Si fermano le armi in Tigray: verso la pace in Etiopia

L’Unione Africana commenta l’annuncio dell’accordo per il “cessate il fuoco” tra il governo dell’Etiopia e il Tigray People’s Liberation Front (TPLF) parlando di “una nuova alba”. È un primo passo fondamentale ma dopo lo stop ai combattimenti si deve proseguire il negoziato di pace, sottolinea il professore emerito GianLuigi Rossi, mettendo in luce che manca ancora anche la definizione dei tempi di attuazione

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Firmato a Pretoria, in Sudafrica, l’Accordo di pace tra il governo dell’Etiopia e il Tigray People’s Liberation Front (TPLF) per porre fine a due anni di conflitto nel territorio a nord del Paese africano. Nel comunicato congiunto diffuso ieri pomeriggio si legge che, oltre alla cessazione delle ostilità, il governo etiope e i ribelli hanno concordato di “rafforzare” la cooperazione con le agenzie umanitarie e un programma di “disarmo, smobilitazione e reintegrazione per i combattenti del Tplf”. “L’Unione europea è pronta a sostenere i prossimi passi”, ha scritto su Twitter il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel.

L’impegno sui due fronti

Un’intesa per la quale il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha espresso “forte” impegno nella sua attuazione. “La nostra determinazione a fare la pace rimane incrollabile e il nostro impegno a collaborare all’attuazione dell’accordo è altrettanto forte”, ha dichiarato Abiy in un “messaggio di gratitudine” ai mediatori dell’Unione Africana (Ua), pubblicato su il suo account Twitter. Da parte sua, il capo della delegazione del Tigray, Getachew Reda, ha sottolineato: “Solo la nostra determinazione collettiva impedirà ai eventuali perturbatori, anche nelle nostre stesse fila, di distruggere la pace”.

Si tratta di un ‘cessate il fuoco’ e non di un vero accordo di pace, sottolinea il professore emerito Gian Luigi Rossi, esperto di Storia dei Trattati internazionali e di Storia delle Istituzioni afro-asiatiche:

Secondo Rossi, l’indubbio successo raggiunto non può rappresentare la fine del processo di pace, ma il suo inizio. Spiega che indubbiamente si deve accogliere con favore l’accordo sulla cessazione delle ostilità in Etiopia ricordando l’importanza di questo grande Paese  e anche sottolineando il peso  all’interno di una regione strategica come il Tigray, una delle dieci regioni.

L’importante ruolo dell’Unione Africana

Rossi mette in luce in particolare il ruolo importante dell’Unione Africana nel processo di mediazione in questione e anche quello del Sudafrica che ha ospitato i colloqui. Aggiunge poi che troppo spesso si dimentica il potenziale dell’Unione Africana in termini di prevenzione delle guerre o appunto di operato per la risoluzione di conflitti. Tra l’altro – ricorda Rossi – in Tigray accanto all’esercito del governo centrale hanno operato le truppe della vicina Eritrea. Il negoziato dunque è stato complesso.

L’essenziale fase dell’attuazione

Dopo le felicitazioni per lo stop delle armi – chiarisce Rossi –  bisogna assicurare la decisiva fase di attuazione. È importante, dice, consolidare il primo passo verso una pace e una riconciliazione durature ed è anche prioritario garantire l’assistenza umanitaria e ripristinare i servizi di base. Ma soprattutto mette in luce l’assenza al momento di una indicazione di tempi per l’attuazione dell’accordo. Si tratta, afferma, di “un aspetto fondamentale”. Sarà determinante anche la pacificazione a livello sociale e per questo il professore auspica un intervento preciso sul terreno delle Nazioni Unite.

La prospettiva di pace

Il testo si accompagna ad una “Dichiarazione congiunta” che configura una sorta di road map politica. In otto pagine si parla, infatti, di salvaguardia della sovranità e di integrità territoriale dell’Etiopia, di rispetto della sua Costituzione e dell’unità del suo esercito nazionale. Si sottoscrive “un programma di disarmo e smobilitazione” delle forze tigriane che tenga conto della situazione della sicurezza sul terreno”Si evocano misure transitorie per “il ritorno all’ordine costituzionale” nel Tigray che quindi tornerebbe ad essere una regione/Stato dell’Etiopia federale.  È evidente che occorrerà ripristinare i servizi pubblici e riparare le infrastrutture e per questo si chiede “il sostegno della popolazione per un’attuazione flessibile di questo nuovo capitolo nella storia del Paese”.

L’appoggio dell’Onu

In una dichiarazione ufficiale, Stéphane Dujarric, portavoce del segretario generale dell’Onu António Guterres, ha sottolineato che “l’accordo è un primo passo fondamentale verso la fine del devastante conflitto di due anni in cui sono andate perdute vite e mezzi di sussistenza di così tanti etiopi. Il segretario generale esorta tutti gli etiopi e la comunità internazionale a sostenere il passo coraggioso compiuto dal governo federale dell’Etiopia e dalla leadership tigrina. Il Segretario generale si impegna a sostenere le parti nell’attuazione delle disposizioni dell’accordo e le esorta a continuare i negoziati sulle questioni in sospeso in uno spirito di riconciliazione, al fine di raggiungere una soluzione politica duratura, mettere a tacere le armi e a portare il Paese di nuovo sulla via della pace e della stabilità. Il segretario generale elogia l’Unione Africana e il suo Gruppo di Alto Livello per la facilitazione dei colloqui di pace e la Repubblica del Sudafrica per aver ospitato i colloqui di pace. Le Nazioni Unite sono pronte ad assistere le prossime fasi del processo guidato dall’Unione Africana e continueranno a mobilitare l’assistenza tanto necessaria per alleviare le sofferenze nelle aree colpite”.

L’allarme dell’Oms

Poche ore prima dell’annuncio dell’intesa, il capo dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, aveva rivelato che “un gran numero di sfollati sta arrivando o si sta spostando verso la capitale regionale del Tigray, con bisogni in aumento di giorno in giorno” e che “migliaia di persone sono state uccise, con accuse di gravi violazioni dei diritti umani, compresi possibili crimini di guerra, commesse da entrambe le parti”.

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