi dei fondamentalisti di migliorare le loro relazioni con la comunità internazionale e ottenere la revoca delle sanzioni economiche.

L’impegno da parte dell’esecutivo di Kabul

“Nell’incontro, la delegazione afghana ha confermato il proprio impegno a sostenere e rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali, compresi i diritti delle donne, dei bambini e delle persone appartenenti a minoranze, nonché la libertà di parola e dei media, in linea con i principi islamici”, aggiunge la nota. La delegazione dell’Ue, per conto suo, ha “accolto con favore l’intenzione della delegazione afghana di garantire la parità di accesso all’istruzione per ragazze e ragazzi a tutti i livelli e il diritto delle donne a lavorare in diversi settori e a contribuire all’economia e allo sviluppo dell’Afghanistan”. Della questione umanitaria ma anche del significato strategico dell’aeroporto abbiamo parlato con Piero Batacchi, Direttore della Rivista Italiana Difesa:

Batacchi ribadisce che le due parti hanno sottolineato l’importanza fondamentale di mantenere aperti gli aeroporti afghani e che la delegazione afghana ha richiesto assistenza nel mantenimento delle operazioni aeroportuali. È in questo contesto – conferma citando fonti Ue – che i talebani si sono anche impegnati a rispettare la promessa di “amnistia generale” per i connazionali che hanno lavorato con gli occidentali. E dunque Batacchi si sofferma sull’importanza che un aeroporto ha in particolare per un Paese come l’Afghanistan, che non ha uno sbocco al mare. Cita l’impegno dei talebani a garantire e facilitare il passaggio in sicurezza di cittadini stranieri e afghani che desiderano lasciare il Paese, ricordando che la questione umanitaria ha sempre priorità per l’Ue.

Non un riconoscimento del governo

Batacchi chiarisce che l’incontro non implica il riconoscimento del governo provvisorio, ma fa parte dell’impegno operativo dei Paesi europei, sottolineando che è la stessa nota del Servizio di azione esterna dell’Ue a ricordarlo. L’aeroporto può anche essere il primo dossier da cui partire per una strategia precisa, quella di non abbandonare completamente il destino dell’Afghanistan nelle mani di un governo provvisorio, di cui non si sa bene l’evoluzione, perchè ha chiarito l’intenzione di non aprire ad altre forze del Paese oltre ai rappresentanti dei talebani.

La voce dei talebani

Secondo la versione del ministro degli Esteri e leader della delegazione talebana a Doha, Amir Khan Muttaqi,  “sono state prese decisioni sull’aumento degli aiuti umanitari e sull’apertura di uffici dell’Unione europea a Kabul”. Il portavoce dei talebani, Zabiullah Mujahid, ha aggiunto che la delegazione europea “ha promesso la continuata presenza di un ufficio umanitario a Kabul per fornire assistenza”. Muttaqi ha inoltre fatto sapere che incontrerà la delegazione statunitense per discutere dello sblocco degli asset bancari, degli aiuti umanitari e della riapertura delle ambasciate a Kabul.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-11/afghanistan-unione-europea-doha-aeroporto-partenze-kabul.html

La Siria tra crisi umanitaria e slanci sul piano diplomatico

Il sistema sanitario già compromesso da 10 anni di conflitto in Siria non regge al Covid-19 mentre nel Paese restano sacche di forti tensioni e non sono mai cessati del tutto bombardamenti o attentati locali. Intanto il presidente Assad ottiene aperture sul piano diplomatico, come spiega lo studioso di relazioni internazionali Daniele De Luca

Fausta Speranza – Città del Vaticano

La crisi da Covid-19 in Siria si somma alla situazione sanitaria già compromessa. Secondo dati dell’Onu, l’80 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Il conflitto  in dieci anni ha provocato 500.000 vittime, 6,5 milioni di profughi e altrettanti sfollati interni. La metà degli ospedali del Paese sono ancora distrutti o resi inagibili dai bombardamenti. Mancano farmaci e strumentazione medica, mentre la pandemia continua a diffondersi.

L’appello Onu per gli aiuti

Martin Griffiths, coordinatore per le emergenze delle Nazioni Unite, ha fatto sapere che finora l’Onu e i suoi partner hanno ricevuto solo il 27 per cento dei finanziamenti necessari per il piano di risposta umanitaria del 2021 per la Siria, che prevede 4,2 miliardi di dollari. Non si può dimenticare la Siria che sembra uscita dai riflettori mediatici mentre ci sono emergenze da raccontare, come sottolinea Daniele De Luca, docente di Relazioni internazionali all’Università del Salento:

Di Siria non si parla – mette in evidenza De Luca – invece ci sono sviluppi da raccontare sia dal punto di vista diplomatico che militare. De Luca cita la visita del ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti a Damasco di qualche giorno fa per sottolineare che Bashar Al Assad sta intavolando nuovi rapporti con Paesi dell’area, in particolare ottenendo aperture dai Paesi del Golfo, come Emirati Arabi Uniti e Bahrein, che – ricorda – sono i Paesi che hanno siglato il cosiddetto Accordo di Abramo con Israele. Si tratta di un’apertura non soltanto finalizzata agli aiuti ma ovviamente per motivi geopolitici di equilibri. De Luca evidenzia anche che per quanto riguarda Arabia Saudita e Qatar non si registrano mosse diplomatiche.

Una situazione fluida

Lo studioso De Luca definisce la situazione in Siria oggi “fluida”, per la presenza sul territorio di forze straniere. E per quanto riguarda il terrorismo ricorda che Daesh, cioè il sedicente Stato islamico, è stato vinto, ma ricorda che in certi contesti restano fortissime le tensioni tra alcune minoranze, e dunque ci si deve aspettare che certe forze estremistiche si trasformino o si ricompattino. A proposito dell’annuncio del rientro della Siria nella Lega Araba a marzo prossimo, fatto nelle scorse settimane, De Luca commenta che è sempre positivo il ritorno di un Paese, tanto più se ha vissuto una guerra, nell’alveo di un consesso di più nazioni, perché favorisce ovviamente il dialogo per definizione. Ma il punto è – sottolinea – che non è chiaro in questo momento quale forza abbia e quale ruolo possa avere nel prossimo futuro la Lega Araba.

Nel sud il presidio a Daraa

Nella regione di Daraa, nel sud, le forze di Damasco stanno continuando le operazioni di reinsediamento e di sicurezza, sulla base dell’accordo con notabili locali raggiunto il primo settembre scorso con la mediazione di Mosca. Il governatorato risulta oramai controllato a livello militare dalle forze di Damasco, che hanno ripreso il controllo anche di Daraa al- Balad, un distretto meridionale dell’omonimo governatorato, controllato per molto tempo da gruppi dell’opposizione. Si tratta del distretto che, a partire da giugno scorso, è stato posto sotto assedio per oltre 65 giorni, senza possibilità di ingresso di soccorsi e aiuti umanitari per gli oltre 40.000 abitanti. La situazione ha alimentato crescenti scontri, definiti i peggiori degli ultimi tre anni, fino all’accordo a settembre. Nel distretto di Daraa al- Balad si continuano a registrare attentati contro membri dell’esercito siriano e suoi affiliati. Le forze siriane hanno chiuso la strada che collega Sheikh Miskin e il distretto di Izraa, dopo l’attacco che l’8 novembre ha provocato la morte di due agenti siriani. Nel mese di novembre è arrivata notizia anche di esplosioni a Raqqa, nel nord della Siria, o nella città di Qamishli, nel governatorato di Hasakah, nel nord-est della Siria. Secondo fonti locali, anche ad est, nell’area di al-Bukamal, di Deir Ezzor, si sono registrati bombardamenti.

Nel nord l’emergenza di Idlib

Fortissime tensioni si registrano anche a nord, in particolare a Idlib. I presidenti di Turchia e Russia, Recep Tayyip Erdoğan e Vladimir Putin, hanno raggiunto un accordo di cessate il fuoco nel governatorato, siglato il 5 marzo 2020 ed esteso al termine dei colloqui svoltisi a Sochi il 16 e 17 febbraio scorso, che ha fatto sì che nessuna delle parti belligeranti lanciasse una più ampia offensiva. Restano però sacche di opposizione e disordini. C’è poi l’emergenza dal punto di vista umanitario per il milione di sfollati provenienti da varie zone della Siria in questi anni di guerra, che si sono aggiunti ai tre milioni di abitanti dell’area. L’emergenza è drammaticamente aggravata dalla pandemia che risulta fuori controllo tra gli sfollati, come sottolinea ancora Daniele De Luca.  

L’incubo delle bombe inesplose

Nell’ultimo anno inoltre 3.000 bambini e bambine sono rimasti feriti o uccisi da mine e ordigni inesplosi, spesso mentre giocavano in zone residenziali. Oltre 11,5 milioni di persone vivono in comunità contaminate e già 6000 civili ne sono stati colpiti. In particolare, quasi nessuna area nel nord-ovest è libera da ordigni.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-11/siria-diplomazia-pandemia-poverta-onu-conflitto.html

Allarme Onu: schizzano i prezzi dei medicinali in Libano

Le Nazioni Unite condannano il taglio dei sussidi per le medicine nel Paese dei Cedri dove aumentano i suicidi. C’è chi specula su alcune importazioni mentre non si vedono all’orizzonte le riforme annunciate, come riferisce da Beirut il docente universitario Riccardo Paredi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla povertà e i diritti umani, Olivier De Schutter, ha denunciato la decisione del governo del primo ministro Najib Miqati di abolire i sussidi sui medicinali in Libano. De Schutter ha ricordato come il governo aveva promesso di mettere in atto un sistema di reti di protezione sociale contro la povertà prima di revocare i sussidi, “ma questo piano non ha ancora visto la luce”. Due giorni fa, il relatore dell’Onu si è pronunciato definendo la decisione “irresponsabile e prematura” di fronte al crescente impoverimento di gran parte della società del Libano.

Un sistema sanitario tra mille difficoltà

Dopo la nuova stretta del governo, anche i prezzi dei medicinali per le malattie croniche, gli antidepressivi e i tranquillanti, così come i prezzi del latte in polvere per bambini, “sono letteralmente schizzati alle stelle”. Secondo De Schutter, gli aumenti, che sono di cinque o sei volte il prezzo precedente, “metteranno ulteriore pressione su un sistema sanitario già paralizzato”.

Emergenza senza precedenti e speculazioni

Una delle peggiori crisi economiche degli ultimi 150 anni: così la Banca Mondiale valuta le gravissime difficoltà che attraversa il Libano. L’emergenza è anche sanitaria e sociale. Oltre a rimuovere i sussidi sui medicinali, il governo ha già rimosso quelli sui combustibili e su diversi alimenti di base. Questo scatena anche speculazioni. Mentre gran parte della popolazione soffre le conseguenze di un anno e mezzo di default economico, c’è infatti chi si arricchisce nelle attuali distorte dinamiche di commerci, come afferma Riccardo Paredi, che si trova nella capitale libanese per un dottorato alla American University e che collabora con la Fondazione Oasis.

Paredi sottolinea che la maggior parte della popolazione non può permettersi prezzi così alti di medicinali essenziali o utili come un antipiretico. Conferma che ci sono quelli che definisce “correttivi sociali”, cioè l’intervento di Caritas e Ong ma denuncia il fatto che a volte è difficile, farraginoso, anche assicurare la distribuzione di beni di prima necessità per complicazioni burocratiche. L’esperto ricorda che uno stipendio di un milione di lire libanesi prima del default e dell’inflazione equivaleva a 660 dollari circa, mentre ora corrisponde a circa 90 dollari. L’inflazione tocca il picco del 90 per cento.

Aumenta la disperazione popolare

Paredi mette in luce il dato drammatico dell’aumento di suicidi negli ultimi due anni. La maggior parte delle vittime sono uomini, padri di famiglia, di mezza età e senza lavoro, libanesi ma anche siriani e palestinesi, che non riescono a sostenere la pressione di fronte all’incapacità di sfamare i propri figli. In Libano ormai, secondo l’Onu, più della metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Racconta che in ambito universitario i giovani che hanno possibilità economiche progettano di lasciare il Paese, gli altri non intravedono possibilità di lavoro ma neanche di proseguire facilmente gli studi.

Impasse politica

La crisi è economica, sanitaria, sociale ma anche politico-istituzionale, ricorda Paredi. Il governo in carica deve traghettare il Paese alle elezioni di fine marzo 2022, ma il suo mandato sarebbe quello di assicurare riforme importanti di cui però non si vede l’avvio. Ci sono un miliardo di aiuti – ricorda – che il  Fondo monetario internazionale è in grado di destinare al Libano ma nell’attuale situazione di impasse politica non è possibile svolgere le necessarie negoziazioni. “Se non c’è un  governo autorevole e se non si definiscono le riforme non si possono sbloccare questi aiuti”.

La voce delle proteste

A ottobre scorso si è svolto l’anniversario del picco di proteste popolari che hanno portato alla caduta del governo Hariri, seguita da varie vicissitudini, incarichi di governo andati a vuoto fino all’attuale esecutivo. Ad agosto 2020 c’è stata la tragedia delle esplosioni al porto che hanno scatenato altre manifestazioni e disordini. Riccardo Paredi innanzitutto chiarisce che p”raticamente proteste a livello popolare si registravano anche in tutto il decennio precedente a ottobre 2019″; proteste che definisce “carsiche” rispetto all’evoluzione successiva di massicci cortei in piazza. “Ma – sottolinea – emergeva un forte scontento, poi esasperato”. Al momento attuale però, evidenzia Paredi, “la popolazione ha altre drammatiche priorità e l’anniversario di ottobre, pur sentito, non ha portato però a manifestazioni partecipate. Non perché non ci sia meno scontento, anzi, ma perché la popolazione non ce la fa troppo presa dalle emergenze giornaliere”.

Un Paese piccolo ma complesso

Il Libano è una nazione “giovane” nata su un territorio denso di storia, un Paese ricco culturalmente ma anche complesso per tanti aspetti. In particolare, Paredi chiarisce che non si può parlare di popolazione libanese come di un unicum. C’è una grande fetta di persone che sono scivolate al livello di povertà o sotto, ma per alcuni – sottolinea l’esperto – è un periodo che offre occasioni di forti guadagni, spiegando che ci sono alcuni che fanno affari d’oro in particolare nel settore energetico, nella vendita di generatori, negli approvvigionamenti di benzina. A proposito di complessità, Paredi ricorda che si tratta di un territorio su cui svolgono un ruolo anche attori regionali. Secondo il docente, si avverte di attraversare diversi microcosmi se si frequentano anche nella stessa capitale persone legate a reti sociali o gruppi familiari diversi, e aggiunge che tutto questo si ripercuote anche nell’urbanistica di Beirut. Per non parlare della differenza tra città del nord e del sud, come Tripoli o Tiro.

Il dibattito istituzionale

In ambito universitario è vivo il dibattito sui possibili cambiamenti costituzionali. Attualmente il sistema è definito confessionale perché prevede una distribuzione delle cariche istituzionali tra le diverse confessioni religiose nel Paese. Riccardo Paredi spiega che alcuni invocano il superamento di questo sistema parlando di laicità ma che non è chiaro quali possano essere le alternative. E sottolinea che non si può parlare di contrapposizione generazionale pensando che i giovani siano tutti a favore del cambiamento e i meno giovani no. “Non è così – afferma –, anche tra i giovani molti non danno per scontato il superamento o non ritengono positive le alternative finora presentate”.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-11/libano-economia-crisi-medicine-nazioni-unite-beirut-giovani.html

È corsa alle candidature in Libia

Si avvicinano le elezioni presidenziali libiche fissate per il 24 dicembre e si moltiplicano quanti scendono in campo: dal figlio di Gheddafi al generale Haftar, ma anche protagonisti di ruoli istituzionali. L’incognita, oltre al dibattito su singoli nomi, è capire se le dinamiche elettorali potranno contribuire a superare le forti tensioni e la persistente frammentazione sul terreno, come sottolinea lo studioso di Nord Africa Luciano Ardesi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

In vista delle elezioni presidenziali previste in Libia il 24 dicembre, da domenica scorsa aumentano le iscrizioni dei candidati. Oggi l’Alta commissione nazionale per le elezioni ha precisato che la lista finale e definita verrà resa nota dopo che saranno completate le verifiche necessarie. Intanto fanno discutere nomi di peso che hanno fatto sapere di essere scesi in campo.

Il figlio di Gheddafi e il generale Haftar

Domenica scorsa ha presentato la sua candidatura Saif al-Islam Gheddafi, figlio del colonnello e ricercato dalla Corte penale internazionale nell’ambito delle inchieste per i crimini commessi durante la rivoluzione del 2011 che depose il padre. Poi è arrivato l’annuncio che il generale noto come Khalifa Haftar ha rinunciato temporaneamente alla guida dell’Esercito nazionale libico proprio per aspirare alla guida del Paese da civile. Precisamente il nome del cosiddetto uomo forte della Cirenaica è Khalīfa Belqāsim Ḥaftar Alferjani e nell’aprile del 2011 è stato promosso al grado di Tenente generale dalle autorità del Consiglio nazionale di transizione libico. “Dichiaro la mia candidatura alle elezioni presidenziali, non perché corro dietro al potere, ma per condurre il nostro popolo alla gloria, al progresso e alla prosperità”, ha detto Haftar in un discorso trasmesso in diretta tv da Bengasi, sua roccaforte. Il maresciallo di campo ha affermato che le elezioni di dicembre sono “l’unico modo per far uscire la Libia dal caos”.

Altri nomi di spicco

Ed è stato già registrato da giorni anche il nome dell’ex primo ministro libico Ali Zeidan. Il governo di Zeidan, in carica dal 14 novembre 2012 all’11 marzo 2014, era stato  sfiduciato dal Parlamento di Tripoli. In precedenza era stato ambasciatore della Libia in India. Dopo aver abbandonato l’incarico era diventato oppositore di Muammar Gheddafi risiedendo in Germania.  Il 10 ottobre 2013 ha subito un sequestro lampo da parte di miliziani  armati che lo hanno prelevato dall’Hotel Corinthia di Tripoli con un presunto mandato di arresto. Un altro nome importante nella lista dei candidati è quello di Agila Salah, l’ex magistrato che dal 2014 è presidente della Camera dei deputati di Tobruk, la città dell’est dove il Parlamento si è ritirato dopo la guerra civile a Tripoli del 2015. Inoltre oggi ha formalizzato la sua candidatura l’ex vicepresidente Ahmed Maitig, uomo d’affari di Misurata noto in Europa e già vicepresidente del passato Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale dell’allora premier Fayez al-Sarraj. Delle candidature abbiamo parlato con Luciano Ardesi, esperto dell’area nordafricana:

Ardesi innanzitutto chiarisce che c’è ancora tempo per registrare le candidature e che dunque sicuramente ne arriveranno altre. Ad esempio, nella Tripolitania, ossia all’ovest, fra gli altri hanno lasciato intendere di volersi presentare alle presidenziali sia Fathi Bashagha, l’ex ministro dell’Interno legato a milizie anti-Haftar, sia Dbeibah, sebbene sia in teoria incandidabile in quanto primo ministro. Ardesi sottolinea che si tratta di tuti nomi di peso ma che non si sa al momento quanto seguito abbiano sul terreno, in termini di controllo o appoggio di un partito, di milizie, di un movimento. È immaginabile un confronto molto sentito e acceso. Inoltre, Ardesi torna alla questione dei mercenari, ricordando che ci sono stati appelli al ritiro anche nell’ultima conferenza per la Libia della settimana scorsa,ma sottolineando che a parte alcune sporadiche partenze in realtà il grosso delle truppe mercenarie sono ancora sul terreno anche perché sia la Russia che la Turchia aspettano che sia l’altro Paese a iniziare il controllo del ritiro. Dunque – sottolinea Ardesi – è immaginabile che la popolazione si recherà a votare mentre i mercenari sono ancora sparsi sul territorio.

L’incognita legislative

C’è anche l’orizzonte delle elezioni legislative fissate per il 14 febbraio 2022, data che coincide con l’eventuale e probabile ballottaggio delle presidenziali. Ardesi infatti non ritiene probabile che esca subito un vincitore del voto presidenziale del 24 dicembre.  Spiega che ancora non è chiaro lo svolgimento del voto legislativo e che non si sa quale sarà il peso della coincidenza. In ogni caso, i tempi sono stretti e la pressione delle urne non aiuta a immaginare che si plachino le forti tensioni sul terreno.

Perplessità all’interno del Consiglio di Stato

Il portavoce dell’Alto Consiglio di Stato (Hsc, una sorta di senato libico), Mohamed Abdel Nasser, ha criticato l’Alta Commissione elettorale nazionale (Hnec) mettendo in dubbio la sua capacità di condurre le elezioni in modo ordinato, equo e trasparente. Lo segnala oggi in un tweet il sito Libya Observer. Si parla ad esempio di errori fatti sulle piattaforme ufficiali dell’Hnec, ha sottolineato il portavoce. Esponenti dell’Hsc, insediato a Tripoli quale contrappeso politico del Parlamento basato a Tobruk, hanno già espresso a più riprese dubbi sulla legittimità delle elezioni presidenziali libiche di dicembre: la tornata si basa su una legge varata in maniera controversa dalla Camera dei deputati per favorire, secondo i suoi critici, il generale Khalifa Haftar.

Il sostegno al voto da Washington

Gli Stati Uniti sostengono il  lavoro dell’Alta commissione elettorale nazionale della Libia, ne  riconoscono gli sforzi per garantire la sicurezza e l’integrità del voto. Lo ha dichiarato l’ambasciatore statunitense Richard Norland durante un incontro con il capo dell’Alta Commissione elettorale all’aeroporto internazionale Maitika, come riporta Libya Review. “Ho sottolineato il sostegno degli Stati Uniti alle elezioni e, per quanto riguarda il settore energetico, l’importanza di mantenere una National Oil Corporation (Nov) unificata, tecnocratica e indipendente di fronte alle persistenti sfide alle sue operazioni”, ha twittato  l’ambasciatore, che ieri ha anche avuto un incontro con la Us-Libya Business Association.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-11/libia-elezioni-gheddafi-figlio-transizione-generale-haftar.html

Attesa per l’incontro virtuale tra Biden e Xi Jinping

Il presidente degli Stati Uniti e il presidente della Repubblica Popolare Cinese a colloquio per la prima volta da quando Biden è alla Casa Bianca. Uno scambio via web che, anche se non porta risultati concreti, rappresenta un elemento positivo nei processi attuali di riequilibrio internazionale, come spiega lo studioso di Relazioni internazionali Luciano Bozzo

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Una gestione responsabile della competizione e degli interessi comuni e non”: secondo una nota della Casa Bianca, è questo l’obiettivo del summit virtuale previsto tra Joe Biden e Xi Jinping quando negli Stati Uniti è la sera di oggi lunedì 15 novembre e in Cina è già la mattina di martedì 16. Ci si aspetta che i due leader parlino delle conclusioni della COP26 di Glasgow, della questione dazi, dell’andamento dell’economia mondiale. Un colloquio che rappresenta un elemento positivo anche se non ci sono grandi aspettative su risultati concreti, come sottolinea Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali e Teorie della Politica internazionale all’Università di Firenze:

Il professor Bozzo parla dell’incontro come di un fattore positivo in una fase in cui i rapporti sono sotto il segno della competizione. Sottolinea l’importanza di un’occasione per un dialogo diretto ricordando che l’intesa annunciata durante la COP26 tra Washington e Pechino è stata significativa per l’impulso che ha ricevuto la Conferenza stessa, ma anche come prova di avvicinamento su alcuni punti tra le due grandi potenze. I due leader non si sono in realtà impegnati in nessuna grande nuova promessa, ma la manifestazione di una volontà dei due Paesi di non mettere da parte la tematica ambientalista è stata ed è importante. Lo studioso ricorda che i punti di partenza erano molto lontani, considerando che la Cina non era stata tra i Paesi firmatari dell’accordo comune della COP26 sulla riduzione progressiva dell’uso del carbone, non associandosi alla promessa di ridurre le emissioni del 30 per cento entro il 2030. Joe Biden, inoltre, aveva definito “un grosso errore” l’assenza di Xi al tavolo della Conferenza. E il punto – suggerisce Bozzo – è che la concretizzazione sul possibile accordo per la riduzione delle emissioni potrà verificarsi soltanto nella strada del dialogo e del confronto che i due leader possono provare ad aprire con il faccia a faccia previsto oggi anche se virtuale. Bozzo ricorda che sulle questioni ambientali ci sono in ballo grossi interessi e che questi interessi sono diversi tra i grandi Paesi che hanno voce in capitolo e che non sono solo Stati Uniti e Cina. L’intesa tra le due grandi potenze può essere importante per prese di posizione allargate anche se non scontate. In fondo – commenta Bozzo – il pronunciamento di Washington e Pechino è stato l’unico passo in avanti che registriamo in tema di cambiamenti climatici a conclusione dell’incontro a Glasgow.

Nessun incontro in presenza tra i due presidenti

Complice il prolungamento dell’emergenza pandemica e le rigidissime regole cinesi che non permettono di fatto ai cittadini di uscire dal Paese, non c’è ancora mai stato un incontro in presenza tra i due leader mondiali da quando Biden è alla Casa Bianca. Durante la presidenza di Barack Obama, Biden da vicepresidente aveva incontrato Xi Jinping che è presidente dal 2013. Guardando alla fase attuale in cui sono i leader dei rispettivi Paesi, va ricordato che i due hanno avuto un colloquio telefonico lo scorso 9 settembre e che la settimana scorsa sono intervenuti con due videomessaggi al vertice dell’Apec, l’Asia-Pacific Economic Cooperation.

Multilateralismo e “super potenze”

In un’epoca in cui si parla molto di multilateralismo e si auspica – dopo i tanti cambiamenti storici degli ultimi anni – un riequilibrio mondiale proprio all’insegna del multilateralismo, Bozzo commenta il fatto che però, a fronte di questo, i riflettori internazionali restano puntati in modo particolare proprio sui rapporti tra Stati Uniti e Cina, che rappresentano le due “super potenze” mondiali. Il multilateralismo è un obiettivo – afferma Bozzo – ma non si può ignorare il fatto che la politica internazionale è centrata tra le interazioni tra grandi potenze. E questo accade mentre nei fatti si rimette in discussione l’ordine di equilibrio mondiale stabilito dopo la seconda guerra mondiale. Secondo Bozzo, non si può dire che si stia tornando a una nuova “guerra fredda” simile a quella vissuta tra Usa e Russia, perché molti fattori sono diversi, ma riconosce che è forte la competizione tra una potenza emergente che si qualifica sempre più come global player e una potenza che è stata protagonista negli equilibri mondiali per decenni. Il punto è – ribadisce Bozzo –  evitare quello che nella storia è successo troppo spesso e cioè che le grandi competizioni sfocino in conflitti. Da questo punto di vista – ricorda – abbiamo già un esempio di superamento di una fase delicata senza lo sbocco in una guerra e cioè la fine della guerra fredda e il superamento del dualismo tra Usa e Russia. Oggi dunque si tratta indubbiamente – ribadisce – di riformulare nuovi equilibri all’insegna del confronto nel dialogo.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-11/stati-uniti-cina-presidente-colloquio-relazioni-internazionali.html

I poveri, preferiti di Dio: così il Papa in un video messaggio all’Associazione Fratello

“Chiedo perdono a nome dei cristiani che vi hanno ferito, ignorato e umiliato”: così il Papa si rivolge ai poveri nel video registrato in risposta all’invito ricevuto dall’Associazione Fratello e reso pubblico oggi. Il posto dei poveri – dice Francesco – non è alle porte delle chiese, ma nel cuore della Chiesa. Ricorda dolorosissimi contesti di guerre imposte da altri

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Nella V Giornata mondiale dei poveri è stato reso pubblico nel pomeriggio il video registrato dal Papa venerdì scorso in risposta all’invito ricevuto dall’Associazione Fratello che si occupa dei più bisognosi (https://www.facebook.com/Wearefratello/). Francesco sottolinea innanzitutto che “molti stanno attraversando situazioni difficili, molto difficili, dolorose e a volte insopportabili” e chiede “perdono a nome di tutti i cristiani che vi hanno ferito, ignorato e umiliato”:

Molti di voi stanno soffrendo in carcere, negli slum, in un letto d’ospedale, nei quartieri più poveri, abbandonati, isolati, e talvolta anche in una guerra che non avete cercato, che è stata imposta. Alcuni di voi oggi non hanno più niente, non sanno se stasera mangeranno e dove dormiranno.

Nelle sue parole, la forte vicinanza ai poveri:

“Quanto sono felice di essere con voi in questo giorno! Mi sento molto vicino a voi; Voglio ricordare a tutti quanto Dio ci ama e quanto Dio vi ama.

L’invito ad andare oltre la superficialità:

È possibile che la parola “povero” possa scioccare alcune persone. Ma vedendoti voglio gridare al mondo che la Chiesa ha la Buona Novella: Gesù ha bisogno di voi per salvare il mondo, è venuto per i poveri, piccoli, malati, feriti della vita, amareggiati, per colmare noi con il suo amore. Se ci riconosciamo poveri, riconosciamo una mancanza, allora Dio può entrare in questa mancanza.

Francesco ricorda poi il legame profondo con il Vangelo:

Beati i poveri! Questa è la prima beatitudine.

E il richiamo per tutti:

Diventare poveri nel nostro cuore è un invito radicale a spogliarci di ciò che abbiamo, o pensiamo di avere, del nostro peccato, per lasciare che Dio venga e ci riempia del suo amore. Che il Signore ci aiuti a diventare piccolissimi, perché possa essere grande in noi, grande!

Una considerazione per chi non è povero sul piano materiale:

Altri che sembrano avere tutto, spesso soffrono di solitudine, ansia, depressione, dipendenza.

Nel cuore della Chiesa

Ogni uomo, ogni donna è il tempio di Dio, ricorda il Papa aggiungendo parole in particolare per i poveri:

Voi siete il tempio di Dio, voi siete il tesoro della Chiesa. Il vostro posto non è alla porta delle chiese, ma nel cuore della Chiesa. Sappiate che siete i preferiti di Dio. Tra voi ci sono santi nascosti.

Gesù al primo posto

Vi incoraggio ad amare sempre di più Gesù, ad adorare Lui, che si fa così povero nell’Eucaristia, a pregarlo. Lasciategli un posto comodo, il primo posto, nella stalla dei vostri cuori, perché possa nascere nei vostri cuori. Siate testimoni del suo amore nel mondo. Cari fratelli e sorelle, ogni giorno prego per voi e sapete che conto sulla vostra preghiera.

Il pensiero e la preghiera a Maria:

Perciò chiedo a Maria, che ha saputo accogliere pienamente lo Spirito Santo, di darci ora un po’ di pace, di proteggerci sotto il suo grande manto di tenerezza.

Il legame forte al Vangelo

Il Vangelo – ricorda il Papa – ci invita costantemente ad essere poveri: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”. Gesù ci dice anche: “Ciò che avete fatto al più piccolo di questi, l’avete fatto a me”. E anche: “chi accoglie questo piccolino, questo povero, accoglie me nel mio nome”. Per questo – aggiunge Papa Francesco – diciamo che i poveri sono il tesoro della Chiesa. Dunque, l’invocazione allo Spirito Santo perché assicuri la sua “dolce e gioiosa presenza”, nella consapevolezza che “ciò che Dio ha nascosto ai sapienti e ai dotti, lo ha rivelato ai piccoli”.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-11/papa-francesco-assisi-giornata-mondiale-poveri-video-messaggio.html

Al via nuova Conferenza internazionale sulla Libia

Capi di Stato internazionali e regionali discutono a Parigi della situazione libica in vista delle elezioni previste il 24 dicembre prossimo. Il presidente francese Macron sottolinea il rischio che il processo di transizione deragli. Al di là del governo di unità nazionale, di fatto sono diversi i centri di potere, come spiega la studiosa Michela Mercuri

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Si tiene oggi a Parigi la Conferenza internazionale sulla Libia, voluta dal presidente francese Emmanuel Macron, in cogestione con Italia e Germania, per confermare le elezioni presidenziali del 24 dicembre, nella simbolica data del 70mo anniversario dell’indipendenza del Paese nordafricano. L’evento si tiene alla Maison della Chimie, un Centro congressi situato nel VII arrondissement della capitale francese. L’iniziativa era stata annunciata dal ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, a settembre durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Il settimo incontro internazionale

Si tratta del settimo incontro dedicato alla crisi libica dopo gli incontri di Parigi (maggio 2018), Palermo (novembre 2018), Abu Dhabi (marzo 2019), Berlino 1 (gennaio 2020), Berlino 2 (giugno 2021) e Tripoli (ottobre 2021). Partecipano una ventina tra capi di Stato regionali e internazionali, tra cui la vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Sono rappresentati anche Tunisia, Niger e Ciad, i tre Paesi confinanti che stanno subendo i maggiori contraccolpi della crisi libica, in termini di instabilità, traffico di armi e mercenari. All’incontro mancano i presidenti di Turchia e di Russia, per Mosca interviene il ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Con il presidente Macron hanno organizzato e sono presenti il presidente del Consiglio dei ministri italiano Mario Draghi,  la cancelliera tedesca Angela Merkel, rappresentanti delle Nazioni Unite. Dalla Libia hanno confermato la partecipazione il presidente del Consiglio presidenziale libico, Mohamed Al Menfi e il primo ministro Abdulhamid Dabaiba.

Le date tra le questioni centrali

Al momento una questione centrale è quella delle date: il voto del primo turno delle presidenziali è fissato per il 24 dicembre e un eventuale secondo turno è previsto per il 20 febbraio, in simultanea con le parlamentari. E c’è poi la posizione del capo dell’Alto consiglio di Stato libico, Khalid al-Mishri, che ha chiesto di astenersi dal partecipare alle elezioni non candidandosi o non andando alle urne. Al-Mishri ha affermato che le leggi elettorali annunciate dall’Alta Commissione elettorale nazionale alla stampa pochi giorni fa sono imperfette.

“Le elezioni sono alle porte – ha osservato alla vigilia dell’incontro il presidente francese Emmanuel Macron – ma le forze che vogliono far deragliare il processo sono in agguato”. Bisogna tenere la barra dritta – ha aggiunto – è in gioco la stabilità del Paese”. Nelle scorse settimane la ministra degli Esteri Najla Al-Mangoush è stata prima sospesa dalle sue funzioni e sottoposta a divieto di viaggio per “violazioni amministrative” e poi reintegrata dal primo ministro Abdul-Hamid Dbeibah. Si vive una situazione di transizione in cui non sono precisamente definiti nei fatti i confini di potere, spiega Michela Mercuri, studiosa di Storia contemporanea dei Paesi del Mediterraneo:

Mercuri ricorda che sono in funzione il Consiglio presidenziale e il Governo di Unità nazionale di Tripoli. Spiega che il primo, che è stato approvato dalla Camera dei rappresentanti il 10 marzo 2021, a seguito di un accordo raggiunto al Forum di dialogo politico libico con la mediazione delle Nazioni Unite, svolge le funzioni di capo di Stato. Il secondo è un esecutivo provvisorio formato per unificare i governi rivali di Tobruk e Tripoli (Gna) dopo l’accordo di cessate-il-fuoco raggiunto tra Khalifa Haftar e Fayez al-Serraj. Inoltre, Mercuri cita la Camera dei rappresentanti e l’Alto Consiglio di Stato, sottolineando che sono due organismi ‘paralleli’ pensati per bilanciarsi l’uno con l’altro e che risalgono agli Accordi di Shikrat del 2015. Infine, c’è il cosiddetto comitato militare 5+5, che è il risultato di un meccanismo attuativo della Conferenza di Berlino del 2020.

Tante le forze in campo

Da anni sono diversi i centri di potere che hanno voce in capitolo in Libia e, sottolinea Mercuri, in questa fase si sono ulteriormente compattati. Inoltre sul terreno sono presenti diverse migliaia di militari turchi o siriani filo-turchi intervenuti a sostegno del governo di Tripoli quando era sotto assedio, oltre a mercenari russi accorsi in aiuto delle forze della Cirenaica guidate dal generale Khalifa Haftar. Entrambe le milizie straniere non hanno mai smobilitato né si sono ritirate dal Paese, come era previsto dopo la firma del cessate-il-fuoco e l’approvazione della road-map mediata dall’Onu per la fine delle ostilità e il ripristino di istituzioni democratiche.

La situazione migranti

“In Libia la situazione dei migranti è molto fragile”: lo ha confermato in questi giorni la  commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, parlando all’Europarlamento. “Ho ricevuto la  promessa che i centri di detenzione saranno chiusi”, ha detto, aggiungendo che “il generale accusato di legami con trafficanti è stato rimosso”.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-11/libia-macron-elezioni-dicembre-governo-di-unita-nazionale.html