Lyra e la generazione tradita

Torna l’incubo dei troubles

di Fausta Speranza

Eravamo i ragazzi dell’accordo del Venerdì santo, destinati a non conoscere gli orrori della guerra e a raccogliere i frutti della pace, solo che i frutti non ci raggiungono mai». Così scriveva Lyra McKee, la giornalista colpita a morte giovedì notte, secondo la polizia, da un gruppo (la New Ira) che quegli accordi firmati il 10 aprile di 21 anni fa non li ha mai riconosciuti. Di atto terroristico hanno parlato ufficialmente gli inquirenti, non soltanto per le modalità aggressive nei confronti delle forze dell’ordine, ma perché gli agenti erano giunti a Creggan, zona residenziale di Londonderry, alla ricerca di armi che il gruppo risulta avesse intenzione di usare durante il fine settimana.  È scoppiata una battaglia che Lyra aveva subito definito su Twitter «completa pazzia», prima che un uomo dal viso coperto sparasse in direzione degli agenti e la colpisse alla testa. Ieri, in un altro Venerdì santo, tutto ciò ha riaperto le ferite di fatti tragici che hanno segnato — a partire dalla data chiave del Bloody Sunday, il 30 gennaio 1972 — 26 anni di sangue, tra attentati e repressione costati la vita a oltre 3000 persone e passati alla storia nelle cronache britanniche come “t ro u b l e s ”. Nei confronti di quei “guai”, di recente il governo di Londra ha preso posizione autorizzando processi per alcuni casi di uso eccessivo della violenza tra le forze britanniche. Quando non solo a Lyra McKee sembrava ormai «violenza insensata» qualsiasi azione atta a riaprire le ostilità, Belfast, e non solo, fa i conti con un nuovo braccio armato. Non si può però parlare di completa sorpresa. A parte vari episodi di tensioni mai sopite, nell’ultimo anno diversi disordini notturni hanno infatti riacceso la preoccupazione, fino al 21 gennaio scorso, quando a Londonderry (per i nazionalisti Derry) è esploso un camioncino: la bomba era stata collocata in centro, nei pressi del tribunale, un episodio più grave rispetto a quelli degli ultimi vent’anni. Di choc, preoccupazione, dolore, hanno parlato il presidente irlandese Michael D. Higgins, il Ta o i s e a c h Leo Varadkar, capo del governo della repubblica irlandese, il premier britannico Theresa May così come i leader dei principali partiti nordirlandesi, i colleghi della reporter conosciuta per le sue inchieste documentate sull’Irlanda del Nord. L’Irlanda del Nord è una provincia particolare della Gran Bretagna: i suoi abitanti possono ottenere la cittadinanza britannica, quella irlandese, o tutte e due. E il confine fra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda è in pratica inesistente. Le “intese del Venerdì santo”, come sono conosciute, hanno garantito la pace in base a questo status quo e al presupposto che tutti erano parte dell’Unione Europea. Ora la prospettiva della Brexit ha aperto la via ai più vari scenari. E ha suggerito la diffusa sensazione che di fatto si imponga una sorta di scelta: o di qua o di là. Va detto che al referendum del 2016, la maggioranza degli elettori dell’Irlanda del Nord, a differenza degli inglesi, si era espressa per rimanere nella Ue. I due principali partiti politici sono lo Sinn Féin e il partito dei Democratici Unionisti (Dup). Questi due schieramenti dal 1998 in poi hanno formato l’esecutivo e l’Assemblea, ma da due anni queste istituzioni faticano a funzionare. Una situazione che si è appesantita con il processo della Brexit. All’avvio dei negoziati, il partito nordirlandese Dup ha appoggiato il governo britannico a Westminster. Lo Sinn Féin ha deciso di boicottare il parlamento di Londra, sostenendo che in tema di Brexit «gli interessi irlandesi non sono stati presi in considerazione dai politici di Londra». «La Brexit è un terremoto che riporta in primo piano la questione della divisione dell’Irlanda», ha affermato più volte Mary Lou McDonald, l’erede di Gerry Adams alla testa del Sinn Féin. Michelle O’ Neill, che del Sinn Féin è leader a Belfast e che ieri è andata subito a far visita a Londonderry, non ha dubbi: «Se non ci sarà un accordo soddisfacente, occorre un referendum per la riunificazione dell’Irlanda, entro il 2019». Ma il rischio che si riaprano le vecchie ferite non la scoraggia: «La pace l’abbiamo conquistata con fatica e siamo contro ogni ritorno alla violenza. In questi venti anni abbiamo fatto funzionare la pace, non ci rinunciamo».

L’Osservatore Romano, 21 aprile 2019