In Venezuela un Natale di solidarietà, tra crisi e povertà

Negli ultimi anni il mondo ha assistito alla congiuntura molto negativa che ha vissuto il Paese, tra una dialettica politica difficilissima e una crisi finanziaria senza precedenti con migrazioni di massa verso altri Paesi della regione. I poveri sono aumentati vertiginosamente, spiega la vice responsabile della onlus America Latina-Italia, Assunta Di Pino, chiedendo che i media si occupino ancora del Venezuela e raccontando un vissuto di sofferenze ma anche di straordinaria solidarietà

Fausta Speranza – Città del Vaticano

In Venezuela, ufficialmente Repubblica Bolivariana del Venezuela, si guarda al Natale con la carica di spiritualità e di fede che caratterizza il popolo venezuelano, ma anche con la pesantezza a livello sociale di anni durissimi per la crisi economica e politica. Il capo dello Stato è Nicolas Maduro dal 2013. Nel 2019 si è aperta una fase difficile in cui il presidente è stato contestato da Juan Guaidò e nel Paese si sono moltiplicate proteste e tensioni.

Una piattaforma di dialogo sociale

Dopo varie vicende e implicazioni anche sul piano delle relazioni internazionali, il mese scorso, a Città del Messico, i rappresentanti del governo e dell’opposizione hanno firmato un accordo per affrontare l’emergenza dal punto di vista umanitario nel Paese. È stata organizzata una tavola rotonda sociale con tre rappresentanti di entrambe le parti. Tra i punti in discussione ci sono anche i 3 miliardi di dollari in fondi statali venezuelani che sono stati congelati dalle sanzioni finanziarie statunitensi. I fondi saranno supervisionati dalle Nazioni Unite e utilizzati per affrontare priorità condivise che finora includono l’assistenza sanitaria, l’alimentazione infantile e il ripristino delle infrastrutture di base del Venezuela. Le parti hanno espresso un rinnovato impegno nei confronti dell’agenda iniziale creata nell’agosto 2021. Nella loro dichiarazione congiunta dal Messico, le parti hanno concordato di proseguire i negoziati sui restanti punti dell’agenda, che include diritti politici, lo stato di diritto, il risarcimento delle vittime, la revoca delle sanzioni economiche e condizioni elettorali credibili in vista delle elezioni presidenziali del 2024. Questi colloqui probabilmente continueranno a Caracas, con il Messico che fungerà maggiormente da piattaforma per annunciare accordi finalizzati. Questo è il quinto tentativo di dialogo mediato a livello internazionale in Venezuela negli ultimi otto anni, dopo che i precedenti sono falliti.

Un’emergenza non ancora superata

Beni alimentari e medicinali di base non mancano più, ma i prezzi sono carissimi per la maggior parte della popolazione. Il Venezuela è in difficoltà anche se non se ne parla, come spiega Assunta Di Pino, vicepresidente dell’Associazione America Latina-Italia (Ali):

Ascolta l’intervista con Assunta Di Pino

Dopo la fase di grande attenzione da parte dei media e degli aiuti arrivati da tante parti del mondo – afferma Di Pino –  oggi il Venezuela sembra dimenticato, come se i problemi sociopolitici fossero superati e come se l’economia andasse bene. Il Paese, secondo Di Pino, è sparito dai media, ma il Natale che ci si appresta a vivere mostra le stesse inquietudini della vigilia di Natale degli anni tra il 2017 e il 2019, quando almeno del disastro del Venezuela se ne parlava. Avere l’attenzione internazionale è fondamentale per un Paese perché arrivino aiuti. E la vicepresidente di Ali ammette di non capire perché sembra che non ci sia il volere politico a livello nazionale ma anche internazionale di cambiare le cose, proprio come avviene, dice, per altri Paesi latinoamericani che vivono grandi difficoltà.

Poveri e “dollarizzazione”

Difficile capire perché nonostante tante risorse naturali il Venezuela viva una situazione di precarietà economica. Il Venezuela è considerato un Paese in via di sviluppo con un’economia basata principalmente sulle operazioni di estrazione, raffinazione e commercializzazione del petrolio e altre risorse minerarie. L’agricoltura riveste ormai una scarsa importanza mentre l’industria ha avuto negli ultimi decenni uno sviluppo diseguale. Di Pino racconta quello che definisce un processo di “dollarizzazione”. Significa che per far fronte alla forte crisi economica sono stati immessi nel circuito finanziario dollari con la conseguenza – spiega – che attualmente molti dei beni a disposizione si possono pagare in dollari o in euro, si trovano con prezzi in dollaro e in euro. A questo proposito Di Pino chiarisce che il costo della benzina è passato da pochi centesimi a prezzi praticamente uguali a quelli in Europa, con la differenza che i salari non sono paragonabili. Esiste in Venezuela la possibilità di ricorrere a posti convenzionati a prezzi proporzionati al costo della vita nel Paese ma Di Pino racconta che si devono fare file per circa due giorni prima di poter accedere e questo comporta problemi grandissimi per chi lavora. La vicepresidente dell’associazione riferisce di una situazione cambiata rispetto allo scenario di carenza e sofferenza degli anni passati, ma racconta che ben pochi si possono permettere di acquistare beni nei grandi e modernissimi supermercati che sono sorti nel Paese e in particolare a Caracas. Di Pino sottolinea la difficoltà di un contesto sociale in cui praticamente il bolivar non è più usato per le spese ma i salari fissi e le pensioni sono pagati in bolivar. Di fatto, ricorda che, secondo le stime delle Nazioni Unite, circa sette milioni di venezuelani hanno bisogno di assistenza umanitaria all’interno del Paese e la crisi ha portato negli ultimi anni altri sette milioni a fuggire. Sottolinea che i ricchi nel Paese sono pochi e sono diventati in questi anni sempre più ricchi, mentre i poveri si sono moltiplicati e la fascia media non esiste più.

Un’esplosione di solidarietà

La capacità del popolo venezuelano di mettersi in gioco con generosità secondo Assunta Di Pino è straordinaria. Parla di “un popolo dal cuore caldo, di forti sentimenti” che “con grande cuore e umanità e un forte slancio spirituale ha dato il meglio di sé durante la crisi”. Di Pino assicura che nel paese si sono moltiplicate le iniziative di solidarietà: anche persone molto semplici danno una mano per quello che possono nelle strutture sostenute per esempio dalla onlus America Latina-Italia. Tanti, racconta, si sono rivolti per chiedere aiuti ma anche in tanti si sono offerti e continuano a offrirsi per dare una mano.

Tradizioni antiche per la speranza di Natale

Di Pino sottolinea anche la spiritualità con la quale si vive il Natale in Venezuela, che si avverte nella partecipazione agli appuntamenti liturgici ma anche nell’amore con cui si preservano tradizioni antiche, come quella che vede i giovani pattinare in gruppo intorno alla chiesa dove poi parteciperanno alla novena o alla messa di Natale. Un modo peculiare per vivere in modo comunitario anche la preparazione ai momenti di preghiera.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-12/venezuela-amerca-latina-crisi-economia-solidarieta-natale.html

“Governare l’incertezza”

19 Dicembre 2022

Nella trasmissione curata e condotta da Stefano Leszczynski, ospiti:

Marco De Giorgi – consigliere della Presidenza del Consiglio dei Ministri, autore del libro intitolato Governare l’incertezza. Percorsi di innovazione sociale per nuovi partenariati pubblico-privato. Franco Angeli editore

Paolo Guerrieri – esperto di economia internazionale

Fausta Speranza – giornalista di Vatican News e Osservatore Romano

I Paesi europei sono di fronte a una sfida epocale: governare l’incertezza e la complessità dovute alla moltiplicazione delle istanze rispetto a vecchi e nuovi bisogni sociali. L’impatto della crisi e l’inadeguatezza delle risposte del settore publico, lento a reagire ai rapidi cambiamenti sociali in atto, apre l’interrogativo sulle potenzialità di nuovi percorsi di innovazione sociale che possano rafforzare i fattori di resilienza delle comunità e trasformare i fattori di crisi in opportunità di crescita:

https://www.vaticannews.va/it/podcast/rvi-programmi/il-mondo-alla-radio/2022/12/il-mondo-alla-radio-prima-parte-19-12-2022.html

Il Papa ai nuovi ambasciatori: “Fate luce negli angoli più bui del mondo”

La diplomazia e il benessere di uomini e donne dei cinque continenti al centro del discorso del Papa con i rappresentanti di Belize, Bahamas, Tailandia, Norvegia, Mongolia, Niger, Uganda e Sudan che hanno presentato le credenziali in Vaticano. Francesco parla di dignità e diritti umani, di pace duratura e di cura della casa comune, mettendo in luce il valore del patrimonio culturale peculiare di ogni Paese: “Siate artigiani di pace”

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Mentre assumete le nuove responsabilità, desidero innanzitutto riconoscere la molteplicità dei modi in cui le vostre Nazioni contribuiscono al bene comune non solo dei propri cittadini, ma dell’intera famiglia umana”. Sono parole del Papa in occasione della presentazione, questa mattina, delle Lettere credenziali da parte degli ambasciatori di Belize, Bahamas, Tailandia, Norvegia, Mongolia, Niger, Uganda e Sudan. Ad accomunare tutti, dice il Papa,  è “la preoccupazione di edificare la comunità internazionale, come dimostra la partecipazione alle varie organizzazioni e istituzioni internazionali che sono espressione pratica dell’esigenza di solidarietà e di cooperazione tra i popoli”. (Ascolta la voce del Papa nel servizio)

Il bene comune

Francesco parla di un “compito vitale e collettivo” chiarendo il cuore dell’obiettivo della diplomazia:

Cercare di salvaguardare e far progredire il benessere degli uomini e delle donne di tutto il mondo, specialmente ai nostri giorni, segnati dai perduranti problemi legati alla crisi sanitaria globale e dai conflitti violenti in atto in tutto il mondo, l’azione concertata dell’intera famiglia delle nazioni e il lavoro della diplomazia sono più che mai necessari. Senza di essi non è possibile proteggere la dignità e i diritti umani di tutti, promuovere la giustizia, la riconciliazione e il dialogo per il bene di una pace duratura, e prendersi cura della nostra casa comune come dono prezioso per noi e per le generazioni future.

Il diritto internazionale violato

Nel discorso del Papa torna l’espressione “terza guerra mondiale a pezzi” per descrivere quanto accade a livello mondiale e c’è l’appello a una “maggiore sensibilità politica per l’aumento delle violazioni del diritto internazionale”. Il Papa avverte come “conflitti molto lunghi rischiano di generare assuefazione nella coscienza pubblica” e richiama tutti a “mostrare una maggiore vigilanza e a rispondere alla chiamata ad essere costruttori di pace nel nostro tempo”.

Un patrimonio mondiale di cultura e valori

“Nell’affrontare tali sfide – dice Papa Francesco – ognuna delle vostre Nazioni, sia essa antica o giovane, può attingere a un vasto patrimonio di tesori storici, intellettuali, tecnologici, artistici e culturali, che sono contributi unici e peculiari dei vostri popoli”. Francesco rende “omaggio all’ingegno di quanti rappresentate e che sicuramente lascerà un’eredità di bene per il futuro” e spiega:

“Vedo le vostre risorse nazionali non solo come abilità e competenze da celebrare e coltivare, né semplicemente come standard elevati di cui giustamente andare fieri; la vostra intraprendenza e i vostri talenti sono anche doni che possono essere messi al servizio del mondo intero, in contesti sia bilaterali sia multilaterali, per il miglioramento dell’umanità”.

Diritti umani fondamentali

Offrendo generosamente le proprie risorse materiali, umane, morali e spirituali – aggiunge – i Paesi rispondono a una vocazione nobile ed essenziale:

Solo sforzandosi di affrontare i problemi dell’umanità in maniera sempre più integrata e solidale se ne potranno trovare le soluzioni. E non solo a quelli sopra citati. È necessario richiamare l’attenzione anche su altre situazioni diffuse che interessano i diritti umani fondamentali: la mancanza di accesso universale all’acqua potabile, al cibo o alle cure sanitarie di base; la necessità di assicurare l’istruzione a tutti coloro che troppo spesso ne sono esclusi; come pure l’opportunità di un lavoro dignitoso per tutti.

I deboli

Il pensiero del Papa è rivolto in particolare ai più deboli: “Penso anche ai malati, ai disabili, ai giovani – soprattutto alle ragazze – che non hanno sufficienti opportunità per realizzare le proprie potenzialità; come pure a quanti provengono da contesti impoveriti e rischiano di essere lasciati indietro, dimenticati o addirittura deliberatamente esclusi dalla piena partecipazione alle loro comunità”.

Angoli bui

Ancora ai diplomatici Francesco ricorda che il loro ruolo, “attraverso una costante sensibilizzazione riguardo alla condizione  di  coloro  che  si  trovano  ai  margini  della società”,  può  contribuire  “a  far  luce  negli angoli  più  bui  del  nostro  mondo,  a  portare  al  centro quanti si trovano nelle periferie e a dare voce a chi non ha voce o è stato messo a tacere”. L’incoraggiamento è preciso: “Spero che nell’esercizio delle vostre alte funzioni possiate cercare, sia qui a Roma sia altrove, modi nuovi e creativi per promuovere la solidarietà e l’amicizia sociale, in particolare con i fratelli e le sorelle più vulnerabili”.

Collaborazione e sostegno

Da parte sua, il Pontefice assicura “la collaborazione e il sostegno della Segreteria di Stato e dei Dicasteri e degli Uffici della Curia Romana”: “Sulla base delle molte iniziative esistenti e delle aree di interesse comune, sono fiducioso che le relazioni positive e cordiali tra i vostri Paesi e la Santa Sede continueranno a svilupparsi e a dare frutti”.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-12/papa-lettere-credenziali-ambasciatori-asia-africa.html

Si inasprisce la tensione in Perù

Per l’ex presidente Castillo, rimosso con l’accusa di voler sciogliere il Parlamento, si conferma la carcerazione con misure cautelari per 18 mesi. Dopo giorni di manifestazioni, il governo decreta lo stato di emergenza sulla rete stradale. Si tratta di un serio confronto istituzionale che si aggiunge alla spaccatura all’interno del partito Perù Libre, mentre il Paese attende ancora le invocate riforme sociali, come sottolinea lo storico esperto di America Latina Massimo De Giuseppe

Fausta Speranza – Città del Vaticano

La Corte suprema peruviana ha respinto la richiesta di scarcerazione che era stata presentata dai legali dell’ex presidente Pedro Castillo, che si trova in stato di detenzione preventiva con l’accusa di ‘ribellione’ dopo il tentativo fallito di sciogliere il Parlamento. E dopo poche ore la Procura generale del Perù ha chiesto al Tribunale per le indagini preliminari di concedere 18 mesi di custodia cautelare all’ex presidente Pedro Castillo e all’ex primo ministro Anibal Torres per i presunti reati di ribellione e cospirazione. In precedenza  – precisa l’agenzia di stampa Andina – lo stesso tribunale aveva autorizzato la richiesta della Procura per l’avviamento di una istruttoria riguardante l’ex presidente. Da parte sua Castillo ha invitato i suoi sostenitori a riunirsi numerosi davanti all’edificio della polizia di stato Diroes nel distretto di Ate alle 13,43 locali (le 20,43 italiane) per “un grande abbraccio”.

Tra le motivazioni

La sentenza di rigetto del ricorso presentato da Pedro Castillo contro la carcerazione preventiva per ribellione e associazione per delinquere, letta dal giudice César San Mart¡n presidente della sezione penale permanente della Corte suprema, si basa sul principio che il reato di ribellione non avviene unicamente attraverso l’insurrezione in armi, come sostenuto dalla difesa di Castillo, ma anche attraverso il tentativo di togliere autorità alle istituzioni democratiche, e al fine di concentrare tutto il potere in una sola persona. Chiedendo 18 mesi di custodia cautelare, si considera di poter raccogliere prove sufficienti per l’apertura del processo riguardante l’accusa di tentativo di colpo di Stato realizzato con la decisione di sciogliere il Parlamento, commissariando tutti gli organi della giustizia peruviana.

Stato di emergenza

Il governo ha deciso, di fronte alle barricate poste sulle principali vie di comunicazione del Paese dai sostenitori dell’ex presidente Pedro Castillo, di “decretare lo stato di emergenza di tutta la rete stradale peruviana, al fine di assicurare la libera circolazione di beni e persone”. Nel fine settimana in Perù sono proseguite le proteste con cui migliaia di manifestanti hanno chiesto la liberazione dell’ex presidente, di sinistra. I manifestanti chiedevano anche le dimissioni della nuova presidente, Dina Boluarte, che è stata vice di Castillo, e la convocazione di nuove elezioni. Nelle recenti proteste sono state uccise almeno due persone: in mezzo alle crescenti pressioni, Boluarte ha annunciato che proporrà al parlamento di convocare le elezioni anticipate per aprile 2024. Poco prima di partecipare all’udienza a Lima,  Castillo ha diffuso dalla sua cella un nuovo messaggio manoscritto in cui chiede alle forze di polizia e all’esercito di deporre le armi con “l’appello al popolo affinché – dice – resti vigile e ottimista”.

Del confronto istituzionale e di altre tensioni nel Paese, abbiamo parlato con Massimo De Giuseppe, ordinario di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università Iulm:

Lo storico De Giuseppe parla di due piani da considerare: innanzitutto – spiega – c’è quello istituzionale che ha portato alla rimozione di Castillo. A questo proposito ricorda l’accusa nei suoi confronti di reati contro l’ordine costituzionale in seguito al suo tentativo di sciogliere il Congresso, cioè il parlamento monocamerale peruviano, prima che questo votasse un impeachment contro di lui. La mossa di Castillo, la cui presidenza stava attraversando da tempo una grave crisi politica, è stata definita dalla Boluarte, che in quel momento era vice presidente e che poi ha giurato come nuova presidente del Perù, un colpo di Stato. Peraltro anche Francisco Morales, capo della Corte costituzionale peruviana, ha definito la mossa di Castillo un progetto di colpo di Stato. In un discorso televisivo alla nazione nella notte tra domenica e lunedì, Boluarte, prima donna nella storia del Perù a svolgere l’incarico di presidente, ha detto che il suo governo si impegnerà per favorire il dialogo e mettere fine alle violenze e ha annunciato che l’approvazione delle elezioni anticipate implicherà nuove riforme costituzionali. Tutto questo chiarisce abbastanza – sottolinea De Giuseppe – quanto sia delicato il confronto istituzionale.

La spaccatura nella sinistra

De Giuseppe parla della complessità della situazione sottolineando che prima degli ultimi fatti c’è stata la scelta di Castillo di abbandonare il Partito Perù Libre che ha dato vita ad una spaccatura al suo interno. Da giovedì, dal giorno dopo la rimozione di Castillo,  centinaia di persone hanno manifestato sia nella capitale peruviana Lima che in altre zone del Paese. Le proteste – spiega – sono state particolarmente partecipate nelle aree rurali e nel sud, dove Castillo, ex insegnante, ha buoni consensi. Domenica a Lima le forze dell’ordine sono intervenute per disperdere alcune centinaia di manifestanti con gas lacrimogeno; nelle proteste sono state ferite almeno 20 persone, tra cui quattro agenti di polizia. Le proteste più grosse però sono state quelle ad Andahuaylas, una città di circa 35.000 abitanti, sempre nel sud del Paese. Dunque – avverte De Giuseppe – bisogna anche considerare il piano del confronto politico all’interno di una sinistra che sostanzialmente non è riuscita a mantenere le promesse delle riforme sociali.

La questione sociale

Dopo la significativa crescita economica nei primi anni del millennio, il Perù sta vivendo da circa cinque anni un forte rallentamento, ricorda il professor De Giuseppe che poi sottolinea come resti molto alta la disparità tra la fascia della popolazione ricca e il resto del Paese in condizioni modestissime. Castillo, che prima di diventare presidente era anche un attivista sindacale, aveva basato gran parte della sua campagna elettorale sulla promessa di migliorare le condizioni economiche delle aree più rurali e povere, che – spiega De Giuseppe – hanno particolarmente subìto le conseguenze economiche della pandemia. Nelle ultime settimane, tuttavia, il rincaro generale dei prezzi ha provocato crescenti proteste di piazza contro il governo nazionale.

Una politica di avvicendamenti

De Giuseppe ricorda che mercoledì, prima di essere rimosso, Castillo aveva tenuto un discorso in cui aveva detto: “Abbiamo preso la decisione di instaurare un governo di emergenza, per ristabilire la legge e la democrazia”. La decisione di sciogliere il Congresso era probabilmente volta ad evitare il voto di impeachment, dopo l’annuncio che diversi membri del suo governo si erano dimessi. E lo  storico ricorda che nel corso del suo mandato Castillo ha nominato e poi sostituito circa 80 funzionari governativi, con un continuo ricambio di ministri. Castillo, un ex insegnante, è stato eletto presidente del Perù nel luglio del 2021: ricorda ancora De Giuseppe, aveva vinto le elezioni contro la rivale Keiko Fujimori, populista di destra e figlia dell’ex presidente del Perù Alberto Fujimori, che aveva governato il Paese in maniera autoritaria dal 1990 al 2000. Alla vittoria di Castillo, molto contestata, avevano probabilmente contribuito la delusione di molti peruviani nei confronti dei politici in carica fino a quel momento e le gravi disuguaglianze economiche interne al Paese. Nel corso del suo mandato è stato accusato in più occasioni di corruzione, accuse che Castillo ha definito parte di un complotto e che hanno colpito poi anche a membri della sua famiglia. Su alcuni dei suoi più stretti collaboratori sono state avviate indagini per corruzione. Nel frattempo il suo governo non era stato in grado di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale, anche per via del continuo ricambio di ministri.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-12/peru-colpo-di-stato-castillo-misure-cautelari-economia-disparita.html

Essere cattolici e giornalisti oggi: le sfide dei tempi

Il Santuario di Lourdes torna ad ospitare le Giornate Internazionali di San Francesco di Sales della Catholic Media Federation. Dal 25 al 27 gennaio 2023, oltre 250 giornalisti provenienti da 25 Paesi si riuniranno per un confronto sui temi più significativi della comunicazione. Il cardinale Segretario di Stato Parolin darà il suo contributo alla riflessione con un intervento previsto tra vari tavoli di dibattito e inoltre consegnerà al vincitore il Premio Jacques Hamel

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Come farsi ascoltare? Grandi voci cattoliche rispondono”. È il tema scelto per l’Incontro Internazionale dei giornalisti a Lourdes dal 25 al 27 gennaio 2023, su iniziativa della Catholic Media Federation, con la partnership del Dicastero per la Comunicazione; del movimento per professionisti nei mezzi di comunicazione Signis; dell’Associazione giornalisti cattolici italiani (Ucsi). Nel pomeriggio, alla Sala Marconi della nostra emittente, si è svolta la conferenza stampa di presentazione, con la partecipazione tra gli altri di Jean-Marie Montel, Presidente della Federazione dei Media Cattolici, Paolo Ruffini, Prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede e padre Michel Daubanes, rettore del Santuario di Lourdes.

La scelta di Lourdes

Il direttore di Famiglia Cristiana, don Stefano Stimamiglio, ha messo in luce l’importanza di un cammino insieme per i giornalisti cattolici, che possa prendere le mosse da Lourdes in un ideale Sinodo dei giornalisti.

Si tratta della 26esima edizione e come avviene da cinque anni, a parte alcune eccezioni a causa della pandemia, si svolge al Santuario di Lourdes. La scelta del luogo rappresenta il valore aggiunto: la possibilità di seguire interventi e partecipare a tavole rotonde ma anche di condividere momenti di preghiera in quello che don Stimamiglio ha definito “una specie di ritiro spirituale”.

Da parte sua, il rettore del Santuario di Lourdes, monsignor Michel Daubanes, ha ricordato che nell’anno che si sta chiudendo sono arrivati a Lourdes 2,5 milioni di pellegrini:

Un milione in più rispetto all’afflusso nel 2021 ma – ha spiegato – anche un milione in meno rispetto ai tempi prima della pandemia. Ha poi annunciato che sarà presto completato l’ampliamento del cosiddetto villaggio giovani, alloggi pensati per studenti e ragazzi che non potrebbero permettersi gli hotel. A proposito di social, ha confermato un milione di follower regolarmente collegati all’account del Santuario.

Riflettere per comunicare

“È un tempo che ci sfida”: così il prefetto Paolo Ruffini ha sottolineato l’importanza di riflettere per i giornalisti e di farlo insieme, in giorni di confronto e dialogo che – ha affermato – permettono anche  innanzitutto di conoscersi:

Ad interpellare il mondo della comunicazione sono in particolare le novità tecnologiche che permettono oggi praticamente a chiunque di essere editore di se stesso, come ha ricordato  don Stefano Stimamiglio. Il rischio è che la comunicazione dei media cattolici soffra la disaffezione di chi pensa di essere informato solo seguendo social e influencer. In particolare diventa difficile per i giornalisti e i media cattolici, che non si arrendono alla superficialità, alla spettacolarizzazione, al sensazionalismo che sembra imporsi nei nuovi canali di comunicazione. E’ significativo infatti che tra i tempi scelti per gli interventi e i dibattiti compaiano diverse domande, tra cui: “gli influencer sostituiranno i giornalisti?”.

Scambio di testimonianze

Come don Stimamiglio e come Ruffini, anche Jean-Marie Montel, presidente della Federazione dei Media Cattolici, ha messo in luce il valore dell’incontro a Lourdes:

Si tratta – ha affermato – di un’occasione speciale per giornalisti di tutto il mondo di entrare in relazione per scoprire che al di là delle differenze dei vari Paesi si ritrovano a fronteggiare le stesse macro sfide epocali. Tra i temi scelti per il confronto c’è quello della comunicazione dei casi di abuso e Jean-Marie Montel, presidente della Federazione dei Media Cattolici ha annunciato che ci sarà la partecipazione anche di esponenti dell’ufficio comunicazione della Conferenza Episcopale francese. Ci saranno poi testimonianze di chi ha dovuto lottare per la libertà e la verità, come una donna del Camerun, vittima di un matrionio forzato, che ha trovato la forza di un riscatto e ha fondato una associazione per donne vittime di violenza.

Il premio intitolato a padre Jacques Hamel

Sarà il Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, a consegnare il premio che da cinque anni viene consegnato a chi si distingue nell’impegno a comunicare valori di fratellanza, di dialogo. Si tratta del Premio Jacques Hamel, dedicato all’anziano sacerdote ucciso il 26 luglio 2016 da due uomini che hanno fatto irruzione a Rouen mentre stava celebrando la Messa. Ottantacinque anni, è  stato ritrovato con la gola tagliata.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-12/santuario-lourdes-dibattito-cattolici-giornalisti-abusi-social.html

Pace e disarmo possibili: nuovo appello del Papa per l’Ucraina

Dopo la preghiera mariana nel giorno dell’Immacolata, Francesco è tornato a rivolgere il suo pensiero alla “martoriata Ucraina” ribadendo che la pace e il disarmo sono possibili. Con il pensiero alle parole dell’Angelo a Maria, ha ricordato che tutto è possibile a Dio ma che serve la buona volontà degli uomini

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Ci aiuti la Madonna a convertirci ai disegni di Dio”: così il Papa, dopo la recita dell’Angelus nella solennità dell’Immacolata Concezione, ha parlato del “desiderio universale di pace”, annunciando il tradizionale atto devozionale nel pomeriggio a Santa Maria Maggiore e a Piazza di Spagna:

Oggi pomeriggio mi recherò a Santa Maria Maggiore, a pregare la Salus Populi Romani, e subito a Piazza di Spagna per compiere il tradizionale atto di omaggio e di preghiera ai piedi del monumento all’Immacolata. Vi chiedo di unirvi spiritualmente a me in questo gesto, che esprime la devozione filiale alla nostra Madre, alla cui intercessione affidiamo il desiderio universale di pace, in particolare per la martoriata Ucraina, che soffre tanto.

Il Papa ha fatto riferimento alle parole dell’Angelo alla Vergine:  Nulla è impossibile a Dio (Lc 1,37). E ha sottolineato:

Con l’aiuto di Dio la pace è possibile; il disarmo è possibile. Ma Dio vuole la nostra buona volontà. Ci aiuti la Madonna a convertirci ai disegni di Dio. 

Nella cronaca delle ultime ore

Il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) ha annunciato oggi di aver recentemente ottenuto l’accesso ai prigionieri di guerra ucraini e russi, visite che in precedenza erano state estremamente limitate e sporadiche. “La scorsa settimana il Cicr ha effettuato una visita di due giorni ai prigionieri di guerra ucraini. Questa settimana si svolgerà un’altra visita. Nello stesso periodo sono state effettuate visite anche ai prigionieri di guerra russi. Altre sono previste entro la fine del mese”, si legge in una nota del Cicr.

Nella cronaca delle ultime ore si legge dell’attacco missilistico russo che ha colpito la stazione di trasporto della città meridionale di Mykolaiv: sembra non ci siano state vittime.  Inoltre, bombardamenti russi nella regione di Dnepropetrovsk sono proseguiti per tutta la notte, in particolare su Nikopol, secondo quanto riferisce su Telegram Nikolay Lukashuk, presidente del consiglio regionale di Dnepropetrovsk. Secondo il Centro nazionale di resistenza dell’esercito ucraino,  riportato dal Kyiv Independent, le autorità di occupazione russe stanno dimettendo con la forza i pazienti civili dagli ospedali nella parte occupata della regione di Lugansk, anche se non hanno ancora terminato le cure. Il Centro sostiene che i civili vengono cacciati per far posto ai militari russi feriti.  Intanto, il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha dichiarato che l’operazione militare speciale in Ucraina “potrebbe concludersi domani”, se il presidente ucraino lo volesse. Intanto, il viceministro degli Esteri russo, Sergey Ryabkov, in un’intervista rilasciata al quotidiano Izvestia, secondo quanto riporta l’agenzia Tass, ha parlato del dialogo con Washington sulla “stabilità strategica” affermando che la Russia non sta valutando possibili concessioni unilaterali nel dialogo sulla stabilità strategica con gli Stati Uniti, ma è pronta a riprendere questo dialogo su una base paritaria ed equilibrata. I colloqui russo-statunitensi sulla stabilità strategica, New START, sono stati sospesi ma non interrotti, ha affermato il viceministro: “È stata una decisione difficile, ha detto Ryabkov, è stata una decisione politica. È stato detto più di una volta che la situazione, con il coinvolgimento più profondo e pericoloso degli Stati Uniti negli sviluppi in Ucraina e nei dintorni, ha influenzato direttamente la nostra decisione.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-12/ucraina-guerra-pace-disarmo-papa-francesco-immacolata.html

Nuovi strumenti Ue per la lotta alla deforestazione

Gli europarlamentari e gli Stati membri dell’Unione europea hanno raggiunto un accordo per vietare l’importazione nell’Ue di diversi prodotti – come cacao, caffè, soia e altri – quando questi contribuiscano in qualche modo alla deforestazione. L’accordo, che attende l’approvazione finale, rappresenta un passo in avanti importante, ma bisogna coinvolgere anche i Paesi produttori, come raccomanda l’avvocato di questioni ambientali Luca Saltalamacchia

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Olio di palma, soia, caffè, cacao, capi di bestiame, legname e gomma, ma anche derivati come carne bovina, mobili, cioccolato e carta: molti prodotti che contribuiscono alla deforestazione non devono essere più importabili e commercializzabili nell’Unione europea. E’ quanto prevede l’accordo raggiunto dai rappresentanti degli organi legislatori dell’Unione, del Consiglio, dell’Europarlamento.

Un impegno promettente

“La protezione dell’ambiente in tutto il mondo, comprese le foreste e quelle pluviali, è un obiettivo comune per tutti i Paesi e l’Unione Europea è pronta a assumersi le proprie responsabilità”, ha dichiarato in una nota Marian Jurečka, ministro ceco dell’Ambiente che ha guidato i negoziati per il Consiglio. Può rappresentare un passo avanti significativo, commenta l’avvocato esperto di questioni ambientali, Luca Saltalamacchia:

Saltalamacchia chiarisce che, in base alle indicazioni previste, le aziende che commerciano una lunga lista di materie prime dovranno dimostrare tramite un’appropriata due diligence la regolarità della propria filiera. I prodotti immessi nel mercato dell’Unione non devono aver contribuito alla deforestazione e al degrado delle foreste in nessuna parte del mondo dopo il 31 dicembre 2020.

Oltre l’indicazione della Commissione

I prodotti coperti inizialmente dalla bozza di legislazione proposta dalla Commissione Ue erano bovini, cacao, caffè, olio di palma, soia e legno, ma il testo specifica che sono compresi i prodotti che contengono o stati realizzati utilizzando questi prodotti (come pelle, cioccolato e mobili) incluso il mangime usato per nutrire i capi di bestiame. Grazie alle pressioni dell’Eurocamera al testo sono stati aggiunti anche gomma, carbone, prodotti di carta stampata e una serie di derivati dell’olio di palma. La Commissione sta valutando inoltre anche la necessità di obbligare gli istituti finanziari dell’Ue a fornire servizi finanziari ai propri clienti solo se ritengono che non ci siano rischi considerevoli che tali servizi siano implicati con operazioni di deforestazione.

Attesa per la formalizzazione

L’accordo – sottolinea Saltalamacchia – dovrà essere formalizzato con un voto in entrambe le istituzioni prima di entrare ufficialmente nella legislazione europea. Sarà obbligatorio per le aziende verificare ed emettere una cosiddetta dichiarazione di “due diligence” sull’origine delle loro merci garantendo che non hanno portato alla deforestazione o al degrado forestale in qualsiasi parte del mondo dopo il 31 dicembre 2020. Le aziende dovranno anche verificare che i diritti umani, e in particolar modo i diritti delle popolazioni indigene interessate, siano stati rispettati.

Controlli e strumenti

Saltalamacchia spiega che stando all’accordo, le autorità competenti dell’Ue avranno accesso alle informazioni pertinenti fornite dalle società, come le coordinate di geolocalizzazione, e svolgeranno controlli. Potranno utilizzare strumenti di monitoraggio satellitare e analisi del Dna per verificare la provenienza dei prodotti. La Commissione classificherà i Paesi e le regioni a rischio. E la percentuale di controlli sugli operatori sarà effettuata in base al livello di rischio del Paese: nove per cento per il rischio alto, tre per cento per rischio standard e un per cento per rischio basso. In caso di inosservanza saranno previste sanzioni proporzionate e dissuasive e l’importo massimo dell’ammenda è fissato ad almeno il quattro per cento del fatturato totale annuo nell’Ue dell’operatore.

Il necessario coinvolgimento dei Paesi terzi

Il relatore del testo per il Parlamento, l’eurodeputato popolare lussemburghese Christophe Hansen, ha dichiarato che “non è stato facile, ma è stato raggiunto un risultato ambizioso, in vista della conferenza Cop15 sulla biodiversità a Montreal”, che si svolgerà dal 7 al 19 dicembre. Secondo Hansen, “il provvedimento assicura che i diritti delle popolazioni indigene, alleati nella lotta alla deforestazione, siano effettivamente protetti”.

Non si tratta solo di effetti positivi che possono essere registrati oltre i confini europei, ma – avverte Saltalamacchia – bisogna coinvolgere i Paesi produttori di carni, pellami etc. Peraltro – sottolinea – bisogna capire che si tratta di una vera e propria filiera di scambi in cui bisogna arrivare fino ai riferimenti ultimi, altrimenti si possono verificare interferenze al livello di intermediari. L’avvocato Saltalamacchia raccomanda infine un’azione di persuasione su alcuni leader politici, in particolare ad esempio di Paesi latinoamericani, che possono contribuire a cambiare i meccanismi di filiere che oramai risultano insostenibili per l’ecosistema.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-12/unione-europea-deforestazione-consiglio-produzione-cacao-carne.html

A Parigi il 13 dicembre conferenza dedicata a Ucraina

Biden e Macron si danno appuntamento nella capitale francese per discutere del conflitto in Ucraina, ribadendo il sostegno a Kyiv “per tutto il tempo necessario”. Il presidente statunitense “pronto a parlare con Putin se mostra segnali di voler cessare la guerra”. Dopo otto mesi di conflitto, è un’occasione di confronto, ma non si può parlare di conferenza di pace, sottolinea l’internazionalista Luciano Bozzo

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Stati Uniti e Francia intendono “continuare a lavorare” con gli alleati e i partner “per coordinare gli sforzi per l’assistenza” all’Ucraina, compresa l’organizzazione di una “conferenza internazionale” che si terrà a Parigi il 13 dicembre, come già era stato ipotizzato. Ad annunciarlo, ieri, dopo l’incontro bilaterale alla Casa Bianca, sono stati il presidente statunitense Biden e il capo di Stato francese Macron. Biden si è detto pronto a parlare con Putin se arrivano segnali di voler cessare il conflitto. Oggi dal Cremlino è giunta la seguente precisazione: per la Russia è impossibile accettare la condizione posta dal presidente Usa Joe Biden per trattative sull’Ucraina, ossia che prima le truppe di Mosca lascino il territorio ucraino. Lo ha chiarito il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov citato dall’agenzia Ria Novosti.

Non è ancora una conferenza di pace

Della prospettiva dell’incontro internazionale annunciato a Parigi abbiamo parlato con Luciano Bozzo docente ordinario di Relazioni Internazionali e Studi Strategici all’Università degli studi di Firenze:

Il professor Bozzo chiarisce che l’espressione usata dai media ‘conferenza di pace’, per definire la conferenza annunciata da Macron e da Biden a metà dicembre, non può essere corretta. Una conferenza di pace è tale – spiega – se le parti in conflitto si siedono a un tavolo. Per definizione si tratta di incontri in cui si discutono i termini, seppure in via preliminare, di una qualunque intesa. Si tratta sempre – sottolinea Bozzo – di cedere su qualcosa per il bene più grande della pace. E’ decisivo pertanto che in qualche modo siano rappresentate entrambe.

Occasioni da non perdere

Pur non trattandosi in alcun modo di un avvio di colloqui di pace, la conferenza di Parigi rappresenta comunque un’occasione per un serio confronto tra più Stati. Bozzo ricorda che a conclusione del bilaterale, Biden e Macron hanno ribadito che Washington e Parigi intendono continuare a fornire un “robusto sostegno diretto al bilancio dell’Ucraina” e chiedono alle istituzioni finanziarie internazionali di “aumentare” il loro aiuto. In particolare, secondo la dichiarazione congiunta rilasciata dopo l’incontro durato più di un’ora nello Studio Ovale della Casa Bianca, i due presidenti si sono impegnati a fornire all’Ucraina assistenza politica, di sicurezza, umanitaria ed economica anche rafforzando la difesa aerea del Paese. Tutto questo ci ricorda – afferma Bozzo – che il margine di influenza sulle scelte del presidente ucraino Zelensky da parte dei due leader, in particolare degli Stati Uniti, è ampio. A Parigi – ipotizza Bozzo – si potrebbe discutere della posizione di Kyiv per capire le prospettive possibili di negoziato.

La speranza di una pace sostenibile

Il presidente francese Macron ha affermato che si vuole “mantenere l’integrità territoriale dell’Ucraina, ma anche arrivare ad una pace sostenibile”. Biden si è detto “pronto a parlare con Putin se mostra segnali di voler cessare la guerra”. Il professor Bozzo si sofferma su due termini di questi due pronunciamenti. Innanzitutto, sull’espressione pace sostenibile, sottolineando quanto sia importante avere come obiettivo un’intesa che possa portare a una pace duratura. E poi mette in luce come sia cruciale lavorare perché ci possano essere segnali di voler cessare la guerra e perché possano essere visti e capiti. L’impegno della diplomazia – spiega – è complesso, anche perché si deve lavorare bene da tutte le parti, per valutare bene gli eventuali segnali da dare o per non pretendere i segnali che si immaginano.

Rafforzata l’alleanza tra Washington e Parigi

L’incontro alla Casa Bianca tra Biden e Macron è stato accompagnato da un ricevimento che ha rappresentato il primo libero dai restringimenti anticovid per il presidente Biden eletto nella fase  critica della pandemia.  A proposito della rinnovata forza dell’alleanza tra Stati Uniti e Francia, Biden ha dichiarato: “Gli Stati Uniti non potrebbero chiedere un partner migliore della Francia con cui lavorare”.

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L’Ucraina e il dramma delle mine

Si moltiplicano i rischi per i civili per gli ordigni esplosivi lasciati sul terreno. L’allarme riguarda anche zone di particolare criticità come l’area intorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia. Si tratta di un dramma che non si ferma con la conclusione dei conflitti e a pagare il prezzo sono sempre i civili, come ricorda il direttore della onlus Campagna italiana contro le mine Giuseppe Schiavello

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Le autorità ucraine stimano che circa il 50 per cento del territorio del Paese (circa 300.000 chilometri quadrati) sia stato colpito da azioni militari che hanno messo ad alto rischio di esposizione a mine, esplosivi e munizioni inesplose i civili che tornano nelle aree non più occupate. Si intensifica l’impegno delle istituzioni ucraine e delle agenzie internazionali per assicurare operazioni di bonifica, ma gli scenari di combattimenti e ritirate sono in continua evoluzione e si moltiplicano i rischi. Gli intensi scontri continuano in prima linea nell’est del Paese, mentre le forze ucraine cercano di liberare la penisola di Kinburn, tra il fiume Dnepr e il Mar Nero. La punta della penisola ancora occupata dai russi consente l’accesso sia a Kherson che a Mykolaiv. Si tratta, dunque, di località assolutamente strategiche per entrambi gli eserciti. In ogni caso, la stima del tempo necessario per bonificare un territorio come quello ucraino, in assenza di combattimenti, sarebbe di 5-7 anni almeno.

Un impegno capillare

Progetti di rimozione delle mine e di educazione al rischio che comportano sono sempre più frequenti in Ucraina. Dall’inizio dell’invasione russa, nel Paese sono stati neutralizzati quasi 114.000 ordigni esplosivi, comprese quasi 2000 bombe aeree, su un’area di oltre 22.000 ettari. Su 300.000 metri quadrati di aree che necessitano di sminamento, 19.000 riguardano l’area idrica di bacini, fiumi e mari. Ma gli esplosivi possono essere trovati ovunque, non solo nei campi, nelle strade o nei cortili delle case private, ma anche nei mobili e persino nei giocattoli dei bambini. Il governo di Kyiv ha fatto sapere di aver istituito il Centro internazionale per lo sminamento umanitario con lo scopo, in particolare, di gestire l’assistenza internazionale: professionale, tecnica e finanziaria. Sembra che circa 20 organizzazioni straniere abbiano già risposto e stiano ottenendo la certificazione per lavorare in Ucraina.

Allarme mine già dal 2014

Non si può dimenticare che il problema delle mine era emerso già negli anni di conflitto nell’est dell’Ucraina a partire dal 2014, che hanno preceduto l’invasione russa a febbraio dell’anno scorso, come ricorda Giuseppe Schiavello, direttore della onlus Campagna italiana contro le mine:

Schiavello ricorda che negli otto anni di conflitto prima dell’invasione è stata pubblicata tanta documentazione relativa all’uso delle mine o delle bombe a grappolo, oltre a reportage giornalistici. Precisa però che l’evoluzione degli eventi non ha permesso di fare luce. Nella maggior parte dei casi si tratta di materiali attribuiti ai russi, ma c’è stato – ricorda Schiavello – un caso riportato dal New York Times di bombe a grappoli che potrebbero essere attribuite a forze ucraine.

Diversi ordigni diversi trattati

Bisogna distinguere tra mine e bombe a grappolo, avverte Schiavello. È importante farlo per capire l’adesione o meno alle diverse intese internazionali. Parla di passi in avanti ricordando che sono state firmate due intese che riguardano mine e ordigni inesplosi. Si tratta – ricorda – della Convenzione contro le mine antipersona firmata a Ottawa nel 1999 e sottoscritta ad oggi da 164 Stati, tra cui l’Ucraina ma non la Russia. E c’è poi la convenzione ONU sulle bombe a grappolo (cluster bomb), che proibisce – precisa Schiavello – l’uso di tali armi esplosive il cui effetto è la dispersione su una certa area di submunizioni (bomblets). Questa convenzione è entrata in vigore il 1º agosto 2010 ed è stata ratificata ad oggi da circa 100 Stati, ma tra questi non ci sono né l’Ucraina né la Russia.

Civili “cittadini del mondo”

Secondo il direttore della Campagna italiana contro le mine, se si considera il dramma di questo tipo di ordigni in particolare, bisognerebbe guardare ai civili senza definizioni di nazionalità. Schiavello suggerisce di parlare dei civili in tempo di guerra come di “cittadini del mondo”, di fronte alla priorità assoluta di salvare vite umane innocenti. A proposito di difesa del valore della vita umana e di contrasto a ogni logica di guerra e in particolare all’uso di ordigni che colpiscono innanzitutto i civili, Schiavello ricorda l’importanza degli appelli del Papa, che risvegliano le coscienze, e il ruolo che la Santa Sede ha svolto affinché a livello internazionale si arrivasse alle intese che ne prevedono la messa al bando.

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Amnistia in Myanmar, su migliaia solo pochi prigionieri politici

In occasione della festa nazionale – che ricorda il giorno in cui nel 1920 gli studenti avviarono la campagna contro i colonizzatori britannici – la giunta al potere in Myanmar ha scarcerato oltre 5.700 detenuti. Si tratta di un gesto positivo che però riguarda in realtà solo 53 prigionieri politici tra altri condannati per reati comuni, come sottolinea Cecilia Brighi, segretario generale di Italia-Birmania Insieme

Fausta Speranza – Città del Vaticano

La giunta militare al potere in Myanmar, ex Birmania, ha annunciato oggi il rilascio di 5700 prigionieri, dopo i primi 700 di ieri, tra cui un’ex ambasciatrice britannica, un videoreporter giapponese e un economista australiano, consigliere di Aung San Suu Kyi. Gli arresti di questi stranieri avevano scatenato veementi proteste diplomatiche contro i generali che hanno preso il potere nel febbraio 2021. Della decisione abbiamo parlato con Cecilia Brighi, Segretario generale di Italia-Birmania Insieme:

Cecilia Brighi spiega innanzitutto che tra le migliaia di persone rilasciate, soltanto 53 sono prigionieri politici – dalle carceri di Yangon, Bago e Mandalay – e che inoltre non si tratta di personaggi con un ruolo nelle formazioni dell’opposizione. Sottolinea che usciranno dal carcere, ma che resteranno in quello che definisce un carcere a cielo aperto, cioè una condizione di vigilanza assoluta, nell’impossibilità di contatti o azioni politiche. Brighi ritiene che l’amnistia sia stata concessa in occasione della giornata di festa nazionale in un contesto che però rimane di dura repressione delle aspirazioni democratiche della popolazione. Se è tradizione che in occasione di ricorrenze significative si attuino provvedimenti di amnistia, quello di ieri – afferma – è giunto in un tempo in cui la giunta al potere dal primo febbraio 2021 si trova sottoposta a forti pressioni. A confermarlo è anche il segretario aggiunto dell’Associazione per l’assistenza dei prigionieri politici in Birmania (Aapp), che ha parlato di “un vecchio espediente”. Secondo i dati citati da Brighi, si registrano finora 16.232 arrestati dal golpe di 21 mesi fa guidato dal generale Min Aung Hlain, di cui almeno 12.000 resterebbero in cella.

I rilasciati

Tra i prigionieri politici, va citato il portavoce Myo Nyunt e un ministro della Lega nazionale per la democrazia, il partito di Aung San Suu Kyi, messo al bando. Molti dei suoi esponenti sono agli arresti o  hanno aderito in clandestinità al Governo di unità nazionale che si oppone al regime militare. Scarcerati anche Ko Mya Aye, tra i leader del movimento studentesco del 1988, la cui repressione convinse Aung San Suu Kyi a prendere la guida del movimento democratico non violento, lo scrittore satirico e accademico Maung Tha Cho e il monaco buddhista Shwe Nyawa Sayadaw, oppositore dichiarato del regime.

Gli stranieri

Rimessi in libertà ed espulsi anche autorevoli “ospiti” stranieri delle celle del carcere di Insein, noto per la detenzione dei prigionieri politici: l’economista australiano Sean Turnell, consigliere di Aung San Suu Kyi; l’ex ambasciatrice britannica Vicky Bowman, con il marito, l’artista birmano Ko Htein Lin; il regista giapponese Toru Kubota, che aveva filmato le proteste di piazza contro il regime. Scarcerato anche il cittadino statunitense di origine birmana Kyaw Htay Oo. I tre stranieri liberati saranno espulsi dal Paese, spiega Brighi.  L’ex ambasciatrice britannica (tra il 2002 e il 2006) Vicky Bowman, era stata arrestata lo scorso agosto assieme al marito birmano con l’accusa di non aver dichiarato l’indirizzo di residenza, e condannata per violazione delle leggi sull’immigrazione. Turnell, sposato con una birmana, era il consigliere economico di Suu Kyi, ed era in cella – come la stessa leader – fin dal giorno del golpe. Kubota invece era in carcere da quattro mesi assieme a due collaboratori birmani che l’aiutavano nelle riprese di una manifestazione anti-regime a Yangon. La giunta ha spiegato che l’amnistia è stata concessa “per motivi umanitari”, aggiungendo che la liberazione di Bownan, Turnell e Kubota costituisce “un’espressione di buona volontà tra Paesi”. Amici australiani di Turnell avevano già rivelato che l’economista è malato di cancro.

Pressione non solo dall’Occidente

Il recente vertice Asean (Paesi del Sud-est asiatico) in Cambogia – mette in luce Brighi – ha probabilmente contribuito a creare un clima adatto per il gesto di distensione. Da qualche tempo non sono più soltanto le democrazie occidentali o le organizzazioni internazionali per i diritti umani a tenere sotto osservazione il Myanmar, il Paese  è sottoposto in modo crescente alle critiche  dei partner regionali che chiedono che si metta fine alle violenze e si ripristini un percorso democratico. Tra l’altro – ricorda Brighi – ci sono tanti profughi fuggiti in Paesi come India, Malesia, Thailandia e che rappresentano una sfida per questi Paesi.

Un fatto positivo in un contesto di buio

Il segretario di Stato americano Antony Blinken, ieri da Bangkok a margine del vertice dell’Apec, aveva accolto con favore il rilascio dei prigionieri, avvertendo però che il periodo rimane “particolarmente buio” per il Paese. Brighi cita le sue parole per ribadire che, per quanto sia una buona notizia, l’amnistia non cambia di molto la reale situazione in Birmania. Brighi sottolinea che la giunta del generale Min Aun Hlaing fa vaghe promesse di elezioni, ma nel frattempo ha eliminato dalla scena politica la 77enne Suu Kyi, condannandola ad almeno 26 anni di carcere per presunti reati con altri processi ancora non conclusi.

Ancora vittime

L’esercito usa il pugno di ferro, anche con bombardamenti aerei che fanno strage di civili. I morti nella repressione sarebbero 2.400, inclusi i 16 civili uccisi mercoledì da colpi di artiglieria sparati contro villaggi negli Stati Rakhine e Kayah. Colpito anche un asilo, dove sono morti tre bambini.

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