Si inasprisce la tensione in Perù

Per l’ex presidente Castillo, rimosso con l’accusa di voler sciogliere il Parlamento, si conferma la carcerazione con misure cautelari per 18 mesi. Dopo giorni di manifestazioni, il governo decreta lo stato di emergenza sulla rete stradale. Si tratta di un serio confronto istituzionale che si aggiunge alla spaccatura all’interno del partito Perù Libre, mentre il Paese attende ancora le invocate riforme sociali, come sottolinea lo storico esperto di America Latina Massimo De Giuseppe

Fausta Speranza – Città del Vaticano

La Corte suprema peruviana ha respinto la richiesta di scarcerazione che era stata presentata dai legali dell’ex presidente Pedro Castillo, che si trova in stato di detenzione preventiva con l’accusa di ‘ribellione’ dopo il tentativo fallito di sciogliere il Parlamento. E dopo poche ore la Procura generale del Perù ha chiesto al Tribunale per le indagini preliminari di concedere 18 mesi di custodia cautelare all’ex presidente Pedro Castillo e all’ex primo ministro Anibal Torres per i presunti reati di ribellione e cospirazione. In precedenza  – precisa l’agenzia di stampa Andina – lo stesso tribunale aveva autorizzato la richiesta della Procura per l’avviamento di una istruttoria riguardante l’ex presidente. Da parte sua Castillo ha invitato i suoi sostenitori a riunirsi numerosi davanti all’edificio della polizia di stato Diroes nel distretto di Ate alle 13,43 locali (le 20,43 italiane) per “un grande abbraccio”.

Tra le motivazioni

La sentenza di rigetto del ricorso presentato da Pedro Castillo contro la carcerazione preventiva per ribellione e associazione per delinquere, letta dal giudice César San Mart¡n presidente della sezione penale permanente della Corte suprema, si basa sul principio che il reato di ribellione non avviene unicamente attraverso l’insurrezione in armi, come sostenuto dalla difesa di Castillo, ma anche attraverso il tentativo di togliere autorità alle istituzioni democratiche, e al fine di concentrare tutto il potere in una sola persona. Chiedendo 18 mesi di custodia cautelare, si considera di poter raccogliere prove sufficienti per l’apertura del processo riguardante l’accusa di tentativo di colpo di Stato realizzato con la decisione di sciogliere il Parlamento, commissariando tutti gli organi della giustizia peruviana.

Stato di emergenza

Il governo ha deciso, di fronte alle barricate poste sulle principali vie di comunicazione del Paese dai sostenitori dell’ex presidente Pedro Castillo, di “decretare lo stato di emergenza di tutta la rete stradale peruviana, al fine di assicurare la libera circolazione di beni e persone”. Nel fine settimana in Perù sono proseguite le proteste con cui migliaia di manifestanti hanno chiesto la liberazione dell’ex presidente, di sinistra. I manifestanti chiedevano anche le dimissioni della nuova presidente, Dina Boluarte, che è stata vice di Castillo, e la convocazione di nuove elezioni. Nelle recenti proteste sono state uccise almeno due persone: in mezzo alle crescenti pressioni, Boluarte ha annunciato che proporrà al parlamento di convocare le elezioni anticipate per aprile 2024. Poco prima di partecipare all’udienza a Lima,  Castillo ha diffuso dalla sua cella un nuovo messaggio manoscritto in cui chiede alle forze di polizia e all’esercito di deporre le armi con “l’appello al popolo affinché – dice – resti vigile e ottimista”.

Del confronto istituzionale e di altre tensioni nel Paese, abbiamo parlato con Massimo De Giuseppe, ordinario di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università Iulm:

Lo storico De Giuseppe parla di due piani da considerare: innanzitutto – spiega – c’è quello istituzionale che ha portato alla rimozione di Castillo. A questo proposito ricorda l’accusa nei suoi confronti di reati contro l’ordine costituzionale in seguito al suo tentativo di sciogliere il Congresso, cioè il parlamento monocamerale peruviano, prima che questo votasse un impeachment contro di lui. La mossa di Castillo, la cui presidenza stava attraversando da tempo una grave crisi politica, è stata definita dalla Boluarte, che in quel momento era vice presidente e che poi ha giurato come nuova presidente del Perù, un colpo di Stato. Peraltro anche Francisco Morales, capo della Corte costituzionale peruviana, ha definito la mossa di Castillo un progetto di colpo di Stato. In un discorso televisivo alla nazione nella notte tra domenica e lunedì, Boluarte, prima donna nella storia del Perù a svolgere l’incarico di presidente, ha detto che il suo governo si impegnerà per favorire il dialogo e mettere fine alle violenze e ha annunciato che l’approvazione delle elezioni anticipate implicherà nuove riforme costituzionali. Tutto questo chiarisce abbastanza – sottolinea De Giuseppe – quanto sia delicato il confronto istituzionale.

La spaccatura nella sinistra

De Giuseppe parla della complessità della situazione sottolineando che prima degli ultimi fatti c’è stata la scelta di Castillo di abbandonare il Partito Perù Libre che ha dato vita ad una spaccatura al suo interno. Da giovedì, dal giorno dopo la rimozione di Castillo,  centinaia di persone hanno manifestato sia nella capitale peruviana Lima che in altre zone del Paese. Le proteste – spiega – sono state particolarmente partecipate nelle aree rurali e nel sud, dove Castillo, ex insegnante, ha buoni consensi. Domenica a Lima le forze dell’ordine sono intervenute per disperdere alcune centinaia di manifestanti con gas lacrimogeno; nelle proteste sono state ferite almeno 20 persone, tra cui quattro agenti di polizia. Le proteste più grosse però sono state quelle ad Andahuaylas, una città di circa 35.000 abitanti, sempre nel sud del Paese. Dunque – avverte De Giuseppe – bisogna anche considerare il piano del confronto politico all’interno di una sinistra che sostanzialmente non è riuscita a mantenere le promesse delle riforme sociali.

La questione sociale

Dopo la significativa crescita economica nei primi anni del millennio, il Perù sta vivendo da circa cinque anni un forte rallentamento, ricorda il professor De Giuseppe che poi sottolinea come resti molto alta la disparità tra la fascia della popolazione ricca e il resto del Paese in condizioni modestissime. Castillo, che prima di diventare presidente era anche un attivista sindacale, aveva basato gran parte della sua campagna elettorale sulla promessa di migliorare le condizioni economiche delle aree più rurali e povere, che – spiega De Giuseppe – hanno particolarmente subìto le conseguenze economiche della pandemia. Nelle ultime settimane, tuttavia, il rincaro generale dei prezzi ha provocato crescenti proteste di piazza contro il governo nazionale.

Una politica di avvicendamenti

De Giuseppe ricorda che mercoledì, prima di essere rimosso, Castillo aveva tenuto un discorso in cui aveva detto: “Abbiamo preso la decisione di instaurare un governo di emergenza, per ristabilire la legge e la democrazia”. La decisione di sciogliere il Congresso era probabilmente volta ad evitare il voto di impeachment, dopo l’annuncio che diversi membri del suo governo si erano dimessi. E lo  storico ricorda che nel corso del suo mandato Castillo ha nominato e poi sostituito circa 80 funzionari governativi, con un continuo ricambio di ministri. Castillo, un ex insegnante, è stato eletto presidente del Perù nel luglio del 2021: ricorda ancora De Giuseppe, aveva vinto le elezioni contro la rivale Keiko Fujimori, populista di destra e figlia dell’ex presidente del Perù Alberto Fujimori, che aveva governato il Paese in maniera autoritaria dal 1990 al 2000. Alla vittoria di Castillo, molto contestata, avevano probabilmente contribuito la delusione di molti peruviani nei confronti dei politici in carica fino a quel momento e le gravi disuguaglianze economiche interne al Paese. Nel corso del suo mandato è stato accusato in più occasioni di corruzione, accuse che Castillo ha definito parte di un complotto e che hanno colpito poi anche a membri della sua famiglia. Su alcuni dei suoi più stretti collaboratori sono state avviate indagini per corruzione. Nel frattempo il suo governo non era stato in grado di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale, anche per via del continuo ricambio di ministri.

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