Abili alla socialità

Parte alla Gregoriana «L’Etica utile», corso per studenti delle superiori

13 novembre 2023

Liceali in trasferta all’università: è una questione di etica. Prende il via la significativa e originale iniziativa della facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università Gregoriana che, con il patrocinio di Roma Capitale-Assessorato alle Politiche sociali e alla salute, ha organizzato un ciclo di incontri su L’etica utile rivolto esclusivamente agli studenti del triennio finale degli Istituti superiori di Roma. Sette incontri che frutteranno ai ragazzi un attestato di frequenza valido per il riconoscimento di 35 ore in relazione ai Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (Pcto). L’iscrizione è gratuita ma passa attraverso l’adesione delle scuole. Il primo appuntamento è fissato a mercoledì prossimo, 15 novembre, ed è dedicato al concetto di fraternità in relazione alla società. Gli altri seguiranno, sempre nel giorno centrale della settimana, affrontando tematiche essenziali come giustizia, sostenibilità, democrazia, realtà e virtualità, spiritualità e dialogo tra religioni, popoli, Stati. Fino a maggio 2024.

In un mondo che rischia di essere sempre più dilaniato dai conflitti, svuotato di senso dalla dittatura degli algoritmi, impoverito dalla corruzione, è immediatamente percepibile l’importante significato di «uno spazio di riflessione sulle implicanze esistenziali del paradigma etico, per contribuire a formare una nuova generazione eticamente responsabile nel proprio quotidiano attraverso il discernimento», come si legge nella presentazione del corso.

L’originalità per la Gregoriana non è nell’orizzonte tematico: l’etica teoretica e pratica sono fulcro della Dottrina Sociale della Chiesa e praticamente di tutti gli insegnamenti nell’ateneo. La novità è rappresentata dall’apertura delle porte ai liceali — ci dice il decano della facoltà di Scienze Sociali, padre Peter Lah — e anche dall’attenzione focalizzata sulla città di Roma, particolare per un ambito culturale abituato ad accogliere studenti da altre latitudini, dall’Africa, dall’America Latina, dall’Asia.

«È un’iniziativa pensata per aiutare i giovani ad allargare gli orizzonti», sottolinea il decano, spiegando che «quando si parla di cultura o di educazione si tende a trasmettere agli studenti l’idea che debbano essere sempre migliori, sempre più preparati ma per rispondere ai criteri di efficienza del lavoro della società». Cioè, in sostanza «ci si preoccupa molto della preparazione “tecnica”, meno della preparazione umana». I giovani — prosegue Lah — hanno diritto a «un orizzonte di finalità completo, che non trascuri il bene della persona stessa e della società in cui vivranno». Il rischio è preciso nelle parole del decano: «Chiediamo ai giovani di essere sempre più veloci, di alzare il livello, ma non parliamo loro di direzione».

Si arricchiscono i significati se si pensa che la Gregoriana si fa spazio di confronto per un punto di vista su Roma facendo incontrare mondo della scuola e mondo dell’università ma anche avendo coinvolto le istituzioni, nella fattispecie nella persona di Barbara Funari, assessore alle Politiche sociali e alla salute del comune di Roma. Si spera peraltro che, a tutti i livelli e in tutti gli ambiti, il discorso sul bene comune possa contagiare positivamente le preoccupazioni per una città che è emblema della bellezza storico-artistica ma che vive da tempo le difficoltà delle metropoli.

In ogni caso non potrebbe essere Etica utile se non parlasse il linguaggio della concretezza. È il direttore responsabile del programma, Luigi Mariano, a precisare che «si tratta di etica applicata e non teoretica». Dunque ci si muove da premesse filosofiche attraversando principi dell’educazione civica, ma si vuole arrivare alle tematiche più urgenti per la società contemporanea e più vicine alla realtà dei giovani. Significa — afferma Mariano — «affrontare le questioni socio-economiche, le sfide ambientali, trattare le logiche politiche e quelle della comunicazione».

Determinante è anche la modalità scelta, che prevede per ogni incontro tre momenti: la relazione di un docente della Gregoriana e di un esperto invitato; la testimonianza di organizzazioni impegnate nel contesto dell’area tematica specifica (tra cui Caritas di Roma, Cittadinanza attiva, Next, Economia di comunione, Fridays for Future, Circoli Laudato si’); e poi il confronto.

Come sottolinea Mariano, «si cerca di aprire davvero il dibattito, lasciando un tempo agli studenti per fare domande, perché sia vera occasione di approfondimento». Guardando alle adesioni, sembra che l’approccio sia quello giusto: sono stati registrati 300 alunni, negando l’opportunità ad altri 150 richiedenti per motivi di spazio legati alla capienza massima dell’Aula Magna della Gregoriana. A proposito di numeri, al progetto hanno aderito oltre 20 scuole, sia statali che paritarie, di Roma e provincia. Vario è l’indirizzo disciplinare: scientifico, classico, artistico, linguistico, scienze umane, informatica e telecomunicazioni, eccetera.

Un altro punto è rilevante a proposito di approccio. «Il tema dell’etica è spesso affrontato in maniera negativa — sottolinea Mariano — come assenza o vuoto che si percepisce attraverso i fatti della cronaca». È indubbiamente vero ed è indubbiamente perdente. La via giusta è un’altra: «Bisogna fare uno scatto in avanti positivo, scommettere sui giovani presentando loro l’etica come opzione e scelta alla loro portata». Vengono in mente le parole di una giovane che non ha avuto l’opportunità di crescere per l’assurda negazione di qualunque logica di bene comune. Eppure, nonostante l’angosciosa precarietà della situazione, Anna Frank scriveva: «Io non penso a tutte le miserie, ma a tutta la bellezza che ancora rimane».

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-11/quo-260/abili-alla-socialita.html

Una mappatura mondiale dei santuari

Famiglia Cristiana

10 Novembre 2023

Una mappatura mondiale dei Santuari mariani

10/11/2023  È affidata alla mariologa Giustina Aceto, che l’ha presentata al II Incontro internazionale per rettori e operatori di luoghi mariani. Sarà pronta entro l’inizio del giubileo

Una tappa importante in vista di un vero e proprio censimento dei Santuari in Italia e nel mondo. Rappresenta anche questo il II Incontro internazionale per rettori e operatori di luoghi mariani in corso da ieri nell’Aula Paolo VI, che si chiude con l’intervento del Papa domani, sabato 11 novembre. Manca una mappatura completa dei Santuari e a compilarla è stata chiamata una donna.

Si chiama Giustina Aceto, insegna presso la Pontificia Facoltà Teologica Marianum, ed è membro della Pontificia Accademia Mariana Internazionale (Pami). Un Santuario è tale – ci spiega Aceto – se racchiude tre fattori determinanti: l’aspetto della pietà popolare; l’elemento del pellegrinaggio; il pronunciamento dell’autorità competente. A questo proposito, è chiamato a firmare il relativo decreto a livello diocesano il vescovo, mentre a livello internazionale dal 2017, dalla pubblicazione della Lettera apostolica in forma di Motu Proprio Sanctuarium in Ecclesia, è investito il Dicastero per l’evangelizzazione.

La professoressa Aceto ci spiega che il dicastero stesso è chiamato a decidere l’eventuale erezione di Santuari internazionali e l’approvazione dei rispettivi statuti; lo studio e l’attuazione di provvedimenti che favoriscano il ruolo evangelizzatore dei santuari; la promozione di “una pastorale organica dei santuari”. Si comprende che serve una mappatura completa. Aceto ci sta lavorando e al congresso di questi giorni illustra passi e sfide del suo impegno.

Si tratta di un lavoro iniziato prima del Giubileo del 2000: ha già portato ad una prima pubblicazione per quanto riguarda il territorio italiano che però è in corso di aggiornamento, mentre si prepara il censimento a livello mondiale.

Il punto è che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il censimento non è cosa facile. Basti pensare che in alcuni casi si è trattato di recuperare la documentazione dispersa in vari archivi, in altri casi si è dovuto richiedere dal nuovo un decreto di riconoscimento, con il lavoro di rigoroso discernimento che comporta. Inoltre, anche per la storia dei Santuari serve precisione, per mettere insieme, confrontare, emendare, completare dati storici e storiografici, racconti orali, documenti di archivio.

Non manca ormai tanto: la professoressa Aceto ci assicura che tutto il censimento sarà presentato entro l’inizio del nuovo giubileo del 2025. Sarà un’occasione preziosa anche per aiutare le Conferenze episcopali nel mondo a trovare forme similari per cercare di comprendere la presenza dei santuari nel proprio territorio.

Intanto, è molto importante un Incontro che, dopo la celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, riunisce per riflessioni e confronti rettori provenienti dai più importanti luoghi mariani d’Europa con rettori e operatori provenienti dalla Colombia, dal Burundi, dalla Costa d’Avorio, dal Brasile. Tra le riflessioni e le domande emerge l’esigenza di chiarire ai fedeli come approcciare alla devozione popolare centrata su reliquie e icone. Nel tempo cambia la sensibilita’, si oscilla tra un forte entusiasmo e una certa diffidenza – si dice – ed e’ sempre impegnativo il discernimento utile per guidare i fedeli. Il coordinamento dovrebbe aiutare anche al confronto in questo senso, risponde monsignor Rino Fisichella, pro-rettore al Dicastero per l’Evangelizzazione che guida i tre giorni di Incontro. Sottolinea che “il popolo di Dio va rispettato nelle modalita’ della sua fede, fatte salve palesi esagerazioni”. In generale Fisichella raccomanda di “non razionalizzare troppo la fede e di evitare di dare tanta importanza al livello intellettuale, come si e’ fatto in casi in cui si e’ negato il sacramento della Cresima a ragazzi con disabilita’”.

“Ritrovarsi da diversi punti del mondo con esperienze diverse rappresenta uno scambio di beni spirituali”, commenta madre Luisa Carminati, madre generale delle Figlie della Madonna del Divino Amore, che parlando con Famiglia Cristiana rivendica con un sorriso che già nel 1958 al Santuario del Divino Amore don Umberto Terenzi aveva organizzato un ufficio di coordinamento tra i Santuari. Il sorriso si illumina mentre sottolinea l’importanza di essere arrivati oggi al “riferimento autorevolissimo e concreto del Dicastero per l’Evangelizzazione”.

Per chi bussa alle soglie della Chiesa pellegrino in un Santuario, sentirsi a casa dovrebbe significare scoprire la consapevolezza della serietà del peccato e della certezza della misericordia infinita di Dio. E’ questo il cuore della riflessione che oggi padre Paul Brendan Murray, docente alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, dedica alla “preghiera del peccatore”.

A sottolineare l’importanza di “sintonizzarsi” sulle note della bellezza, per aprire il cuore a una profonda esperienza di fede, è monsignor Marco Frisina, direttore del coro della Diocesi di Roma e rettore della Basilica di Santa Cecilia in Trastevere, chiamato a parlare di “come pregare con la musica e il canto”. E sul piano culturale c’è anche la testimonianza sulla “preghiera nell’arte” di David Lopez Ribes, artista contemporaneo che ha ricevuto il premio delle Pontificie Accademie della Scienza e delle Scienze sociali 2012. Sul concetto di “preghiera popolare” si sofferma padre Daniel Cuesta Gómez, della pastorale giovanile e universitaria di Santiago de Compostela. Sottolinea l’importanza di una specifica formazione degli operatori dei santuari e dei luoghi di pietà e promozione. E non si tratta solo del piano dell’assistenza spirituale che ovviamente è imprescindibile, perché – viene ribadito con convinzione – si deve essere in grado di valorizzare i santuari anche dal punto di vista culturale e artistico.

Sono sempre di più infatti quanti visitano i Santuari cercando arte e cultura e, sulla scia della crescente riscoperta di cammini a piedi, si moltiplicano quanti fanno tappa, in percorsi come la Via Francigena od altri, in luoghi di devozione. In molti casi, si tratta di persone lontane dalla fede o troppo distratte dal quotidiano, che possono scoprire o riscoprire tanti significati nella specificità del silenzio e dell’accoglienza nei Santuari.

https://www.famigliacristiana.it/articolo/una-mappatura-completa-dei-santuari-mariani.aspx

L’arte di sognare

A colloquio con l’artista cubano Kcho

Al Palazzo della Cancelleria la mostra «Un nuovo mondo»

10 novembre 2023

 

Sulla scia dell’invito di Papa Francesco a «sognare nuove versioni del mondo», torna un’esposizione di opere d’arte dell’artista Kcho al Palazzo della Cancelleria, dopo quella nel 2014 e quella nel 2018. Si tratta della mostra, a cura di Eriberto Bettini con il Patrocinio dell’Ambasciata di Cuba presso la Santa Sede e del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, intitolata proprio Un nuovo mondo. Inaugurata domani sabato 11, resterà aperta fino al 26 novembre.

L’artista cubano dà forma e colore all’angoscia di chi, da diversi lidi del mondo, imbocca la via del mare per dare una svolta a un’esistenza difficile o impossibile. Nato nel 1970 a Nueva Gerona, Isla de la Juventud di Cuba, nella sua infanzia ha visto salpare su imbarcazioni di fortuna tante persone in cerca di un’altra terra. All’anagrafe è registrato come Alexis Leiva Machado, ma resta affezionato al soprannome con cui il papà, da bambino, lo paragonava a un pezzetto di cacio: dallo spagnolo cacho, in arte è Kcho. L’artista, già intervistato su questo giornale da Silvia Guidi il 18 giugno 2014, oggi a «L’Osservatore Romano» confida l’emozione e la gioia di essere di nuovo in spazi del Vaticano e parla di senso di responsabilità, suggerendo l’idea che «quello che l’arte non tocca con la sua luce rischia di venire dimenticato».

Ma «non basta soltanto guardare, bisogna sognare»: Kcho cita le parole di Papa Francesco pronunciate il 23 giugno scorso, quando, nel 50° anniversario dell’inaugurazione della Collezione d’Arte moderna e contemporanea dei Musei Vaticani, ha ricevuto circa 200 tra i più illustri creativi contemporanei. In particolare ricorda l’incoraggiamento del Papa: «Noi esseri umani aneliamo a un mondo nuovo che non vedremo appieno con i nostri occhi, eppure lo desideriamo, lo cerchiamo, lo sogniamo. Voi artisti, allora, avete la capacità di sognare nuove versioni del mondo».

È proprio il sognare l’elemento innovativo. In precedenza, il racconto per immagini riguardava in particolare gli approdi a Lampedusa, anche se le opere richiamano scenari diversi ma accomunati: Gibilterra, Pacifico, Rio Grande, Mar dei Caraibi. Situazioni che l’autore cubano aveva sintetizzato in una croce formata dall’assemblaggio di remi e dai frammenti di legno memori di un naufragio esistenziale. Una croce che è stata donata al Papa come emblema di sofferenza e di riferimento salvifico per chi si riconosce in essa.

Nell’attuale mostra prevale il desiderio di suscitare, alimentare e costruire almeno dentro ciascuno di noi un nuovo mondo, fatto di partecipazione e di accoglienza. Kcho ci dice che «come tante barche anche il mondo sta dando l’idea di andare alla deriva verso sempre più guerre e violenze». L’urgenza è la stessa di sempre sotto tante latitudini, ci dice l’artista aggiungendo che «non si tratta di spegnere ogni volta un fuoco diverso, pacificare una ennesima guerra, ma la sfida è immaginare, per contribuire a renderlo reale, un mondo impostato sulla fratellanza».

Il critico d’arte Luciano Caprile ci spiega che nelle opere ultime in esposizione in questi giorni «le barche ruotano in circolo a formare una sorta di mappamondo di unione e di sostanza dove le candide vele sono vessilli da innalzare al cielo e dove si instaura un clima di coesione tra gli scafi e i loro anonimi occupanti».
Quella prospettata da Kcho non è la «nuova versione del mondo» auspicata, ma ne esprime l’anelito, tiene vivo il desiderio di “sogno”. È anche il desiderio — espresso dall’artista — di «politiche culturali con meno mercato e più umanità».
Si conferma una caratteristica: nella raffigurazione di persone non compaiono i tratti somatici dei volti, per suggerire — ci spiega Kcho — che noi possiamo specchiarci in loro e loro in noi.

di FAUSTA SPERANZA

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-11/quo-258/l-arte-di-sognare.html

Santuari, “anima” del Giubileo del 2025

9/11/2023

L’incontro internazionale per rettori e operatori dei luoghi mariani in vista del grande evento ecclesiale. Diverranno centri di riferimento per le famiglie e le comunità parrocchiali, chiamate a riscoprire la “pedagogia di evangelizzazione” che caratterizza i luoghi sacri

di Fausta Speranza

 «Molti Santuari sono stati percepiti come parte della vita delle famiglie e delle comunità tanto da aver plasmato l’identità di intere generazioni, fino ad incidere sulla storia di alcune nazioni». È quanto dice monsignor Rino Fisichella, pro-prefetto della sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione, nel pomeriggio in cui, nell’Aula Paolo VI, dà il via al II Incontro internazionale per rettori e operatori di Santuari, che si chiuderà con l’intervento del Papa sabato 11 novembre. Hanno aderito circa 600 operatori da 43 Paesi del mondo. Sono cifre che «rendono l’idea del grande impegno pastorale che i Santuari svolgono nella comunità cristiana» – sottolinea Fisichella – e che suggeriscono «la grande responsabilità che hanno i Santuari di accogliere i pellegrini dando loro il grande senso della Speranza»Una responsabilità che ha un orizzonte: il Giubileo del 2025.

Dopo il primo incontro, svoltosi nel 2018 sul tema dell’accoglienza, questo secondo appuntamento è dedicato a “Il Santuario: casa di preghiera in cammino verso il Giubileo 2025”.

Monsignor Fisichella ricorda che Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione è il Papa, segno dell’importanza che Francesco riconosce a questo impegno pastorale. E a proposito dei Santuari, monsignor Fisichella annuncia che sarà creato un gruppo di coordinamento, formato da 15 rettori, che potrà incontrarsi almeno una volta l’anno.

Tra le sfide da affrontare c’è quella di capire i bisogni di chi arriva nei Santuari e tra questi c’è “la preghiera di intercessione”. Ne parla padre Ermanno Barucco, docente alla Pontificia Facoltà Teologica Teresianum. Barucco sottolinea che non significa solo il tentativo di ottenere qualcosa. «L’atto di pregare è abbandono filiale e dunque è come dire che la preghiera di per sé ci immerge nella preghiera», aggiunge. «Gesù si è fatto garante della fede dei discepoli che si mostravano increduli», dunque – raccomanda – questo pensiero deve accompagnare i pastori che si pongono in ascolto delle preghiere di pellegrini magari occasionali. Afferma che «la posta in gioco è sempre la stessa: affinché il mondo creda». Ribadendo che nella nostra fede deve rimanere chiaro che «il male è il maligno, non è Giuda, non è il peccatore».

 «La realtà ci presenta sempre più disperati del benessere, le società vivono nel disorientamento». È quanto afferma il cardinale Angelo Comastri, arciprete emerito della Basilica di San Pietro, parlando di come “accogliere e congedare” i pellegrini. I Papi recenti – ricorda – hanno raccomandato tutti l’importanza dei Santuari. Tra tante altre, ricorda le parole di Paolo Vi e il suo invito a riconoscere “l’ora di grazia scattata per i Santuari”. Il valore dell’accoglienza emerge da una considerazione: «L’esperienza comune ci dice che si arriva pellegrini a volte per caso ma anche così chi li accoglie ha l’occasione di affacciarsi in quell’esperienza intima che nel Santuario pone davanti a Dio anche il pellegrino per caso». Una considerazione da non dimenticare: «Il mondo mette in crisi tutto, ma continua a riconoscere il Santuario come luogo sacro». Dunque, una raccomandazione: «I cristiani rischiano un cristianesimo senza Cristo, non bisogna avere paura di parlare di Gesù, oggi se ne parla troppo poco».

 Emerge il rimando alle famiglie e alle comunità parrocchiali, chiamate a riscoprire la “pedagogia di evangelizzazione” che caratterizza i santuari, luoghi sacri che rinnovano il desiderio di un impegno sempre più responsabile sia nella formazione cristiana di ciascuno, sia nella necessaria testimonianza di carità che ne scaturisce. Il rettore del Santuario di Lourdes, padre Michel Daubanes ci parla di «osmosi tra il pellegrinaggio al Santuario e la vita di tutti i giorni».

 Difficile piegare le preghiere alle statistiche, ma nello scambio degli interventi si concorda che nei Santuari più grandi, più noti, annualmente si contano milioni di persone; in quelli meno conosciuti le presenze annuali si aggirano in media sul mezzo milione di visite.

 Come ricordato, Papa Francesco ha voluto i Santuari come «centri propulsori della nuova evangelizzazione», li ha pensati in prima linea per favorire un’opera comune di rinnovamento della pastorale della pietà popolare e del pellegrinaggio verso luoghi di devozione. Nel 2017, con Lettera apostolica in forma di Motu proprio, ha affidato le competenze dei santuari all’allora Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione poi confluito nel Dicastero per l’evangelizzazione. Fino a quel momento se ne occupava la Congregazione per il Clero. Si legge nel Motu proprio che «il Santuario possiede nella Chiesa una grande valenza simbolica», e che la pietà popolare «trova nel Santuario un luogo privilegiato dove poter esprimere la bella tradizione di preghiera, di devozione e di affidamento alla misericordia di Dio inculturati nella vita di ogni popolo».

San Giovanni in Laterano, una rassegna di eventi per celebrarne gli splendori

Famiglia Cristiana

8 Novembre 2023

08/11/2023  Concerti, mostre, celebrazioni e convegni e altre iniziative per i 1700 anni dalla nascita. «Il luogo dove la prima famiglia cristiana si è costituita intorno al vescovo di Roma», lo ha definito il cardinale vicario Angelo De Donatis

La presentazione delle iniziative.

 «Il luogo dove la prima famiglia cristiana si è costituita intorno al vescovo di Roma». Così il cardinale Angelo De Donatis, vicario generale del Papa per la Diocesi di Roma e arciprete della Basilica Papale di San Giovanni in Laterano, ci parla proprio della “cattedrale di Roma” e dell’annesso Palazzo del Laterano. L’occasione è la presentazione delle molteplici iniziative per celebrare i 1700 anni della chiesa comunemente nota come basilica di San Giovanni, questa mattina in Vicariato. Primo appuntamento è la celebrazione solenne di domani pomeriggio, 9 novembre, Festa della Dedicazione. Poi, a conclusione di un anno che prevede anche dibattiti, visite culturali, concerti, il 9 novembre 2024 il cardinale De Donatis annuncia che ci sarà il Papa. Prima ancora, il 24 gennaio prossimo, il vescovo di Roma sarà in Vicariato per incontrare il clero.
«Il primo Battistero ufficiale, che ha annunciato al mondo la maternità della Chiesa in un contesto di bellezza». Con queste parole, monsignor Marco Frisina, direttore del coro della Diocesi di Roma, confida la gioia con cui ha preparato nuove composizioni per le celebrazioni solenni, annunciando che guiderà nella Arcibasilica Lateranense un concerto natalizio il 17 dicembre e poi un altro il primo novembre 2024. «L’arte ha dato espressione a quello che la fede ha ispirato, ci dice monsignor Frisina, sottolineando l’urgenza di riscoprire valori storici e spirituali».

Parlando con monsignor Guerino Di Tora, vicario del Capitolo Lateranense, scopriamo che c’è un altro tipo di bellezza da recuperare: l’immagine di famiglie intere, con donne che allattano e bambini che giocano. È quanto accadeva al suo interno – ci assicura – quando è stata costruita la Basilica, che ha rappresentato all’epoca il primo edificio di culto ufficiale. Rappresentava «il primo grande luogo di riunione e di comunione, di incontro, e si arrivava da tutte le parti della città e anche dai suburbi, in abiti eleganti o in vesti  popolane».
La bellezza non può essere fine a se stessa, raccomanda padre Giulio Albanese, direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali del Vicariato, ricordando le urgenze tra guerre e crisi di cui la cronaca è piena. «Nella maestosa magnificenza della madre di tutte le chiese dobbiamo riuscire a vivere questo anniversario con la speranza della pace nel cuore; la bellezza deve aiutarci ad essere davvero pietre belle perché vive di una Chiesa vicina a chi soffre», ribadisce.

Vicende secolari e preziosità artistiche emergono nelle parole di monsignor Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio per la pastorale universitaria della Diocesi di Roma, che cura il ciclo di incontri di carattere religioso-culturale in Vicariato, nelle seguenti date: 14, 21-28 novembre prossimo; 5 dicembre prossimo.
A proposito di “pietre vive”, monsignor Lonardi ci ricorda che sono tante le opere d’arte di rilievo all’interno di quella che definisce “la chiesa modello di tutte le altre” ma suggerisce anche di approfondire aspetti noti, come concili ecclesiali e incoronazioni, ma anche fatti di storia vissuta come quanto accaduto durante la seconda guerra mondiale, quando circa mille persone dell’intellighenzia d’opposizione al regime nazi-fascista hanno trovato rifugio in Vicariato, «personaggi di diversa estrazione accomunati dal bisogno di opporsi alla violenza e all’oppressione, da Alcide De Gasperi a Pietro Nenni».

Si capisce la ricchezza di una storia che riconosciamo sia iniziata nel 324, anche se alcuni suggerirebbero di anticipare al 318. La Basilica del Laterano viene consacrata il 9 novembre di 1700 anni fa dall’allora Papa Silvestro I, poi divenuto santo, il cui pontificato coincise con il lungo impero di Costantino, il primo imperatore romano ad accettare il cristianesimo segnando il passaggio dalla Roma pagana alla Roma cristiana. I terreni donati alla Chiesa per costruirvi una domus ecclesia, secondo gli Annali di Tacito, erano appartenute alla potente famiglia dei Laterani. Papa Silvestro intitolerà la patriarcale arcibasilica lateranense a Cristo Salvatore. Solo durante il XII secolo fu dedicata anche a San Giovanni Battista.     Il palazzo Lateranense per oltre dieci secoli è stata la residenza papale prima che i Papi si trasferissero ad Avignone, durante il periodo della cattività avignonese, e successivamente decidessero di spostare la residenza in Vaticano. Tra le sue mura si sono svolti duecentocinquanta Concili, cinque dei quali ecumenici, tra cui il Lateranense IV, nel 1215, considerato dagli storici uno spartiacque fondamentale nel Medio Evo per l’idea di una società cristiana universale.

https://www.famigliacristiana.it/articolo/san-giovanni-in-laterano-una-serie-di-eventi-per-celebrarne-lo-splendore.aspx

Un nuovo modo di abitare il mondo

Famiglia Cristiana 07/11/2023

UN NUOVO MODO DI ABITARE IL MONDO

di Fausta Speranza

Una tavola rotonda alla Casina Pio IV sui mutamenti necessari al Pianeta per sopravvivere: «Costruire e comunicare un’economia che promuove sostenibilità e pace, che riconosce la dignità degli esseri umani, che attualmente non sembra rappresentare una priorità per politiche, infrastrutture e investimenti»

La locandina del simposio.

«Costruire e comunicare un’economia che promuove sostenibilità e pace, che riconosce la dignità degli esseri umani, che attualmente non sembra rappresentare una priorità per politiche, infrastrutture e investimenti». Nelle parole del cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, è concreto l’obiettivo dell’iniziativa che si è svolta alla Casina Pio IV, nei giardini vaticani. E libera è stata la modalità del confronto: non si è trattato propriamente di un convegno tradizionale, ma di una vera e propria tavola rotonda. Tra i vari interventi, Jim O’Neil, capo dei progetti di Corporate and Investment Banking per Europa, Medio Oriente e Africa della Bank of America, ha parlato delle crescenti aspettative nei confronti del settore privato: affinché affronti le questioni globali e affinchè innanzitutto assicuri trasparenza su scelte e comportamenti che hanno a che fare con queste sfide. Da parte sua, Jennifer Jordan- Saifi, amministratore delegato della piattaforma  Sustainable Markets Initiative, ha parlato di progetti di bene comune possibili in ambito locale da replicare su scala più ampia. JR Kerr, Amministratore delegato della società di Informatica Handshake, ha messo in luce l’importanza di fare i conti con i nuovi orizzonti della tecnologia, che possono aprire nuove possibilità se gestiti per il bene comune.

La regista Lia Beltrami.La regista Lia Beltrami

È imprescindibile abbandonare uno stile di vita predatorio, ha affermato il cardinale Turkson, ribadendo l’urgenza di “un nuovo approccio ecologico”. Ha sottolineato gli elementi che possono fare la differenza in tema di “cura della casa comune” chiarendo che la sfida si articola su due binari. Il primo è quello di trasformare il nostro modo di abitare il mondo, le nostre scelte, la nostra relazione con le risorse della Terra, consapevoli della necessità di preservare i doni che Dio ci ha dato per il bene comune. Il secondo presuppone di cambiare il modo di guardare all’uomo, «affinché nessun essere umano rimanga indietro».  La varietà delle esperienze confrontate e la complessità delle finalità individuate richiedono nutrimento. Sembra questo il senso del titolo della giornata “Emozioni per generare cambiamenti”. Lo scambio di idee ha confermato l’esplicita dichiarazione d’intenti: dalle emozioni che il creato ci regala dobbiamo partire e alle corde emotive delle persone bisogna arrivare, se si vuole un cambio di passo reale. Di responsabilità dei mezzi di comunicazione, ha parlato, in collegamento video, il prefetto del Dicastero per la comunicazione Paolo Ruffini, sottolineando l’importanza di impegnarsi a veicolare messaggi costruttivi, a dare voce alla volontà dei giovani di cambiare il corso degli eventi: fermare la forza distruttiva delle guerre e liberare l’energia della creatività.

 

Il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson.Il cardinale Peter  Turkson

Un esempio viene dal video CHANGE di Lia e Marianna Beltrami in collaborazione con il Dicastero per la Comunicazione e con il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che è stato proiettato a conclusione della tavola rotonda. Si tratta di una carrellata di 24 foto scandite dalla sonorità della musica e accompagnate dai versi scritti del Cantico delle creature di San Francesco. La complessità dell’universo delle api, i colori accesi di una discesa rocciosa, i giochi di luci tra i ghiacci, la semplicità di una donna che fila la lana, la distruzione di alberi incendiati, la maestosità di grattacieli, l’inquietudine di una terra arida, l’armonia di un’imbarcazione di bambù, la malinconia di una periferia, la bellezza di un tramonto. Alcune di queste foto sono state esposte nella Sala stampa vaticana per tutta la durata del Sinodo ad ottobre. A testimonianza di un impegno che cerca di varcare i confini e ambiti per creare sinergie.
Certamente questa mattina la sinergia si è creata su un punto: oggi più che mai è indispensabile una visione che vada oltre l’immediato, al di là di prospettive prettamente opportunistiche della realtà dove efficienza e produttività sono volte al vantaggio egoistico di ristretti gruppi d’interesse.

Nutrire di pensiero la fede

«IL PAPA VUOLE UNA TEOLOGIA CHE SAPPIA

NUTRIRE DI PENSIERO LA FEDE»

03/11/2023

di Fausta Speranza

Il teologo Bruno Forte e monsignor Antonio Staglianò commentano la Lettera apostolica “Ad theologiam promovendam” con la quale papa Francesco ha rinnovato gli statuti della Pontificia Accademia di Teologia: «Una “riforma” in linea con il magistero di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II che sollecitava tutti i cattolici a pensare la fede altrimenti si rischia una concezione magica della religiosità» 

“Un grande atto di fiducia e di incoraggiamento”: così il teologo e arcivescovo di Chieti – Vasto Bruno Forte commenta la Lettera apostolica in forma di Motu Proprio di papa Francesco Ad theologiam promovendam, firmata il 1° novembre e con la quale vengono approvati i nuovi statuti della Pontificia Accademia Teologica. Si concepisce – dice con soddisfazione Forte – “la teologia come coscienza critica del vissuto ecclesiale, ma anche come fermento e luce provocante, sfidante, illuminante della Parola di Dio”. Si chiede “ascolto e interlocuzione davvero con tutti, perché la teologia non sia astratta ma vitalmente inserita nella comunità ecclesiale e nelle vicende del mondo”.

Non sono solo raccomandazioni a parole, sottolinea monsignor Antonio Staglianò (nella foto in alto con papa Francesco, ndr), presidente della Pontificia Accademia di Teologia, spiegando che i rinnovati Statuti prevedono strutturalmente delle novità. Innanzitutto, si amplia il ventaglio degli accademici: verranno accolti professori di altre confessioni religiose per un dialogo ecumenico e interreligioso. Inoltre, Staglianò precisa che si prevedono una “segreteria operativa” e “interlocutori referenti”, sottolineando che saranno non solo fedeli di parrocchie o diocesi, ma “persone scelte in tanti ambiti della realtà: nel campo della medicina, del diritto, della finanza…”.

L’obiettivo è “avere spazi di riflessione che attraversano sapere e praxis umana”. Nelle parole del vescovo teologo Staglianò i livelli di riflessione sono molteplici. In generale, si sollecita la teologia a un ripensamento epistemologico e metodologico che – assicura il presidente dell’Accademia – è “in profonda continuità con gli insegnamenti di Benedetto XVI che chiedeva di “allargare i confini della ragione in maniera sapienziale”; con Giovanni Paolo II, che sollecitava tutti i cattolici a “pensare la fede altrimenti si rischia una concezione magica della religiosità”. Ma i richiami – spiega Staglianò – sono ben più antichi, come l’avvertimento di Sant’Agostino: “La fede che non si pensa è nulla”. Inoltre, Staglianò aggiunge che nella Lettera apostolica del Papa c’è anche un richiamo a Antonio Rosmini, alla sua idea di “sapienza come verità e carità”, perché l’una contiene l’altra: “Non si può pensare la verità del Vangelo senza il pensiero ai poveri e alla carità e pensare la carità è verità”.

Tutto questo sollecita il credente a maturare una fede adulta, ma – spiega il presidente dell’Accademia di Teologia – chiede anche ai teologi “un linguaggio che non sia solo concettuale ma che sappia intercettare registri importanti, come quello del sentimento, dell’intelligenza emotiva, perfino dell’immaginazione, con i quali si vive nella propria umanità la fede”.

Si tratta – suggerisce – di recuperare il valore etimologico della parola ‘sapere’ che lo lega al concetto di ‘sapore’ per riscoprire una conoscenza esperienziale che contiene il gusto della vita”. E si tratta anche di scoprire una teologia “in uscita e in ginocchio: che riscopre una ragione critica ma che non parte dall’orgoglio della ragione ma dall’umiltà della ragione”.

In questo impegno rinnovato ad una “educazione sapienziale della Parola di Dio”, la teologia acquista un volto nuovo che – ribadisce Staglianò – risponde alla sfida di sempre della Chiesa: far arrivare a tutti il Vangelo, credenti e non credenti, “anche a persone che sentono di essere lontane o arrabbiate con la Chiesa”. Nel percorso rinnovato per “teologare”, il dialogo e il giudizio critico hanno un posto di rilievo, aggiunge, anche perché tutti comprendano davvero e ribadiscano a gran voce che non può esserci un Dio che concepisca violenza e guerra.

https://www.famigliacristiana.it/articolo/il-papa-vuole-una-teologia-che-sappia-nutrire-la-fede-di-pensiero.aspx

Il valore della testimonianza oltre il dramma della storia

Un volume ripercorre la vita di Arminio Wachsberger, uno dei pochi sopravvissuti

16 Ottobre 2023

di FAUSTA SPERANZA

Il dramma della Shoah, declinato a Roma in particolare con “il sabato nero”, per tanto tempo è stato accompagnato da una sorta di afasia collettiva. Per anni i testimoni diretti non sono riusciti a trovare le parole adatte a riferire quello che nell’immaginario anche verbale non sembrava essere stato concepito. Nessun termine poteva essere all’altezza del vissuto e nessuno sembrava davvero interessato ad ascoltare narrazioni dall’abisso di disumanità che era stato raggiunto. Una voce ha fatto eccezione proprio in riferimento al 16 ottobre 1943, quella di Arminio Wachsberger, uno dei pochi sopravvissuti tra gli arrestati nel quartiere ebraico. Conosceva il tedesco e ha fatto da interprete e forse proprio questo paradossale avvicendarsi di traduzioni lo ha aiutato a trovare anche il linguaggio comprensibile per un’esperienza al limite della comunicabilità.

«Un testimone d’eccezione della deportazione degli ebrei di Roma», si legge nel sottotitolo del volume dello storico Gabriele Rigano, intitolato L’interprete di Auschwitz (Milano, Edizioni Guerini e Associati 2015, p. 254). È il lavoro scientifico di uno studioso e ha tutte le caratteristiche di un saggio rigoroso che ricostruisce dettagli e risvolti della vicenda di Arminio Wachsberger attraverso un minuzioso esame delle carte e dei documenti, ma trasuda l’emotività di una presa diretta.

Rigano lo definisce «un testimone loquace e appassionato di buona memoria», che ha lasciato varie testimonianze scrivendo e parlando sin da subito dopo la fine della guerra, pur avendo un carattere riservato. «A suo modo un protagonista delle vicende che ha vissuto, senza lasciarsi mai schiacciare dal senso di impotenza, che doveva essere un macigno sulla vita degli ebrei perseguitati». La conoscenza delle lingue e la sua intraprendenza gli hanno conquistato il ruolo di intermediario tra i deportati e le autorità naziste, anche con Mengele ad Auschwitz e poi in tutti i luoghi di detenzione dove si è trovato tra il 1943 e il 1945. Successivamente, nella Germania liberata tra il 1946 e il ‘49 ha testimoniato nelle aule dei tribunali. «Io, naturalmente, come al solito, fungevo anche da interprete», racconta Arminio.

Dal confronto con gli strumenti dello storico emerge un quadro in cui Arminio ha cercato di ritrovare sempre il linguaggio dell’umanità. Nato nel 1913 a Fiume, figlio del rabbino capo di questa città cosmopolita e aperta dove era normale parlare diverse lingue, si trasferisce a Roma nel 1936 dove sposa Regina Polacco da cui avrà, poco dopo, una figlia. Viene sorpreso dalla razzia di quel sabato 16 ottobre con la sua famiglia. Durante il trasferimento al Collegio militare e nei due giorni successivi prima della partenza del treno dalla stazione Tiburtina verso Auschwitz, da subito tenta di salvare più vite possibile. Consegna un bimbo a una donna non ebrea che, intercettato lo sguardo della mamma ebrea sul camion, chiede di riavere «suo figlio». Arminio convince le SS confermando la versione delle due donne. Dichiara, sotto la sua responsabilità, che alcuni dal nome non prettamente ebraico sono stati presi per errore. Portato ad Auschwitz, scampa alle selezioni ma non riesce a salvare invece la moglie e la figlia. Lavorando per il famigerato Mengele, riesce invece a salvare altri procacciando medicine e viveri. Porta conforto ai malati. Trasferito a Varsavia insieme con altri ebrei romani, per lavorare allo sgombero delle macerie del ghetto distrutto dai tedeschi dopo la rivolta, nell’estate del 1944 è tra quanti vengono trasferiti con una terribile marcia al campo di Dachau. Nell’aprile del 1945 viene liberato. Continuerà a collaborare nella ricerca dei sopravvissuti e a testimoniare nei processi contro gli aguzzini. Tornerà in Italia nel 1949, dove morirà nel 2002.

«Grazie al suo instancabile ruolo di testimone, Arminio Wachsberger — scrive Rigano — ci restituisce con precisione l’ambiente ebraico di Fiume, la Roma fascista durante le leggi razziali, Auschwitz, le marce della morte, la liberazione dei campi». Lo storico definisce i suoi racconti «fondamentali perché tra i 16 sopravvissuti del 16 ottobre è stato l’unico a parlare subito» e perché «il suo è un punto di vista particolare, diremmo pure “privilegiato”, rispetto a quello degli altri prigionieri, essendo in continuo contatto con i nazisti». Inoltre, «dopo la guerra la sua testimonianza fu importantissima per determinare il destino di tanti ebrei italiani deportati e morti che aveva incontrato».

A 80 anni da quei tragici eventi, restano pagine di storia da finire di ricomporre e, come sottolinea Rigano, «sono gli eredi che spesso si fanno promotori di ricerche, ma c’è la difficoltà per i testimoni — diretti o indiretti come gli eredi — di accettare di sottoporre le loro memorie ai meccanismi della verificabilità storica: lo vivono come una profanazione». Proviamo a immaginare di quanto tatto e sensibilità ci sia bisogno, mentre Rigano aggiunge una sorta di appello: «Oggi come oggi la contrapposizione tra storici e testimoni va superata: senza le storie individuali il lavoro degli storici perde la “carne”, si deumanizza, ma senza l’impegno degli studiosi le testimonianze possono essere svilite dai negatori della Shoah che si attaccano ai normali errori di memoria per delegittimare tutto il patrimonio di testimonianza sulla deportazione e lo sterminio». Lo storico li definisce «gli Eichmann di carta».

Incontrare di persona Rigano ci permette di ascoltare l’eco particolare del suo lavoro oltre le pagine del libro: «Spesso noi storici ci occupiamo di grandi numeri e eventi collettivi, soffermarsi sulle vicende di una singola persona ci permette di addentrarci nella quotidianità, nelle passioni, paure, speranze delle persone che vivendo fanno la storia». Confrontarsi con le narrazioni dei deportati è sempre «destabilizzante» — ci confida — perché «ci richiama alla tragica capacità di odio di cui è capace l’uomo». Ma non finisce tutto lì: «Ci mette anche di fronte alla capacità di opporsi al male, che ci richiama alla possibilità di poter fare sempre qualcosa, anche nelle situazioni più estreme».

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