L’emergenza Ucraina e le grandi sfide da non dimenticare

Dopo anni di Trattati internazionali per il disarmo, si torna a parlare di aumento delle spese militari in ambito Nato. Al di là del  dibattito parlamentare all’interno di ogni singolo Paese dell’Ue, è importante  fare riflessioni di carattere globale. Il primo pensiero va alle spese mondiali per gli armamenti degli ultimi anni, al progressivo e significativo aumento: è stato registrato dai dati ma forse non dalla percezione generale in Occidente. Una distrazione da non ripetere.

E poi c’è la febbre del pianeta, quel surriscaldamento che già presenta il conto in termini di disastri ambientali e umanitari, da non dimenticare. Su questo piano rischiamo oggi – nessun Paese è escluso – un’altra colpevolissima distrazione.

Come dice Papa Francesco “la vita umana indifesa viene prima di qualunque strategia”. Certamente la priorità assoluta è salvare le persone facendo cessare il conflitto in Ucraina. Ma è importante e doveroso anche non perdere di vista alcuni orizzonti di riflessione importanti per la vita stessa sul pianeta. L’Unione europea, finora compatta come solo nel caso della pandemia avevamo visto, nell’ambito delle strategie di reazione all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – oltre all’impegno straordinario per i profughi – ha stabilito che tutti i Paesi europei dovranno, nei prossimi anni, aumentare le spese militari fino al 2 per cento del Pil, secondo quanto già previsto a livello di Alleanza Atlantica. Per l’Italia si tratta di passare da 25 a 38 miliardi di euro e il dibattito è in corso.

Dobbiamo ricordarci dell’aumento che non abbiamo voluto vedere. E’ come se la percezione generale si fosse fermata a dopo il 2001 quando in Occidente, nonostante l’11 settembre e la guerra in Iraq e altri fatti molto gravi, il trend delle spese militari mondiali era in diminuzione anche se leggera. Ma già negli anni successivi se  diminuivano le spese  dei Paesi occidentali – Stati Uniti in testa  in particolare con la presidenza Obama  –  aumentavano quelle in Asia in generale, e nell’Asia orientale in particolare, come anche nel Medio Oriente. Quello che è successo poi, nel 2014, è che, per la prima volta da molti anni, c’è stata una inversione di tendenza: il complesso delle spese militari mondiali seppure di “qualche” decina di miliardi di dollari ha progressivamente registrato rialzi, anche di quasi un punto percentuale in un anno. Da quel momento i Paesi impegnati a ridurre la spesa non sono stati più in grado di compensare quelli impegnati ad aumentarla. Da allora lo stesso trend si è esasperato fino al 2021 quando nel mondo le spese militari sono aumentate di 50 miliardi di dollari, superando i 2000 miliardi di dollari. E fino al conflitto in Ucraina che porta ad un aumento di spesa in armamenti anche nei Paesi europei. Il discorso è complesso ma in ogni caso va considerato nella sua intera parabola.

“Un obiettivo che consentirà di creare una vera e propria difesa europea”: così, in sede di Consiglio europeo  che si è tenuto il 24 e 25 marzo, il presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi ha definito l’aumento della spesa militare. Si spera davvero che possa essere il momento di svolta per il processo che manca alla costruzione europea: la formazione di una difesa comune per una reale politica estera comune. E’ uno degli indispensabili anelli mancanti insieme con la fiscalità. Non si tratta, dunque, solo di raggiungere un’intesa per l’Ucraina. Dobbiamo ricordarci che sono tante e significative le vie da percorrere per scongiurare le sabbie mobili della conflittualità su diversi fronti, sotto diverse latitudini. Serve un’Europa compatta e unita sul fronte della pace che non è fatto solo da trincee vere e proprie. Non dimentichiamo tutta la questione delle cosiddette “guerre per procura”   che in questo momento rappresentano il punto cruciale di tanti conflitti in singoli Paesi o in  aree geografiche. Ci si combatte all’interno ma per interessi esterni di attori che riescono ad avere, proprio all’interno di questi Paesi o di queste aree, un controllo, magari attraverso milizie locali e  cioè senza far riferimento agli eserciti regolari. Si tratta di modalità che  contribuiscono ad accrescere la mancanza di sicurezza a livello internazionale. Anche per questo serve la Difesa europea.

Fa effetto parlarne nel giorno in cui è venuta a mancare Maria Romana De Gasperi che sempre ricordava il forte rammarico del padre nel presagire il fallimento della Comunità Europea di Difesa. Lo statista tra i padri fondatori della casa comune europea morì due giorni prima della bocciatura fondamentale da parte della Francia, ma purtroppo aveva intravisto l’esito.

Ci sono poi altre spese da non dimenticare. Nel 2021 le Nazioni Unite hanno chiesto di triplicare la cifra prevista a livello mondiale per far fronte alle conseguenze dei cambiamenti climatici e per assicurare una transizione ecologica. In ballo c’è il ripristino dell’ecosistema degradato e del suolo compromesso.  Nel 2020 la spesa è stata di 120 miliardi. Tra le promesse emerse nel G20 di Roma e rimbalzate alla Conferenza di Glasgow COP26, tra fine ottobre e inizio novembre scorsi, c’è quella di assicurare una spesa di 350 miliardi di dollari l’anno entro il 2030. Per arrivare a 536 miliardi di dollari l’anno entro il 2050. Sono obiettivi che aspettano una prima verifica alla prossima Conferenza delle Parti della Convenzione quadro sul cambiamento climatico voluta dall’Onu, COP27, fissata a novembre prossimo in Egitto, tra soltanto otto mesi. Ma ci si chiede con quale consesso internazionale ci si arriverà.

Oltre all’urgenza assoluta di far cessare “la selvaggia crudeltà della guerra” in Ucraina – come l’ha definita Papa Francesco nella quarta udienza generale dall’inizio dell’invasione russa il 24 febbraio scorso – c’è la “battaglia” sul clima da portare avanti, che l’Unione europea per prima al mondo ha lanciato. Lo ha fatto da anni, in considerazione della gravità delle conseguenze per tutti ma anche nella consapevolezza che è necessario adottare misure efficaci ma anche costruire un consenso globale niente affatto scontato e “inventare” nuove forme di governance per problematiche globali e interconnesse.

Tematiche scottanti come le guerre, le emergenze climatiche, migrazioni, la povertà, la crisi sanitaria sono tremendamente interconnesse. La posta in gioco va ben oltre le doverose misure di contenimento dei rischi e dei danni.  La sfida – ora è più palese che mai –  non consiste solo nel raggiungere accordi per contrastare il surriscaldamento globale, ma nel ritrovare, dopo lo strappo della guerra in Ucraina che segue gli scossoni della globalizzazione e della pandemia, un nuovo equilibrio di collaborazione a livello internazionale. In sostanza, si tratta di recuperare la prospettiva che ha portato in precedenza a concepire le Nazioni Unite. Mettere a punto una Difesa europea può significare mettere insieme le forze su diversi fronti compreso quello di difendere propositi fondamentali e assicurare strumenti giuridici sempre nuovi per poter garantire modalità all’altezza delle sfide più attuali.

I drammatici fatti in Ucraina hanno messo bruscamente in discussione, dopo altri evidenti vacillamenti, il presupposto di un consesso internazionale all’interno del quale far sviluppare confronti e accordi che permettano di superare le logiche di equilibri di potenza. Già si sentiva parlare di fallimento o di riforma dell’Onu, ora in realtà si deve puntare l’attenzione sulla volontà politica dei vari Paesi di far funzionare il meccanismo delle Nazioni Unite, perché bisogna recuperare il presupposto di base: trovare accordi e modalità di collaborazione seppure nel rispetto delle peculiarità di ogni Paese. Serve un’Europa sempre più forte dei suoi valori migliori. L’alternativa è lasciare il campo alle armi.

Provvedere ai bisogni militari, creare un’Europa della Difesa deve significare tenere ben presente tutto l’orizzonte di necessità.