Sessione parlamentare mentre a Londra si decide sulla Brexit

dal nostro inviato a Strasburgo Fausta Speranza

Sulla Brexit nessuna novità è arrivata dai colloqui tra Regno Unito e Ue nel fine settimana e qui a Strasburgo, sede del parlamento europeo, nessuno si meraviglia: la linea – è stato più volte ribadito dal caponegoziatore Michel Barnier – è stata concordata in due anni di negoziati e sottoscritta a novembre e i 27 paesi membri non intendono cambiarla. A sottolineare che il dialogo sarebbe proseguito era stato, sabato, il premier britannico Theresa May, spiegando di sperare di riuscire a “strappare” qualche rassicurazione sul punto cruciale del cosiddetto backstop, cioè il sistema di salvaguardia che l’Ue ha chiesto per mantenere aperto il confine irlandese in ogni caso. May sperava in sostanza di rimuovere l’espressione “legalmente vincolante” e questo,  a suo avviso, avrebbe convinto l’ala più critica del suo partito conservatore ad approvare domani il suo piano per la Brexit. Ma a meno di grandi sosprese, torna a Westminster sostanzialmente con lo stesso piano presentato e bocciato dalla camera dei comuni a gennaio con ben 230 voti di scarto.

Sui media britannici si parla sempre più concretamente di prossime dimissioni  del premier ma anche della possibilità che la promessa di un suo passo indietro possa convincere la maggioranza a votare quello che viene definito dai brexiteer più convinti il “compromesso May.” Ad appena un paio di settimane dalla data del 29 marzo fissata per la Brexit con o senza accordo, le speranze del premier sono affidate ai segnali di disponibilità che una parte dei “dissidenti” Tory di vario orientamento hanno lasciato trapelare nelle scorse settimane e a qualche eventuale aiuto dalla sponda dei laburisti eletti in collegi elettorali pro-Leave, la cui dimensione rimane  da quantificare e sarebbe legata ad alcune concessioni in tema di politiche del lavoro.  Ma sembra davvero difficile che possano bastare, tenuto conto dell’atteggiamento dell’ala più oltranzista dei brexiteer della maggioranza, che in queste ore si è detta non disponibile – con l’eccezione forse di Boris Johnson che non si è pronunciato e di pochi altri  – neanche  ad accettare persino il “baratto” evocato dai media fra un placet al compromesso May e l’ipotetico impegno dell’inquilino di Downing Street di accettare di indicare un termine esatto per le sue dimissioni. Lo conferma la lettera aperta affidata alle colonne dell’euroscettico <Sunday Telegraph dall’ex viceministro Steve Baker e Nigel Dodds, capogruppo degli alleati della destra unionista nordirlandese del Dup, che ribadiscono la linea di <nessuna concessione>  a nome di almeno una quarantina di deputati.

Confermano il rifiuto dell’accordo May, a meno di <svolte concrete> sul backstop da parte dei 27. Inoltre, definiscono l’opzione di un rinvio della Brexit come “una calamità politica” un tradimento” della fiducia” dell’elettorato, insistendo semmai sulla strada dell’uscita senza accordo: il cosiddetto no deal,  paventato come disastroso dal mondo del business e non solo nel Regno Unito.  Hanno in qualche modo  risposto iministri di esteri e istruzione del governo May, Jeremy Hunt e Damian Hinds, affermando di non considerare “inevitabile” una sconfitta domani, ma avvertendo anche – come ha fatto altre volte già il premier – che un nuovo no alla ratifica potrebbe essere “devastante” e potrebbe “dare una mano a coloro che vogliono fermare la Brexit”.

Tutto sarà deciso in questi giorni.  Il percorso imposto  dalla camera dei comuni prevede, infatti, nell’eventualità di una nuova bocciatura domani,  la messa ai voti mercoledì 13 di un emendamento proprio per il ‘sì o no’ sul no deal. E, in caso di un altro no,   l’aula si riserva di dare mandato  al governo, giovedì 14, di chiedere all’Ue “un breve slittamento” oltre il 29 marzo.  E c’è da dire che al momento è quanto auspica il Labour. Il suo leader Jeremy Corbyn non ha più parlato nelle ultime settimane dell’opzione di un referendum bis. Ha invece più volte riproposto la linea di una Brexit più soft, cioè in grado  di mantenere il Regno Unito nell’unione doganale.

A Strasburgo è evidente che i 27 ormai guardano al vertice del 21 e 22 marzo, in cui Theresa May dovrà arrivare con la decisione che emergerà a Londra nel frattempo. Non si percepisce alcuna preoccupazione perché il salto nel buio è sostanzialmente questione del Regno Unito: anche se alcune ripercussioni ci saranno per i mercati europei, non saranno certo determinanti come per la City. E’ importante che arrivino dichiarazioni di disponibilità fino all’ultimo al dialogo perché la più concreta forma di solidarietà potrebbe essere proprio quella di accettare la possibilità di un rinvio della Brexit, che a Londra si dà per scontata mentre potrebbe non esserlo.

“In definitiva, per i restanti paesi membri Ue ci sono al momento altre priorità. Con l’inizio di marzo si è aperta ufficialmente la campagna elettorale per il voto di maggio (23-26) e qui, alla penultima sessione dell’Europarlamento prima della fine di questa legislatura, le discussioni che prendono il via oggi verteranno su questioni scottanti come i cyber attacchi e l’inondazione di fake news proprio in funzione del voto. Sullo sfondo restano le pressioni dei cosiddetti “sovranisti” che mettono in discussione molto dell’impalcatura della costruzione europea. Non è un dibattito da poco.

L’Osservatore Romano, 11-12  Marzo 2019

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